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Autore: Nanek    04/03/2013    3 recensioni
Questa è la storia d’amore di James e Charlie, una storia d’amore come tante, forse, ma unica e perfetta per loro due; una storia d’amore che è stata fermata dalla guerra, la guerra del Vietnam.
Ma in questa storia d’amore, c’è anche un altro personaggio: Billy White, soldato semplice, al primo anno di guerra, amico di James.
Ma perché ci deve essere un altro ragazzo in una storia d’amore? Beh, Billy sarà colui che li salverà entrambi.
Tratto dal primo capitolo:
"Caro James,
mi manchi, e sono ormai ripetitiva, te lo scrivo in ogni lettera che mi manchi, ma non credo mi stancherò mai di farlo; amore mio, aspetto la tua risposta ogni giorno, una risposta che non arriva mai, e che mi sta spaventando"
“Cara Charlie,
mi scuso per le mancate risposte, ma qui si fa la guerra, il tempo scarseggia, e i miei soldati hanno bisogno di me.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Capitolo 4

Kiss me

 

25 settembre 1972

-Paul!!!!- urlò il soldato White, di ritorno da un’ispezione mattutina.

Il giovane cominciò a correre alla vista del postino, allontanandosi dal gruppo, correva e correva, quella lettera la stava aspettando da troppo tempo.
Che aveva riposto Charlie?
Lo aveva scoperto?
Era riuscito a cavarsela?
Lo avrebbe scoperto a breve: Paul era lì, sorrideva, buon segno.
Quando furono vicini lo abbracciò, sotto lo sguardo di tutti, che lo derisero e gli diedero della “femminuccia”.
Paul era rosso in viso, imbarazzato a morte, ma si lasciò abbracciare da quel giovane soldato, ancora vivo, ancora pronto a rispondere a quella lettera che Charlie aveva inviato, ogni volta vederlo arrivare era come un sollievo.

-ehm, soldato, un po’ di contegno- riuscì a dire Paul, cercando di staccarlo dal suo petto.
-sono stanco morto Paul, lasciami immaginare che tu sia una splendida fanciulla-

Paul, al sentire quelle parole si irrigidì.

-per favore Billy, staccati- rispose serio.
Il soldato si allontanò, e lo guardò con sguardo curioso –allora c’è posta per me?-

Paul annuì e gli diede la busta blu che gli consegnava sempre.
Billy cominciò a camminare, verso una sedia messa davanti alla base: aveva bisogno di stare solo, voleva stare in compagnia solo di se stesso quando leggeva quello che Charlie gli scriveva, voleva tenersi per lui le sue parole, voleva stare su una bolla con i suoi racconti.
Sospirò a fondo prima di aprire quella busta, contenente buone o cattive notizie.

Quando vide il solito papiro, sorrise: forse ce l’aveva fatta.


“Caro James,

a leggere quelle frasi, sono diventata color fragola, amore mio.
Credo che appena ti vedo ti riempio di baci, credo che non ti lascerò neanche respirare, tu non sai quanto io sia contenta di questo tuo essere così dolce e tenero con me.
Quelle frasi, quel tuo saluto finale, ho capito sai di che vuoi parlare, furbetto.
Credo, sì, che il mio cervello sia andato in tilt quando ho letto la tua corta, ma profonda lettera di risposta; leggendo quelle frasi, sono tornata indietro con il tempo, sono tornata indietro, e non sai quanto avrei voluto rimanere lì.

Solo per stare con te.

Chi se la dimentica quella data, James? Chi? Io no di certo.
Quel lontano 31 dicembre 1958, a Chicago, con la neve.

Mi hai salvato il capodanno amore mio, l’avrei passato con i miei genitori se non fosse stato per te.
La tua lettera d’invito l’avevo riletta circa settanta volte prima di riuscire a crederci.
Che nervosa che ero, come sempre d’altronde.

Non sapevo come vestirmi, non sapevo se farmi la coda o lasciare i capelli sciolti, non sapevo che fare, e finii per andare sul banale.
Un vestito bianco, le calze pesanti e blu, e le scarpe sempre blu scuro: mi devo ancora dare un perché per tale abbinamento orribile.
Ricordo di aver rifatto quella treccia incorporata per ben cinque volte, temevo di aver perso talmente tanti capelli da restare pelata.
Poi il trucco, mia madre mi diceva di non truccarmi, mia cugina, trentenne, mi diceva di mettere una bella pennellata di rosso sulla bocca.
Optai per un rossetto tenue di mia madre, che mi faceva sembrare un cadavere : bianca latte in viso ma con la bocca viola, uno splendore di ragazza non c’è che dire.

Poi il campanello suonò.

E tu eri arrivato.

E ovviamente ti aprì mio padre, pronto per l’interrogatorio.
Ricordo il tuo sguardo dolce, mentre rispondevi alle domande del “Colonnello”, ricordo di essermi incantata.
Semplicemente adorabile con quel maglione di lana bianco (ottima scelta amore mio, sembravamo due gemelli) , ma decisamente perfetto per te e per il tuo viso ancora abbronzato, nonostante fosse inverno inoltrato.

Eri semplicemente perfetto.

Poi ovviamente tu, con la tua grazia, mi hai riportato alla realtà, salutandomi con il tuo –ehy pistacchio vivente!- burlone.

I tuoi cugini ci aspettavano in macchina, non dimenticherò mai il modo orribile di guidare di Ed.
Ma tralasciamo questi miseri dettagli che mi fanno solo consumare inchiostro.

Arrivati alla festa, a casa del tuo amico Stan, mi sentivo un autentico pesce fuor d’acqua.

Tutte quelle fanciulle lì presenti erano davvero belle, e io a confronto, con quel vestito, ero una suora mancata.
Mi sedetti in disparte, sulle scale, e fissavo quel posto.
Non sapevo cosa dire, non sapevo cosa fare, mi sentivo solo fuori luogo, e, se devo essere sincera, mi mancava la voglia di fare amicizia con qualcuno.
L’unico motivo che mi aveva portata fino a lì, eri tu.

E tu dov’eri? Ma ovvio, con quella bambolina tutto seno e sedere dal vestito attillato e rosso, la sua bocca era un autentico canotto dello stesso colore del tessuto del suo abito, scarpe altissime, e, ovviamente, bionda.

Non ti nascondo che avrei tanto voluto venire lì e rovesciarle un po’ di punch addosso, lei ti stava distraendo da me.
Notai una coppia passarmi vicino, andavano verso le camere, mi sentii imbarazzata al pensiero che al piano di sopra qualcuno si stesse dando da fare.
Ora, non prendermi per pervertita, ma andai anche io al piano superiore, e non come credevi tu per “fare cose sconce”, volevo vedere se in quella casa enorme ci fosse una mansarda.

Effettivamente la trovai, in alto, e fortunatamente, la trovai libera; una mansarda con solo un tavolo e delle sedie, e cinque scaffali pieni di libri.
Pane per i miei denti, insomma, dato che io, amo i libri, e amo scrivere, non a caso sono una giornalista, no?
Credevo di aver trovato davvero il paradiso in quella mansarda, sarei rimasta lì per ore.
Cominciai a curiosare tra i vari titoli, e man mano che ne trovavo di interessanti me li prendevo.
Autori tra i più gettonati: Shakespeare, un classico che amo con tutto il cuore, ma anche Montagne, e tanti altri.

Cominciai a leggere quelle pagine, e mi persi nei miei pensieri.

Shakespeare era in assoluto il migliore per una ragazzina sciocca come me; le mie illusioni non avevano fine, mi facevo tanti di quei castelli che neanche ti immagini.
Mi immaginavo su quel terrazzo, a Verona, in attesa del mio James, lo aspettavo e recitavo quelle parole, quasi a memoria, che mi riempivano l’animo e mi facevano sorridere.
Mi è sempre piaciuto Romeo e Giulietta, e a chi non piace? È la storia d’amore più triste ma bella del mondo, una storia che è sempre riuscita a commuovermi, e che mi ha fatto credere che l’amore esiste, in qualche modo.

E mentre nei miei castelli mi stavo già gustando il sapore delle tue labbra, tu arrivasti dietro di me, e dire che urlai dallo spavento, è dire poco.

-che ci fai qui da sola?- maledizione a te e al tuo tempismo.
-leggo- ti risposi, non nascondendo il mio essere scocciata, visto che ti eri completamente dimenticato di me.
-cosa leggi?-
-Romeo e Giulietta- tagliai corto nuovamente.
-stai bene?- e sentii la tua mano sulla mia spalla, che mi accarezzava.
-benone.- e tolsi pure quel piccolo contatto tra noi, alzandomi, e sistemando i libri.
-ti sento.. arrabbiata?- sei sempre stato un tipo perspicace.

Non ti risposi.

Continuavo a mettere i libri al loro posto.
Sentii poi le tue mani sui miei fianchi, sentii il tuo respiro sul mio collo: la fine per me e il mio misero tentativo di fingermi offesa.
Sentii la tua voce, sussurrare -Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?-
Non ci potevo credere: tu conoscevi Shakespeare.
Mi girai di scatto, gli occhi spalancati, sorpresi, non ci potevo credere.

-e questo dove l’hai..?- cercai di dire.
-anche io studio qualche volta, sai- la tua risposta.

Abbassai lo sguardo, arrossii.
Sentimmo delle urla dal piano inferiore, qualcuno che annunciava gli “ultimi 60 secondi del 1958”
Alzai lo sguardo, e ti ritrovai vicino a me, il tuo naso appoggiato al mio, le tue mani ancora sui miei fianchi.
Quanto stavo implorando che tu ti avvicinassi ancora un po’, solo un millimetro, e sarei stata felice.
Ma tu, solito simpaticone, non eri  così principe come speravo.

-ehm, andiamo dagli altri?-

Ti avrei tirato un pugno in faccia.
Sospirai e annuii.
E fu così che capodanno, lo passai a maledirti.

Continuavo a chiedermi che cosa stesse succedendo, ci sentivamo da mesi e mesi, venivi spesso a trovarmi, mi tenevi la mano, cosa ti bloccava a dare una svolta al tutto?
Non ti piacevo abbastanza?
Non lo sapevo, ero confusa, ero triste, ero la ragazza più scema del mondo.
Mi si avvicinò un tipetto, si sedette vicino a me: capelli neri, rasati, occhi marroni, si chiamava Pjay, un nome più orribile non poteva esistere.

Semplicemente mi chiese –ti va di uscire?- e io, sciocca, accettai senza pensarci due volte, visto che tu, eri ancora impegnato a parlare con le ochette del quartiere.
Presi la giacca e mi avviai fuori con lui.
Era simpatico, Pjay.
Era un tipo socievole, chiacchierone, e aveva solo nove anni più di me, avrei potuto denunciarlo per pedofilia.

Ma lui, non aveva nulla di volgare, o di pericoloso, era un tipo a modo, convinto di alcune sue idee sull’ecologia e il rispetto per l’ambiente, era un tipo diverso, e io non capivo che ci facesse a quella festa in mezzo a tanti marmocchi.

-mi piace guardare le persone.- mi rispose.
-sai, come i poeti, che fissano i paesaggi o la donna amata, io fisso le persone, mi piace fantasticare su ognuno di loro, immaginarmi la loro vita, credere.. per esempio… che dietro a quel viso pieno di trucco, dietro ci sia una graziosa ragazza, colta, intelligente, interessante..-

Mi affascinava il suo modo di parlare.

-e quando hai visto me, che hai immaginato?- chiesi curiosa.
-mi sono avvicinato per questo, non riesco a immaginarmi nulla su di te, spiegami, sei un fantasma?- mi disse lui ridendo.

Risi anche io.

-sei una tipa misteriosa, e quelle poche volte che ti ho visto sta sera, eri sempre seduta su quelle scale-
-mi sentivo un po’ fuori luogo- mi giustificai.
-dai, a me puoi dirlo, per chi sei venuta? Il bel ragazzo moro, il padrone di casa, o l’amico biondo di Joliet?-

Sorrisi, abbassai lo sguardo.

-per il biondino di Joliet- confessai, e Pjay si batté le mani per aver indovinato.
-lo conosco anche io, il nostro caro James- mi rispose lui, cominciando a raccontare di averti conosciuto grazie a un’altra festa di compleanno di Stan.
-posso assicurarti che non ha mai portato nessuna con lui- e mi fece l’occhiolino, ma questo, non mi tirava su di morale.
-beh, buon per le altre, ha risparmiato loro la noia- sputai, seccata, arrabbiata con te e per il tuo essere così antipatico, così indifferente alla mia presenza, come se io non fossi nulla di importante, qualcosa da lasciare a marcire sulle scale.
-qualcuno è offeso a quanto pare-
-sei perspicace- e cominciai a giocare con il mio braccialetto.

Mentre Pjay si fumava un’altra sigaretta, cominciò a nevicare, e tu, finalmente, ti sei fatto vedere.
Non avevi neanche la giacca, eri uscito come in corsa, come se avessi perso qualcosa, e appena i nostri sguardi si incrociarono, ti precipitasti su di me, abbracciandomi.

-vuoi farmi venire un colpo Charlie?! Complimenti, missione compiuta! Avvisarmi che uscivi no??- mi rimproverasti, agitato come non mai, quasi arrabbiato, preoccupato per me.
-eri troppo preso dalle tette di quella lì- risposi io a tono, facendo ridere Pjay.
-e tu che ci fai qui con lei, Pjay?- ringhiasti tu, contro l’unica persona che mi era stata vicina.
-mi tiene compagnia- intervenni io.
-ho capito, vado dentro- concluse il mio unico “amico” per quella sera, che gettò la sigaretta, e senza spegnerla, si affrettò ad entrare, facendomi l’occhiolino.

Quando chiuse la porta, avrei tanto voluto ammazzarti.

-chi ti credi di essere tu?! Prima mi porti qui, mi abbandoni e ora l’unica persona che mi si avvicina la cacci via?!- urlai.
-non ti ho abbandonato!-
-come no! Sei stato tutta la sera con le oche del quartiere, non mi hai parlato neanche dieci minuti!-
-non posso stare solo con te, ci sono anche i miei amici.-
-e allora perché farmi perdere tempo?! Potevi lasciarmi a casa!-
-scusa se ho pensato a te!-
-ma dannazione a te James! Non vedo l’ora di andare a casa e non vederti più- risposi secca, ed entrai in casa, lasciandoti lì.

Tornai alla mansarda, l’unico posto in quella casa che poteva accogliermi, l’unico posto dove cominciai a piangere come una bambina, avevo 16 anni, e mi ero davvero illusa di contare qualcosa per te.

Piangevo perché mi ero pentita di quelle parole, piangevo perché avrei voluto vivere qualcosa di perfetto, quella notte, e invece, la verità era che di me, non ti importava niente.
Avevo solo fantasticato su qualcosa che non era possibile, e questo mi era costato caro.”

 

-hanno trovato un corpo! Un soldato! Un soldato! Dei nostri!!-

Delle urla interruppero la lettura di Billy, gli mancavano ancora poche righe da leggere, ma si concesse due minuti per vedere cosa stesse accadendo.
Vide arrivare un gruppo di cinque soldati, che portavano di peso un telo, sembrava pesante, stavano portando un cadavere.

-è Phillips! È il caporale! È il corpo del caporale!- urlava uno di loro.

Billy si alzò in piedi, di scatto, lasciò la lettera di Charlie sulla sedia, e corse verso di loro.

-il caporale?! Come può.. no non ci credo! Non può essere lui!- urlò, come preso dall’ansia.
-fammelo vedere!- urlava verso uno dei cinque soldati, ma loro non sembravano ascoltarlo.

Portarono il corpo dentro la base, lo appoggiarono su una barella, il medico avrebbe verificato la causa della morte: giravano strane voci su armi segrete e letali dei loro nemici, volevano saperne di più riguardo a ipotetici gas velenosi.
Tutti i soldati della base erano attorno a quell’uomo senza vita, tutti curiosi di guardarlo, Billy saltava come un pazzo per poterlo osservare meglio.
Sentiva i commenti generali.

-il caporale, che brutta fine-
-non se lo meritava-
-povero James-

E Billy si innervosiva sempre di più.

Con tutta la forza che aveva in corpo, si fece valere, e cominciò a spintonare qua e là, per poter guardare meglio, per vedere con i suoi occhi se quel corpo era davvero del caporale Phillips.
Gomitate, insulti, non lo sfioravano nemmeno.
Si ritrovò finalmente, faccia a faccia con quel cadavere.

I capelli biondi.

Il corpo grande, muscoloso.

La divisa da caporale.

Una collana che Billy conosceva troppo bene, d’argento, che il caporale teneva come porta fortuna.

Billy si sentì mancare.

Provò a guardargli il viso: ma era impossibile trovare qualche somiglianza con il genere umano, completamente sfigurato.
Il viso era segnato da tagli, da sangue, polvere rossa, quasi non si vedeva il contorno della bocca.
Ferite, graffi profondi, quello che dominava il viso di quel ragazzo morto, sotto gli occhi di Billy.

-come fate a dire che è il caporale?! È irriconoscibile questo viso!!- urlò Billy, mentre tremava, mentre tutti gli altri si guardavano, senza dare risposta.

Il medico arrivò, e portò via la barella con sé.

Billy lo seguiva, lo incitava a fermarsi, perché voleva guardare ancora, voleva capire chi fosse realmente quel soldato, voleva credere che fosse un altro.
Il medico non gli dava ascolto, entrò nel suo “ambulatorio” e gli chiese cortesemente di non entrare.

-io devo vederlo cazzo!!- urlò, esasperato.

Paul, che era ancora alla base, lo raggiunse, e cercò di trascinarlo via, senza successo.
Billy tirò un pugno al muro, e poi, si accasciò, la schiena appoggiata, le mani sul viso, le lacrime di disperazione che scendevano senza controllo.

James era morto.

James non sarebbe tornato a casa.

Il suo peggior incubo era appena iniziato.

Il corpo del caporale era stato trovato senza vita, ufficialmente.

Il viso sfigurato, altre ferite in tutto il corpo, ucciso brutalmente, e poi fatto trovare dal suo stesso esercito, come per mostrare la crudeltà dei loro nemici.
Billy non sapeva che fare, continuava a piangere, continuava a pensare a quel corpo, a Charlie, a quello che avrebbe dovuto dirle.
Imprecava contro il cielo, imprecava contro James, che non aveva mantenuto la promessa, che aveva deciso di abbandonare davvero sua moglie e sua figlia.
Sua figlia di cinque anni, che non l’aveva mai visto, sua figlia che gli assomigliava tanto, sua figlia che aveva tanto bisogno di lui.

I singhiozzi lo stavano uccidendo, non riusciva a smettere, nella sua mente l’immagine di James era ferma, costante, lo assillava.
Continuava a ripetersi che non era vero, che non poteva essere successo veramente.

-maledizione a te James! Come cazzo fai ad abbandonare una ragazza come Charlie?! Come cazzo hai potuto sposarla e poi lasciarla così?! Perché lo hai fatto James?! Perché?!- urlava, sotto lo sguardo di tutti, sotto gli occhi di Paul, che lo incitava a non urlare, a non mostrarsi così debole.

-è colpa di questa guerra di merda! Che porta via vite e basta! Ma chi cazzo l’ha inventata la guerra?! Chi ha inventato questo lavoro mortale?! Dimmelo Paul!- continuava il giovane.
Paul si inginocchiò vicino a lui, -prima o poi sarebbe successo- gli sussurrò.

E quelle parole, gli costarono un pugno sulla guancia.

Billy l’aveva colpito, con tutta la forza che aveva in quel momento, con tutta la rabbia e la tristezza che lo stavano distruggendo.
Paul cadde a terra, con un po’ di sangue sul lato della bocca, con gli occhi spaventati e il cuore che batteva forte.

Si portò una mano sulla ferita, -ma sei impazzito?!- gli chiese.

Billy lo fissò, incredulo di quello che aveva appena fatto.
Guardò la mano di Paul, che puliva il labbro appena sanguinante, e notò una cosa che non aveva mai visto: una rondine sulla sua mano.

-che cos’è quell’affare?- gli chiese, indicando il disegno, gli occhi spalancati.
Paul ci mise un po’ prima di rispondere –è un tatuaggio, qualche problema con i tatuaggi White?- chiese scocciato.

Sul viso di Billy, qualcosa cambiò.

Si alzò in piedi, e senza pensare a quello che avrebbe passato in seguito, aprì con violenza la porta dell’ambulatorio.
Il medico si spaventò al vederlo lì, e lo incitò ad uscire, perché stava per aprire il corpo di un uomo, e lui non doveva assistere.
Ma Billy, convinto delle sue idee, andò dritto dritto verso il cadavere del ragazzo, posto sulla barella, completamente nudo.

-le ho detto di uscire soldato!- urlava il medico, con il bisturi in mano.

Billy si avvicinò all’unica parte del corpo illesa, l’unica parte del corpo di quel ragazzo che non aveva segni di ustioni, ferite da taglio, né altro, era solo pelle umana.
Andò verso la caviglia sinistra di quel cadavere, e la guardò attentamente.

Pulita.

Nessun segno, nessun disegno, nulla, solo pelle.

Controllò bene, e per sicurezza, guardò anche la caviglia destra: ma su quelle caviglie non c’era nulla.

Sul viso di Billy si formò un sorriso.

Uscì dallo studio correndo come un pazzo.
Appena fu fuori, vide Paul, con un fazzoletto in mano, che si disinfettava la ferita.
Si lasciò scappare un urlo di gioia.

-Non è James!- e i suoi occhi si bagnarono di lacrime, di nuovo.

Si avvicinò a Paul, e lo abbracciò forte, lo sollevò da terra.

-non è James! Non è lui!- continuava a gridare, facendo giravolte su sé stesso con il postino tra le braccia.
-mettimi giù!!- gli urlava Paul, confuso.

Tutti i presenti, compreso il medico, che sentì le sue urla, si avvicinarono ai due.
-come fai ad esserne sicuro?- chiedeva uno.
-White che ci nascondi?- chiedeva un altro.
Billy lasciò andare Paul, e asciugandosi le lacrime con la mano, continuò a ripetere –non è il caporale-
Sorrise, e si stropicciò gli occhi, sotto lo sguardo curioso di tutti.

-il caporale ha un tatuaggio, su una caviglia, il cadavere ha le caviglie pulite- riuscì finalmente a dire.

Un soldato piuttosto robusto si fece avanti –e la collana che aveva al collo? Quella era di James, sono fin troppo sicuro-
Ma Billy, non si sentì sfiorato da quella prova.

-può essere che James gliel’abbia data, ma quel corpo non è di James, ho guardato, le caviglie sono illese, il suo tatuaggio l’ho visto, più di una volta, e se avesse voluto toglierlo, beh, sarebbero stati dolori. Invece quel morto, ha la pelle più perfetta di un bambino- concluse, guardando il medico, come se aspettasse un’ulteriore conferma.

Il diretto interessato non poté che dargli ragione –dal ginocchio in giù, potrebbe essere ancora vivo, nessun segno di percosse, o tagli, nulla- e quella frase bastò, a far urlare nuovamente Billy.

I soldati si avvicinarono al compagno, e lo abbracciarono, tutti insieme, tutti soldati semplici.
Un abbraccio puro, che univa quelle anime, così giovani, così sensibili, ingenui, che non capivano ancora perché si facesse la guerra, o perché bisognasse soffrire, o addirittura morire.
In quell’abbraccio Billy si sentì protetto, come se si trovasse tra le braccia dei suoi fratelli, come se fosse a casa, di nuovo, al sicuro, dove la sofferenza non era qualcosa di catastrofico e mostruoso, come lo era invece, quella guerra, fatta di armi micidiali, di veleni, di corrosivi, di torture, di paura, di ansia, fatta della stessa pasta degli incubi più oscuri, incubi che però, non se ne andavano accendendo la luce.


 
Billy corse fuori, verso i fogli che aveva abbandonato.
Doveva finire di leggere, e rispondere a Charlie, risponderle che il caporale la amava, risponderle in tempo, prima che Paul ripartisse.
Riprese a leggere.


“ Quel viaggio di ritorno verso casa mia, fu uno dei momenti più brutti di tutta la serata.
Il silenzio tombale, tra noi due, e io nascondevo i miei occhi gonfi e rossi.
Appena arrivati, scesi velocemente, ringraziando tuo cugino, e senza rivolgerti lo sguardo.
Ma tu.. avevi deciso di fare il principe, in quel momento.

Ti vidi scendere, e venire verso di me, dopo aver fatto cenno a tuo cugino di andare non so dove con la macchina.
Nevicava ancora.

Mi porgesti un pacchetto rosso, con il fiocco bianco, aveva un biglietto, datato il 23 dicembre 1958, giorno del mio compleanno, e con scritto < tanti auguri alla mia stella, a te, che ti vorrei sempre con me > e io mi morsi il labbro.

Non ti eri dimenticato del mio compleanno, non ti eri dimenticato di me, quella notte, ma io, stupida, non l’avevo capito.
Aprii quel piccolo dono, e spalancai gli occhi quando la vidi: una collana.
Una collana d’oro, con un ciondolo con in mezzo un brillante, ero senza parole.

-girala- mi dicesti tu, e dietro, c’erano incise una “C” e una “J”.

Non sapevo cosa dire, mi sentii solo tanto stupida, stupida a non averti creduto, stupida per il mio comportamento da bambina immatura.
Ma tutte queste parole, tutti questi tentativi di chiederti scusa, furono bloccati dalle tue labbra sulle mie.

Stavo aspettando quel bacio da mesi, me l’ero sognato e pianificato in tutti i modi possibili, ma mai lo avrei immaginato così, sotto la neve, dopo una nottata passata ad odiarti e a maledirti.

Sentivo le tue mani sul mio viso, io ero come paralizzata, come se in quel momento non sentissi più nulla, se non le tue labbra fredde sulle mie, mi sentivo bene, mi sentivo felice, su una nuvola, da sola, con te.
Quando ti allontanasti riuscii a dire solo –wow- e tu scoppiasti a ridere.

Che persona sciocca, ma cosa potevo dirti? Mi avevi colto alla sprovvista, nel momento meno aspettato della serata, ma come dici tu: con me, non volevi nulla di simile a un cliché; beh, quella notte ci sei riuscito in pieno.

Ricordo le tue parole, che mi fecero rabbrividire -L’eternità era nelle nostre labbra e occhi- di nuovo Shakespeare.

Poi ancora -Perdonami, perdonami di amarti e di avertelo lasciato capire, mia Charlie- e io stavo per svenire lì.

-Eravamo insieme. Tutto il resto del tempo l’ho scordato.- riuscii a dire io, citando un altro poeta che io amo.

-Perché l’amavo? Perché era lei; perché ero io.- continuasti tu, e io arrossivo sempre di più.

Ti avvicinasti alle mie labbra, e quasi sussurrando in queste, mi confessasti -Non oso chiederti un bacio, non oso mendicare un sorriso, per timore che, ottenendo l’uno e l’altro, io possa diventare superbo. Ma, sperando che il cielo mi perdoni, vorrei richiederteli-

Sorrisi spontanea, e come presa da un’attrazione fin troppo violenta per la tua bocca, ti baciai di nuovo.
Quanto amavo, e amo le tue labbra, James.
E non sai.. quanto mi mancano.

Ci credi che sto piangendo? La verità è che.. voglio che questa distanza svanisca, amore mio, io.. non lo so James, ma ho bisogno di te.
Ho bisogno di te come quella notte, ho bisogno di stringerti, ho bisogno di sentirti mio, ho bisogno del tuo calore, del tuo affetto, ho bisogno di mio marito.
So che queste sono solo le pretese di una scema, che non capisce che tu non stai giocando, ma non posso tenermele dentro per sempre James.

Io ho bisogno di te, e oggi, volevo scrivertelo, ho bisogno di te, perché io ho paura, ho paura che ti possa succedere qualcosa, ho paura che tu sparisca senza che io me ne accorga, voglio averti con me James, lo voglio davvero tanto.
Non.. non riesco più a scrivere, James.
Scusami.
A presto amore mio,

Charlie”

 
Billy si concesse un minuto per riflettere.
Non poteva lasciarle una risposta breve come quella dell’ultima volta, ci voleva qualcosa di più rassicurante.
Ma cosa?
Che dire a quella ragazza?
Come rassicurarla al meglio?
Come difenderla da quella paura con quella distanza tra loro?
Cominciò a pensare, e un’immagine si fece spazio nei suoi ricordi.
Sorrise.
Cominciò a scrivere.


Note di Nanek:
e cosa scrisse il nostro giovane e tenero Billy? beh, lo scoprirete la prossima volta ;)
che dire care lettrici, nulla , come sempre... non so che dirvi..
se non GRAZIE.
sono una logorroica e ripetitiva.
ma non mi stancherò mai di ripeterlo.
grazie alle mie adorabili Tommo's girl e Malika taxi <3 che amo loro e le loro recensioni <3
ma amo anche tutte le altre lettrici, che mi fanno felice con le loro visite :)
per chi fosse curioso, il tatuaggio di Paul è questo qui:Image and video hosting by TinyPic
e quello di James? ;) curiose eh? ;) lo metterò la prossima volta <3
a presto!
Nanek

  
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