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Autore: _wayward    14/03/2013    1 recensioni
Il Nateh'n oridinò un'altra birra e si voltò verso la porta d'ingresso da dove, con i denti dorati in bella mostra, Lucky – che avrebbe presto capito di avere i giorni contati – gli si stava avvicinando sorridente.
«Ti piacerebbe racimolare un po' di denaro?»
Due ore dopo, quel buono a nulla era ancora vivo e lui si stava incamminando verso un'enorme, grandiosa avventura.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autore: _wayward.
Titolo: L'Emblema della Farfalla ~
Fandom: Originale » Fantasy.
Rating: Giallo.
Genere: Long fic [3/15].
Personaggi/Pairing: Il Nateh'n, Thomas, Bartred.
Parole: ~4633.
Avvertimenti: -

Disclaimer: Mine ©.
Note: [0] From These Ashes – F. Brown, 1950.
1) Per il prompt "viaggio” dei magici Faràs su COW–T3 #maridichallenge

Introduzione: «Ti piacerebbe racimolare un po' di denaro?»
Due ore dopo, Lucky era ancora vivo ed il Nateh'n si stava incamminando verso un'enorme, grandiosa avventura.




~ L'Emblema della Farfalla
Capitolo III ~ Da queste ceneri [0]



La Cattedrale irradiava magnificenza attraverso la densa oscurità che invece l'avvolgeva.
Non era certo la prima volta che la vedeva e, anche se aveva soggiornato ad Alenea per un lungo periodo ancor prima di dirigersi verso Nath, non riuscì a resistere all'impulso di lanciarle uno sguardo rapito.
Sulle immense vetrate che ne ricoprivano quasi l'intera superficie la solita, piccola scintilla [1] dorata volava rapidamente, rendendo i contorni di ciascuna delle figure rappresentate luminescenti.
Il Nateh'n lasciò che la smorfia di dolore che aveva sul viso si trasformasse in un lieve sorriso: nessun luogo era permeato dalla stessa atmosfera che si trovava alla Cattedrale, né il santuario di pietra sulla vetta di Picco d'Asca, né le placide acque sacre del Ganell, a sud di Ilmìat.
Neppure il fascino proibito della città di Rovér – con l'enorme facciata di ghiaccio dell'Ambasciata, proprio sopra gli scogli frastagliati che si affacciavano sul mare Svænsyv – sarebbe mai riuscita ad eguagliare la magnificenza dell'imponente costruzione al cui centro, secondo le leggende, era custodito il rosso mantello della Regina.
Il miagolio di un gatto selvatico lo riscosse dai propri ricordi e gli fece alzare gli occhi verso i tetti delle abitazioni circostanti; non era possibile che il mercenario l'avesse seguito saltando da un tetto all'altro così come sembrava improbabile che un uomo riuscisse a stare in equilibrio sopra le guglie che ricoprivano il tetto della Cattedrale senza essere visto, eppure il Nateh'n non riusciva a togliersi la fastidiosa sensazione di pericolo che gli lanciava il proprio stomaco.
Attraversò velocemente la piazza, dovendosi appoggiare più volte alle statue di marmo che le facevano da guardiani per non cadere, e si acquattò contro il muro quando un ragazzetto, ridente e senza scarpe, gli passò accanto correndo verso la direzione opposta.
Nell'angolo sud-ovest, la Cattedrale era collegata attraverso un ponte sopraelevato di un paio di metri all'edificio in cui alloggiavano gli Eletti e l'elfo rimase stupito dal non trovarvi le guardie che di solito sorvegliavano il passaggio: perfino il portone che dava ingresso agli alloggi era chiuso.
Il Nateh'n corrucciò le sopracciglia, si sporse verso l'altro per avere conferma dell'effettiva mancanza di guardie prima di passare sotto il ponte e, una volta giunto proprio di fronte ad una delle vetrate inferiori, sbirciò all'interno.
Solo un paio di candele illuminavano le tre navate laterali, oltre alla luce naturale della notte che filtrava attraverso il lucernario sull'alto soffitto, la scintilla si muoveva veloce entro le vetrate nel lato opposto della Cattedrale ed il suo bagliore era appena sufficiente per rischiarare l'arazzo sul muro centrale, raffigurante la Regina prima della sua ultima battaglia, ed il leone intagliato sulla lunga colonna orizzontale che divideva l'abside dai corridoi.
Stava per voltarsi e dirigersi verso l'ingresso dell'impianto acquifero – una porticina in legno a dieci passi di distanza che arrivava a malapena all'altezza delle sue ginocchia – quando un movimento improvviso lo costrinse ad assottigliare gli occhi.
La sagoma scura, fin troppo armata per essere un Eletto, si voltò verso l'ingresso della Cattedrale, lasciando che la luce lunare si riflettesse sulla lama dell'ascia che portava con sé.

«Fossi in te, mi allontanerei in fretta.»
Il Nateh'n trattenne il fiato e si girò lentamente verso il mercenario incappucciato, facendo scivolare una mano verso la cintura e...
«Cercavi questa?»
Strinse lo spazio vuoto sotto la casacca.
La sua fionda, legno chiaro ed elastici di felce, roteava veloce intorno al polso dell'uomo e l'elfo socchiuse gli occhi: anche se le ombre della notte ne nascondevano i tratti, avrebbe riconosciuto la sua voce fin sotto all'oceano.
«Cézras» mormorò, cercando il suo sguardo.
«Ęlanhecγnn
Il mercenario fece un passo verso di lui, si portò le mani alla nuca e lasciò che il cappuccio gli ricadesse sulle spalle.
«Non è il mio nome» ribatté il Nateh'n prima di rendersi conto che il sangue aveva iniziato a pulsare più velocemente contro la sua pelle.
L'occhio di vetro brillò per un istante, sul volto di Cézras, ed il suo sorriso si distorse in un ghigno sinistro mentre il rumore del mare in tempesta avvolgeva entrambi. Dalla nuca ora rasata, al tempo del ricordo si diramava una chioma di folti capelli scuri e gli occhi dell'uomo erano entrambi più blu del fondale marino.
Un urlo soffocato rimbombò nella mente dell'elfo.
«Cosa vuoi?»
Cézras rise con voce rauca. «C'è sempre solo una cosa che voglio, lo sai.»
«Lo so» fece il Nateh'n, puntando lo sguardo sulle chiazze nere che gli macchiavano la pelle proprio nel punto in cui il collo veniva ricoperto dalla divisa grigia che aveva sempre portato.
La bambina piangeva nello scafo della nave e lui si conficcò le unghie nel palmo della mano che ancora riusciva a muovere pur di farla smettere.
«Hai ancora quei brutti incubi, Ęlanhe
«Quali incubi?» alzò gli angoli delle labbra in un sorriso freddo.
Cézras si avvicinò ancora senza smettere di fissarlo e il Nateh'n rabbrividì impercettibilmente quando un tuffo nell'acqua emerse dalla nebbia dei ricordi.
«Cosa vuoi?» chiese di nuovo.
«Ti aiuterò a scappare» disse, indicando con un cenno del mento l'altro mercenario ancora chinato oltre le vetrate della Cattedrale. L'elfo si girò; Ouf non poteva sentirli ma la costatazione non impedì ad un nuovo brivido di risalirgli la schiena.
«Perché dovrei fidarmi?» sussurrò, forse più rivolto a se stesso che all'altro.
«In nome della nostra vecchia amicizia?» ghignò Cézras.
Il Nateh'n sobbalzò e fece un passo a sua volta mentre irrigidiva la mascella.
«Quale amicizia?»
La scintilla disegnò i contorni delle figure alle sue spalle: una luce fioca illuminò il volto del mercenario poco prima che questi si girasse verso gli alloggi degli Eletti.
«Non mi servi a nulla morto» ribatté, serio, lisciandosi la divisa sulle cosce. «Né a me, né ai miei capi. Non ora, perlomeno.»
«Ah si? E chi sono i tuoi capi?»
Anche senza vederlo, l'elfo percepì il sogghigno sulla sua bocca. «Ti vogliono morto. È importante conoscere i loro nomi?»
«Saprei da chi devo scappare.»
La risata dell'uomo, aspra e gracchiante, lo colse di sorpresa e nel momento in cui si voltò di profilo – nascondendo alla sua vista l'occhio di vetro, completamente bianco – la mano del Nateh'n si serrò intorno al manico del coltello.
«Nella via dietro il condotto dell'acqua, di fronte alle stanze di esercitazione degli Eletti, è legato un cavallo» esclamò improvvisamente Cézras. «Prendilo, esci in fretta dai cancelli e non ti preoccupare di non essere visto: stiamo preparando dei ritratti da spedire in tutto il regno.»
L'elfo assottigliò gli occhi.
«Perché me lo stai dicendo?»
«Te l'ho già detto» sorrise l'altro. «Ci servi vivo ancora per un po'.»
Le parole di Lucky, le poche che era riuscito a cavargli prima di vederlo morire, lo portarono alla giusta intuizione. «Vi serve un capro espiatorio.»
Cézras non lo degnò di uno sguardo.
«Qualcuno a cui addossare le responsabilità dello scoppio di una guerra» rincarò ed a quel punto l'altro sorrise.
«A quanto pare sei uno dei fortunati» e accarezzò il legno liscio della sua fionda.
«D'accordo» esalò il Nateh'n dopo una lunga pausa. «Dammi la mia fionda e me ne andrò esattamente come mi hai chiesto di fare.»
«Non penso tu abbia capito» mormorò il mercenario ancor prima che lui tendesse una mano verso l'arma. «La mia non è un'offerta che puoi declinare e restare vivo» lanciò un'occhiata significativa al sangue che aveva creato dei grumi sopra il taglio sulla sua gamba. «Puoi decidere di scappare attraverso il condotto acquifero come volevi fare e decretare la tua morte, subito.
Oppure puoi stipulare un patto.»
Il Nateh'n inclinò leggermente il capo.
«Prendi quel cavallo e vattene. Nessuno ti torcerà un capello, nessuno ti seguirà. Torna a qualunque sia il punto del bosco da cui sei partito e convinci il principe ad arrivare alle porte di Cremysta.»
«Cosa ti fa pensare che sappia dov'è?»
«Sarebbe già rientrato in città, altrimenti.»
«Cosa ci guadagnate voi a lasciarmi andare?» domandò a quel punto l'elfo, arretrando impercettibilmente verso il condotto acquifero.
Cézras sorrise. «Oltre ad un colpevole perfetto? La morte dell'Erede.»
«Fantastico» rispose con sarcasmo. «Cosa ci guadagno io, invece?»
«La possibilità di ottenere la pietà del capo una volta che avrà ucciso il principe.»
Il Nateh'n serrò le labbra.
«Non mi pare che tu abbia molta scelta, Ęlanhecγnn
Le piccole rughe intorno agli occhi dell'uomo, tratti che prima non aveva notato – proprio perché erano inesistenti, quando ancora era abituato a sentire quel nome – ora erano solchi profondi sulla sua pelle, simili alle colline di sabbia che si creano nel deserto dopo il passaggio di un temporale.
Il fresco vento che veniva dal mare gli scompigliò i capelli mentre gli dava le spalle e, incerto sulle proprie gambe come se il dolore e la stanchezza fossero tornati a gravare su di lui solo in quel momento, si allontanò di tre passi. Poi si morse la lingua e strinse le dita attorno al polso dolorante ma non riuscì ad impedire al proprio corpo di voltarsi di scatto.
«Cosa ti fa essere così sicuro da credere che, varcati i cancelli di Alenea, non scapperò il più lontano possibile?»
Il sibilo di una miccia che si accende lanciò riflessi baluginanti sull'occhio bianco del mercenario e le ombre sul suo volto, causate dall'improvvisa luce, trasformarono il suo ghigno nelle fauci aperte di un animale.
Gli occhi del Nateh'n volarono all'origine della fiamma – poco più alta di una decina di centimetri, proprio al centro della Cattedrale – e si spalancarono all'istante.
Il silenzio della notte venne infranto dai piccoli scoppiettii dell'arazzo che prendeva fuoco e dai passi pesanti di Ouf che rimbombavano, da qualche parte oltre le vetrate; la scintilla, intrappolata nel vetro, si muoveva come impazzita ed iniziò ad emettere strilli acuti che ad orecchie umane sarebbero sembrati solo poco più alti di un qualsiasi mormorio soffocato.
«Come ti ho già detto» sussurrò Cézras prima di estrarre la balestra, legare ad una freccia la sua fionda e puntarla contro le figure rappresentate dietro di lui. «mi allontanerei il più in fretta possibile.»
Nel frastuono che seguì, il Nateh'n non ebbe il tempo di accorgersi che la sua domanda non aveva ricevuto alcuna risposta.

***

Nessa strinse la pergamena arrotolata che reggeva con le braccia ossute al petto e squittì spaventata quando uno degli uomini con il cappuccio rosso la spinse in avanti.
Gli Incappucciati non le piacevano.
I loro mantelli – del colore del sangue, le faceva notare la sua coscienza – gli svolazzavano intorno quando camminavano ma, nonostante la premura che mettevano nel nascondere le loro fattezze, Nessa aveva capito.
Lei era più bassa di qualsiasi umano ed arrivava a stento alla metà coscia di una donna adulta: la stoffa rossa calata sul volto non impediva alla creaturina di vedere i loro visi ed era per questo che ne era così spaventata. Tatuaggi scuri li ricoprivano quasi interamente e, seppure i loro incantesimi li indicassero come Eletti, nessun cerchio d'oro risplendeva sulle loro fronti.
Nessa aveva letto fin troppe volte il Cantico della Luce dell'Ovest per non intuire le loro origini.
Lisciò con il dorso della mano l'anello argentato che teneva la pergamena arrotolata e provò un moto d'orgoglio salirle agli occhi; il Maestro l'aveva investita di tutta la sua fiducia nell'incaricarla di consegnare l'oggetto prezioso personalmente nelle mani dell'uomo a cui gli Incappucciati la stavano conducendo.
Nessa chinò il volto paffuto a terra proprio a causa della loro presenza: certo, avrebbe preferito di gran lunga che fosse il Maestro a camminare accanto a lei ma comprendeva i motivi che l'avevano spinto a fare scendere soltanto lei – e due piccoli gruppi di quegli uomini con il cappuccio – alla cittadella portuale di Onalĩa per poter proseguire senza soste il viaggio verso Cremysta.
«Segui i loro ordini, Nessa, e quando l'avrai consegnata, un'altra carrozza vi porterà alla Capitale» le aveva detto, prima che la carrozza ripartisse verso i campi che si stagliavano all'orizzonte, e così lei avrebbe fatto. Quando era rimasta sola con loro, poi, i gruppi si erano divisi; solo un ristretto manipolo, così aveva capito, l'avrebbe accompagnata alla sua meta.
Il lontano rumore delle campane sulle torrette poste fuori dalla città le fecero alzare gli enormi occhi al cielo perché, completamente circondata dalle gambe degli Eletti e dai loro mantelli rossi, era l'unica cosa che potesse vedere veramente anche se, a giudicare dal silenzio che permeava la città, era facile intuire quanto i suoi abitanti fossero ben poco inclini ad uscire di casa senza la sicurezza della luce solare.
Sorrise leggermente, stando bene attenta a non lasciare scivolare la pergamena scura, e sgambettò più in fretta per seguire il passo della sua scorta quando vide con piacere il primo raggio di sole della giornata saettare veloce fra le stelle del mattino fino a ché, con grande sorpresa da parte sua, i mantelli rossi non smisero di svolazzare.
Ferma poco dietro i primi due Incappucciati, Nessa udì prima i colpi pesanti contro il legno e, qualche minuto dopo, una voce assonnata rispondere da oltre la porta.
«Apra» disse soltanto la voce di una donna nascosta sotto il cappuccio e la serratura scattò non appena ebbe finito di parlare.
Un anziano signore, con grossi bassi sotto il naso ed una cuffia da notte ancora sul capo, spalancò la porta e si fece da parte per farli entrare.
Nessa, sospinta da uno dei due Incappucciati che stavano alle sue spalle, si intrufolò silenziosa nella dimora dell'uomo ed attese trattenendo il fiato finché la porta non venne di nuovo chiusa.
«Royal Roguen» esclamò la stessa Eletta di prima e lui sussultò leggermente.
«Come conoscete il mio nome?» mormorò l'ometto, sfilando la cuffia dalla propria nuca.
Lei lo ignorò.
«Dicono che siate il miglior orafo dell'Impero e, se questo è vero, gradiremmo la vostra collaborazione.»
I baffi di Royal Roguen tremarono. «In cosa, se posso chiedere?»
In quel momento, mentre Nessa era impegnata ad osservare le piccole fiamme delle candele che danzavano nella penombra sopra un tavolo sul fondo della stanza, l'Incappucciato al suo fianco la spinse di nuovo e lei scattò in avanti, più attenta che mai, fino a porgere la pergamena fra le mani del signore.
«Ehm, grazie» fece lui non appena la creatura, dopo un buffo inchino, fu tornata al proprio posto ed alzò lo sguardo sui presenti.
Nessuno parlò.
Sospirando nervoso, Royal Roguen si diresse verso il proprio tavolo da lavoro e, inforcati un paio di piccoli occhiali dalla montatura in corno, sfilò l'anello d'argento dalla pergamena e la srotolò.
Un piccolo pezzo di stoffa scuro, piegato attentamente, scivolò da essa e cadde sul tavolo ma nessuno, a parte Nessa, sembrò farci caso.
Il signore, invece, afferrò una delle candele lì vicino e la avvicinò alla lettera, iniziando a leggere ciò che vi era scritto. I suoi baffi fremettero mentre gli occhi, dietro il vetro degli occhiali, scorrevano velocemente sulla pergamena, rincorrendo le lettere d'inchiostro che, grazie alla fiammella, Nessa intravedeva dietro il foglio. Gli Incappucciati, immobili nei loro mantelli rossi, stettero in silenzio per tutta la durata della lettura e lei li imitò, limitandosi ad accarezzare distrattamente il laccio blu stretto sui propri gomiti.
Il Maestro sembrava così giovane quando gliel'aveva legato, inginocchiandolesi di fronte, così tanto tempo prima che la creatura non era sicura di ricordare l'affetto che aveva provato nei suoi confronti.
«Ricordati sempre a chi appartieni, Nessa» le aveva sussurrato e lei, pavoneggiandosi inconsciamente davanti agli altri rotsie [2] del mercato, aveva giurato eterna fedeltà al Maestro. Avrebbe sempre indovinato i suoi desideri – gli aveva detto in un mormorio eccitato –, così era e sarebbe sempre stato finché il Maestro avesse voluto tenerla con lui.
L'espressione del Maestro, quel giorno...
Nessa sbatté le palpebre all'espressione estremamente stupita che si stava venendo a creare sul volto di Royal Roguen; le sopracciglia inarcate sulla fronte e la bocca un poco spalancata, l'uomo abbassò la pergamena senza lasciarsi scappare il minimo suono. La posò con cautela sul tavolo e solo a quel punto dedicò piena attenzione a ciò che ne era caduto quando aveva iniziato a leggere.
Alzò gli occhi sugli Incappucciati, come a chiedere loro la prossima mossa, ma nessuno rispose alla sua tacita domanda così, preso finalmente un respiro, si decise a sfiorare la sua superficie con la punta della dita.
Nessa inclinò la testa e, quando lui sollevò un lembo della stoffa, i suoi occhi si spalancarono ed uno squittio involontario le uscì dalle labbra, subito coperte dai propri palmi.
«Per la Luce--!» esclamò Royal Roguen, coprendosi anch'egli la bocca con l'altra mano.
Il lembo di stoffa tagliato a forma rettangolare, lungo quanto un avambraccio, pendeva delicatamente dalla sua presa e le due lettere dorate ricamate sopra riflettevano la luce delle candele ignorando l'emozione che stavano causando a chi le osservava.
«Ditemi che è una copia» gemette ad un tratto l'uomo.
La donna che aveva parlato prima fece un passo avanti, si liberò del cappuccio, lasciando che le stesse candele illuminassero la fitta rete di tatuaggi disegnati sul suo volto, e Royal Roguen arretrò velocemente. Urtò la sedia e storse la bocca spalancata mentre Nessa si stringeva con uno spasmo le spalle.
«Che la Stella ci aiuti» sussurrò lui, questa volta con voce talmente bassa che la creatura, spaventata com'era, credette di essersela immaginata mentre gli altri Incappucciati avanzavano dello stesso passo.
Nessuno di loro parlò.

***

Fumo denso si levava all'orizzonte insieme al sole.
Bartr stava seduto sopra un ramo spezzato, esattamente di fronte alle braci del fuoco che la sera prima aveva acceso. Thomas, qualche passo più in là, si era addormentato a notte inoltrata appoggiato al tronco di una betulla mentre lui non ci sarebbe riuscito nemmeno se se lo fosse imposto.
Con gli occhi puntati in direzione di Alenea, osservava il grigio spettrale di un incendio non ancora domato salire veloce verso il cielo, sperando soltanto che il Nateh'n fosse già in viaggio per tornare all'accampamento.
Era raro che lui e il suo compagno, da quando erano diventati tali, si separassero per più di un paio di giorni ma lo era ancora di più che l'elfo decidesse di viaggiare la notte, specialmente sapendo di dover attraversare una foresta che, seppure conoscesse come le proprie tasche, comportava sempre un margine elevato di rischi quindi non avrebbe dovuto attendere il suo arrivo prima di quella sera, eppure...
Il giovane nobile si mosse appena, sfregando la guancia contro la ruvida corteccia dell'albero, e corrucciò le sopracciglia quando un timido raggio di sole fece capolino fra i rami circostanti. Mugugnò qualcosa d'incomprensibile e spalancò gli occhi per iniziare a guardarsi intorno con espressione piuttosto confusa; solo quando incrociò la figura di Bartr – mantello sfilacciato e barba compresa – tornò ad appoggiare la schiena al tronco.
«Ben svegliato» gli disse il brigante e Thomas abbozzò un sorriso assonnato.
Bartr lo vide con la coda dell'occhio stropicciarsi le palpebre con il dorso delle mani e solo una manciata di minuti dopo, sbadigliando sonoramente, il ragazzo andò a sedersi accanto a lui.
«Non è ancora tornato?» fu la prima cosa che gli chiese.
Bartr scosse la testa in segno di diniego.
«Ascoltate» fece Thomas, riempiendo il silenzio che si era venuto a creare. «Penso che dovremmo tornare in città. Spiegherò io alle guardie cosa è successo, non dovete preoccuparvi»
«Non credo sarebbe una buona idea» rispose Bartr e, allo sguardo interrogativo del giovane, si limitò ad indicare con il mento il fumo lontano.
Thomas schizzò in piedi e domandò con un fil di voce: «Un incendio?».
«Bello grosso» rispose l'altro.
«Nel bosco?»
Bartr negò nuovamente. «È troppo lontano. Viene da Alenea.»
La mano di Thomas si strinse intorno alla sacca in cui teneva l'opale e lui si riscosse solo nel sentire la pietra fredda sul proprio palmo, poi, mordendosi il labbro inferiore, fece un passo in avanti.
«Devo tornare...»
Il mercenario non capì cosa volesse dire perché, improvvisamente, il rumore di quattro zoccoli sul terreno era arrivato alle sue orecchie; anch'esso proveniva dalla direzione della città.
Scattò verso l'arco, poggiato poco lontano dai resti del fuoco, e lanciò la spada pregiata al suo legittimo proprietario che, accortosi dello stesso suono, si nascose dietro un arbusto. Bartr lo imitò, tendendo una freccia con il braccio sano e reggendo l'arco con l'altro.
Il rumore, frattanto, si faceva sempre più vicini a loro.
Non c'erano cambiamenti nell'andamento del cavallo, notò Bartr in quel momento, quindi chiunque stesse arrivando non era qualcuno che poteva essersi perso ma, piuttosto, che conosceva bene l'ubicazione del fortuito accampamento.
Pregò che fosse il Nateh'n.

Quando il cavallo entrò nel loro campo visivo, iniziarono a pensare entrambi che fosse solo: nessun fantino stava sul suo dorso. L'animale passò dunque in mezzo allo spiazzo, si impennò per un istante quando posò uno zoccolo sulle braci – qualcosa di pesante cadde dal lato del cavallo che non vedevano, nell'azione – e continuò la sua falcata in mezzo alla foresta.
Accanto al fuoco, il Nateh'n si rialzò barcollante, imprecò e cadde di nuovo. Bartr lasciò cadere l'arco e corse verso di lui.
«Ma che diamine hai combinato?» gli urlò quando arrivò sufficientemente vicino da notare le sue condizioni.
Il Nateh'n – tutta la gamba impiastricciata di sangue, una spalla che sporgeva in maniera innaturale, il polso stretto nella mano sinistra, numerosi taglietti sul volto, foglie di qualsiasi tipo fra i capelli e l'impronta di tre delle cinque dita della contessina ancora ben visibili sulla guancia – lo fissò con evidenti intenzioni omicide.
«D'accordo» mormorò Bartr per poi spostarlo di peso sopra il tronco cavo lì vicino. «Prima siediti»
«Certo, come se sedermi mi rimettesse a posto tutt- ahi!, no, non toccarmi la spall- AAAAH!»
«Era uscita dall'incavo» si giustificò ed il Nateh'n, mordendosi la lingua, si accasciò sul posto.
Fu la voce di Thomas, dopo un lungo silenzio, a riscuoterlo dall'incoscienza.
«Avete visto l'incendio?»
L'elfo sussultò ma tenne il viso rivolto al terreno.
«Da dove è partito?» chiese ancora il ragazzo.
Questa volta alzò lo sguardo e lo posò su un punto poco sopra i suoi occhi. Thomas sostenne l'analisi ma, cercando di apparire del tutto calmo, si appiattì con la mano i capelli biondi che gli cadevano sulla fronte.
Dopo un tempo che parve interminabile, il Nateh'n si alzò sulle proprie gambe e si allontanò, instabile, di un paio di passi. «Bartr, raccogli le tue cose, ce ne andiamo.»
L'altro brigante corrucciò le sopracciglia. «Dove credi di poter andare in quelle condizioni, scusa?» gli domandò e, come per confermare involontariamente le sue parole, il Nateh'n si lasciò scappare un gemito quando si chinò per raccogliere la sacca delle provviste appoggiata ai sassi del fuoco. Si girò in direzione di Bartr e fece per ribattere quando Thomas gli si mise davanti.
«Da dove è partito l'incendio?»
Il canto di un allodola riempì il vuoto seguente alla sua domanda ma il ragazzo non desistette e, serrando le labbra in una linea sottile, si avvicinò fino a che avrebbe potuto contare le poche lentiggini sul quel viso sporco di terriccio ed erba. Gli occhi verdi lo fissavano quasi brillando, nella tiepida luce mattutina, con aria di sfida e Thomas capì, dai rapidi sguardi che lanciava al cerchio dorato simbolo degli Eletti, nascosto dai propri capelli, che l'elfo sapeva.
Fu tentato di portarsi di nuovo la mano alla fronte ma si trattenne e, anzi, fece un ulteriore passo in avanti; ancora qualche centimetro ed i loro nasi avrebbero potuto sfiorarsi.
«Avete qualcosa da dire?» sussurrò il Nateh'n, inarcando gli angoli delle labbra in un sorriso camuffato dal dolore.
Thomas rabbrividì e nemmeno sentì il richiamo di Bartr alle loro spalle. «Ho bisogno di saperlo» gli sussurrò a testa alta, invece. «Da dove è partito l'incendio?»
«Dalla Cattedrale» Il sorriso dal suo volto era sparito ed ora lo guardava con un espressione impassibile. «vostra maestà» ammiccò con un sussurro alla sua fronte e Thomas si allontanò di scatto.
«La Cattedrale è bruciata?!» esclamò Bartr ad alta voce.
Il Nateh'n sospirò e si scostò i capelli dagli occhi con uno sbuffo, per poi voltarsi in direzione di Alenea: il fumo, denso e scuro, non aveva ancora smesso di salire al cielo.
«Cattedrale, stanze degli Eletti, forse anche le case più vicine» mormorò senza particolare inflessione nella voce prima di lasciarsi cadere sul tronco cavo.
«Per la Stella...» il bisbigliò di Bartr venne coperto dal fruscio della casacca verde del Nateh'n che veniva lanciata a terra mentre lui tirava fuori dal sacchetto contenente le bacche una manciata abbondante di piccoli frutti rossastri.
Senza curarsi degli altri due, alzò lo sguardo solo dopo un lungo sorso dalla borraccia. «Bartr, prendi la map-- ehi..! EHI!, 'llîas, dove pensate di andare?»
«Thomas!»
«Siete uno stupido se pensate di poter cambiare la situazione!» gli urlò dietro il Nateh'n, poco prima che il ragazzo potesse sparire oltre il folto degli alberi. Thomas si fermò e Bartr vide la sua mano stringersi intorno all'elsa della spada.
«Non potete fare nulla, ormai.»
Fu un attimo e si girò di nuovo verso di loro. Nemmeno una decina di secondi dopo la sua lama sfiorava la gola del Nateh'n e Bartr puntava il proprio arco alla sua schiena.
L'elfo non batté ciglio.
«Perché non siete rimasto?!» sbraitò il ragazzo, il cerchio giallo sulla sua fronte brillava leggermente di luce propria.
«Abbassa l'arco, Bartr.»
Il compagno esitò ma, alla fine, riavvicinò la corda all'asta di legno senza scoccare alcuna freccia.
«Come avete potuto permettere che accadesse una cosa simile?» inferì ancora il ragazzo ma la sua voce, dall'urlo che era stata, andava scemando.
«Mi avrebbero ucciso» rispose il Nateh'n, posando il palmo della mano sopra la parte piatta della spada. Thomas schiuse di nuovo le labbra ma lui fu più veloce a continuare. «e uccideranno anche voi se tornerete.»
«Non–»
«Lo faranno» spinse la lama verso il basso e si alzò in piedi facendo forza sulla gamba sana. «Avreste già dovuto essere morto. E così Bartr e io.»
Thomas indietreggiò di un passo, lasciando che la punta della spada strisciasse sul terreno e Bartr scelse quel momento per avanzare. «A chi mai dovrebbe interessare la nostra morte? Lucky?»
«Lucky è morto» ed il viso del Nateh'n sembrò improvvisamente più stanco.
«L'hai ucciso davvero?» domandò Bartr, posandogli una mano sull'avambraccio.
«Av- aah, la spalla, Bartr!»
«Oh, scusa.»
Il Nateh'n tossì un paio di volte. «Avrei voluto» esclamò quando il dolore si fece più debole. «La situazione è più complicata di quanto sembra. Lucky era solo una pedina e qualcuno l'ha ucciso prima di me. Quanto avrei voluto essere io...»
Bartred lo fissò impaziente ma la voce dell'altro ragazzo arrivò prima della sua. «Chi erano gli uomini incappucciati sulla seconda carrozza?»
Il Nateh'n alzò lo sguardo verso di lui e si stupì di trovare i suoi occhi chiari ancora puntati su di lui ma, proprio dal lampo di intuizione che vi vide attraverso, seppe che aveva capito.
«Non lo so» ammise, ignorando il sopracciglio inarcato del proprio compagno. «Mercenari, forse.»
«Erano Eletti. Non ci sono Eletti al di fuori della Cattedrale.»
«Già...» l'elfo si passò la lingua sulle labbra, l'espressione improvvisamente livida, con il volto a fissare qualcosa che stava proprio dietro le spalle di Thomas, poi incurvò il busto verso il basso. «A quanto pare vi sbagliate.»
«Cosa c'entra questo, adesso?» chiese titubante Bartr, girando la testa prima nella direzione dell'uno e poi dell'altro.
«La domanda è un'altra» ghignò a quel punto il Nateh'n ed il ragazzo arretrò ancora, impercettibilmente. «Perché è raro che le rivoluzioni scoppino senza alcun motivo e forse faremmo bene a chiedere all'Erede perché qualcuno sia disposto ad ucciderlo, piuttosto che averlo come re.»
«All'Erede...?» un paio di occhi castani si puntarono improvvisamente sulla figura che, in disparte, impugnava ancora la spada. «Oh.»
«Già, Bartr.»
«... vostra maestà?»
Il sorriso dell'elfo si allargò.


~


Glossario:

[1] “È una pratica estremamente barbara.
Nessuna creatura meriterebbe mai di essere rinchiusa all'interno del vetro di finestre e lampade al fine di illuminare la sera o creare pacchiani effetti luminescenti, tanto meno le scintille.
Quanto alla loro presunta pericolosità, sosteniamo che queste creaturine dalla morfologia probabilmente umana – seppure non visibile a causa della loro luce – siano, se lasciate libere, assolutamente innocue.
Le leggende a proposito della loro capacità di far scomparire chiunque con un solo tocco non sono mai state confermate e rimangono, appunto, solo leggende.”
Dal “Manifesto sull'uso improprio della magia” redatto da G. R. Jowlink.

[2] “Il rotsie indicò il proprio petto con le lunghe dita arcuate e tu vedesti il grande e vivo fiore giallo – che pulsava proprio sopra il suo cuore – sibilare lentamente. I due velenosi sfilacciamenti rosa che poco prima avevano ucciso il tuo compagno fuoriuscirono dal centro del fiore e si allungarono verso di te ma, con un movimento veloce, facesti in modo che le funi che vi avevano portato all'interno della grotta si attorcigliassero attorno alla vita della creatura.
[...]
Con il petto fasciato, il rotsie ti giurò fedeltà eterna.”
Tratto da “Creature addomesticate” di Phortesi Caphrolini.
  
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