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Autore: Dreamer91    06/03/2013    3 recensioni
E se il destino avesse voluto che in una città tanto grande come New York, due ragazzi dalle vite completamente diverse, finissero con l'abitare a meno di tre metri di distanza... sullo stesso pianerottolo?
Dal Capitolo uno:
"Stai scherzando spero!" mormorai
"Perché scusa? Non ci sono topi né prostitute per strada... per quanto riguarda i vicini non so... non li ho interrogati... però..."
"Sebastian!" lo bloccai passandomi una mano sul viso "Lower East Side... sul serio?"
"Non ti seguo, B..." mi fece visibilmente confuso slacciandosi la cintura
"Bastian dovrò vendermi un rene per pagarmi l'affitto... e quando avrò terminato gli organi, mi toccherà scendere in strada e fare compagnia a quelle famose prostitute per andare avanti!" gli spiegai concitato.
(...)
"Non fare l'esagerato Blaine... questa volta penso di aver trovato il posto giusto per te! Coraggio, scendi che te lo mostro!" mi incitò scendendo dall'auto e raggiungendomi sul marciapiede
"Anche l'ultima volta lo pensavi, Seb... e siamo dovuti scappare a gambe levate da un travestito in minigonna e tacchi a spillo!" gli ricordai lanciando un'occhiata al palazzo color porpora - innocuo e all'apparenza rispettabile - che si stagliava per ben quattro piani davanti a noi.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Just a Landing'
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Buonasera a tutti... chiedo scusa per il ritardo (e quando mai XD) ma questa volta la colpa è esclusivamente attribuibile a me e al fatto che non ami in maniera particolare la coppia di Tina e Mike.. che i loro sostenitori non si offendano ma proprio non riesco ad immedesimarmi in loro e per questo è venuta fuori questa cosa.. cortissima rispetto agli altri epiloghi e soprattutto bruttissima... mi vergogno quasi a pubblicarla ma mi rendo anche conto che non posso fossilizzarmi su questo capitolo altrimenti questa storia non la chiudo più XD quindi se potete, perdonatemi e fatevi una rilettura della Seniel dopo così cancellate i brutti pensieri che vi verranno leggendo questo epilogo ^_^ dunque, vorrei precisare una piccola cosa... ho notato che alcuni di voi non hanno capito bene cosa c'entrassero gli epiloghi degli altri personaggi con la storia principale... diciamo che lo scopo principale di questo progetto era inizialmente dare una fine compiuta a tutta la storia, personaggi secondari inclusi perchè d'altronde anche loro avevano dato il loro contributo alla coppia Klaine e quindi in un certo senso mi sentivo in debito con loro, volevo che avessero tutti un happy ending.. e poi principalmente perché non è ancora chiaro nella mia testa se ci sarà o meno il seguito di questa storia quindi era bene mettere un punto definitivo (o almeno per il momento) e chiudere ognuna delle situazioni lasciate aperte.. ecco il perché degli epiloghi sugli altri personaggi benché fosse una storia Klaine.. ^_^ spero di essere stata chiara e come sempre vi ringrazio di vero cuore per le magnifiche recensioni (ho voglia di rispondervi ma.. ç___ç non ho tempooooo ç___ç me misera!) sappiate che le adoro tutte dalla prima all'ultima e che ogni volta mi date un po' di vita con le vostre bellissime parole. Vi mando un bacio immenso e.. ci vediamo, spero domenica, con la Wemma. Ciaoooooo
P.s. Era quella più difficile, ma è decisamente l'immagine più bella di tutte... l'unica cosa che valga la pena guardare in questo scempio di capitolo XD *___* more... grazie. (Ovvio, la Seniel non ha paragoni ^^)
N.B. Pagina Fb (Dreamer91 )

Epilogo n°7

Tina & Mike
"Come una principessa"



New York City. Ore 11.12 A.M. 09 Maggio 2012 (Mercoledì)


Quel giorno il sole su New York splendeva in maniera particolare. La Primavera era nel pieno della sua meraviglia e i profumi che si sentivano tra le strade, oltre ovviamente al solito opprimente smog, erano davvero bellissimi. Adoravo camminare tra le bancarelle del marcato del quartiere tra frutta e verdura tipiche di quel periodo, immaginando che tipo di nuovo piatto poter creare e a chi proporlo. Peccato solo che, dopo essermi fatta prendere dal più vivido entusiasmo, finisse tutto in un nulla di fatto per colpa del mio portafoglio perennemente vuoto e la necessità di acquistare prima di tutto i beni di prima necessità.
Era davvero assurdo ridursi a fare economia alla mia età, con una città del genere ai miei piedi solo che negli ultimi anni non me l'ero mai vista particolarmente felice sul punto di vista finanziario. New York, per quanto bella e colorata, era una città molto cara e per chi come me non riusciva a trovare grandi lavori, era davvero un problema sopravviverci. Volevo un bene dell'anima a Rachel e alla piccola Lea ed era davvero un piacere per me farle da baby-sitter una volta ogni tanto, ma quei pochi soldi che mi dava non riuscivano di certo a cambiarmi la vita, né tanto meno avevo mai preteso qualcosa in più. Sapevo che anche lei non avesse un lavoro e che mi chiedesse di tenerle la figlia esclusivamente per farmi un favore, facendomi guadagnare qualcosa. Avevo portato il mio curriculum in più di un negozio per fare la commessa, in alcuni studi di liberi professionisti come segretaria e mi ero perfino spinta nel quartiere di China Town, sperando che, trattandosi di nazionalità simili, loro potessero aiutarmi, e invece quel viaggetto fuori porta mi aveva solo convinta maggiormente del fatto che avere tratti orientali, fosse la mia più grande congiura. Se magari fossi nata prosperosa, con un bel sedere e con due gambe chilometriche, forse non avrei avuto difficoltà a trovare un bel lavoro.
Probabilmente è meglio avere integra la dignità a questo punto...
Svoltai l'angolo della mia strada, stringendo le buste della spesa e sbuffando leggermente per la fatica e per il caldo che iniziavo ad avvertire sotto i vestiti. Avrei affrettato volentieri il passo per arrivare prima a casa e buttarmi sotto la doccia, ma non ero nelle condizioni fisiche ideali per farlo. Tanto valeva stringere i denti ancora per qualche metro, tanto il portone del mio palazzo non era poi tanto lontano. Si intravedevano già i quattro scalini e la ringhiera nera, la sagoma della moto di Blaine parcheggiata accanto al marciapiede, l'alberello mingherlino e storto che spuntava dall'aiuola accanto al palazzo, la limousine nera accostata ad un lato, il solito gattone nero che soffiava aggressivo quando gli passavo accanto, il solito... no, aspetta un attimo. Limousine nera?
Quella volta il passo lo affrettai davvero perché, nonostante fossi una ragazza particolarmente discreta, era comunque un caso eccezionale vedere una macchina del genere parcheggiata sotto il mio palazzo. Non ne avevo mai vista una dal vivo e dovevo ammettere che fosse particolarmente bella ed elegante. Era tirata a lucido e si vedeva chiaramente quanto il proprietario ci tenesse all'apparenza. La domanda che a quel punto mi sorse spontanea fu: per chi era quella limousine? Per Kurt, che ormai era entrato nello sfavillante mondo della moda e quindi magari avrebbe avuto bisogno di quella d'ora in poi per muoversi? Di Blaine che invece aveva ottenuto un contratto discografico per la sua bella voce? Per Rachel e Lea? Era di Finn che voleva fare una sorpresa a queste ultime? Artie Abrams che, dopo non essere uscito per mesi interi, si concedeva quel tipo di lusso?
Chiunque sia... fortuna sua..
Proprio in quel momento, mentre passavo accanto alla macchina e mi arrischiavo a dare un'altra occhiata all'interno - ovviamente era dotata di vetri oscurati, figurarsi! - mi accorsi della figura elegantemente vestita, poggiata alla carrozzeria dell'auto, con tanto di cappello di servizio e occhiali da sole. Era l'autista, poco ma sicuro e aveva tutta l'aria di essere lì in attesa del suo passeggero. Gli rivolsi un leggero sorriso - un po' tirato, dovuto all'invidia per chiunque fosse salito su quella macchina - per poi avvicinarmi alle scale e tentare di recuperare le chiavi del portone, senza posare per terra le buste. Ma in quel momento accadde qualcosa:
"Signorina Cohen-Chang?" a causa dello spavento, per poco non mi scapparono le buste dalle mani. Mi girai leggermente, ritrovandomi il tizio di prima, l'autista della limousine, con il cappello tra le mani e un sorriso cordiale sul viso
"Uhm... sì?" esitai leggermente, chiedendomi cosa diamine volesse quel tipo da me e soprattutto perché sapesse il mio nome. Voleva per caso chiedermi qualche informazione? Voleva rapirmi e poi uccidermi?
Guardo troppe puntate di Criminal Minds..
Il suo sorriso si allargò leggermente e mi porse la mano
"Il mio nome è Taylor, signorina. Stia tranquilla, la prego. Non è mia intenzione spaventarla né tanto meno farle del male!" mi avvertì portando le mani in avanti per giustificarsi. Il mio cuore rallentò appena i battiti: beh, almeno non era un maniaco.
Sveglia Tina... i maniaci non andrebbero mai in giro con una macchina del genere...
"Posso esserle d'aiuto in qualcosa?" domandai incuriosita, lanciando un'altra occhiata inquieta verso la limousine nera e lucida. Taylor si rimise il cappello in testa ed indicò con un cenno l'auto
"Sì... in realtà dovrebbe seguirmi, se non le dispiace." rispose con molta tranquillità.
Eh?...
"Eh?"
"Sono stato incaricato dal mio capo di venirla a prendere sotto casa per portarla da lui. Ci attende nel suo studio." spiegò, per niente infastidito dalla mia titubanza. Era stato incaricato di venirmi a prendere? Portarmi nel suo studio? In limousine? Il suo capo?
"Mi scusi... si può sapere chi... è che la manda?" gli chiesi confusa, con le guance che andavano leggermente arrossandosi per lo sforzo e il caldo. Le buste della spesa ancora pesavano tra le mani ed io tergiversavo in quel modo invece di girare i tacchi e tornarmene a casa. Lui sorrise ancora, un sorriso smagliante, un sorriso di chi sa di avermi già convinta a prescindere da tutto. E quello che mi disse dopo, ebbe il potere di farmi arrossire ancora di più e farmi perdere la presa attorno alle buste
"Il signor Michael Chang Jr!"

New York City. Ore
11.45 A.M. 09 Maggio 2012 (Mercoledì)

Ogni bambina al mondo con un po' di sana immaginazione, deve necessariamente essersi chiesta cosa si provi a sentirsi delle principesse. La carrozza con i cavalli, il cocchiere ad accompagnarla al ballo, il vestito elegante, le scarpe di cristallo - che si spera di portare integre fino alla fine e non perderle da nessuna parte - e quella piacevole agitazione che stringe lo stomaco, ma tutto sommato messa da parte dalla gioia dovuta al pensiero del principe azzurro che aspetta, al di fuori di quella sala addobbata, con il sorriso innamorato e la speranza di un futuro sereno da condividere. Ebbene, ero stata bambina anche io ed avevo sognato le stesse identiche cose anche se, crescendo, quelle cose mi erano sembrate stupide ed insensate e avevo capito che fosse decisamente più importante arrivare alla fine del mese, piuttosto che sperare di calzare bene la scarpina di cristallo.
Eppure... una sorta di cocchiere quel giorno era seriamente venuto a prendermi sotto casa, e mi aveva fatta accomodare in una carrozza - molto più comoda, molto più lussuosa, decisamente più moderna - e mi stava portando in un luogo misterioso, nel quale avrei potuto trovare il mio principe, o al massimo la matrigna cattiva che con una risata mi avrebbe rispedita a casa. Sinceramente non sapevo cosa sarebbe stato più sbagliato augurarsi.
Michael Chang... ancora mi veniva da arrossire soltanto nel sentire pronunciare quel nome: avevo conosciuto quell'uomo disinvolto ed elegante al party organizzato in onore di Kurt e Blaine a casa di quest'ultimo, dato che era stato il capo di Kurt prima che questo vincesse il concorso di moda. In realtà quella non era stata la prima volta in cui lo avevo notato: anche durante la sfilata, lui c'era... era tra i giudici e con grande sorpresa ed imbarazzo mi ero vagamente resa conto di come i suoi occhi si fossero fatti più intensi, mentre sfilavo su quella passerella con il mio abito scollato sulla schiena, cercando di non sorridere troppo, di non correre, di non inciampare. Ed era stata in quell'occasione che i suoi occhi scuri si erano posati su di me, facendomi sentire vagamente una principessa, benché non ne avessi minimamente l'aspetto. Anche in quel momento, mentre ero compostamente e timidamente seduta su quel sedile di pelle della limousine nera, mi sentivo un po' regale... immaginavo cosa pensassero da fuori, vedendo sfilare una macchina del genere - nonostante a New York capitasse non di rado - e magari qualcuno avrebbe perfino provato a sbirciare all'interno chiedendosi quale attrice, quale cantante o quante modelle ci fossero all'interno. Peccato che in ogni caso avrebbero sbagliato previsione: in quella macchina tanto elegante, c'era una ragazza niente affatto speciale, molto anonima in realtà, con nessun talento e con pochissime speranze per il futuro. Ero un po' l'emblema della società moderna, così strana e precaria, e sapevo anche che molti si sarebbero potuti rispecchiare in me, piuttosto che nelle modelle o nelle attrici. Dunque nessuna principessa, nessun ballo reale, nessun vestito sontuoso. Semplicemente una qualsiasi Tina Cohen-Chang e un qualsiasi Michael Chang Jr... oddio.. lui non era affatto uno qualsiasi, anzi.
Era un uomo interessante, posato, educatissimo, molto raffinato e tranquillo nel suo modo di fare. Nonostante fosse un uomo palesemente ricco e molto, molto importante, durante la festa non era sembrato affatto seccato di rivolgermi la parola: era stato molto naturale, molto disteso e soprattutto era stato capace di mettermi a mio agio con poco, lasciandomi parlare molto e sorridendo davvero spesso.
E che bel sorriso che aveva....
Scossi la testa energicamente, sentendo di nuovo le guance arrossire: che diavolo mi mettevo a pensare? Fantasticavo su un uomo che neanche conoscevo? Certo, era molto affascinante, ben vestito, educato, cortese, un uomo di altri tempi ma... era pur sempre uno sconosciuto e nonostante avesse mandato una macchina - una limousine, Tina - a prendermi sotto casa.. rimaneva tale.
Mi ero chiesta più volte, mentre la macchina percorreva le strade trafficate di New York, cosa volesse Michael Chang da me. Certo, quella sera avevamo parlato tanto ed eravamo stati molto bene, ma addirittura pensare di rivedersi... mi sembrava davvero bizzarro. A dirla tutta non ricordavo neppure cosa ci fossimo detti di preciso alla festa, tanta l'euforia e la gioia che provavo per Kurt, quindi non riuscii a formulare nessuna ipotesi concreta se non il... no, non dovevo farlo, non dovevo illudermi inutilmente. Il principe non esisteva ed io dovevo farmelo entrare bene in testa una volta per tutte.
La macchina si fermò una decina di minuti più tardi in un quartiere che non conoscevo, un quartiere che pareva molto essere un centro direzionale, o comunque un business square: i grattacieli erano particolarmente alti, le macchine che circolavano - poche in realtà ed era strano per una città del genere - erano di lusso, esattamente come quella limousine, e c'erano pochissimi negozi, molto raffinati di marche veramente famose. Eravamo in un quartiere prestigioso, probabilmente dell'Upper Class, dato che non mi era parso avessimo abbandonato Manatthan. Taylor spense il motore e come un fulmine si avvicinò alla mia portiera per aprirla e tendermi la mano. Arrossii violentemente per quella galanteria inaspettata e infatti trovai non poche difficoltà ad allungare la mia mano per stringere la sua ed uscire integra dall'auto. Avevo paura di inciampare e fare una pessima figura, ma per mia fortuna non fu così.
Seguii l'uomo in divisa fino all'ingresso di un elegante grattacielo interamente fatto in vetro e mi meravigliai non poco del fatto che ignorasse completamente il concierge all'ingresso e si dirigesse spedito verso l'ascensore, ma continuai a stargli dietro senza fiatare, limitandomi a lanciare occhiate stupite in giro perché tutto quel lusso esagerato era davvero... beh.. esagerato. Mi sentivo fuori luogo in un posto così, temevo di combinare qualche danno, di inciampare e rompere qualcosa, magari perfino far arrabbiare qualcuno. Quelle come me posti del genere li sognavano e forse neanche nei sogni sarebbero stati così perfetti: il lampadario di cristallo, il tappeto rosso perfettamente morbido e pulito, i facchini con le divise impegnati a portare a destra e a manca carrelli colmi di valigie e poi c'ero io, con la mia insulsa gonnellina gialla, la mia camicia bianca anonima, i miei stivali e l'espressione spaesata. Ma forse anche Cenerentola prima dell'arrivo della fata aveva il mio aspetto. Magari con un po' di magia, anche io sarei potuta migliorare e diventare adatta per un luogo del genere.
L'ascensore - che ovviamente al suo interno aveva un addetto apposito per pigiare i tasti! - ci portò fino al settantaquattresimo piano e per me fu davvero una tortura attendere così tanto, data la mia leggera forma di claustrofobia e soprattutto la paura presa di recente nell'ascensore del mio palazzo. Solo che lì non eravamo in una vecchia cabina malridotta e magari l'uomo in divisa che premeva i tasti, sapeva anche qualcosa in meccanica e avrebbe potuto salvarmi se fossimo rimasti bloccati dentro.
Nel caso.. chiamate Will e Finn... loro sapranno come fare..
Arrivati al piano con un leggero e morbido tunf, le porte automatiche si aprirono su un lungo corridoio bianco e sobrio e mi preparai a seguire nuovamente Taylor per sapere che direzione prendere e invece...
"Prego signorina Cohen-Chang... percorra il corridoio alla sua destra fino alla fine. La porta in fondo è quella dello studio del Signor Chang.. la sta già aspettando!" mi spiegò sorridendomi di nuovo cordiale e mantenendo ferme le porte dell'ascensore. Quella volta invece di arrossire sbiancai completamente: che cosa significava percorra il corridoio? Dovevo... andarci da sola?
"Lei non..."
"Mi spiace, ma ho del lavoro da sbrigare e poi devo riportare la macchina al garage!" mi rispose, senza che io avessi formulato alcuna domanda sensata. Tentai un'occhiata disperata, cercando di supplicarlo e di fargli capire che non poteva assolutamente abbandonarmi lì, al mio destino, dopo avermi prelevata con l'inganno. Come minimo esigevo un sostegno morale fino alla porta e magari perfino una mano forte che avrebbe bussato al posto mio. Ma lui non sembrava intenzionato a cedere e preferii uscire dalla cabina, senza infastidire troppo l'altro uomo in divisa che ci guardava leggermente seccato. Salutai Taylor con un piccolo cenno imbarazzato - e lui mi rispose con un altro sorriso - e rimasi fissa nel corridoio, fino a che il piccolo display sulla cabina non iniziò la rapida corsa verso il pianterreno. Finalmente lanciai un'occhiata al corridoio davanti a me, quello sulla destra come aveva indicato Taylor e per poco non mi sentii male alla consapevolezza che, alla fine di tutto, ci sarebbe stato lui ad aspettarmi.
La sta già aspettando...
Mi imposi la calma mentre i piedi avanzavano da soli, guidati da una strana forza misteriosa, uno davanti all'altro, ignorando completamente le altre porte chiuse di quel corridoio e concentrandomi esclusivamente sull'ultima, quella più grande, quella che sembrava quasi risplendere di luce propria, quella che nascondeva un ipotetico principe. Riuscii ad arrivarci integra, nonostante il cuore stesse battendo a velocità sconsiderate e le mani avessero iniziato a sudare spropositatamente: tentai di sistemarmi velocemente, allisciando con le mani i capelli e i vestiti, e maledicendomi mentalmente per non essermi messa neanche un filo di trucco quella mattina. Ma d'altronde, ero uscita per andare a comprare le banane e l'insalata, non di certo per incontrare un uomo del genere. Per un momento pensai addirittura di fare dietro front e scappare, magari prendendo le scale, perché davvero non riuscivo a trovare il coraggio neanche per bussare figuriamoci per parlargli e fui davvero sul punto di farlo, quando all'improvviso la porta si aprì e mi ritrovai davanti agli occhi la perfetta riproduzione dell'uomo elegante e raffinato - e bellissimo! - che rimbalzava nei miei pensieri leggermente sbiaditi. Era lì, a meno di un passo da me e mi ritrovai immediatamente a pensare che i miei ricordi non gli rendessero affatto giustizia.
"Oh... salve!" mi salutò, aprendosi in un sorriso allegro, che non aveva nulla a che vedere con quelli che mi aveva rivolto Taylor fino a poco prima. Quelli dell'autista in confronto sembravano inutili smorfie seccate. Ovviamente, neanche a pensarci, arrossii ancora
"S-s-sal-ve.." balbettai stringendo il tessuto della gonna, tanto per aggrapparmi a qualcosa, con la speranza di non cadere. Lui si fece da parte, indicando con un gesto ampio lo studio alle sue spalle
"Prego.. accomodati pure." mi disse gentilmente e solo in quel momento mi ricordai che quella sera avevamo anche deciso di darci del tu e lui mi aveva chiesto di chiamarlo Mike. Non Chang, non signore... solo Mike. Annuii brevemente, abbassando gli occhi sul parquet scuro e avanzai verso una delle poltrone di pelle, sentendo il suo sguardo addosso. Trovarmi nella stessa stanza con lui fece un effetto che non mi sarei mai aspettata: un conto era stato parlarci, attorniati da altre venti persone ed un altro sarebbe stato in quel momento intrattenere una conversazione soltanto con lui, senza altre distrazioni, senza possibilità di fuga e senza neanche sapere per quale motivo fossi lì. Mi aveva fatta chiamare lui quindi immaginai che dovesse essere lui ad iniziare. E per mia fortuna, lo fece davvero.
"É un piacere rivederti, Tina. Come stai?" mi domandò, prendendo posto accanto a me, sulla poltrona di fianco. Alzai gli occhi sorpresa, perché non si era seduto alla sua scrivania... lo aveva fatto accanto a me e in quel momento sembrava molto più un uomo comune vestito bene, che un importante e ricco industriale.
"Bene, grazie. Tu?" ignorai volutamente la prima parte della sua frase, il fatto che gli facesse piacere avere di nuovo a che fare con me, concentrandomi invece sulla domanda che era molto semplice e molto poco compromettente. Per poco, però, il sorriso che mi rivolse non mi fece collassare sul pavimento
"Non posso lamentarmi." e chissà per quale motivo ridacchiò. Strinsi le mani in mezzo alle ginocchia e tentai un sorriso, che mi uscì fuori timido ed impacciato, ma lui evidentemente lo prese per buono perché ne approfittò per sporgersi leggermente verso di me, poggiando i gomiti sulle ginocchia
"Ti sarai chiesta come mai ti ho fatta venire qui." mormorò squadrandomi per bene, leggermente curioso. Avrei voluto fargli presente che non c'ero arrivata con le mie gambe, mi aveva mandato una limousine con tanto di autista incorporato, quindi non era il caso di sentirsi così in colpa. Ma non lo feci. Mi limitai ad annuire e a far trasparire un po' di quella curiosità che in fondo sentivo agitarmi dentro.
"Avrei una proposta da farti!" esclamò risoluto, facendomi sgranare gli occhi.
"Una.. proposta?" ripetei e senza alcun motivo preciso, mi ritrovai ad arrossire. Lui annuì e sorrise ancora. Ma cosa avevano quel giorno tutti quanti? Tutta quella voglia di sorridere da dove la prendevano? Anzi... cosa si prendevano per sorridere così? E soprattutto.. cosa mi voleva proporre Michael Chang Jr? Era una cosa illegale? Era una cosa a luci rosse - oddio per piacere, Tina.. smettila! Era una presa in giro? Qualsiasi cosa fosse, mi aveva messo addosso parecchia curiosità, tanto che mi mossi nervosamente sulla sedia, in attesa di spiegazioni. Lui fece un profondo respiro, lanciò un'occhiata al suo orologio da polso, dopodiché, neanche a dirlo, sorrise di nuovo
La prossima volta che lo fai, mi viene un infarto...
"Ti andrebbe di pranzare insieme?" mi domandò allegro, come se quella fosse l'idea migliore di sempre. Rimasi un attimo spiazzata perché non mi aspettavo una domanda così diretta
"E... sarebbe... questa la proposta che volevi farmi?" domandai esitante ma lui scoppiò a ridere
"Ma no, certo che no! Era solo un'idea per poter discutere più comodamente." mi spiegò divertito
Oh...
Bene, io e lui e pranzo insieme. Io e lui seduti allo stesso tavolo. Io e lui a parlare di una fantomatica proposta che avrebbe dovuto farmi. Io e lui in quale lussuoso ristorante di Manatthan. Io e lui... io e lui... io e lui.
"Oh... ehm..."
"Se hai altro da fare, non c'è problema. Possiamo rimandare a stasera a cena o ad un altro momento.. dimmi tu!" tentò di mettermi a mio agio, spiegandosi velocemente. Beh, la domanda era... avrei voluto condividere con lui il pranzo o la cena? Di giorno o di notte? Struccata e sciatta o perlomeno sistemata e curata?
"No, no... va bene anche ora!" concessi, sciogliendomi in un sorriso che fu subito imitato dal suo. Solo che su di lui donava molto di più
"Ottimo... davvero ottimo!"

New York City. Ore 01.03 P.M. 09 Maggio 2012 (Mercoledì)

Le mie previsioni non si erano affatto avverate: Mike non mi aveva portata in un ristorante di alta classe, né in un luogo in cui mi sarei potuta sentire una perfetta idiota nei miei abiti anonimi. Mi aveva sorpresa, di nuovo, e lo aveva fatto con molta naturalezza. Mi aveva portata da Burger King!
"Non sapevo che ai manager del tuo calibro piacessero... hamburger e patatine!" constatai divertita, prendendo posto ad un tavolino libero. Lui fece una mezza smorfia, allentandosi il nodo della cravatta
"É perché siete tutti prevenuti nei nostri confronti. Dopotutto.. siamo umani anche noi!" e mi strizzò l'occhio - oh mio... - per poi poggiare la schiena al sedile imbottito. Ci guardammo per qualche istante e poi, senza neanche metterci d'accordo, scoppiammo a ridere insieme.
"Seriamente... se preferisci andare in un ristorante più prestigioso, non ci metto nulla a far venire l'autista e farci accompagnare. Ovunque tu voglia!" esclamò appena preoccupato, e quella sua espressione, mi fece stranamente sorridere.
Ovunque io voglia...
"Scherzi? Non ricordo neanche quando è stata l'ultima volta che mi sono fermata in un posto così. Non lo baratto con nessun altro posto!" esclamai con vigore, afferrando il menù mangiucchiato su un lato e aprendolo sul tavolino. Lui ridacchiò ancora, per poi sfilarsi definitivamente la cravatta e conservarla nella tasca della giacca. Senza quella, sembrava decisamente meno serio e meno potente. Assomigliava molto di più ad un comune mortale, fermo a mangiare in un fast food.
Ordinammo alla cameriera - una ragazza bionda e magrissima che davvero stonava con tutte quelle calorie che svolazzavano per il locale - ed aspettammo in silenzio fino all'arrivo delle bibite, dopodiché, con in mano la sua coca light, Mike riprese il discorso iniziato nel suo studio
"Spero che quello che sto per dirti non ti offenda... mi sentirei davvero... in colpa." iniziò con un sorriso imbarazzato e da un uomo del genere, tutto mi sarei aspettata tranne quel tipo di esitazione. Strinsi appena la lattina della mia aranciata, sempre più curiosa
"Non preoccuparti... sentiti libero di dirmi tutto quello che vuoi." lo rassicurai, mentre quel disagio iniziale che avevo avvertito appena entrata nel suo studio, iniziava ad affilevolirsi. Forse era merito suo, del suo modo di fare molto rilassante e disteso, o forse era merito del posto in cui eravamo molto meno rigido e ufficiale del suo studio. Però, qualsiasi cosa fosse successa, mi faceva bene parlare con lui, acquistavo sicurezza e mi sentivo estremamente a mio agio, esattamente come era successo alla festa.
Mike prese un profondo respiro per poi trovare finalmente trovare il coraggio di dire
"Vorrei che lavorassi per me!" ed esattamente come era successo quella mattina davanti al mio portone, quando Taylor mi aveva detto che Michael Chang Jr voleva vedermi, sentii lo stomaco precipitare in basso e rimbalzare, quasi facendo un rumore assordante che probabilmente sentii perfino lui. Trattenni il respiro per precauzione, per evitare che anche quello sfuggisse via e che mi lasciasse senza speranze di replicare o almeno continuare a vivere. Con una notizia del genere, era già un miracolo se ancora fossi dritta sulla schiena.
"Tu vuoi che... io... lav-ori... per te?" domandai sconvolta, ripetendo esattamente le sue parole, per non sbagliare. Lui annuì
"Esattamente." confermò e le gambe mi tremarono appena tanto che dovetti stringerle forte e poggiare le mani sulle ginocchia
"Ho dovuto licenziare la mia segretaria personale perché si erano sparse delle voci davvero sconvenienti su un'ipotetica relazione clandestina che ci univa.. ovviamente tutte fandonie però.. ora sono finito nei guai perché tutto il suo prezioso lavoro sono costretto a svolgerlo io e beh... non ho tanta dimestichezza con quel tipo di cose!" e arrossì appena, quasi se ne vergognasse. Beh, aveva messo su un impero finanziario ed era uno dei nomi più rispettati di New York nonostante la sua giovane età... poteva fare tutto tranne che vergognarsi. Mi sporsi leggermente verso di lui, cercando di mettere a fuoco quello che stava dicendo
"E cosa... cioè... cosa dovrei fare esattamente in qualità di tua... segretaria.. personale?" arrossii io quella volta, nel dire quell'aggettivo perché mi dava l'idea di essere.. sì insomma molto intima come cosa. Lui scrollò le spalle
"Niente di eccessivamente impegnativo. Dovresti occuparti dei miei appuntamenti, ricordarmeli ogni ora, rispondere al mio telefono, alle mail, contattare i dirigenti sia della città che esteri, organizzare i miei spostamenti, tener cura del mio ufficio quando sono via e... se sei disponibile a farlo.. seguirmi nelle trasferte fuori New York!" spiegò pratico, facendosi professionale e abbandonando il rossore leggero. Oddio.. quante cose. Io al massimo potevo rispondere al telefono, o almeno era l'unica cosa che per certo sapevo fare. Il resto...
"Mi rendo conto che detta così.. su due piedi, possa sembrare una cosa azzardata e che ovviamente tu debba prenderti del tempo per pensarci, valutare i tuoi impegni e magari... non so, da quando ci siamo visti l'ultima volta ad ora potresti aver trovato un lavoro ed io.. sarei contento di questo e quindi la mia proposta sarebbe nulla ed io.. ti ringrazierei ugualmente e mi limiterei ad offrirti questo panino oggi e.."
"Perché io?" domandai a bruciapelo, espellendo finalmente quella domanda che mi premeva in gola. Lui bloccò il suo monologo disordinato per guardarmi per qualche istante, con aria confusa
"Non capisco." mormorò
"Mike.. perché io? Perché lo dici proprio a me?" insistetti, senza riuscire a capire. Sollevò un sopracciglio, mentre la cameriera portava i nostri panini e li lasciava sul tavolo con uno sbuffo sonoro dato che nessuno dei due le aveva prestato attenzione
"A chi dovrei.. dirlo? Tu mi sembri la persona più adatta per un ruolo del genere e poi... mi hai detto tu di essere in cerca di un lavoro fisso e che ti garantisse un po' di tranquillità economica... ecco, se è per questo, posso assicurarti che il tuo stipendio sarà.."
"No, non è per questo!" lo bloccai secca, anche se la parte economica faceva molta gola, non faticavo ad ammetterlo. Ma lì il problema era un altro.
"Come fai a dire che sono la persona più adatta se non mi hai neanche mai chiesto cosa so fare? Tu non.. mi conosci neanche, non sai che persona sono, non sai se ho le competenze necessarie, non sai neppure se so scrivere una mail.. come fai ad offrirmi un lavoro del genere, senza neanche avermi chiesto tutte queste cose?" domandai sinceramente confusa e combattuta, dato che una parte di me, ignorando i dubbi e la confusione, stava già ballando la conga in stato di estasi. Mike sospirò lentamente, forse capendo finalmente dove volessi andare a parare
"Non ho bisogno di farlo, credimi." mormorò con mezzo sorriso "Vedi, Tina.. conosco questo ambiente da parecchi anni e so perfettamente cosa serva e cosa invece è bene evitare in certi casi. Da quel poco che ho avuto modo di conoscere in te, ho subito capito che sei una persona leale, affidabile, sincera e onesta... che sei estremamente discreta, che non ti salterebbe mai in testa di approfittare della tua posizione per giocare un brutto scherzo al tuo capo e che non ti monteresti mai la testa se non fosse necessario. So anche che sei umile e che ora stai tentando in ogni modo di sminuirti perché tutte quelle cose tu sai farle alla perfezione, probabilmente molto meglio di quanto non abbia mai fatto la mia vecchia segretaria. Sono una persona che va molto a pelle... mi hanno sempre detto di avere la capacità di riconoscere le persone e di farmi un'idea esatta di queste già dalla prima occhiata e credimi.. tutto ciò che di bene penso di te... l'ho pensato quella sera a casa di Kurt Hummel.. e lo penso ancora adesso in questo fast food." disse con molta tranquillità, senza mai distogliere gli occhi dai miei. E mentre lui parlava, mentre elencava di me tutte quelle belle cose, mi sentii come se stesse parlando di qualcun altro, come se quella ragazza educata e rispettosa, fosse un'altra, che io non meritassi tutto quello. Possibile che lui fosse riuscito, in una mezza serata trascorsa a parlare di vere banalità, a capire come fossi fatta? Sì, in fondo nella maggior parte di quelle caratteristiche mi ritrovavo davvero perché ero molto discreta per natura, ero affidabile ed onesta e difficilmente mi ero mai montata la testa nella mia vita. Ma cosa principale... ero ancora alla ricerca disperata di un lavoro.
"E se ti sbagliassi?" gli domandai pochi istanti dopo, avvertendo una strana sensazione di disagio all'altezza del petto. In pochi istanti mi ero ritrovata a preoccuparmi più di quello che avrebbe potuto pensare lui di me, piuttosto che trovare una spiegazione valida per tutto quello che stava accadendo. Ed era strano in fondo avere paura di deludere le aspettative di Michael Chang dato che continuava a rimanere uno sconosciuto. Eppure... era esattamente ciò che avevo in mente in quel momento.
Mike strinse le spalle e sorrise
"Amici come prima. Io mi cercherei un'altra segretaria e tu avresti una referenza in più da aggiungere sul tuo curriculum." rispose molto schietto e quella sincerità mi fece ridacchiare leggermente "Ma credimi, Tina... so quello che faccio. Modestamente da quando ho fondato la mia agenzia non ho mai sbagliato e questa volta penso di andare sul sicuro con te." si sporse leggermente, posando i gomiti sul tavolo e lanciandomi un'occhiata di sfida, seppure velata da un leggero divertimento.
Cavolo, come si faceva a dire di no ad un'offerta di quel tipo? Lui mi stava offrendo un lavoro - un signor lavoro, tra l'altro! - praticamente su un piatto d'argento ed io titubavo? Cosa aspettavo a dire di sì, ad alzarmi in piedi e saltargli al collo, a ringraziarlo, a poggiare le labbra sulle sue che erano così belle, a... prendermi finalmente la mia rivincita sul mondo? Certo che.. lavorare con Michael Chang... rispondere al suo telefono, alle sue mail personali, organizzare i suoi viaggi e magari partire con lui... oddio... non riuscivo neanche ad immaginarlo. Avrei passato la maggior parte della mia giornata al suo fianco, a stretto contatto con lui, avrei potuto apprezzare meglio ogni angolatura del suo viso, avrei potuto capire cosa lo facesse sorridere più spesso e quante volte lo facesse con quella luce bellissima che gli colorava anche gli occhi scuri, avrei potuto perfino innamorarmi di lui. Ecco, magari questo sarebbe stato un tantino sconveniente ed era meglio evitarlo. Altrimenti avrei fatto la stessa fine della sua vecchia segretaria. Però.. l'idea mi allettava, mi allettava davvero molto!
"Allora... pensi che potrò avvalermi della tua preziosa collaborazione?" domandò, dopo avermi lasciato qualche istante per riflettere. Non c'era molto a cui pensare in realtà: era un lavoro ottimo, lo stipendio doveva essere davvero eccezionale, l'ambiente era tranquillo e poi.. lui. E infatti mi ritrovai, senza neanche rendermene conto, a sorridere e ad accettare
"D'accordo ma... ad una condizione..." mormorai con un sorriso, avvicinando il panino a me e sistemando meglio la carta per poterlo mangiare
"Sarebbe?" domandò curioso, non riuscendo ugualmente a contenere la sorpresa e la contentezza per aver ottenuto un sì da parte mia
"Che il pranzo oggi lo lasci offrire a me!" esclamai con un sorriso e attesi, fino a che quella informazione non fosse immagazzinata nel suo cervello e dalla sua bocca non uscì una meravigliosa risata. Una risata che ebbe il potere di farmi sentire incredibilmente bene. Ero stata io a farlo ridere.
"E sia." concesse, recuperando il suo panino e scartandolo esattamente come stavo facendo io. Mi lanciò uno sguardo furbetto per poi aggiungere "Vorrà dire che questa sera la cena la pago io."
"La...?" per poco non mi affogai con un pezzo di pane e lui rise ancora, sempre più sciolto, sempre meno irraggiungibile, sempre più.. principe.
"Sempre che tu sia disponibile, è chiaro." mise di nuovo le mani avanti, forse interpretando male la mia leggera titubanza. Ma certo che ero disponibile... ero disponibile sempre, anche di notte! Ok, di notte magari no e di certo non avrei potuto rispondere in quel modo, così tentai di mantenere la calma e di rispondere a tono, mentre il mio cervello affaticato tentava di passare in rassegna tutti i vestiti che possedevo per trovarne uno adeguato per una cena con lui.
"Posso mai dire di no al mio capo?" scherzai agitando il mio panino e quella fu davvero una mossa molto stupida perché una goccia enorme di maionese scivolò giù dal pane e si piazzò direttamente sulla mia gonna gialla.
Oh merda...
La risata di Mike mi distolse dalle imprecazioni mentali e dalla eventualità di aver appena fatto una figuraccia, facendomi sollevare gli occhi. Se la rideva, eccome se se la rideva, ma non sembrava esserci il minimo accenno di cattiveria in lui, sembrava più che altro estremamente divertito da una scena che apparteneva alla normalità - alla mia di sicuro! - e dalla sua espressione sembrò quasi fosse una liberazione, quasi avesse tentato per troppo tempo di sopprimere qualcosa e che finalmente questo fosse venuto fuori. E allora non riuscii a fare a meno di unirmi alla sua risata, ignorando la macchia e la cameriera di prima che ci guardava davvero male, sentendomi immediatamente più leggera e assaporando quella piacevole sensazione che ti lascia la vita, quando tutto inizia a girare per il verso giusto. E forse per me era finalmente arrivato quel momento. Per quanto riguardava lui invece...
il principe lasciava il suo rigido ambiente tutto perfetto con la ricerca della scarpetta perduta, per rendersi conto di quanto la vita di tutti i giorni fosse decisamente più divertente.
  
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