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Autore: AlessiaDettaAlex    05/03/2013    4 recensioni
Storia interamente revisionata (8/11/2017)
È la storia di una diciottenne. Una giovane che si scopre innamorata della sua migliore amica e non riesce ad accettarlo. Quindi se vi aspettate farfalle, rose e fiori è il racconto sbagliato. Questa che sto scrivendo è piuttosto la storia di dolore e tragedia di una ragazza che ne amava un'altra.
Trecento metri è la distanza che separa le loro case. Ma la verità è che alla fine di questo racconto Alex ne avverte molta di più.
"Lo conoscevo a memoria il profumo di Lyn. Era profumo di casa, un odore che mi faceva sciogliere il cuore. Se chiudo gli occhi e mi concentro riesco a sentirlo anche adesso, a più di un anno di distanza."
[Capitolo 5]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8 o Mia figlia, la mia ragazza e la mia migliore amica

«Alex! È un sacco che non ci si vede!» trillò un’allegra Giorgia alle mie spalle.
«Sai com’è, ultimamente non hai fatto altro che darci buca» commentai io, dedicandole un’occhiata innervosita. Lei ridacchiò cavandosela con un piccolo “già, scusa”, poi mi prese sottobraccio.
Effettivamente era da molto che non uscivamo tutti insieme. Quel sabato sera l’occasione si era presentata e noi l’avevamo colta al volo: eravamo io, Lyn, Giorgia, Laura e Marco.
Nell’ultimo periodo aveva piovuto spesso e l’aria si era parecchio raffreddata. Quel fine settimana però era tornato uno spruzzo dell’estate appena passata, visibile nel cielo blu, acceso dal sole grande e caldo e le luminose e limpide stelle di quella sera. Il clima era gradevole e allo stesso tempo nell’aria c’era odore d’inverno. È un odore che riconosco sin da quando ero bambina, quello dell’inverno, perché sa di aria frizzantina e neve; e di legna bruciacchiata nel camino.
Laura, tra una chiacchiera e un’altra, improvvisamente mi chiese:
«Alex! Ma tu ti stai sentendo con Daniele e non ce lo dici?!»
«Cosa?! Alex? Con Dani?» intervenne incuriosita Giorgia.
Io sorrisi un po’ imbarazzata, poi annuii. Laura continuò:
«Ho saputo da Elena che lui si è dichiarato il giorno in cui è partito per l’università e da allora state spesso al telefono insieme!»
Al che Giorgia si infiammò.
«E tu quando pensi di dirmelo, il giorno del vostro matrimonio?»
«Eh? Cosa?» deglutii io, lievemente rossa in viso, «No, ma quale matrimonio! Non volevo sparpagliarlo troppo in giro perché non sapevo come sarebbe andata a finire!» conclusi spostando lo sguardo altrove; cioè su Lyn.
«Quindi… la mia carissima Alex si sente con Daniele e io l’ho dovuto sapere da Laura che l’ha saputo da Elena. Devi dirle anche a noi certe cose, mica solo alla tua amante!» sbottò Giorgia, fingendosi stizzita. O forse lo era davvero.
Fatto sta che, sentendo definire Lyn come “la mia amante”, arrossii peggio di quanto avessi fatto parlando di Daniele.
«Amante?! E comunque tu» feci riferendomi direttamente alla mia migliore amica, «non dovresti far circolare certe notizie senza il mio consenso!» mi lamentai puntandole un dito addosso.
Lyn non si pose nemmeno il problema di rispondermi e piuttosto passò ai fatti: intrecciò le dita della sua mano con le mie e si strinse a me, dandomi una leggera spintarella. Per molti una banalità, ma per me era una tecnica affettuosa di altissimo livello per costringermi a capitolare. E le riuscì.
«Io già lo sapevo» si intromise Marco.
Giorgia lo guardò stranita e lui, catturata l’attenzione necessaria, decise di spiegarsi.
«Sapevo che Daniele si sarebbe dichiarato, so della sua cotta per Alex da circa un anno ormai»
«Un anno?!» gridarono Giorgia e Laura quasi in sincrono.
Beh, questo era sfuggito anche a me. Camminando, mentre Marco cominciava a raccontarci quello che aveva sempre saputo, io mi accorsi di avere ancora la mano di Lyn nella mia. E mi accorsi anche che pensando a questo dettaglio mi ero già persa metà del racconto del nostro amico.
Alla fine della serata, una cosa la compresi: Daniele faceva sul serio e non mi avrebbe lasciata andare tanto facilmente. Beh, ne ero lusingata. Ma tutto qui. In quel momento però lo presi come un segno del destino: io e lui dovevamo stare insieme.
Il destino nel frattempo aveva deciso di unire anche altre due persone: Laura e Marco, infatti, si erano avvicinati sempre di più durante la serata – partendo inizialmente dalla scusa della mia “storia” con Daniele – e alla fine si erano ritrovati persino a camminare qualche metro dietro di noi senza accorgersene. Chiacchieravano fitti, con l’aria di essersi dimenticati dei loro amici.
«Forse è la volta buona che Laura si è decisa a darsi da fare» commentò Giorgia con finta stizza.
«Spero per lei che sia così, ma io non ci conterei troppo!» le rispose Lyn.
Io ascoltavo senza esprimermi, come al mio solito, e diedi segno di aver capito solo quando Lyn mi annunciò che suo padre sarebbe presto arrivato per portare a casa me e lei. La serata era proprio volata.
Ora che tutti sapevano che mi sentivo con Daniele pensai che mi avrebbero fatto una testa come un pallone con questa storia. Accartocciata come una foglia sui sedili posteriori dell’auto del padre di Lyn, cominciai a far spaziare la mia sempre desta fantasia su campi finora poco battuti: quello che provava Daniele, come saremmo stati se ci fossimo fidanzati vista la lontananza e soprattutto se mi piaceva davvero. Anzi, che come persona mi piacesse lo sapevo perfettamente, altrimenti non avrei mai fatto telefonate record con lui. Il problema era se lo amassi. Riflettendoci più attentamente mi venne in mente però che il vero dilemma era se amassi Lyn.
«Ehi Alex!» chiamò lei dai sedili anteriori.
Scossi la testa bruscamente, cestinando l’ultimo dubbio che mi era sorto.
«Tu cosa pensi della coppietta ufficiale della serata?»
«Ma sì, direi che è superfluo chiederselo… sappiamo perfettamente che prima o poi finiranno insieme» tagliai corto io non sentendo il bisogno di discuterne.
Sinceramente cominciavo ad averne abbastanza di “coppiette” e affini.
«Ehi, quanta fretta di saltare alle conclusioni!»
Io sorrisi riparata nell’ombra della macchina, e poi asserii:
«Quelle che ci facciamo sono soltanto inutili congetture… dovremmo fare più economia del tempo»
«Ma sentila! Sembri mia madre»
«Io sono tua madre»
Lei scoppiò in una risata.
«Va bene, d’ora in poi ti chiamerò “mamma”»
«Brava figlia!» conclusi divertita io.
Arrivata a casa salutai con un bacio sulla guancia la mia nuova figlioletta e scesi dall’auto ringraziando.
Lyn, mia figlia. Pensandoci bene alle volte non era poi così lontano dalla verità.

Distesa sul letto di camera mia fissavo il grosso calendario che stava appeso a un lato della scrivania. Scorsi pian piano i giorni che mancavano ai miei diciotto anni: dieci. Poi afferrai il cellulare e lessi l’orario, contando mentalmente i minuti che mancavano all’arrivo di Lyn a casa mia: dieci. Una costante interessante visto che a dieci centimetri scatta il bacio, come avevamo avuto modo di constatare. Sorrisi tra me e me. Sfogliai il quadernino sgualcito che tenevo in una mano, in cui si intravedevano appunti presi fin troppo superficialmente a scuola, e giunsi all’ultima pagina: i miei occhi balzarono qua e là su tre disegni. Disegni indiscutibilmente ambigui in cui le protagoniste erano sempre due ragazze in atteggiamenti intimi. Li avevo ideati a scuola, tra un appunto e l’altro, mentre cercavo di esplicitare quello che provavo quando pensavo a Lyn; e quello era ciò che era venuto fuori. A fine lavoro, accorgendomi di cosa avessi disegnato, avevo piazzato delle brevi didascalie che alludessero al fatto che fossero solo rapporti di amicizia.
Chiusi con un botto sordo il quaderno e mi girai da un lato sbuffando. Certe cose non sono comprese nel pacchetto “amicizia”, non c’era giustificazione didascalica che tenesse. In quel momento mi accorsi di non trovare neanche così orribile l’idea di potermi essere innamorata di Lyn; l’unico effetto che un tale pensiero aveva su di me era una sensazione di calore diffusa tra petto e viso e l’incurvamento dell’angolo sinistro della bocca, in una specie di pudico sorriso. Ma poi c’era quel “no” che mi risuonava imperioso nella testa, scuoteva ogni fibra del mio corpo, ogni nervo o muscolo, pronto a scontrarsi con un eventuale cedimento di forza di volontà. Pronto ad intervenire se avessi cominciato ad insinuare seriamente di amarla. E quella ragazza certo non mi aiutava, visto che mi trattava come se fossi la sua fidanzata.
Quando arrivò a casa mia eravamo davvero intenzionate a studiare, al contrario di molte altre volte. Peccato solo che passata la prima ora lei trovò più divertente stuzzicarmi mandandomi messaggi minatori su angoli di carta strappati e pizzicandomi i fianchi – dove ho sempre sofferto terribilmente il solletico – se mi azzardavo a risponderle male. Eravamo già arrivate al momento “pausa”, a quanto pare.
«Piantala!» sbottai io ridendo e piangendo insieme a causa del solletico.
Siccome lei non cessava di torturarmi decisi che era arrivato il momento di reagire: le afferrai prontamente le braccia e la bloccai, poi avvicinai il mio viso al suo con sguardo di sfida.
«Avanti» sussurrò lei, incitandomi a non so che cosa di preciso.
Ma forse il suo obiettivo era proprio sottolineare l’ambiguità della situazione. Fatto sta che io lo presi come un ordine e schiacciai le mie labbra contro le sue senza pensarci troppo.
«Il giorno del mio compleanno da te voglio solo una cosa: un pomeriggio in cui tu sei unicamente mia» le dissi staccandomi.
Ero piacevolmente sorpresa della sicurezza che avevo ostentato. Lei sorrise scuotendo la testa.
«Mi hai preso per la tua ragazza forse?»
«Sì, tu sei la mia ragazza»
«Non ero tua figlia?»
Io scoppiai a ridere, pensando alla pazza idea che mi era balenata in testa. Perché quella che mi guidava era sicuramente la follia. L’amore rende folli.
«Tu sei mia figlia, la mia ragazza e la mia migliore amica» mi fermai un attimo per immergermi nei suoi occhi verdi, poi continuai: «giusto?»
Lei mi lasciò un bacio a fior di labbra, con una dolcezza che solitamente non era sua.
«Giusto»
Il dubbio che da settimane mi torturava stava gridando di voler uscire dalle troppo strette pareti del mio cuore. Provai a negarlo a me stessa un’ultima volta, con forza e ostinazione, mentre la guardavo dritta negli occhi: “No, io non ti amo”. Ma stavolta sentii che quella menzogna, solo a pensarla, mi avvelenava il petto, opprimendolo.
Sì, era proprio la follia a guidarmi. Non poteva esserci nient’altro che giustificasse una cosa del genere. Io l’amavo davvero, e finalmente era chiaro.
Pazza Alex.





Note dell'autrice.
Rieccomi dopo un lungo periodo di pausa! Questo capitolo è stato proprio sudato, infatti ho l'impressione che non sia il massimo. Da adesso le cose si fanno più complicate perché è difficile capire come giostrare gli avvenimenti che ho in testa... spero di riuscirci senza troppi problemi D:
Ahahaha a metà capitolo, mentre scrivevo, io mi sono immaginata Alex mascherata alla Dart Vader che dice: "Io sono tua madre!" LOL solo io posso farmi storielle mentali sulle mie stesse storie ahahah
Beh, attendo i vostri sempre gentilissimi giudizi!
Videl
   
 
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