Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: dontletmeboo    04/03/2013    70 recensioni
Pregherei gentilmente di NON copiare questa storia, come già sta succedendo.
-
“69 Days in Love -  Come far innamorare una celebrità in 69 giorni”
Ma se Julie prendesse troppo sul serio questo articolo?
Se al suo lavoro si mischiassero per sbaglio anche dei sentimenti?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 


Chapter Five
Fortuity.



 

Appena entrata in casa chiusi la porta con un colpo secco, facendo sgretolare il muro; non ci feci più di tanto caso.
Sbuffai, lanciando le scarpe e la borsa a terra e buttandomi a peso morto sul divano «Grazie a dio un po’ di pace» mi sfregai la faccia, sfinita da quella giornata.
Dai non essere triste.
Te pareva. «Lasciami stare» feci per mettermi a pancia in giù, poi ci rinunciai, le mie tette avevano già sofferto troppo «sono occupata a pensare come iniziare l’articolo sulle balenottere dell’Antartide o sugli spazzolini che si illuminano al buio» dio Julie, stai parlando veramente con il tuo subconscio?
«Tra poco andrò a farmi ricoverare in uno studio psichiatrico, così ci andrò comunque in prima pagina: -ventenne che parla con il suo subconscio e perseguitata dal numero 69, ricoverata in psichiatria-»
Magari non era destino.

«Il destino è semplicemente una stronzata» chiusi gli occhi, cercando di scacciare quella fastidiosa voce e pensando qualcosa di positivo.
 
* * *

Mi svegliai la mattina dopo, ancora sul divano, rendendomi poi conto di aver dormito li. Appena mi alzai sentii un dolore forte alla schiena e al collo «Fottuto divano» sbuffai alzandomi e portandomi una mano allo stomaco che ricominciava a brontolare come la sera prima.
Dopo una doccia che mi fece risvegliare letteralmente, dato l’acqua calda mancante, mi misi un paio di jeans, le mie Converse e una maglietta, per poi uscire a fare colazione.
«Se stai zitto tra poco la mamma ti regala una ciambella, una a te e una a me» dissi portando una mano sullo stomaco, sorridendo, orgogliosa di aver ottenuto così due ciambelle!
Diventerai obesa.
Ma nei film, i subconsci non dovrebbero essere gentili? Quelli che ti riempiono di complimenti non meritati e ti aiutano ad andare a vanti nonostante i grandi ostacoli della vita? Troppo filosofica come domanda?
Non sai neanche cosa hai detto. 
Feci per protestare, ma in effetti aveva ragione; sbuffai dimenticandomi di quella voce, prendendo la borsa ancora per terra dalla sera prima e uscendo di casa.
 
 
Tralasciando che per colpa dell’ascensore rotto ero quasi caduta per due rampe di scale, la giornata cominciò di merda.
Erano le sette del mattino, in giro per Londra c’era poca gente, a parte qualche solito cretino che chiedeva indicazioni.
«Scusi, mi può dire dove devo andare per la stazione?» un ragazzo, occhiali da sole grandi appoggiati al naso e lunghi capelli biondi legati in un codino.
«Certo!» mi sorrise speranzoso «cammina, fino a quando non vedi un cartello con scritto stazione, semplice no?» ricambiai il sorriso di prima, soddisfatta.
Una macchina rischiò di mettermi sotto mentre attraversavo la strada; ed ero anche sulle strisce pedonali, se avessi preso la targa l’avrei denunciato, per poi discutere davanti al giudice.
Anche se in realtà, non avrei potuto dire al giudice che ero passata con il semaforo rosso perché il mio stomaco stava per morire di fame. Dettagli.
«Oddio! Che bel gattino» mi avvicinai ad una signora che teneva in braccio un cucciolo di gatto, il pelo rasato, marrone chiaro, quasi beige.
«E’ un cane» mi rispose seccamente, con un’espressione di disgusto; senza dire nient’altro mi allontanai con passo svelto, tirando un sospiro di sollievo quando mi ritrovai davanti al bar con l’insegna ‘Cappuccini tuoi, fai quel che vuoi.’
Entrai, sentendo tintinnare la porta.
«Pat, mi dici che cazzo di nome è quello del tuo bar?» mi avvicinai, sedendomi davanti al bancone, rivolta al ragazzo dietro di esso. Mi sorrise «Buongiorno anche a te Julie» conoscevo Patrick da anni ormai, cercavo di tenermelo amico: era simpatico, dolce, carino, ma soprattutto mi faceva lo sconto sulle brioche al cioccolato e alla crema!
«Solito?» annuii, appoggiando la borsa per terra e ciondolando i piedi da quella sedia, fin troppo alta; qualche minuto dopo mi portò un piattino con due brioche e un caffè macchiato, lo ringraziai.
«Cibo» mi illuminai, cominciando ad ingozzarmi. Lo sentii trattenere una risata.
«Allora» poggiò i gomiti sul bancone, lasciando qualche sguardo alle mie spalle, incontrando solo quello di un signore che leggeva il giornale «come va con i ragazzi?» mi strozzai con il caffè, sputandone un po’ sulla sua faccia.
«Cristo! Brucia» urlò, andando davanti al lavandino e sciacquandosi il viso sporco di caffè.
«Scusa» dissi ridendo e tornando alla mia colazione per finire di soddisfare il mio stomaco.
Sapevo che voleva una risposta, ma si comportò gentilmente e non mi fece altre domande del genere per evitare di mettermi in imbarazzo.
«Ora devo scappare» mi alzai e presi la borsa.
«Dove vai di fretta?» dove vado di fretta? Da nessuna parte.
«Ho un impegno!» mi affrettai a dire, cercando anche di convincere me stessa. Annuì, con un sorriso sulle labbra.
«Lo sai che la mia proposta è ancora valida vero, Ju?» evitai di strozzarmi ancora una volta, ma con la mia saliva, annuendo e sentendo le guance accaldarsi; lo salutai con un cenno della mano, per poi uscire dal bar e sentire quel rumore fastidioso della porta.
Qualche settimana prima, Patrick mi aveva proposto di uscire, frequentarci e solo l’idea mi faceva rabbrividire; si, era un bel ragazzo, ma solo come amico e ogni volta che mi ricordava della sua proposta trovavo una scusa per andarmene.
E poi, se avremmo litigato non mi avrebbe più fatto lo sconto sulle brioche.
 
Camminavo a passo svelto, notando che le strade si erano fatte ancora più vuote, solo qualche macchina parcheggiata accanto ai marciapiedi; probabilmente erano tutti partiti per il fine settimana, cosa che accadeva spesso in quei giorni, dato il bel tempo.
Presi dalla borsa il mio Ipod, mi misi le cuffiette, cominciando ad ascoltare qualche canzone di Michael Bublè e Robbie Williams a ripetizione; lo sguardo fissò sulle mie scarpe.
Dopo qualche minuto vidi davanti a me un ragazzo, solo quando si avvicinava sempre di più, sguardo fisso sul cellulare tra le mani, riconobbi i suoi ricci e il suo viso.
Stoppai la musica.
«Ma cazzo!» urlai. Alzò lo sguardo, dopo avermi sentito e automaticamente abbassai la testa «Se mi riconosce sono nella merda. Se mi riconosce sono nella merda. Se mi riconosce sono nella merda» continuai a ripetermi, chiusi gli occhi, continuando a camminare più veloce possibile.
Diciamo che sono talmente intelligente, con dei riflessi straordinari che me n’ero accorta..ok, in realtà non l’avevo visto.
Il palo, intendo.
Mentre continuavo a camminare a testa bassa, con i capelli sciolti davanti agli occhi, non mi accorsi subito del palo davanti a me.
Poco dopo un dolore forte al petto, ancora più forte alla testa e al naso.
 
* * *
 
Un colpo di tosse, le guance in fiamme dati alcuni schiaffi.
«Aiuto! Mi stanno violentando» fu la prima cosa che dissi appena ripresi i sensi e cercai di dimenarmi; non mi accorsi di avere gli occhi ancora chiusi, quando li riaprii.
Minchia.
Mi portai una mano sulla faccia, per cercare di coprirmi, ma feci una smorfia di dolore appena mi sfiorai il naso; poi ancora dolore al petto. Cercai di alzami seduta, cominciando a sclerare e richiudendo gli occhi e ritornando a vedere tutto nero.
«E’ un incubo. Sono viva? Non posso essere viva. Troppa sfiga in una sola giornata per essere viva. Non mi sento il naso! Nemmeno le tette. Oddio» portai le mani in basso «Ho ancora le tette? Stanno soffrendo troppo in questi giorni, ‘fanculo.» tirai un sospiro di sollievo «sono ancora qui, quanto mi sono mancate» riaprii un attimo gli occhi, ricordandomi di non essere da sola e sentendo qualche sguardo puntato addosso.
Un paio di occhi verdi mi scrutavano confusi dall’alto, ma intravidi del divertimento nel viso del ragazzo davanti a me «Tranquilla, ce le hai ancora le tette» soffocò una risata, sentii le guance infiammarsi. Si inginocchiò aiutandomi a mettermi seduta; avvicinai a me la borsa, che poco prima era sull’asfalto.
Harry.
«Sta bene» mi guardai intorno, capendo poi che era rivolto al gruppo di persone intorno a me, che piano piano si stavano allontanando con facce sconvolte.
Tossii, per poi sentire ancora male al naso.
«Ohi» una smorfia, per poi tastarmi la faccia.
«Stai bene?» mi chiese preoccupato «sei andata a sbattere contro un palo della luce» capii che stava ancora evitando di ridere.
Annuii, non era possibile.
Il destino! Il destino vi ha fatto rincontrare.
E ora si impicciava Subby il Subconscio scassa coglioni.
«Il destino non esiste» sputai.
«Come scusa?» aggrottò le sopracciglia, scossi la testa che ancora mi faceva male.
Quella storia doveva finire, Harry Styles e il fottuto articolo su di lui e su come farlo innamorare, non avrebbe portato niente di buono; feci per alzarmi, faticando, mi seguì a ruota.
Dovevo semplicemente andarmene, il destino non esisteva, quell’articolo non l’avrei fatto, non avrei mai più rivisto quel diciottenne che rideva se una ragazza sbatte contro un palo, mi sarei dimenticata di lui, sarei tornata semplicemente a scrivere in ultima pagina no? Come sempre d’altronde.
«Io ti ho già vista da qualche parte, possibile?» perché non può avere una memoria da suricato africano? Sempre che esistano i suricati egiziani.
Ah no, erano africani.
Scossi la testa facendo la finta innocente, si scostò qualche riccio castano che gli era caduto davanti agli occhi, sembrò crederci, anche se mi rivolse uno sguardo confuso.
Mi misi la borsa in spalla, un capogiro.
«Ascolta, sei sicura di stare bene? Non hai una bella cera» mi appoggiò una mano sulla spalla, il suo sorriso sparì, sostituito da una faccia preoccupata.
Finzione. Ovvio che una persona famosa deve essere gentile, perderebbe fan se si comportasse da stronzo, no?
Tolsi con gesto secco la sua mano, mi guardò negli occhi, cercando di capire perché quel gesto brusco.
«Sto benissimo» nessun sorriso. Non l’avrei più rivisto.
Mi sfregai la faccia, sfiorando un’altra volta la tempia e il naso.
Poco prima che se ne andasse, mi guardai la mano che avevo spostato dal viso, i miei occhi si spalancarono e la vista si offuscò.
«Sangue» sussurrai, poi ricaddi a terra.
 
 
 









 
 
 
 
OONE WAAAY, OR ANOTHEEER..


Sono di nuovo qui a rompervi i coglioni c: Finezza stupramii :')
Premettiamo che ci ho messo millenni a trovare quattro tonalità di verdere per il titolo, ma il risultato è DI-VI-NO!
Ma cosa dico mai? Sono una sciocchina. E' FA-VO-LO-SO.
Ok, evitiamo.

Sinceramente non mi convince questo capitolo..non so, c'è qualcosa che non va.
Mi scuso subito in caso di errori, se ne trovate segnalatemeli pure e provvederò a correggere, veloce veloce come una faina(?)
Ma che cazzo sto dicendo?
In ogni caso, spero che a voi piaccia, no? No.

Grazie mille a tutte quante, davvero c:
Julie finalmente incontra Harry -con la sua solita figura di merda, mi sembra logico- e ho provato male per lei per la caduta finale :')
Avevo bisogno di scrivere stronzate oggi..e credo di esserci riuscita AHHAAH :'D

Come sempre m
i trovate su:
Twitter 
Tumblr. 
Facebook.

Un bacio,
Simo.


 
   
 
Leggi le 70 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: dontletmeboo