CAPITOLO 2 – Happy birthday!
[ Ludovico
Einaudi - Le onde ]
«Sasuke,
sei insopportabile!», ringhiò Naruto, dopo esser
stato deriso per l’ennesima
volta dal compagno.
«Dobe, non
è colpa mia se sei una schiappa a rimbalzello».
«Sei
odioso!», sbraitò, gettando i sassolini che aveva
tra le mani e
lanciandosi in acqua. Sasuke scosse la testa divertito e decise di
seguirlo; si
accostò al mare con grazia e lentezza, mentre il biondino
urlava e rimaneva in
apnea di continuo.
«È
il momento buono, forse», lo schernì il moro non
appena il compagno risalì a
galla, celando con accortezza il suo sguardo lascivo nel delineare i
muscoli
accennati del compagno: il costume pareva d’un tratto troppo
largo per lui,
mentre si abbassava sino a lasciare lembi di pelle chiara e poco
abbronzata, al
confronto col resto dell’epidermide morbida del biondo,
dell’inguine, un boxer
nero s’intravedeva appena e gli occhi cristallini erano la
cosa più bella che
l’Uchiha avesse mai visto.
No: Naruto era la
visione più bella di cui potesse godere, si corresse
mentalmente, scuotendo il capo e fissando l’orizzonte,
assorto.
«Non quanto
Itachi, ma era ovvio», stimò, sospirando.
«Il momento
buono per cosa?»
«Per
affogarti», annunciò, prima di scagliarsi sul
corpo del compagno e
bloccarlo sott’acqua. Una serie di bollicine salì
sino alla superficie della
marea, mentre Naruto si agitava e tentava di calciare le gambe pallide
del
compagno.
Sasuke decise di
lasciarlo stare, così mollò la presa e si
tuffò sott’acqua, uscendo
soltanto quando fu certo di essersi allontanato di qualche metro da
quell’uragano di compagno che si ritrovava.
«TEME!»,
urlò l’Uzumaki, nuotando a più non
posso, muovendo ritmicamente
braccia e gambe, gestendo con maestria la respirazione al tempo giusto
e
raggiungendo finalmente il moro, che se ne stava tranquillo
fischiettando e
fissando i cumulonembi che si ergevano nel cielo azzurro.
«Smettila di
urlare come un tacchino impazzito, usuratonkachi», lo
richiamò
Sasuke, atono come al solito, mentre le mani si muovevano con lentezza
esasperante nell’acqua, spostandone dapprima poca, poi sempre
più sino a
schizzare il biondino.
«Baka! Baka,
baka, baka!»
«Taci,
dobe», sbuffò l’Uchiha, nuotando verso
riva.
«Già
te ne vai?!», domandò Naruto che, non ricevendo
risposta, continuò ad
urlargli contro: «Sas’ke!»
Quest’ultimo
continuò ad ignorarlo, finché non raggiunse la
riva e, facendo
poco caso alla sabbia cocente, si avviò verso gli
asciugamani posati sotto
l’ombrellone. Si voltò finalmente verso Naruto,
facendogli un cenno per
avvertirlo che sarebbe andato a fare una doccia e, afferrata
l’asciugamano e il
costume puliti, assieme alla borsa contenente un bagnoschiuma e uno
shampoo, si
apprestò a raggiungere le cabine.
I capelli ondeggiavano
e venivano sgarbugliati dalla brezza estiva, il sole
cocente batteva sull’epidermide eburnea del giovane Uchiha,
colma di protezione
dai raggi UV, la più alta che Itachi avesse trovato al
supermercato, il respiro
si sentiva appena e dinanzi ai suoi occhi aveva ben chiaro il colore
ceruleo di
quelli del compagno.
Scosse il capo,
beffeggiando persino se stesso per quella debolezza che non
avrebbe mai ammesso ad alta voce, poi inserì un gettone nel
comparto doccia e
lasciò che l’acqua gelida gli portasse via tutti i
residui del sale. Afferrò la
boccetta di bagnoschiuma e la schiacciò, facendone
fuoriuscire un liquido
verdognolo che ben presto non diventò altro se non bollicine
di schiuma
candida. Effettuò lo stesso procedimento con lo shampoo,
insaponandosi i capelli
e sciacquandosi poi completamente, massaggiando la cute e accarezzando
la
sofficità infantile della propria pelle.
«Eccoti qui,
Uchiha Sasuke».
Una voce roca e
possente risuonò per l’abitacolo, attirando
l’attenzione di un
sorpreso Sasuke; non si era nemmeno reso conto della presenza di altre
persone,
specialmente per il fatto che la spiaggia era… deserta. E
allora cosa ci faceva
quell’uomo lì e soprattutto, chi era?! Una parte
di lui aveva timore di
scoprirlo, una minima porzione del suo animo tentennava e
un’altra ancora
fremeva per fuoriuscire e mostrare a quel bastardo qualcosa, anche se
l’Uchiha
non sapeva esattamente cosa.
«E tu chi
saresti?», domandò stralunato, voltatosi verso la
persona alla quale
apparteneva la voce. La figura longilinea gli ricordò
vagamente qualcuno… una
persona piuttosto familiare. Qualcuno con cui era solito trascorrere il
suo
tempo, gente che vedeva molto spesso se non sempre.
«La mia
popolarità parla prima di me, di solito, mi stupisco che tu
non conosca
la mia identità».
I capelli
dell’uomo erano folti e lunghi, un nero corvino con riflessi
blu,
notabili solo grazie alla luce, del sole o dei neon che fosse, occhi
neri e
cipiglio severo, tono gagliardo e perentorio, un’immane
freddezza che spuntava
da ogni millimetro di quel corpo robusto e coperto da
un’attillata tuta nera,
sulla quale pendeva un’armatura rosso scuro e lo stemma del
clan Uchiha a sua
volta ciondolava da quest’ultima. Un Gunbai era poggiato
sulla schiena rigida e
si ergeva dietro le sue spalle imponenti.
«Tu sei un
Uchiha», osservò, «ma non ti ho mai
visto a Konoha».
Una risata malvagia
risuonò prepotentemente in quel minuscolo spazio e fece
rabbrividire addirittura l’imperscrutabile moro, che
sbarrò gli occhi e
digrignò i denti, infastidito dalle sensazioni che stava
provando.
«Certo che
non mi hai mai visto, ho lasciato Konoha molto tempo fa».
«Ah,
sì? E perché mai?», Sasuke cercava
disperatamente di prendere tempo, senza
che attraverso la sua voce o il suo volto trasparisse alcuna emozione e
specialmente non si intravedesse neanche un minimo barlume di timore.
«Perché
io sono Uchiha Madara».
Il giovane
rabbrividì e lo sconcerto s’impadronì
di ogni singola parte del suo
corpo, le viscere gli ribollivano e un lieve tremolio
trasparì dalle mani
serrate in pugni.
Naruto si
era stancato di guizzare nell’acqua come un pesce e, dopo
aver fatto
un ultimo paio di tuffi, decise che era giunta l’ora di
tornare all’ombrellone
ed asciugarsi un po’. A sostegno della sua decisione,
c’erano le sue mani, la
cui pelle era terribilmente spugnata e raggrinzita; proprio non poteva
rimanere
ancora in acqua. D’altronde, l’estate era
relativamente appena cominciata e
aveva ancora un bel po’ di tempo da trascorrere sulla
spiaggia, di mattina, di
pomeriggio ed eventualmente avrebbe convinto i compagni ad organizzare
un falò;
anche solo per una o due notti.
Arrivato sotto
l’ombrellone, afferrò il proprio asciugamano dalla
sedia a
sdraio e lo scosse un po’, così che la sabbia
fosse scacciata via dallo stesso
vento che ce l’aveva portata.
«Che bella
giornata, dattebayo!», urlò gioioso, mentre
stiracchiava i propri
muscoli e tentava di riabituarsi alla terraferma. Aveva nuotato
decisamente
troppo. «Che fine avrà fatto Sasuke? È
da mezz’ora che se ne sta nelle docce!»
Decise così
di attendere un’altra manciata di minuti e, se Sasuke non
fosse
tornato nel frattempo che si asciugava un minimo, sarebbe andato a
tirarlo per
le orecchie e l’avrebbe interrotto dalla doccia
restauratrice… Che poi
l’Uzumaki era perfettamente consapevole del fatto che le
docce sulle spiagge fossero
gelide!
«Tsk,
proprio come quel teme!», ghignò, soddisfatto del
sillogismo che gli era
appena apparso nella mente: «L’acqua delle docce
sulla spiaggia è gelida,
Sasuke è gelido: Sasuke è una doccia sulla
spiaggia!»
Sorridente, il
biondino decise di raggiungere il compagno e farsi lui stesso
una doccia, dopo aver appurato di essere appiccicaticcio da far paura.
Notò che
la borsa nella quale erano riposti shampoo e bagnoschiuma mancava,
quindi
Sasuke l’aveva portata con sé;
«meglio», pensò, «meno roba da
portare con me!»
Afferrò con
rapidità le ciabatte, pur di non ustionarsi i piedi a causa
della
sabbia rovente, che comunque batteva imperterrita sui piedi umidi
dell’Uzumaki
mentre camminava, direzione cabine-doccia.
Si affacciò
leggermente, poggiando le mani sulle mattonelle unte e scivolose a
causa dell’acqua e sbirciando Sasuke: era sconcertato, rigido
come l’acciaio e
nemmeno l’acqua congelata pareva scalfire la sua superficie
di indifferenza ed
imperscrutabilità.
Peccato che si
curò poco di quei pensieri e lasciò subito cadere
eventuali
riflessioni o tesi di qualsivoglia tipo, impegnato com’era a
fissare
languidamente il suo corpo come non aveva mai pensato, né
osato fare prima. E
per la prima volta gli parve bello, bello da morire; perfetto, il
candore della
sua pelle che s’intersecava alla perfezione con il nero delle
sue pupille
dilatate, le sopracciglia scure e i capelli con riflessi bluastri, le
dita
lunghe e affusolate, il fisico asciutto ma tonico, il costume blu con
il
ventaglio Uchiha stampato sul lato sinistro, i lacci slegati e,
paradiso
terrestre, le labbra socchiuse e bagnate. Il suo sguardo vagava
dall’alto al
basso, irrefrenabile, incurante del fatto che nemmeno lontanamente
avrebbe
dovuto pensare una cosa simile; eppure non riusciva a smettere. Ma da
quando
quel teme era così attraente?!
Deglutendo a fatica e
stringendo pugni e denti, si decise a poggiare su di uno
sgabello il proprio asciugamano, assieme a quello del compagno, ed
entrò nel
comparto doccia, catturando l’attenzione di Sasuke. Il
giovane Uchiha si
apprestò a scuotere il capo e voltarsi verso le piastrelle,
mentre le mani
impugnavano i bordi del costume e si accingevano a sfilarlo.
L’Uzumaki
trattenne il fiato, estasiato e spaventato dal vortice di emozioni che
si stava
impossessando di lui, poi si decise ad aprire l’acqua e
rabbrividì.
«Cazzo se
è fredda!», imprecò irosamente,
maledicendo chiunque avesse deciso di
concedere ai bagnanti una doccia fredda dopo essersi abituati al calore
solare
e marittimo.
«Ma ti
lamenti sempre, Naruto?!»
Il volto bronzeo del
biondino scattò in un rapido movimento e, voltatosi verso
l’Uchiha, rimase fermo, gli occhi che lo scrutavano
visibilmente incuriositi da
quella inaspettata carenza: da quando lo chiamava per nome? Non
l’aveva mai
fatto prima d’allora; sin da quando avevano spiccicato parola
per la prima
volta, Sasuke l’aveva battezzato come
“dobe” o al massimo
“usuratonkachi”, ma
mai in precedenza Naruto si era reso conto di quanto fosse bello il suo
nome,
né aveva potuto bearsi del suono idilliaco fuoriuscente
dalle labbra del
compagno.
«Cos’hai
da guardare, dobe?»
Il moro, dal canto
suo, si era reso conto di quella terribile figuraccia che
aveva fatto, anche se di brutta figura non c’era proprio un
bel nulla. Sarà
stato forse a causa dell’agitazione momentanea e lo scudo
abbassato per pochi
attimi, però le sue corde vocali avevano fatto
ciò che più le aggradava e le
labbra si erano mosse in automatico. Probabilmente gli sarebbe bastato
non
parlarne e far finta di nulla; peccato che Naruto non fosse dello
stesso
avviso.
«T-tu...
mi…», balbettò, in preda allo stupore
più puro e all’assuefazione
totale, quell’annebbiamento mentale che non gli consentiva di
sparare meno
cavolate del solito; sicuramente molte di più.
«Cosa,
usuratonkachi? Ti piaccio, per caso?», lo dileggiò
l’Uchiha, pensando
che magari i pensieri poco casti fatti mentre erano in acqua poco prima
si
sarebbero dileguati, o almeno gli avessero procurato un rivoltante
senso di
puro disgusto, tanto da farlo tornare immediatamente sulla retta vita.
«Teme!»,
inveì l’Uzumaki, arrossendo di vergogna.
«Ma che cosa ti salta in
mente!»
Di sicuro il tremolio
nella propria voce l’aveva tradito e di certo il moro non
se l’era fatto sfuggire; ciononostante, Sasuke non lo
canzonò, né proferì
ulteriori parole. Si limitò ad un’alzata di
sopracciglia, mentre si calava
anche l’intimo e si liberava con i piedi di quelle
costrizioni.
Naruto si
apprestò a guardare altrove, ma si trovò
costretto a parlare ancora con
l’altro, sforzandosi di non fissare… lì.
«Mi
passeresti bagnoschiuma e shampoo?», inghiottì
faticosamente la propria
saliva, quel poco che gli restava, mentre si passava la lingua sulle
labbra nel
tentativo di assorbire un po’ d’acqua e rifornire
le proprie ghiandole
salivari.
«Sei un
rompipalle, dobe», sibilò il più
grande, porgendogli i due contenitori
e fissando il solito adorabile broncio dell’Uzumaki.
«“Adorabile”,
tsk», ponderò l’Uchiha, ringhiando e
mordendosi a sangue il
labbro inferiore, «guarda un po’ tu cosa vado a
pensare».
«Oh Kami,
Sas’ke!», esordì Naruto, le sopracciglia
corrucciate e la bocca
semichiusa, gli occhi lucidi e le palpebre aperte a fatica a causa del
getto d’acqua,
le mani impegnate ad impugnare la mandibola
dell’Uchiha… e il sangue che colava
lungo il mento dalle labbra. Quasi come se fosse la cosa più
naturale del
mondo, il più piccolo tra i due accostò la
propria bocca alla mascella tinta di
rosso sbiadito, grazie all’acqua che lo diluiva in fretta.
Fu la sua lingua a
fare tutto il resto: leccare via il sangue e poi, con
altrettanta disinvoltura, prese a succhiare il labbro inferiore,
laddove vi era
il taglio. Sasuke, invece, era completamente immobile, incapace di
riflettere o
parlare, così da allontanare la cavità orale del
biondino dalla sua. Ma ogni
millimetro di sé non desiderava altro che quel tocco, e
quella sensazione
contribuì a farlo innervosire più di quanto non
fosse già a causa dell’incontro
con quel Madara.
Preso dalla foga del
momento, Naruto nemmeno si accorse di aver spinto e
bloccato Sasuke con la schiena sulle mattonelle gelide; con una mano
gli teneva
i polsi, mentre con l’altra aveva iniziato ad accarezzargli
il petto, facendolo
fremere sotto il tocco bollente e gelido in contemporanea.
«Sas’ke…»
Il suono della sua
voce riscosse parzialmente Sasuke.
«Kami, solo
ora mi rendo conto di quanto ti desidero…»
Gli schizzi
dell’acqua sulla superficie di ceramica bianca della doccia
erano
superflui e, sino a quel momento, l’Uchiha non ci aveva
nemmeno badato tanto;
eppure in quel preciso attimo avrebbe rivolto la propria attenzione a
qualunque
cosa, pur di risvegliarsi da quella sorta di trance ipnotica indottagli
dal
biondino.
E una dannatissima
parte di lui continuava a resistere al suo raziocinio.
«Naruto,
fermati».
«È
davvero quello che vuoi, Sasuke?», postulò
l’Uzumaki, leccando con fervore
quelle labbra invitanti; con decisione, chinò il capo e
notò con piacere che il
membro del compagno era eretto. «A me sembra che lui non
voglia che io smetta…»,
lo provocò, portando una mano sull’erezione e
massaggiandola con decisione. La
frizione che scaturì da quel tocco scosse non poco Sasuke,
che ne approfittò
per sbraitargli contro e spingerlo dall’altro lato della
cabina, rosso dalla
vergogna.
«Cosa cazzo
ti passa per la testa, neh, Uzumaki?!», berciò il
moro, tentato
dallo spiattellare sul viso del biondo le proprie nocche,
già strette e tirate,
bianche per lo sforzo a cui sottoponeva i tendini.
«Teme,
io…»
L’Uchiha non
udì mai le parole che sarebbero fuoriuscite dalla bocca del
compagno.
**
Correva.
Il fratello minore di
Itachi Uchiha correva.
Erano appena passate
le cinque e trenta del pomeriggio e lui correva a
perdifiato sino alla villa di famiglia. Affannato, sudato,
l’asciugamano
poggiato sulla spalla e una borsa da spiaggia tra le mani, le ciabatte
da mare
alle quali erano appiccicati granelli di sabbia. Giunto a destinazione,
il
giovane aprì la porta e si guardò attorno;
indugiò qualche istante,
aspettandosi che il maggiore gli desse il bentornato come era solito
fare ogni
volta che tornava a casa.
Constatando che non
sarebbe andato a salutarlo, si preoccupò e istintivamente
salì gli scalini a due a due sino al piano superiore.
«Itachi!»,
strillò Sasuke, precipitandosi sbrigativamente nella stanza
del
nii-san, la cui porta era socchiusa e un anomalo silenzio si
disseminava
nell’intera abitazione. Inquieto com’era, il minore
non poté fare a meno di
lasciarsi andare al sentore di spavento che s’impadroniva di
lui e spalancò la
porta con dispnea.
E se ne
pentì all’istante.
La visione che si
presentò dinanzi ai suoi occhi stralunati e inviperiti era
la
più uggiosa che potesse ispezionare con le pupille dilatate
e le iridi
traballanti.
Era sconcertato,
eccome se lo era.
Incredulo.
Invidioso.
Dannatamente geloso e
indispettito.
Come osava…?
«Sasuke…?
Sei già tornato?», Itachi parve non scomporsi
minimamente, disteso
supino e le mani poggiate sui fianchi di una deliziosa ragazza dai capelli rosati e
gli occhi verdi, il volto
pallido e le guance colorate di un rosso porpora; le mani curate, sulle
cui
unghie risaltava uno smalto viola lucido con decori neri, puntellato di
bianco
e in alcuni tratti brillantinato, massaggiavano impetuose il petto nudo
del
fratello.
Nudo.
E la maglietta di lei
era alzata sino al seno esiguo, lasciando libera la
visuale del ventre piatto e pallido e di un piccolo tatuaggio di un
fiore di
ciliegio e una “S.” minuscola, marchiata al di
sotto, su di un fianco.
«Lui
è il tuo fratellino?», chiese la ragazza, nel
tentativo di nascondere
l’imbarazzo e coprendosi, abbandonando la posizione a
cavalcioni sull’inguine
gonfio di Itachi.
Gonfio…
«Sì,
Sakura…», replicò atono Itachi, lo
sguardo fisso sul fratellino irrigidito
sul posto e coi pugni serrati. «Se vuoi scusarmi».
Fece per alzarsi, ma
Sasuke ribatté prima che potesse fare qualunque altro
movimento.
«Non
aspettarmi per cena, sarò con Naruto»,
dichiarò il più giovane, «anzi,
probabilmente trascorrerò proprio la notte fuori».
«Ma domani
è il tuo compleanno, otouto… Lo sai che ci tengo
che tu spenga le
candeline a mezzanotte in punto», persistette il maggiore,
cogliendo quel
fastidio immane e la confusione nelle parole del più piccolo.
«Sì,
per l’appunto», rantolò Sasuke,
«è il mio compleanno e voglio fare ciò
che
più mi aggrada».
La voce sicura del
ventiduenne si affievolì gradualmente, mentre appurava che
la figura snella del neo-diciassettenne si era ormai allontanata e i
suoi
timpani percepirono il suono dissipato dei suoi passi e della porta
della sua
camera chiusa con violenza.
Sbigottito,
Sasuke si era chiuso in camera, intento a spogliarsi
dell’abbigliamento da
spiaggia e ad indossare un jeans a sigaretta con una cintura in pelle
nera, una
maglietta bianca con uno scollo a V esaltato dalle pieghettature del
colletto,
una giacca sportiva color grigio scuro, un bracciale con borchie
abbottonato al
polso destro e due collane: una in oro bianco regalatagli dal nii-san
l’anno
precedente, una in argento con un ciondolo a forma di spirale arancione
-
rossastra, anch’essa donatagli il giorno del suo sedicesimo
compleanno da
Naruto.
Gli era piaciuto
pensare che le due persone più importanti per lui sembravano
quasi essersi consultate prima di scegliere dei regali azzardati ma
azzeccati
come quelli, lo ricordava bene. Il presentimento di un legame
inenarrabile con
ambedue i ragazzi lo lasciava senza fiato, sconvolgendo in maniera
più che
positiva i sentimenti che fasciavano con garbo l’animo e il
cuore infranti del
ragazzino.
Aveva continuato ad
indossarle assiduamente, senza staccarsi mai se non per il
mare, per la doccia e per dormire; giusto per non rovinarle o romperle.
Afferrato lo stretto
necessario e ripostolo frettolosamente in uno zaino,
Sasuke si era avviato verso la porta e, uscendo, si era guardato
indietro,
nella speranza che tutto quello che aveva visto al piano superiore, di
Itachi e
quella Sakura, fosse soltanto frutto della sua immaginazione, fonte di
paura e
disprezzo, bramosia di ogni singolo millimetro dell’altro del
tutto
inaspettata; perché stava ammettendo a se stesso di desiderare Itachi in quel
senso?
«Sarà
meglio che io non ci pensi…», giudicò,
estraendo dal pantalone il proprio
cellulare. Pigiò i tasti con estrema celerità
mentre lo sguardo vagava da una
parte all’altra dello schermo illuminato.
«Sei a
casa?», inviò l’sms e si
bloccò in strada, in attesa di una risposta che
non tardò ad arrivare.
«Sì,
perché?», leggendo la risposta, ghignò
divertito e mordendosi le labbra,
scrisse la sua successiva affermazione.
«Io e te
abbiamo una questione in sospeso».
Accelerò il
passo e in meno di quindici minuti giunse all’appartamento
del
compagno; cercò di velocizzarsi quanto più gli
fosse possibile, giusto per non
ripensarci e tirarsi indietro. Ormai aveva preso quella decisione e non
avrebbe
rinunciato per nulla al mondo. Inoltre il biondino pareva
più che consenziente
ed estremamente voglioso quella mattina, quindi non ci sarebbe nemmeno
stata la
necessità di convincerlo a stargli sotto…
Suonò il
campanello, mettendo le mani in tasca dopo essersi sistemato i
capelli, il cipiglio scuro e libidinoso al contempo che sorprese Naruto
non appena
gli aprì la porta, le labbra socchiuse e la frenesia nei
movimenti; un
impercettibile spostamento d’aria e i due si trovarono chiusi
all’interno
dell’abitazione, senza l’esigenza di proferire
alcun quesito o di parlare.
Gli unici suoni che
colmarono l’atmosfera concupiscente in
quell’appartamento
furono gli ansimi e i gemiti smorzati, il crepitio del letto e le pelli
struscianti, gli schiocchi di baci a fior di labbra e approfonditi,
l’odore di
sesso che trasudava dai corpi madidi di Naruto e Sasuke.
Bzz.
Bzz, bzz.
«Sasuke, ti
supplico, rispondi a questo dannatissimo telefono prima che io lo
lanci contro un muro e lo distrugga».
«Da’
qua, dobe».
Sullo schermo appariva
il nome “Itachi”.
«Sì?»
«Si
può sapere che fine hai fatto? Sono le due di notte e non ti
sei ancora
fatto vivo!», lo ammonì Itachi, cercando di
placare la sua ira e la
preoccupazione a causa del minore.
«Ricordo di
averti avvertito della mia assenza di stanotte, prima»,
rispose a
tono Sasuke.
«Torna
immediatamente a casa», ordinò perentorio il
maggiore, mordendosi
furiosamente il labbro inferiore; perché diavolo si stava
comportando così?
«No».
Silenzio.
Per la prima volta,
Sasuke aveva resistito al tono inflessibile di Itachi
Uchiha; certo, si sentiva male, un lurido verme che arditamente andava
contro
l’unico che non l’avesse mai abbandonato e ferito.
«No, lui mi
ha ferito», sentenziò nel suo cervello,
«non si è curato di me ed è
stato con quella».
«Sasuke, non
farmi ripetere e torna qui», scongiurò il
maggiore, al limite
della propria apparentemente illimitata pazienza, «subito. E
chiariremo, se è
quello che vuoi».
Colto in fallo; di
nuovo. Arrotando i denti e stringendo i pugni, il minore
sbuffò.
«N…
Accidenti! Sto arrivando, va bene?!».
«Molto
meglio», sospirò rincuorato il ventiduenne.
Approdato a
casa propria dopo aver abbandonato un dormiente Naruto Uzumaki, Sasuke
stringeva forte le nocche e batteva ripetutamente il piede sul terreno,
indeciso se irrompere in casa come una furia o varcare la soglia con la
sua
imperscrutabile ed imperturbabile indifferenza; optò alla
fine per la seconda
ed entrò nella villa, togliendosi rapidamente le scarpe e
stiracchiando i
propri muscoli. Gettò a terra il proprio zaino, stufo di
quel senso di
oppressione e pesantezza donatagli anche solo dagli abiti che ancora
aveva
indosso; stancamente si rese conto di dover comunque andare in camera
sua e lo
riprese, con un sonoro sbuffo e uno scricchiolio di ossa delle mani.
Deciso, si
avviò verso il piano superiore, spogliandosi di giacca e
maglietta,
sbottonandosi i pantaloni e scombinandosi i capelli. Aperta la porta
della
propria stanza, decise di chiuderla a chiave, giusto per prendere un
po’ di
tempo prima di fronteggiare Itachi. Poggiò la fronte ad essa
e poi accese la
luce, si massaggiò le tempie e poi si voltò verso
il proprio letto,
sobbalzando.
«Itachi?!
C-che ci fai qui?!», pronunciò stizzito, portando
una mano al petto
come per calmare il battito cardiaco accelerato.
«Evidentemente
ti aspettavo. Tu cosa pensi?»
«Divertente,
Itachi. Davvero spassoso», sputò amaro il
più piccolo, mentre il
più grande batteva il palmo della mano a fianco a
sé, in un esplicito invito a
sedersi lì.
Il diciassettenne
desistette, poi acquiescente si avvicinò al letto, ma invece
di sedersi accanto al fratello, andò dal lato opposto e
poggiò il dorso al muro
adiacente alla grande vetrata che dava sul giardino ben curato della
villa.
«Che vuoi,
Itachi?», lo sollecitò il minore, lo sguardo
tagliente e le braccia
incrociate al petto nudo; il maggiore non poté fare mica a
meno di notare quel
dettaglio e, prima di parlare, squadrò il busto del
fratello, partendo dal
basso, soffermandosi sui pettorali, sul collo, sulle labbra e solo
infine
incrociò i suoi occhi d’ossidiana.
«Tu,
piuttosto, cos’è che vuoi, otouto?»
«Volevo
passare la notte con Naruto, ma tu l’hai reso
impossibile», lo arpionò
volitivo, «è il mio diciassettesimo compleanno e
ancora non sono libero di
trascorrere la giornata come mi pare e piace!»
«È
davvero questo che vuoi?», si accertò il
ventiduenne, contraendo la mascella
e stringendo le lenzuola. Sasuke lo notò, ma si
sforzò di non commentare la
scena. Piuttosto avrebbe dovuto trovare in fretta una risposta adatta a
zittire
il fratello, ma si trovò a chiedersi se effettivamente ne
avesse qualcuna. Era
consapevole di ciò che voleva e di certo non era trascorrere
quella notte
facendo quelle
cose con
Naruto;
almeno l’oggetto delle fantasie erotiche di Sasuke non era
quell’uragano
biondo.
«Ma che
cazzo stai pensando, Sasuke?!», si richiamò,
dandosi uno schiaffo sulla
fronte e sbuffando infastidito.
«Sì»,
ammise infine, voltandosi a contemplare il cielo stellato mentre
ascoltava i martellanti pensieri creatisi nella propria testa;
asfissianti,
erano maledettamente assillanti.
«Ce
l’hai con me per via di Sakura?»,
domandò con innocenza il maggiore,
avvicinandosi pericolosamente a lui e sfiorandogli i fianchi snelli;
Sasuke si
voltò di colpo, non essendosi reso conto di quella
imprudente vicinanza e si
trovò sommerso dal profumo preferito di suo fratello, Calvin
Klein Obsession
Night, misto al profumo di mele che
sicuramente apparteneva a quella sgualdrina…
Irrigidito e con gli
occhi spalancati, il diciassettenne sentì l’aria
venir
meno e appoggiò le proprie mani diafane sulle braccia
d’avorio del nii-san,
chinando il capo e socchiudendo le labbra.
«No»,
palesò, «non ce l’ho con te per via
di… Sakura».
«No? Allora
vuoi dire che il tuo sguardo omicida è stato solo frutto
della mia
immaginazione, e che tu non hai pensato nemmeno lontanamente di
strozzarla?»
Beccato. Ancora.
«Ma la
smetti?!», s’infervorò il festeggiato,
«A me non interessa per nulla
della tua vita sessuale, mi hai capito?!»
In religiosa quiete,
Itachi prese ad accarezzargli guance e capelli. Non una
parola fuori posto esalò dalle sue labbra, non uno sguardo
pieno d’astio fu
donato a Sasuke; nulla di nulla, se non tutto l’affetto che
provava per il più
piccolo attraverso quei minimi tocchi.
«Itachi…
s-smettila…», lo implorò il
neo-diciassettenne, portando le mani sul
petto del fratello e stringendo spasmodicamente tra le dita la soffice
stoffa
della maglietta di cotone nera, che fasciava il modellato colpo
marmoreo, quasi
scultoreo, del nii-san.
«Non sto
facendo nulla di male, otouto…», gli fece notare,
chinandosi per
baciargli una tempia e accarezzargliela con una guancia.
«Ti
prego…»
«Hai paura,
otouto?»
«Mh…
Nii-san, basta…»
«Non devi
averne…»
«Lasciami,
ti scongiuro…», le lacrime, con arroganza,
forzavano le palpebre
affinché le concedessero di uscire, le ghiandole lacrimali
continuavano a
produrle, la testa percuoteva i neuroni, il cervello, le tempie e tutto
ciò che
trovava sulla sua strada tramite i vasi conduttori dall’alto
al basso.
«Va bene,
Sasuke», acconsentì Itachi.
Quest’ultimo
sollevò il capo di Sasuke con gentilezza, sfiorando appena
il mento
scarno e avvicinando le loro labbra. Fu un tocco leggero, quasi
impercettibile,
appena accennato, eppure ricco di sentimenti assopiti e sensazioni
proibite,
delle quali i due si erano sempre privati. Il maggiore voltò
il capo alla sua
sinistra, individuando sul comodino al lato sinistro del letto una
candelina
azzurra e l’accendino posativi in antecedenza; li
afferrò rapidamente, senza
annullare il tocco con il fratellino, e si apprestò ad
accenderla. La pose
dinanzi al viso del diciassettenne, stringendogli la mano e chinando
leggermente il busto.
«Esprimi un
desiderio, Sasuke».
Lo fece, eccome se lo
fece. Ripose tutte le speranze in un unico soffio, che
fece sparire quella fiammella della candelina di compleanno, nonostante
non
fosse scaramantico; ma gliel’aveva chiesto Itachi, come
poteva dissentire?
«Tanjoubi
omedetou, otouto».
__________________________________________
Glossario:
Dobe: idiota.
Teme: bastardo.
Usuratonkachi:
imbecille.
Baka: idiota.
Kami:
divinità giapponese.
Tanjoubi omedetou:
buon compleanno.
NB:
Okay, mi
prendo tutta la responsabilità per lo squallidissimo
sillogismo,
ma lo reputavo adatto ad un tipetto come il nostro Naruto!
Il
riferimento al "rimbalzello" è un piccolo onore al "perfido"
Madara, giusto perché è tanto cucciolotto e
merita di essere pres.. per i fon... *coff
coff* Dicevo, perché stimo che egli meriti d'esser ricordato
per le sue eroiche gesta!
La scelta della
ragazza è ricaduta su Sakura perché, andando per
esclusione, è
l’unica che si può avvicinare ad
Itachi… in un certo senso. Ma in questa storia
è solo un’amica. E lo sarebbe in qualunque caso
è_è
La scelta del profumo
del carissimo Itachi-san è stata presa sotto consiglio di
mio fratello u_u e perché io amo quel profumo!
ETA' DEI PERSONAGGI:
Ve le
chiarisco perché per me è stato un vero e proprio
travaglio determinarle:
-
Itachi, 18 anni primo capitolo, 22 dal secondo fino al capitolo 4, dal
quinto capitolo ha 23 anni;
-
Sasuke, 13 anni primo capitolo, 17 dal secondo fino al capitolo 4, dal
quinto capitolo 18 anni;
-
Naruto, 13 anni primo capitolo, 16/17 dal secondo fino al capitolo 5,
dal sesto capitolo 18 anni;
-
Sakura, 20 anni secondo capitolo fino al capitolo 5.
Note dell'autrice:
Siccome il
mio umore oggi non è dei migliori e la mia solita
loquacità scarseggia, approfitto di queste note solo per,
innanzi tutto, ringraziare le persone che hanno inserito la storia
nelle seguite e nelle preferite, e coloro che l'hanno recensita. Grazie
di cuore, spero che vi possa piacere anche se non è il
massimo! Inoltre, vi informo che posterò i capitoli ogni
cinque giorni. Ci si sente il giorno 12 marzo!
ps: ne approfitto per augurare a tutte le donne una buona giornata per domani! Per quanto io odi che le donne vengano "apprezzate" solo l'otto marzo e mai ogni giorno, voglio che passiate tutte un'ottima giornata. E anni ed anni composti solo da giorni felici nelle quali veniate (e dovrei includermi anch'io...) rispettate come dovuto.
Bacioni, Giacos.