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Autore: savevato    04/03/2013    7 recensioni
La vita è fatta di scelte. Devi scegliere come vestirti al mattino, che scuola fare, che futuro avere. Ma quando la scelta è fatta in amore è sempre dura decidere e a volte ci si può impiegare un intera vita.
Eppure se le persone tra le quali devi scegliere ti impongono un limite i giochi iniziano a farsi duri.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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She's back.

 A Elena
Colei che in momenti di sclero mi ascolta, 
Colei con la quale tolgo tutti gli strati della mia maschera,
Colei che di sicuro non starà leggendo ma che amo lo stesso,
Colei che è mia sorella, senza bisogno di essere parenti.

 
Passo una mano sul ventre piatto sentendo un leggero senso di vuoto ma tentando di ignorare i brontolii del mio stomaco.
Sono sempre stata molto magra, eppure recentemente l'appetito va calando sempre di più e il mio corpo sta assumendo un'aria fiacca.
Abbinato al morale sotto la suola delle scarpe posso dire di non avere una bella cera.
Non mangio praticamente da ieri sera essendo che questa mattina ho saltato la colazione, come mio solito, e ho rifiutato il pranzo che mia madre ha preparato con cura.
Lancio un'occhiata veloce all'orologio. Segna le due del pomeriggio, calcolando che l'aereo atterra alle tre e la mezzora che occorre per arrivare fino all'aeroporto direi che è ora di incamminarci.
Avrei mangiato dopo con Ellen, una volta arrivate a casa.
Pettino per l'ennesima volta i capelli con la sottile differenza, rispetto alle precedenti passate di spazzola che questa volta raccolgo la chioma ramata in una coda alta. Il ciuffo scomposto rimane fuori e gli lascio la libertà di andare a suo piacimento a coprire la mia fronte, con la certezza che non rimarrebbe mai nella piega da me indirizzata.
Ho sempre amato i caratteristici capelli rossi della mia famiglia, sono una cosa che ci appartiene e ci distingue. Tutto il ramo paterno della famiglia ne è dotato e forse anche per questo mia madre, bionda e chiara come la neve, non si è mai trovata d'accordo con i famigliari di mio papà.
Tiro un po' più in giù la gonna a vita alta che tende a risalire e controllo che le calze collant nere e sottili siano bene in tiraggio.
indosso un giacchetto di pelle sopra la canotta bianca, giusto perchè maggio è ancora acerbo e i raggi del suo sole non donano ancora sufficiente calore da potersi permettere dei vestiti così estivi.
Tocco distrattamente la collana che porto al collo e passo le dita sulle pieghe dell'aeroplano di carta che raffigura. Il metallo argenteo è sempre caldo visto che non ho mai tolto questo oggetto fin dal primo momento che lui me lo legò al collo.
Sono certa che anche Ellen lo indossi ancora e che persino lui, dopo tutto questo tempo lo tenga al collo come tacita promessa che in fin dei conti è stata vana.
So che era tra le più stupide cose che ci si potesse rassicurare ma infondo sono certa che tutti e tre ci credevamo e che non era nostro volere non portare fede a quelle parole.
Un tuffo al cuore mi riporta nel passato quando tutto andava sommariamente bene. A prescindere mamma e papà erano ancora insieme, io e Ellen eravamo due sorelle felici e lui era di casa qui da noi.
Ora invece mille cose sono variate. Mamma e papà hanno divorziato e qualche mese fa quest'ultimo ci ha lasciati dopo un brutto incidente stradale nel quale è stata coinvolta anche Ellen, lei viveva con lui in America visti i pessimi rapporti con mia madre e lui non viene mai a passare del tempo in questa casa vista l'assenza di mia sorella.
Un singulto profondo mi coglie di sorpresa e non riesco a trattenerlo. Lo sguardo incredibilmente azzurro mi si annacqua come un mare preso da alta marea e le ciglia trattengono a stento le gocce salate che mi si sono fermate agli angoli degli occhi.
Ricaccio indietro ogni piccola cosa che possa farmi avvicinare nuovamente a quelle dolorose memorie e con un'ultimo sguardo alla collana mi allontano dallo specchio e apro la porta di camera mia.
Scendo con attenzione le scale e mi fermo sulla soglia del salotto, nel disimpegno che funge anche da ingresso. Prendo dalla ciotola di metallo posata su un ripiano una caramella di quelle preferite da Ellen che mia madre ha continuato a versare li nonostante a me non piacessero. La ripongo in tasca e mi avvio con lentezza verso la figura di spalle sul divano.
- Ma' - sussurro appena in un richiamo.
Lei si riscuote un attimo dal turbine di pensieri che aveva creato e guarda con confusione il mio viso.
Da quando papà se n'è andato lei si è persa via nel rincorrerlo in modo vano. Sono certa che se lei avesse potuto non avrebbe mai allontanato Ellen e lui da noi. Non era colpa sua il divorzio e il trasferimento.
- È ora - dico soltanto sorridendole apprensiva.
- Arrivo, inizia ad avviarti verso la machina.
Le lancio un'ultima occhiata leggermente preoccupata per poi rilassare i muscoli tesi del volto e fare come mi ha detto non prima di aver preso la borsa di pelle del medesimo colore marrone della giacchina.
Salita in macchina attendo mia madre che poco dopo mi affianca. Il viso è sciupato da questi anni passati a rimuginare sugli avvenimenti e i capelli biondi sembrano non avere una forma a causa delle poche cure che vi da. Piccole sughe d'espressione sono comparse sulla sua fronte a causa del successivo corrucciarsi dello sguardo.
Non ho preso molto da lei se non la statura minuta e gracile che però ci rende molto graziose.
Ellen invece è il suo ritratto con la differenza dei capelli rossi e gli occhi azzurro cielo. Per il resto ha le sue stesse labbra, i medesimi lineamenti e il taglio degli occhi assolutamente uguale.
Mette in moto quasi subito e ci dirigiamo verso l'aeroporto.
Il viaggio passa in un completo silenzio religioso durante il quale mia madre non dice nulla se non per chiedermi il permesso di cambiare stazione radio.
Le sono mentalmente grata dello spazio che mi sta dando.
Sa quanto io tenga ad Ellen e quanto questo suo ritorno mi stia scombussolando leggermente.
Era ormai cinque anni che ero abituata a vederla solo una volta l'anno, d'estate, quando per le vacanze scolastiche passavo tre mesi nel Tennessee con papà.
Andai li per il funerale.
L'ultima volta che l'ho vista era in lacrime e mi implorava di rimanere anche se era pienamente cosciente che non sarei restata. Avevo la scuola e tutta la mia vita qui a Londra e di conseguenza non potetti trasferirmi da un momento all'atro negli USA solo per lei.
Da allora non ci parlammo molto se non raramente. Mi disse che sarebbe restata un anno per sistemare alcune piccole cose alloggiando dai nonni, poi forse sarebbe tornata. Sapevo che quel "forse" era una sorta di promessa.
E quindi, eccola qui un anno dopo a fare una delle sue solite pazzie. Mancano due mesi scarsi a finire il suo quinto anno, non conosce nessuno alla scuola e odia mia madre. Vedo questo mese come un lungo mese.
- Paige? - mi chiama mia madre quando siamo arrivate al parcheggio dell'aeroporto.
Scendo davanti al terminal degli arrivi e inizio a entrare sapendo che lei mi avrebbe poi raggiunta una volta trovato posteggio.
 


 

Il segnale che impone di allacciare la cintura si illumina e subito obbedisco al richiamo.
Infilo il libro posato sul tavolino in borsa e metto il sedile in posizione eretta.
- Signorina? - mi richiama un assistente di volo con voce gentile e quasi troppo lasciva - Potrebbe chiudere il tavolino?
Guardo di fronte a me notando di non averlo chiuso.
- Certamente. - lancio un'occhiata di scuse e lo chiudo di fretta.
La ragazza torna alla sua postazione vicino al controllo.
Sprofondo con cautela nel sedile quasi a volermici fondere. Pensare che a breve vedrò mia madre e mia sorella mi rende felice e turbata al tempo stesso.
Chiudo gli occhi per evitare il senso di nausea che mi pervase la prima volta che volai in aereo.

Un piccolo scrollo mi avverte delle ruote che toccano il terreno e il rallentare del già poco percettibile movimento mi confermano che abbiamo toccato suolo inglese.

I ringraziamenti e saluti per aver scelto questo volo si susseguono dall'altoparlante. Non gli do minimamente retta.
Ripenso al volto magro di mia sorella l'ultima volta che l'ho vista e al dolore che portava nel petto per la perdita di papà.

Mi sento estremamente in colpa per non aver passato l'ultimo anno al suo fianco. Anzi, diciamo pure gli ultimi cinque anni.

Poi penso a Patricia, mia madre. È sempre stata una donna forte, portava sulle sue spalle numerosi pesi anche quando vivevo ancora con lei, eppure i suoi pesi erano alleviati ogni sera dalla presenza di mio padre nella sua vita. Andavano a dormire eppure li sentivo ogni sera raccontarsi la giornata e coccolarsi una volta nel letto. Si dicevano ogni cosa e curavano a vicenda le ferite l'un dell'altra.
L'aereo ora è completamente fermo.
Attendo che tutti o quasi scendano dall'aereo e quando finalmente rimane solo una famiglia in fondo alle file di sedili che a fatica raccatta tutti i figli e un anziano signore addormentato mi azzardo ad alzarmi stiracchiandomi e prendendo il piccolo zaino che ho sempre usato per scuola e caricandomelo in spalla.
Scendendo dall'aereo vengo salutata dall'hostess ma do poco peso alle sue parole e proseguo nel tunnel che collega all'aeroporto. Seguo le indicazioni ricordando a fatica come sia quest'enorme struttura. L'unica volta che presi l'aereo fu per trasferirmi nel Tennessee.
Raccatto le due abnormi valige nere che contengono quasi tutti i miei averi escluse alcune cose impossibili da trasportare che mi sono fatta spedire e a breve arriveranno.
Le trascino entrambe con una forza che mi sorprendo di avere e arrivo alle uscite che dividono la sala d'attesa dalla sezione "recupero bagagli" davanti a me passano due signore sull'ottantina e poi, sempre portandomi dietro quei due bagagli attraverso le porte scorrevoli.
Appena passo i volti presenti ad attendere i passeggeri il panico mi assale perché la testolina arancione di mia sorella non è presente.
Impettita e direi quasi ferita nell'orgoglio dalla sua assenza mi incammino verso l'uscita, a metà strada però noto una piccola donna di spalle che guarda verso l'entrata del terminal.
Il suo corpo è molto magro e la statura è minuta. Lentamente si volta in modo che possa vedere il suo viso.
Il panico mi assale. Riconoscerei quello sguardo tra mille.
La mia piccola sorellina, dolce e intimorita di nemmeno quattordici anni che avevo lasciato neanche un anno fa è cresciuta, troppo.
Strabuzzo gli occhi per poi affrettarmi, per quanto mi sia possibile visti i valigioni.
Raggiungo la sua figura e mi fermo a pochi passi.
I suoi occhi cristallini come il mare calmo mi inchiodano. Portano una maturità e una responsabilità che non le appartengono.
- Paige? - chiamo in un sussurro.
Quando ormai temo che non mi abbia sentita volta il capo verso di me. I capelli leggermente più chiari dei miei sono raccolti in un'alta e saccente coda di cavallo con la piccola variante del ciuffo a scombussolare il tutto. Il viso è privo di lentiggini, se non per rade e quasi invisibili macchioline che solo un occhio esperto noterebbe.
- Ellen? - dice in un misto tra una domanda poco convinta e un'affermazione troppo interrogativa.
Senza darle tempo di rispondere la avvolgo tra le mie braccia.
Fa strano abbracciare questo corpo.
Da quattordici a quindici anni cambiano molte cose.
Ha preso delle curve più definite e il seno quasi inesistente si è riempito di poco.
Rimango scioccata quando passando le mani sui suoi fianchi riesco a contarle le costole. È magra, anzi, magrissima.
Piano si allontana da me e lega i suoi occhi nei miei.
Questo sguardo vale più di mille parole. Ci sono dentro così tante sfumature che quasi è non si potrebbe spiegarle nemmeno in una vita.
- Pattie? - domando chiedendo di mia madre.
Ho sempre avuto il vizio di chiamarla per nome, cosa che negli ultimi anni si è rafforzata vista la lontananza.
- Ora arriva. - risponde solamente senza troppe spiegazioni.
Rimaniamo davanti all'entrata nemmeno un minuto per poi sentire la porta aprirsi.
Una donna bionda e minuta entra con delicatezza quasi a chiedere permesso, si guarda veloce intorno per poi vederci poco più in la.
Non avrei mai detto che quella è mia madre se non l'avessi vista un anno prima, e comunque stento a riconoscerla.
- Ellie? - domanda con il soprannome che tutti hanno sempre usato con me.
- Pattie. - saluto con un sorriso. Fa cenno di lasciarle un manico di una valigia ma rifiuto cercando di essere il più disinvolta possibile ma dall'occhiata stralunata di mia sorella capisco che nel mio tono preservavo comunque una certa freddezza.
Non imparerò mai più ad avere una madre, credo.
- Andiamo?
La tensione che si è creata si scioglie con altrettanta rapidità. Ci incamminiamo e una volta apertomi il baule persisto nel voler cacciare io le valigie al suo interno.
- Passiamo prima al supermercato. - ci informa Patricia con un tono che non ammette repliche. Paige annuisce con un cenno del capo per poi prendere posto sul sedile posteriore assieme a me.
Il quartiere di Londra dove vivevo e che conoscerei come le mie tasche mi passa veloce sotto gli occhi. Ci fermiamo davanti all'unico discount della zona. Osservo dalla vetrina quel poco che posso vedere. Le cassiere sono svogliatamente sedute in modo poco composto alle casse e masticano rumorosamente delle chewing-gum. Nel parcheggio vi sono solo altre due auto oltre alla nostra. Una delle quali a breve viene portata via da un anziano signore. La seconda viene lasciata li per molto tempo. Mia madre esce a passo con un'altra donna con in braccio la busta di cartone contenente i suoi acquisti. Credo quasi per un attimo che la loro uscita in simbiosi sia casuale ma poi la smentita non tarda ad arrivare, quando le strade delle due donne si dividono posso vedere mia madre salutare la signora e incamminarsi verso la nostra auto.
In una frazione di secondo, mentre la donna di prima lancia un'occhiata nella nostra direzione il cuore mi perde non uno ma cento battiti.
Sorriso enorme, capelli lunghi e castani, corpo estremamente sensuale.
Anne Styles.
 Anche se un po' invecchiato rispetto al viso giovane che ricordavo non posso non giurare che sia lei.
D'istinto sfioro la collana che porto al collo fissando i miei occhi nei suoi. L'aeroplanino  di carta scolpito dal metallo rimane tra le mie dita alcuni istanti per poi ricadere sul mio collo quando la donna si volta.
Il mio cuore riprende un ritmo normale ma non posso fare a meno di notare gli sguardi di mia madre e mia sorella addosso.
 

 
- Piccolo? - domanda la voce dolce di mamma mentre entra in casa.
- Ho diciotto anni, quando smetterai di chiamarmi così? - chiedo stizzito per poi tradirmi tramite il bacio che lascio sulla sua guancia.
- Ho preso il pollo per sta sera e il latte per la gattina. - mi informa noncurante del mio rimprovero.
- E al popolo? - domando ridendo per farle capire che non mi interessa un accidente di queste informazioni.
- Oh Harry come sei pesante. - esclama per poi sparire in cucina. Scuoto la testa divertito con un sorrisetto sulle labbra e poi mi risiedo sul divano.
La gatta si struscia sui miei piedi chiedendo piccole attenzioni e allora la intrappolo tra le mie braccia coccolandola a dovere.
- Sei sicuro di volerla chiamare così? - domanda mia mamma riferendosi all'animale.
- Si, Ellen è perfetto come nome.
Stringe le labbra e poi scompare nuovamente.
Ellen, la gatta si dimena e salta via da me quando sente il rumore delle ciotole. In due giorni ha capito subito il verso di questo mondo. È furba proprio come la persona dalla quale ha preso il nome.
Non so perchè ma in questi giorni la sento vicina come non mai.
- Sai cosa? - domanda mamma sporgendo solo la testa dallo stipite della porta.
Scuoto i ricci per dargli un po' di volume e poi li porto al lato solo sulla fronte, giusto da non averli tra gli occhi.
- No, non voglio sapere.
Fa una smorfia e ritorna a girare il pollo. So che anche se le ho detto di no a breve partirà a macchinetta per raccontare la sua strepitosa notizia.
Riguarderà di certo una donna che ha sbagliato tinta e le sono venuti i capelli azzurri o un uomo che cadendo dalla scala si è rotto una gamba.
I soliti pettegolezzi che nelle piccole comunità si vengono a sapere.
Lo sfrigolare del pollo si attenua e lei si siede affianco a me sul sofà.
- Ho incontrato le Hopkins al supermercato. - dice sfacciata.
- Mmm, vivono a due case da noi, è normale incontrarle.
- Paige è cresciuta tantissimo. Quasi stentavo a riconoscerla. È diventata una vera e propria donnina. - sorride e mi accarezza un ginocchio teso al sentire pronunciare quel nome.
Prende una pausa durante la quale sento solo un piccolo sospiro.
- Pattie? - sa che ci tengo a sapere cose su quella donna, ma forse ancora di più sulla sua bambina.
- È la solita, si piega ma non si spezza e anche questa volta si è rialzata. - considero il discorso concluso dopo questa frase ma constato che non è così quando mia madre prende la terza pausa.
Il viso mi si corruccia in un'espressione interrogativa.
- Ellen è tornata.
Sbam.
Sento un tonfo nel cuore. La gola mi si secca e quasi soffoco con la mi stessa saliva, umetto le grandi labbra rosee e annaspo boccate d'aria a casaccio.
- Non è divertente. - dico solo giocando nervosamente con la collana di metallo che tengo al collo.
- Mica scherzo, me lo ha detto Patricia stessa. - asserisce in tono ovvio.
Successivamente si rialza lasciandomi scioccato e solo con i miei pensieri ma non prima di avermi pizzicato giocosamente la guancia.
Ellen.
Tornata.
Ellen, la mia Ellen. La sorella che Gemma non è mai riuscita ad essere nonostante il bene immenso che mi vuole.
L'impulso di correre verso casa Hopkins al più presto è così grande che non posso fare a meno di scattare in piedi in un attimo di follia.
Poi l'irruenza va scemando e mi risiedo posando i gomiti sulle ginocchia e sorreggendo il capo riccioluto tra le mani. Guardo fisso il pavimento sottostante ai miei piedi e cerco di capire come dovrei reagire.
Chiamarla? No, di sicuro avrà cambiato numero telefonico.
Andare a casa sua? Con che coraggio? Dopo anni e anni non mi vorrà nemmeno sentire nominare, figuriamoci parlarmi.

Hello!

Salve genteee, sono tornata, questa volta con una ff.
Non ho un unico banner altrimenti si capirebbe tutto subito, voglio tenervi un po' sulle spine.
Ogni volta che cambia il punto di vista inserisco il banner del personaggio in questione, in modo che possiate vedere anche i volti dei personaggi. (:
La storia è davvero strana, lo ammetto.
Vi lascio una domanda:
Chi sarà il protagonista maschile del quale si innamorerà Ellen? 
Solo io lo so. MUAHAHAHAHAHAHAHA
Vabbè, alla prossima. 
Baci.
#Honey.

  
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