Titolo: Crossed Times
Autore: Lien
Capitoli: 12/?
Rating: R (ma conta di arrivare a NC-17)
Pairing: Tom/Harry
Altri Personaggi: Hermione Granger, Minerva McGranitt, Luna Lovegood, Draco Malfoy,
altri…
Avvertimenti: Slash, Slash e ancora Slash
Capitolo 12. La Stanza del Prefetto
Harry si guardò intorno
con circospezione, osservando le mille tonalità di verde che spiccavano nella
grande sala. Fece vagare lo sguardo dai divanetti di velluto ai tappeti
ricamati, fino ai tavolini di vetro dalle pregiate rifiniture di giada, poi ai
vari mobili in mogano scuro appoggiati alle pareti. Anche le torce appese ai
muri sembravano riflettere sulla pietra una luce smeraldina.
Si ricordava bene l’unica
volta che era entrato nella Sala Comune di Serpeverde, quando lui e Ron si
erano travestiti da Tiger e Goyle per estrapolare informazioni a Malfoy. Quella
volta però, impegnato com’era nella sceneggiata, non era riuscito ad osservare
bene l’ambiente e l’unica cosa che gli era rimasta impressa era stata l’aria
umida e cupa dei sotterranei; ora invece doveva ammettere che, sebbene
l’illuminazione non fosse la migliore, la temperatura era perfetta e l’ordine e
la raffinatezza dell’arredamento donavano alla Sala un’eleganza con cui la
caotica Torre di Grifondoro non avrebbe mai potuto competere.
Pensando al caos che di
solito regnava sovrano nella Sala Comune rosso-oro, Harry notò per la prima
volta che quella di Serpeverde, invece, sembrava completamente deserta.
“Sono tutti a lezione o
nei propri dormitori,” disse Tom intuendo i pensieri del ragazzo, “ma prima di
pranzo si riempirà di sicuro.”
Harry fece qualche passo
in avanti, poggiando una mano sui fini intagli che percorrevano il bordo di uno
dei tavoli. “È tutto così… ordinato.”
Tom scrollò le spalle.
“Teniamo molto alla pulizia. Prima di parlare però, dovresti vederla nel
periodo esami. Quando ci sono in gioco i voti, la Foresta Proibita ci fa un
baffo al confronto.” Aggiunse ridendo.
Harry sorrise: Tom Riddle
aveva un contorto senso dell’umorismo.
Attraversarono la sala
fino ad una porta in legno situata in fondo a destra, dove si poteva leggere,
incisa sopra una placchetta d’argento, l’inscrizione: Prefetto – Tom O.
Riddle.
“Ok, queste sono le mie
stanze, quelle che d’ora in poi saranno anche le tue.” Cominciò Tom girandosi
con le spalla alla porta chiusa, tenendo il pomello fermo in una mano. “Regola
numero uno: non si mangia in camera da letto, c’è sempre il salottino se
proprio devi.”
Il moretto sgranò gli
occhi: salottino? Ma quanto era grande l’alloggio del Prefetto?
“Numero due: visto che
sembri essere abituato a svegliarti all’alba per fare non-so-che giù al lago,
se scopro che hai finito l’acqua calda, finisci a dormire sul tappeto.”
Harry rise, annuendo in
segno d’assenso. Tom lo guardò un attimo sorpreso da quel gesto, ma infine si
abbandonò ad un lieve sorriso, che poi scomparve immediatamente com’era venuto.
“Numero tre: vietato
portare qua ragazze e/o ragazzi. Se proprio devi fare qualcosa, che sia lontano
dai miei occhi e dalle mie orecchie. Orion ci ha provato una volta e le
conseguenze non sono state piacevoli.”
“Orion?” chiese curioso
Harry.
“Orion Black, la mia
spina nel fianco personale. Lo vedrai sicuramente ronzare attorno prima o poi e
anzi, sono sorpreso che non sia già qua ad imporre la sua inopportuna
presenza.” Rispose, ma il bagliore divertito che gli danzava negli occhi
suggeriva ad Harry che in realtà tutte quelle cose non le pensasse davvero.
“Comunque per finire,
beh, non è tanto una regola quanto un consiglio: se ci tieni alla privacy
chiuditi in camera, perché Orion e Giselle hanno la pessima abitudine di
comparire qua quando pare e piace loro, facendo come se fossero a casa
propria.”
Orion, Giselle, e poi?
Non aveva tenuto in considerazione il fatto che avrebbe conosciuto e dovuto
convivere con tanti altri ragazzi oltre che a Tom.
“Bene, ora che è tutto
chiaro, sarà meglio entrare.” E detto questo, il Prefetto aprì la porta ed
entrò.
Harry trattenne il
respiro. Sebbene non avesse mai avuto l’occasione di vederla, era sicuro che
nemmeno la stanza del Caposcuola di Grifondoro fosse tanto grande. La stanza
dove erano entrati era davvero un piccolo salotto, con tanto di divanetti e
tavolino, e una scrivania nell’angolo in fondo a sinistra. Sulla parete destra
invece c’era un’altra porta, che conduceva probabilmente alla camera da letto.
“Caspita, hanno fatto in
fretta,” disse Tom indicando uno dei divani dove era appoggiata un’uniforme
nera, “qui c’è già la tua divisa e l’orario delle lezioni.” Aggiunse
raccogliendo un foglietto di pergamena dal tavolino.
Harry si avvicinò ad
osservare il suo nuovo corredo, facendo un’espressione leggermente schifata
vedendo lo stemma di Serpeverde appuntato all’altezza del cuore: non ci si
sarebbe mai abituato. In più aveva un altro problema: nella lettera che aveva
scritto, facendo finta di essere suo zio, aveva detto che tutte le sue cose gli
sarebbero state spedite in giornata, ma in realtà aveva svuotato la Stanza
delle Necessità prima del colloquio col Preside e il suo baule era in quel momento
rimpicciolito nella sua tasca. Come fare in modo di tirarlo fuori senza che
l’altro Serpeverde se ne accorgesse?
Tom stava ancora
studiando il suo orario ed Harry, curioso, si avvicinò. Essendo però il
Prefetto girato di schiena e lui dieci buoni centimetri più basso, per poterlo
vedere dovette sporgersi al di là della spalla dell’altro, con il mento quasi
appoggiato nell’incavo del suo collo.
“Qualcosa non va con le
mie lezioni?” chiese, incuriosito da un così lungo scrutinio.
Tom si irrigidì di colpo
e si voltò di scatto, facendo quasi un salto all’indietro, un’espressione
illeggibile sul volto. Harry di rimando lo guardò confuso: ma che aveva fatto?
“Scusa, cosa hai detto?”
gli chiese il Prefetto con la voce stranamente incrinata.
“Ehm, no, niente.
Chiedevo solo se era tutto a posto col mio orario.”
Tom lo guardò un attimo
stranito. “Orar…?” poi abbassò lo sguardo verso il foglietto di pergamena che
ancora stringeva tra le dita. “Oh, l’orario certo. Cioè, no, non c’è nulla che
non va.” Rispose in fretta porgendoglielo.
Harry allungò la mano per
afferrarlo circospetto: Riddle si stava comportando in modo decisamente strano
rispetto al solito.
Lo vide ricomporsi in
pochi secondi e un attimo dopo si stava di nuovo rivolgendo a lui con la solita
espressione distaccata. “Io vado a farmi una doccia prima che diventi ora di
pranzo, tu cambiati pure qui e non uscire per nessun motivo fino a che non sono
di ritorno, intesi?”
Il moretto semplicemente
annuì di risposta mentre osservava, ancora leggermente confuso, il Prefetto
attraversare la stanza a grandi passi prima di chiudersi dietro le spalle la
porta della camera da letto.
Passandosi una mano tra i
capelli, Harry decise di lasciar perdere il suo nuovo compagno di stanza per il
momento, visto che gli si era appena presentata l’occasione per tirar fuori le
sue cose. Prese dalla tasca il baule rimpicciolito e si portò di fianco alla
scrivania prima di posarlo a terra e lanciargli un “Engorgio!”.
Dopo aver controllato che
tutti gli incantesimi serranti fossero al loro posto (non sarebbe stato
piacevole se qualcuno avesse trovato il suo libro di Storia della Magia con una
cinquantina di anni di storia in più), tornò dalla sua nuova divisa. Come
sempre indossava sotto i vestiti la pettorina in pelle di drago che faceva
parte della divisa da Auror ed era piuttosto reclutante a togliersela: in un
ambiente sconosciuto rinunciare alla costante protezione lo faceva sentire
vulnerabile.
‘Datti una svegliata
Harry,’ si disse, ‘non ci sono Mangiamorte in giro per la scuola, sei ad
Hogwarts in tempo di pace!’
Scuotendo la testa si
sbottonò la camicia e la ripiegò sulla spalliera del divano, prima di attaccare
i vari lacci che tenevano allacciata la pettorina. Quando ebbe finito, se la
sfilò rimanendo a torso nudo, e fece appena in tempo a rimpicciolirla e
mettersela nella tasca dei pantaloni, quando la porta dell’entrata si spalancò.
“Ehi Tom, com’è che non
c’eri a Difesa? Non sai che ti sei perso, Heidi aveva appena finito di
raccoglie le sue– oh… tu non sei Tom.” Disse lo sconosciuto.
Harry si voltò, ma ogni
parola gli morì in gola una volta visto in faccia il ragazzo che era entrato.
“Sirius…”
Tom si chiuse la porta
alle spalle con un lieve ‘click’ e vi appoggiò contro la schiena con un
sospiro. Che cosa gli stava succedendo? Che gli era preso prima?
Il piano che si era
formulato nella mente era semplice: quel ragazzo, chiunque fosse e qualunque
fossero i segreti che portava con sé, era estremamente potente. Era riuscito a
capirlo fin dal primo incontro, quando – e la cosa gli bruciava ancora un po’ –
era riuscito a schiantarlo senza troppe difficoltà. Era indispensabile che
riuscisse a farne un alleato, nonostante l’inspiegabile rancore che sembrava
serbare nei suoi confronti.
Si, doveva assolutamente
trovare il modo di avvicinarlo, fare in modo che si fidasse e infine sfruttarlo
nel modo più appropriato. E con un potere del genere, di modi ce n’erano a
volontà. Doveva stare attento però perché, se conoscenza significava potere,
tutti i segreti che quel ragazzo teneva potevano rivelarsi un ostacolo
difficile da sormontare. Come si tiene in pugno una persona di cui non si sa
nulla? Non poteva nemmeno usare la sua identità falsa come ricatto, tanto tra
poco più di due mesi sarebbe partito…
Una strana stretta allo
stomaco lo colpì a quel pensiero e, infastidito, si diresse verso il suo
baldacchino, notando per la prima volta il secondo letto sistemato sotto la
finestra. Perché gli dava tanto fastidio il pensiero che se ne sarebbe andato?
“Perché due mesi e mezzo
sono troppo pochi per poter mettere in atto il mio piano, ecco perché.” Si
disse ad alta voce, portandosi di fronte al suo grande specchio a parete e
osservandosi.
“Bugiardo,” gli rispose
il suo riflesso, la cui voce stranamente somigliava molto a quella di Black, “e
l’esserne stato ossessionato per più di una settimana dove lo metti? L’effetto
che ti fa guardarlo dritto in quegli occhi smeraldo? Il ritratto che ne hai
fatto?”
“Era solo perché volevo
scoprire chi fosse!” ribatté, senza nemmeno preoccuparsi del fatto che stesse
litigando con uno specchio.
“Certo, certo, ed è per
questo che sentirlo così vicino, sentire il suo fiato danzarti sul collo ti ha
fatto andare in black out il cervello poco fa, vero?”
“Quello… quello non
centra niente! E poi anche se fosse? D’accordo, ammetto di essere un minimo
attratto da quel ragazzo, non è la prima volta che succede, non vedo il grande
avvenimento.”
Il tono del riflesso si
fece triste tutto d’un tratto. “Sempre spaventato dai propri sentimenti, vero
Tom?”
Il Serpeverde si irrigidì
e l’espressione divenne di pietra. “Sentimenti?” disse improvvisamente
risoluto, “No, io non ho sentimenti, le uniche emozioni che provo sono rabbia,
odio, rancore” e dolore, aggiunse tra sé, “Harry Evans non è altro che l’ultimo
strumento da sfruttare, l’ultimo giocattolino con cui trastullarmi.
Nient’altro.”
Lo specchio non rispose,
limitandosi a riflettere la sua immagine. Ossessionato? Forse, lo ammetteva.
Perché a trovare irresistibile era il potere che quel ragazzo emanava, un
potere che in fatto di unicità era così simile al suo, così simile…
“… erano: sono morti
entrambi quando avevo un anno.” Un orfano, anche lui.
Così simile…
Riportò lo sguardo verso
il suo riflesso e incontrò i suoi stessi occhi, occhi che solitamente erano
tanto freddi e decisi e che ora invece ospitavano una punta di dubbio nelle
iridi color pece. Strinse i pugni voltandosi verso il nuovo letto comparso
nella sua stanza. Era stata una decisione avventata quella di far sistemare
Harry nella sua stanza. E se avesse cominciato ad impicciarsi troppo? Sembrava
già inspiegabilmente sapere così tante cose sul suo conto…
Tom spalancò gli occhi
mentre un orribile dubbio gli si formava in mente: sapeva forse anche della sua
ricerca? Del luogo che stava disperatamente cercando da mesi? E se avesse
cercato di intralciarlo?
No, Harry Evans non
doveva essere che una pedina da tenere a disposizione, non avrebbe mai permesso
che si mettesse in mezzo tra lui e i suoi piani.
Si voltò con decisione e,
dimentico della doccia, si diresse alla porta per provare a se stesso la
veridicità delle convinzioni che aveva appena raggiunto.
Convinzioni che, una
volta aperta la porta, volarono fuori dalla finestra, rimpiazzate da un’ondata
di rabbia e gelosia che lo investì allo scenario che gli si parò davanti.
Orion osservò il ragazzo
che gli era di fronte: no, decisamente non era Tom e anzi, non era nessuna
delle persone che conosceva. Aveva folti capelli castano quercia che andavano
da tutte le parti e occhi nocciola chiaro, quasi ambrati. Per non parlare dei
pettorali scolpiti e degli addominali definiti che si potevano vedere muoversi
sottopelle ad ogni movimento, sotto la dorata abbronzatura.
Si leccò le labbra
lasciando vagare lo sguardo su tutto il petto nudo dello sconosciuto, pensando
a diverse cose – nessuna delle quali particolarmente caste – che gli sarebbe
piaciuto fare su quegli addominali. Prima di saltargli addosso però, avrebbe
fatto meglio a scoprire chi fosse, o per lo meno che ci facesse nella stanza
del Prefetto.
‘E magari,’ aggiunse tra
sé, ‘perché mi sta guardando come se fossi un fantasma appena resuscitato.’
Infatti il ragazzo lo stava guardando fisso con l’espressione più sorpresa,
triste e incredula che Orion avesse mai visto. Sussurrò qualcosa, un nome
forse, ma lui non riuscì a sentire esattamente quale.
“Ehi, ragazzo, sicuro di
sentirti bene? Sei un po’ pallido…” tentò, ma senza ottenere alcuna risposta se
non lo sguardo perennemente fisso degli occhi nocciola.
Ora che gli stava
osservando il viso però, gli sembrava di notare una certa famigliarità… l’aveva
già vista da qualche parte quella faccia, ma non riusciva a ricordarsi dove. In
più c’era qualcosa che non andava nel suo aspetto: non sapeva esattamente cosa,
ma c’era come qualcosa di storto, di sbagliato nei tratti del suo volto.
L’altro intanto non aveva
ancora spiccicato parola e Orion cominciava un po’ a preoccuparsi.
“Ehm, ero venuto a
cercare Tom, il Prefetto. Sai, il proprietario di queste stanze…” spiegò
gesticolando intorno per indicare la sala. Lo sconosciuto però sembrava ancora
perso nei suoi pensieri, costringendo il Serpeverde ad un’altra tattica.
“Non so esattamente chi
tu sia,” iniziò cercando di sfoggiare il sorriso più rassicurante del suo
repertorio, “ma nemmeno io mi sono presentato, che maleducato: sono Orion
Black, piacere.” Aggiunse porgendo una mano all’altro.
Finalmente il ragazzo
sembrò scendere da qualunque pianeta la sua testa fosse finita e con due passi
raggiunse Orion per stingergli la mano, non abbandonando ancora lo sguardo
leggermente incredulo che il Serpeverde non riusciva a capire. Vicino com’era
adesso inoltre, Black constatò di essere quasi più alto dell’altro dell’intera
testa.
“Ehm, piacere, io… io
sono uno studente nuovo, sesto anno… ehm, scusa per.. per prima sai, è che non
conosco ancora molta gente… eheh” disse il ragazzo arrossendo leggermente e
passandosi una mano tra i capelli con fare nervoso.
Quando arrossiva così era
davvero adorabile!
“Nessun problema,
figurati! Sesto anno, eh? Ti avrei detto più giovane, ma forse solo perché hai
un’aria tanto tenera.” Rispose Orion facendogli l’occhiolino e godendosi il
furioso rossore che era salito sulle guance dell’altro a quelle parole.
“Avrei dovuto
aspettarmelo però,” continuò il Serpeverde con un piccolo ghigno scherzoso, “a
quindici anni non si hanno muscoli del genere.”
L’altro ragazzo spalancò
comicamente gli occhi, prima di abbassare la testa e constatare il suo stato di
semi-nudità che sembrava aver dimenticato. Con un verso shockato cercò di
allungarsi verso uno dei divanetti dove era adagiata una divisa, ma senza
riuscirci, dato che Orion lo prese per un braccio trattenendolo esattamente
dov’era.
“Eddai, cos’è tutta
questa timidezza, non hai davvero nulla di cui vergognarti, credimi.” Gli sussurrò
all’orecchio.
Se non altro servì solo
ad accrescere il panico del ragazzo, che con una straordinaria forza che Orion
non gli avrebbe mai attribuito a vederlo, si liberò dalla presa e fece uno
scatto verso il divano. Prima che potesse raccogliere l’uniforme però, il
Serpeverde lo aveva raggiunto e, spingendolo contro il divano, gli aveva
imprigionato la testa tra le sue due braccia, appoggiando i palmi delle mani
allo schienale.
“Ehi, ma di cosa hai
paura, non mordo mica sai? Oh almeno, a meno che tu non me lo chieda.” Gli
sussurrò lascivo, passandosi la lingua sulle labbra.
Era così intento ad
osservare la sua preda da non sentire la porta della camera aprirsi, ma non
poté ignorare la voce furibonda che gli ringhiò contro dall’uscio.
“Levagli – subito – le
mani – di dosso – Black!”
Orion si voltò,
trovandosi davanti la visione di Tom Riddle fermo sull’uscio della camera che
stringeva convulsamente il pomello della porta, con un’espressione furiosa che
gli aveva visto poche volte sul viso e gli occhi che avrebbe giurato stessero
brillando di un rosso acceso. Istintivamente si allontanò dal divano,
accorgendosi nel mentre che il ragazzo sotto di se si era portato una mano alla
fronte con un sibilo di dolore.
Il Prefetto si staccò
dall’uscio e con passi calcolati attraversò la stanza.
“Dimmi, Black,
esattamente, che cosa avevi intenzione di fare?”
Orion deglutì
rumorosamente, poi però, ricomponendosi un attimo, rispose: “Mi stavo
semplicemente presentando al nuovo studente, non mi sembra ci sia nulla di
male.”
Tom lo fulminò con lo
sguardo. “Da quando presentarsi vuol dire strappare di dosso i vestiti alla
gente?”
“Ehi, non ho strappato di
dosso un bel niente io, era già a torso nudo quando sono entrato, ha fatto
tutto da solo!” ribatté l’altro.
Il Prefetto ghignò. “Un
bel cambiamento dalla tua solita routine immagino.”
I due Serpeverde rimasero
a fissarsi in cagnesco, finché Harry, ancora per metà stordito dal dolore
lancinante alla sua cicatrice, non si decise ad intervenire.
“Eddai, tutti e due, non
è successo niente. Tom, invece di litigare, perché non mi presenti?” tentò di
riappacificare.
L’indirizzato lo ignorò
completamente, preferendo cercare di uccidere con lo sguardo il compagno di
Casa.
“D’accordo, fa niente.”
Sospirò Harry, decidendo di cambiare tattica. “Orion, giusto?” si rivolse
all’altro Serpeverde, che interruppe la battaglia di sguardi, “Piacere, io sono
Harry Evans.”
Qualcosa scattò nella
mente di Orion. Harry Evans, Harry
Evans, Harry… ma certo! Ora ricordava dove l’aveva visto! Era il
ragazzo del ritratto che aveva fatto Tom! Eppure… era leggermente diverso, i
capelli avrebbero dovuto essere neri e gli occhi, Tom non aveva scritto che
erano verdi? Forse era questo che sembrava stonare nel suo aspetto… ma perché
nascondere i suoi veri tratti fisionomici?
Qualunque risposta avesse
in previsione, venne interrotta dall’aprirsi della porta della sala. Una
ragazza dai voluminosi capelli biondi, lineamenti raffinati e portamento
elegante entrò con disinvoltura nella stanza, noncurante degli altri tre
ragazzi presenti. Quando però i suoi occhi blu cobalto si posarono su Harry,
una scintilla sembrò accenderlesi nello sguardo.
“E questo giovanotto chi
sarebbe?” chiese avvicinandosi.
“Sono un nuovo studente,
devo fare il sesto anno. Harry
Evans, piacere.” Rispose Harry.
“Oh, piacere mio, Giselle
Malfoy. Sesto anno hai detto? Sembri così piccolo! Saranno le gote rosse che
danno l’impressione sbagliata.” Aggiunse arruffandogli i capelli e lasciandolo
di stucco. “Un altro studente nuovo, è già il secondo quest’anno, anche se
l’altro se l’è preso mio fratello. Ma cosa fai senza una maglietta addosso? È
inverno, non fa poi così caldo. Ah, ho capito, non dire altro, Orion ha già
tentato di molestarti, vero? Non farci caso, ti ci abituerai presto, fa così
con tutti il nostro playboy!”
Harry la guardava con
occhi stralunati: possibile che non avesse preso fiato nemmeno una volta?
“Ehi, non sono così
maniaco!” protestò Orion con aria indignata, ma un’occhiataccia da parte di Tom
lo zittì. “Comunque Giselle ha ragione Harry, non preoccuparti che non alzerò
neppure un dito su di te d’ora in poi.” Aggiunse guardando di sottecchi il
Prefetto che gli stava a fianco. “È tutto tuo, Tom.” Gli sussurrò all’orecchio
in modo che fosse l’unico a poter sentire.
L’altro Serpeverde di
risposta sbuffò e non diede altro segno di riconoscimento.
“In ogni caso ragazzi,”
continuò Giselle, “sono venuta qui perché tu” indicò Orion, “hai gli
allenamenti di Quidditch e stanno aspettando tutti te, e tu” indicò Tom, “hai
bisogno di trovare una buona scusa da dare al Professor Donill sul perché non
eri a Difesa, ti vuole nel suo ufficio. Quanto a te Harry, ti consiglio di
metterti qualcosa addosso, prima che questi signori ti mangino con gli occhi.”
Harry arrossì nuovamente
e lanciò un’occhiata a Tom di sottecchi, ma il Prefetto aveva voltato la testa
dall’altro lato. Prese finalmente la propria divisa dalla poltrona e se la
infilò con facilità, per poi girarsi verso gli altri occupanti della stanza:
Tom era ancora ostinatamente voltato da un’altra parte, Orion guardava Tom
ridendo sotto i baffi e Giselle si osservava attentamente la manicure.
Fu il Prefetto a rompere
il silenzio. “Io andrò dal Professor Donill, il cielo non voglia che trovi
altri pretesti per togliere punti a Serpeverde. Harry,” disse poi rivolgendosi
al ragazzo, “resta con Giselle.” E detto questo girò i tacchi e uscì
chiudendosi la porta alle spalle.
“Beh, a me non resta che
dirigermi al campo allora.” Disse Orion stiracchiandosi come un gatto. “Giselle,
tu che fai, resti a vedere gli allenamenti?”
“Naturalmente, Madlene e
Heidi mi aspettano già sugli spalti.” Rispose lei arricciando una sua ciocca su
una delle dita affusolate.
“Ehi Harry,” gli si
rivolse il Serpeverde, “ti piace il Quidditch?”
Il primo vero sorriso da
quando era arrivato nel passato si aprì sul viso dell’ex-Grifondoro.
“Ma certo che adoro il
Quidditch! Giocavo come Cercatore nella… nelle partite con gli amici.” Rispose,
ricordandosi che in teoria non aveva mai frequentato una scuola.
Il suo sorriso venne
rispecchiato sul volto di Orion e mai come in quel momento quel ragazzo
sembrava la copia carbone di Sirius.
“Perfetto, allora vieni con noi che ti faccio
conoscere la squadra. Sai, sono convinto che anche quest’anno vinceremo la
coppa, pensa che l’altroieri…” continuò il ragazzo sempre più lanciato in una
lunga discussione sul Quidditch, mentre tutti e due entravano nuovamente in
Sala Comune, con una bionda leggermente annoiata alle calcagna.
A.N.:
Secondo voi è più bello Tom confuso o Tom arrabbiato? :P Nah, niente da fare,
mi piacerà sempre qualunque cosa faccia XD.
Ma bando alle ciance,
sono un po’ di fretta, quindi non ho tempo di rispondere alle recensioni, ma
sappiate che vi ringrazio di cuore per tutto il vostro appoggio, siete
veramente indispensabili e leggere i vostri commenti mi illumina sempre la
giornata! Grazie mille!
P.S.: ho modificato leggermente il riassunto della storia, perchè quello che avevo messo all'inizio non mi piaceva granchè, ma non è cambiato praticamente nulla, era solo per informarvi ^^