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Autore: bluemary    21/09/2007    1 recensioni
"La Regina del Crepuscolo sedeva in mezzo al nulla. Ammantata di tenebre, giaceva nel silenzio simile ad un’ombra più scura della notte, il suo passo era l’Oblio, il suo sorriso la fine di ogni respiro, il suo sguardo uno sconfinato dolore." Una ragazza priva di passato alla ricerca di un luogo in cui non è mai stata, un mercenario dagli occhi di ghiaccio, quattro ombre senza volto che parlano di una leggenda ormai perduta.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco il terzo capitolo, in teoria il prossimo lo dovrei postare domenica; ancora una volta ringrazio di cuore Shirahime88 (sulla tua supposizione non mi pronuncio, ma ti assicuro che è tutto fuorché assurda. Comunque sei fin troppo buona con i complimenti!) e Rakyr il Solitario (esame già fatto, comunque grazie e crepi in ritardo^^). Buona lettura!




Capitolo 3: La voce delle Guardiane

-Lylen!
Aryen si voltò verso la propria sinistra, là dove il fiume senza fine scivolava placido verso l’infinito. Questa volta c’erano già tutte e quattro le ombre, in piedi sulle poche rocce che affioravano dall’acqua; i loro mantelli ondeggiavano sull’alito di un vento inesistente e nemmeno la luce rossastra da cui quello strano luogo era pervaso riusciva a penetrare l’oscurità dei loro cappucci per rivelarne i volti. Dall’angolazione delle loro teste sembrava che guardassero al di là della sua schiena, tuttavia Aryen era certa di non avere nessuno alle spalle.
-Chi siete?- chiese, senza riuscire a reprimere un brivido di paura.
La più alta di esse sollevò la testa, lasciando intravedere un paio di ciocche ramate nell’ombra del cappuccio, ma nessun volto.
-In passato siamo state chiamate in mille modi: Streghe, Maghe, Salvatrici…Ma noi siamo solo le Guardiane.- mentre la sua voce carezzevole mormorava di un tempo ormai caduto nell’oblio, Aryen la vide compiere qualche passo verso di lei, camminando senza problemi sull’acqua del fiume dorato. Subito una seconda ombra la raggiunse, appena meno aggraziata e sottile e di poco più bassa, ma altrettanto elegante nei movimenti e con i capelli color delle fiamme.
-Centinaia d’anni fa, prima ancora dell’avvento della Regina, alcune sacerdotesse entrarono in comunione con la Natura e riuscirono a piegare il suo potere alla loro volontà. Ebbre di magia, troppo stolte per poter controllare la loro ambizione, si servirono di questa forza primordiale per guadagnare la sovranità su quasi tutto il Continente. Queste cinque donne furono le prime Streghe. Le loro discendenti scelsero di utilizzare la loro magia per degli scopi nobili e non per puro egoismo, ma ormai era troppo tardi: la Natura da cui avevano preso il potere aveva deciso di punire l’ambizione degli esseri umani, generando la più cupa e spietata delle sue figlie, la Regina del Crepuscolo. Allora queste nuove Streghe promisero di porre rimedio all’errore commesso dalle loro antenate; presero come allieve le più giovani e promettenti sacerdotesse del loro villaggio, le istruirono sul rispetto della Natura, sulle leggi di cui essa è l’artefice, sulla forza primordiale della Terra, per prepararle al loro compito più importante.
Aryen chiuse gli occhi, stordita per quelle parole che risvegliavano in lei dei ricordi sopiti ed un passato di cui poteva intravedere solo le più tenui sfumature.
-Quale compito?
La terza ombra si fece avanti, i suoi capelli erano castani e la voce un po’ acuta, tipica di chi non si è ancora distaccato completamente dall’infanzia, dimostrava la giovane età.
-I poteri delle nuove Streghe non sarebbero bastati a sopraffare la Regina, allora, per salvare la razza umana, queste cinque fanciulle sacrificarono il loro corpo fisico, divenendo semplici rune imbevute di magia, le Pergamene della leggenda. Le sacerdotesse che avevano istruito avrebbero dovuto tramandare il loro sapere ad altre sacerdotesse, scelte tra le più pure giovani del villaggio, in modo che, quando la Regina del Crepuscolo avesse cominciato il suo sterminio, cinque Guardiane sarebbero state pronte a fermarla con il potere delle Pergamene.
L’ultima ombra, una figura snella come le precedenti ma con i capelli biondissimi, affiancò le sue compagne con un passo rapido e delicato, quasi stesse camminando sul soffio del vento.
-Le Streghe delle leggende non siamo noi, ma le Pergamene. Solo una Guardiana, una fanciulla istruita dalle Guardiane precedenti, poteva accedere alla magia in esse contenuta.
Nuovamente la figura più alta prese la parola.
-Noi Guardiane siamo solo le depositarie di un passato tanto lontano, coloro che dovranno mantenere la promessa delle Streghe. Dalle Pergamene traiamo il potere, grazie ad esse il nostro spirito è legato alla Terra e noi ne conosciamo la magia e la possiamo utilizzare.
-Tra tutte le generazioni di Guardiane, a noi toccò affrontare la Regina del Crepuscolo.- mormorò l’ombra dai capelli di fiamma. -Con il nostro sacrificio riuscimmo a sconfiggerla, ma non ad annientarla, ed ora Ella esiste ancora, pronta a rinascere, mentre noi siamo prigioniere in questo limbo, senza essere riuscite a tramandare la nostra conoscenza ad altre fanciulle.
-Le Streghe sapevano che il Crepuscolo avrebbe potuto sconfiggerci tutte. Per questo donarono il potere di rinascere a chi avrebbe usato la Pergamena.
-Così noi ci siamo radunate, pronte finalmente a tornare sulla Terra ed assolvere al nostro compito una volta per tutte.
-E tu devi unirti a noi, Lylen.
Aryen guardò smarrita le quattro figure che le avevano parlano, cercando invano di penetrare l’ombra dei loro cappucci.
-Perché io?- sussurrò, ma esse la ignorarono.
-Il nostro tempo però è agli sgoccioli.
-Adesso noi La sentiamo, si sta già risvegliando.
-Noi Guardiane rinasceremo in corpi di fanciulle e grazie alle Pergamene sconfiggeremo il Crepuscolo, questa volta per sempre.
-Ma dobbiamo essere in cinque per avere una speranza di vittoria.
Le ombre fecero un passo in avanti, apparentemente indifferenti alla ragazzina tremante a pochi metri da loro.
Anche se le loro teste non stavano guardando verso di lei, Aryen era certa di essere il bersaglio delle loro parole. Si guardò attorno, terrorizzata come mai le era successo prima, nonostante le quattro Guardiane non avessero mostrato alcuna intenzione ostile nei suoi confronti. Le sembrava di non poter respirare, l’oppressione derivante dalla loro presenza e dal continuo sovrapporsi delle loro voci la stava soffocando, scavava nella sua coscienza simile ad uno stiletto appuntito, più tagliente di una lama di ghiaccio.
-Cinque Guardiane con cinque Pergamene.
-Per questo abbiamo bisogno di te.
-Per questo devi ricordare.
- Svegliati, Lylen!

-Cosa farai una volta che avremo raggiunto le Rovine?
Erano passati due giorni dall’ultimo sogno ed il pensiero che entro breve il viaggio si sarebbe concluso rendeva Aryen inquieta e stranamente malinconica, al punto da farle esternare la propria angoscia in quella domanda improvvisa.
Il mercenario scosse le spalle.
Dopo le settimane passate assieme la ragazza aveva imparato a riconoscere i segnali impercettibili con cui il compagno rivelava inconsciamente il proprio stato d’animo: quel brusco movimento indicava chiaramente che si era irritato, anche se lei non riusciva a comprenderne il motivo.
-Non vuoi rispondermi?- domandò ancora.
Ravhen le lanciò una delle sue solite occhiate impassibili.
-Perché dovrebbe interessarti?
Aryen si fermò all’improvviso.
-Perché non dovrebbe?! Io… credo che tu sia il mio unico amico.
L’uomo sbuffò.
-Probabilmente mi farò assumere come guardia del corpo da qualche ricco signore.- rispose con una smorfia –Non crederai mica che vorrò accompagnarti per qualche altra assurda ricerca, spero!.
Una mano si posò sulla sua, mentre gli occhi castani della ragazza lo cercavano.
-Se pensassi davvero che è assurda non mi avresti seguito.- mormorò, con un sorriso appena accennato agli angoli della bocca.
Ravhen contrasse le mascelle, intimamente irritato dal fatto che lei riuscisse a leggere tanto in profondità nel suo animo. Era da qualche giorno, non appena si era reso conto di quanto la meta del loro viaggio fosse vicina, che un sordo turbamento aveva cominciato a strisciargli nel petto, subdolo e velenosamente pungente come le zanne di una serpe. Solo il pensiero di dover abbandonare la compagna gli causava una spiacevole sensazione, difficile da definire, e, per un mercenario della sua risma, da sempre abituato a vivere unicamente per se stesso e senza alcun legame con le altre persone, quel disagio quasi doloroso era semplicemente inaccettabile.
-Non pensare di capirmi, stupida ragazzina. Tu non sai niente di me!- sbottò, ritirando la mano in modo da cancellare il caldo tocco delle sue dita sottili sulla propria pelle.
Ferita dalle sue parole, Aryen gli diede le spalle per non mostrargli le sue lacrime.
Un sibilo improvviso mise sull’attenti il mercenario, che la trascinò a terra con sé, coprendola con il proprio corpo mentre una freccia passava a pochi centimetri dalla sua schiena, per poi infrangersi contro un albero. Un secondo più tardi l’uomo era in piedi, con la spada sguainata e lo sguardo fisso su un trio di guerrieri appena apparso dal folto del bosco.
-Ravhen, guarda chi si vede!- esclamò quello che sembrava il capo.
Il mercenario lo squadrò un paio di secondi, riconoscendo in lui un vecchio compagno d’armi in una delle tante guerriglie a cui aveva preso parte, prima di rivolgere la propria attenzione al gruppo di alberi da cui era provenuta la freccia.
-Zod.- salutò con un cenno del capo, privo di alcuna cordialità.
-Non immaginavo di trovarti in simili luoghi, ma questo semplifica le cose.- commentò lui con un sorriso minaccioso -Se ti fai da parte mentre noi ce la spassiamo con la ragazza, poi potremmo anche pensare di restituirtela viva. O magari potresti unirti a noi, che ne dici?
Ravhen strinse la mani sull’impugnatura della sua spada.
-Forse non hai calcolato che quando mi prendo un impegno come guardia del corpo io lo mantengo fino alla fine.
Dietro di lui sentì Aryen accostarsi alla sua schiena, spaventata.
-Scappa.- le sibilò, senza nemmeno muovere le labbra.
Non appena la ragazza fece il primo passo per allontanarsi dai tre briganti, Ravhen si gettò verso di loro.
Con un movimento tanto rapido da risultare quasi impercettibile, trasse un pugnale dal piccolo fodero che portava sulla coscia sinistra e lo indirizzò verso il quarto uomo del gruppo, un arciere seminascosto dalla vegetazione, colpendolo al petto; poi ebbe appena il tempo di brandire la spada con entrambe le mani, e cominciò lo scontro.
Per un attimo parve che lui, da solo, riuscisse a tener testa a tutti i nemici, tuttavia suoi tre antagonisti erano mercenari del suo stesso stampo, non semplici briganti a stento capaci di utilizzare un’arma, così in breve tempo si ritrovò sopraffatto. Un violento pugno alla mascella lo stordì quel tanto che bastava per rallentargli i riflessi, e subito un fendente lo raggiunse al braccio, lacerando la carne in un crudele istante di freddo baluginio metallico e sangue.
Con un urlo di dolore, Ravhen si ritrasse, lasciando un varco nella propria guardia, e, con un paio di potenti stoccate, i suoi antagonisti riuscirono a disarmarlo. Il giovane guerriero fece appena in tempo a colpire con un calcio l’inguine dell’uomo più vicino, prima che il suo secondo avversario gli arrivasse addosso, deciso a non lasciargli nemmeno il tempo di riprendere la propria arma. Travolto dall’impeto del guerriero, cadde a terra, trascinandolo con sé, le proprie mani strette alle sue per fermare la spada che stava per calare sulla sua testa.
Certo ormai di aver vinto, Zod si allontanò dallo scontro, lasciando il vecchio compagno in balia dei suoi alleati per raggiungere la ragazza, ferma a diversi metri da lui con gli occhi sgranati per il terrore.
Un’ondata di collera e paura invase Ravhen non appena comprese le intenzioni dell’uomo, uno spasmodico desiderio di fermarlo ad ogni costo, che gli donò nuove energie per continuare a lottare. Con uno sforzo sovrumano, riuscì a liberarsi del suo avversario ed a rimettersi in piedi, per poi colpirlo al volto con un pugno abbastanza violento da lasciarlo tramortito per qualche secondo. Ignorando il brigante che aveva colpito all’inguine ed ora si stava preparando nuovamente ad attaccarlo, si diresse verso la propria compagna, per la prima volta nella sua vita da mercenario seriamente preoccupato per l’incolumità di un’altra persona.
Aryen urlò quando si sentì afferrare da dietro da uno degli aggressori, ma Ravhen, più rapido del vento, lo trafisse alla nuca, per poi porsi davanti a lei, la spada sguainata, rossa del sangue di Zod, nuovamente pronta a colpire ed a portare impietosamente la morte tra chi osava sfidarne il taglio.
-Non lascerò che uno di voi bastardi la tocchi neanche con un dito.- ringhiò, allargando le gambe in una posizione più stabile.
La ferita al braccio gli pulsava come se una scarica di fuoco liquido stesse percorrendo i suoi nervi dal gomito fino alla spalla, tuttavia, dopo anni di combattimenti all’ultimo sangue, si era abituato a controllare il dolore ed isolarlo in una parte remota della sua mente, per non perdere la propria concentrazione.
Mentre uno degli uomini rimanenti si rialzava barcollando, ancora stordito per pugno ricevuto, ed il suo compare gli si affiancava, deciso ad avvantaggiarsi della superiorità numerica, Ravhen li attese senza battere ciglio.
Il mercenario più vicino lo attaccò con una finta, a cui lui rispose con una parata tanto energica da sbilanciarlo; approfittando della sua momentanea perdita d’equilibrio, riuscì poi a ferirlo profondamente ad un braccio, tuttavia la presenza del suo secondo antagonista non gli consentì di sferrargli il colpo di grazia.
Ben presto, incalzato da due avversari, si ritrovò costretto ad indietreggiare, alla ricerca di una roccia a cui appoggiare la schiena per non essere circondato; tuttavia, sentendo che la ferita gli stava pian piano intorpidendo il braccio sinistro, indebolendolo nel contempo a causa della perdita di sangue, comprese di dover concludere il combattimento il prima possibile.
Finse di incespicare su una pietra e, non appena il mercenario più vicino lo attaccò con un fendente, certo di aver trovato un varco nella sua guardia, si limitò a compiere un passo a lato per poi affondargli la lama nel ventre. Incurante delle sue grida di dolore, estrasse la spada per parare la stoccata del suo secondo avversario.
Senza nemmeno dargli la possibilità di attaccare una seconda volta, si esibì in una rapida finta, che lo trasse in inganno e gli permise così di colpirlo al cuore.
L’uomo crollò al suolo senza un gemito, tingendo di rosso l’erba sulla quale era caduto.
Ancora ansante per l’adrenalina dello scontro appena concluso ed il dolore alla ferita, Ravhen trovò finalmente il tempo per guardarsi attorno: dei suoi quattro avversari, tre erano immobili a terra in una pozza di sangue, mentre il quarto, ferito all’addome ma non ancora morto, si muoveva debolmente nel vano tentativo di sfuggire all’atroce sofferenza che gli attanagliava le viscere. Senza la minima esitazione gli piantò la spada nella gola.
Non appena ebbe estratto l’arma dal corpo inerte del suo nemico, si volse verso la sua protetta, preoccupato.
Aryen era immobile, con i pugni contratti ed il volto segnato dalla paura. Perfino quando lui le si avvicinò, appoggiandole la mano sana sulla spalla, non smise di tremare, come se ancora non si rendesse conto di trovarsi al sicuro.
Solo quando alcune gocce del sangue del suo protettore le macchiarono la tunica immacolata, parve risvegliarsi all’improvviso. Subito estrasse dalla propria sacca alcune erbe che aveva raccolto e seccato durante il viaggio e, sminuzzandole in una ciotola assieme ad un po’ d’acqua, ottenne un impasto denso e leggermente profumato di menta. Senza prodigarsi in spiegazioni, stese sulla ferita l’unguento appena ottenuto e dopo qualche secondo il mercenario sentì con sollievo che le fitte al braccio cominciavano a spegnersi in un dolce torpore, mentre l’arto diventava quasi insensibile.
-Cos’è quest’intruglio?
-Una pomata curativa che ho imparato a creare nel mio villaggio, dovrebbe farti guarire entro pochi giorni.- rispose lei senza guardarlo, poi prese dalla sacca la propria tunica di ricambio e ne strappò un brandello, in modo da potergli fasciare la ferita, ma le sue mani tremavano tanto che riusciva a malapena a stringere il lembo di stoffa.
-Posso fare da solo.- mormorò Ravhen con dolcezza.
Si allontanò di un passo, ultimando con dita esperte quel rozzo bendaggio sul suo braccio.
Mentre lui le dava le spalle, la ragazza scoppiò in singhiozzi all’improvviso, con una violenza ed una disperazione tali che il guerriero smise di controllare la fasciatura per andarle vicino. La abbracciò con fare impacciato, timoroso di spaventarla con i propri modi bruschi, tipici di un mercenario.
-Piccola, guarda che è finito. Sono morti, non possono più farti del male.- le mormorò, accarezzandole la schiena.
Aryen passò delicatamente le dita sulle bende che gli circondavano il braccio, mentre un’altra lacrima le solcava la guancia
-Ma a te sì, te l’hanno già fatto.
Ravhen la scostò dolcemente dal proprio petto, fissandola stupito non appena comprese il significato delle sue parole. Con una strana sensazione all’imboccatura dello stomaco si mise a studiare la prima persona in assoluto che piangeva e si preoccupava per lui.
-Questa sarà solo un’altra cicatrice, c’è di peggio nella vita.- disse in tono leggero, ma la ragazza parve non ascoltarlo nemmeno.
-Io non voglio che tu muoia per me.- singhiozzò, aggrappandosi alla sua maglietta come se temesse di perderlo all’improvviso.
Rimase con il volto appoggiato al suo cuore per un tempo che al mercenario parve infinito, senza parlare né muoversi, pervasa da un pianto silenzioso. Quando infine sollevò la testa per incontrare i suoi occhi, Ravhen ebbe un sussulto: l’espressione nel suo volto era tanto bella ed indifesa da risultare quasi dolorosa, i suoi lineamenti da bambina rispecchiavano una tristezza sconfinata e per un attimo gli parve di cogliere un bagliore di affetto allo stato puro in quegli occhi di un castano quasi dorato.
Le accarezzò una guancia, spezzando in minuscoli frammenti l’ultima delle tante lacrime che gli avevano inumidito il petto, ancora incredulo di essere la causa di un simile dolore.
-Non credevo avessi così poca fiducia in me.
Sentì il suo respiro contro il proprio collo, mentre Aryen lo abbracciava di nuovo, affondando il volto umido nella sua spalla, quasi per lei rappresentasse l’ultimo appiglio di salvezza.
-Non devi… morire per causa mia.- ripeté ancora, in un mormorio appena udibile.
Ravhen la strinse a sé.
-Cosa ti fa pensare che io abbia intenzione di farmi uccidere?- le sue labbra si allargarono in un cinico sorriso privo di alcuna allegria -Sono un mercenario, ragazzina. Non muoio gratis.

   
 
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