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Autore: SeleneLightwood    07/03/2013    12 recensioni
Blaine Anderson ha diciannove anni ed è uno studente di letteratura alla NYU, scrittore in crisi da pagina bianca.
Quando una sera è sul punto di arrendersi, il protagonista del romanzo che sta scrivendo da una vita salta fuori dalla storia e finisce nel suo soggiorno, ricoperto di scritte e grondante d'inchiostro.
Che succede quando ti innamori di qualcuno che non esiste?
"Ci sono delle volte in cui Blaine riesce ancora a sentire l'odore di carta e inchiostro sulla pelle di Kurt".
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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What happens when you fall in love with someone who doesn’t actually exist?

“I feel like your waste of paper”. I think I kind of fell in love with you when you were just paper, Kurt.

“Come here, Inkheart".

“At least we see the stars”

"Everybody should do it, now and then: you should take a book from the shelf, open it in the middle and close your eyes while you take a deep breath. And here it is. Paper and ink".

“You can’t buy happiness. But hey, you can buy books, and that’s kind of the same thing”.

 

There are times when Blaine can still smell paper and ink on Kurt’s skin.

 

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A G e M, che non lo sanno, ma sono una costante fonte di ispirazione. Se ce l'hanno fatta loro, posso farcela anche io.

E a Ila, perché mi sopporta. 



PAPER AND INK

 

Uno

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*



Dicevano che l'olfatto fosse, dei cinque sensi, il primo a svilupparsi.

Forse era per quello che il primo ricordo che Blaine possedeva era l'odore delle copertine polverose dei libri ordinatamente riposti sugli scaffali color crema dell'Inkheart, la piccola libreria gestita da sua nonna Christine.

Cuore d'inchiostro.

Da bambino si soffermava spesso ad ammirare l’insegna di legno lucido, a pensare che fosse un nome semplicemente perfetto: quella vecchia libreria indipendente racchiudeva tra le pagine dei libri il cuore e l’anima di un intero universo. O almeno così gli piaceva pensare.

Blaine amava immaginare il suo nome su una di quelle meravigliose copertine rigide o un bambino con in mano il suo libro di favole; era un po’ come consegnare un pezzo della propria anima nelle mani di qualcun altro.

Non era stata affatto una sorpresa quando aveva annunciato di voler diventare uno scrittore, come potrete ben immaginare. Dopotutto aveva passato la maggior parte della sua infanzia tra vecchi libri d'avventura  e antiche macchine da scrivere, assorbendo l'odore delle pagine fresche di stampa e il profumo dell'inchiostro non del tutto asciutto fino a rendere quel mondo così intrigante una parte di sé troppo grande per potervi rinunciare.

La vera sorpresa era stata scoprire ad un passo dal diploma che suo padre non lo avrebbe supportato nelle sue scelte.

 

Segreteria Telefonica del 19 Aprile 2012

Speeeeak*.

“Blaine, sono io, mamma. Non capisco perché accidenti hai sempre il telefono irraggiungibile. Sei di nuovo al negozio della nonna? Tuo padre ti vuole puntuale per cena, non dimenticarlo. Dì a Christine che la sua macchina la porteremo a riparare quando abbiamo tempo, ok?” 

 

"Smetti di giocare al narratore di favole, Blaine" gli aveva detto l’uomo una sera a cena in tutta tranquillità, come se non stesse strappando in mille pezzi il suo sogno una parola alla volta. Sua madre aveva gli occhi lucidi ma taceva. Come sempre.

"Voglio che tu scelga un lavoro dignitoso, come il ragioniere, nonostante la tua...condizione”. Omosessualità. Dillo, papà, non ti ucciderà. “Non hai la tenacia necessaria a sfondare nel mondo della letteratura, ti stufi terribilmente in fretta delle cose, ragazzo, e non ho intenzione di pagarti l'università per vederti gettare al vento l'azienda di famiglia”.

Scrivo da tutta una vita, tu non hai idea. Non puoi togliermi anche questo. “Così sei solo uno - uno spreco di carta, figliolo".

Se John Anderson si riferisse ad un effettivo spreco di denaro contante o direttamente alle sue attività letterarie, Blaine non lo seppe mai: quella sera stessa passò la polizia ad avvisarli che Christine Anderson, sì, siete voi la sua famiglia?, aveva avuto un incidente d'auto ed era morta sul colpo.

Suo padre rilevò l'Inkheart e quattro miseri giorni dopo affittò i locali ad una giovane coppia, la quale decise di aprirvi una caffetteria.

Mentre guardava dall'altro lato del marciapiede la ditta di trasloco intenta a impacchettare rudemente libri su libri Blaine non aveva potuto fare a meno di pensare, arrabbiato, deluso e ferito, che quella fosse la fine del Cuore d'Inchiostro.

Del suo, di cuore di inchiostro, quello nascosto nel petto che continuava a mantenere il suo ritmico tumptumptumptump anche quando, dopo la morte di Christine, non era più riuscito a scrivere; anche mentre i fogli di appunti giacevano abbandonati sulla scrivania.

Anche se la lettera d'accettazione al corso di letteratura della NYU non era altro che - uno spreco di carta?

Quel cuore continuava a battere solo perché non poteva semplicemente fermarsi. Fino all'apertura del testamento, almeno.

 

Segreteria Telefonica del 19 Maggio 2012

Speeeeak.

“Blaine, sono io, mamma. Devi – devi venire dal notaio, tu – vieni e basta. Sei in giro con Sebastian come al solito? È importante, riguarda il testamento di Christine. Sbrigati.”

 

Sua nonna gli aveva lasciato in eredità due milioni di dollari e un libro.

Tipico di Christine, comunicare con il proprio nipote in modi che nemmeno lui avrebbe potuto  comprendere: sulla prima pagina di As the light slowly dies, meravigliosamente ingiallita e rovinata dal tempo, proprio sotto al titolo in Courier New, c'era una dedica scritta a mano.

"Non rinunciare mai al Cuore d'Inchiostro, Blaine, nemmeno quando è il Cuore d'Inchiostro a rinunciare a te. Christine

Blaine aveva fissato la scrittura spigolosa di Christine per ore, cercando di imprimere nella memoria la curva soffice delle elle, quel suo particolare modo di tracciare le erre o la firma semplice ed obliqua nel disperato tentativo di cancellare gli strilli di suo padre riguardo all’utilizzo che avrebbe fatto dell’eredità.

Non aveva pianto.

Aveva passato quella nottata a pancia in su, invece, disteso sul letto a cercare di interpretare le parole della donna. Non si riferiva al locale, lo sapeva. Christine era stata, di fatto, l'unica persona ad incoraggiarlo nel perseguire il suo sogno sempre e a qualsiasi costo, l'unica che sembrasse capire perché Blaine desiderasse passare il resto della propria vita a riempire intere pagine di parole, l’unica che condividesse quel suo bisogno bruciante di raccontare una storia.

Quel cuore d'inchiostro era il modo in cui lei era solita riferirsi all'amore per la scrittura di suo nipote: perché avrebbe dovuto rinunciarvi? Era un richiamo al quale non poteva sottrarsi nemmeno volendo.

Così l'estate dopo il diploma Blaine aveva cercato un minuscolo appartamento a New York City, aveva detto addio all'Inkheart - dove la pallida insegna Tavola Calda da Rufus e Mary aveva sostituito quella allegra tutta ghirigori della libreria - e si era trasferito, mandando al diavolo l'azienda di famiglia e tagliando i ponti con suo padre sulla soglia di casa a soli diciott’anni, senza essere davvero in grado di cancellare le sue parole.

Sei solo uno spreco di carta.

Di quante altre cose era stato solo uno spreco, per quell’uomo, esattamente?

 

Segreteria telefonica del 1 Settembre 2012

Speeeeak.

“…B-Blaine? Sono io, mamma. Ti trasferisci o-oggi, non è vero? Hai il telefono s-spento. Perché hai sempre il telefono spento? Tuo padre ha buttato l’indirizzo che ci hai lasciato m-ma l’ho recuperato. Perché mi hai lasciato da sola? Sto b-blaterando, scusa. Mi dispiace, Blaine, mi dispiace. Christine non avrebbe voluto questo, e cosa dirà Cooper? Lei voleva bene a tuo padre, e io non posso non- Blaine, questa è la mia ultima chiamata, e ti-

Bip.”

 

La prima notte che aveva passato da solo nel nuovo appartamento a New York, ad inizio settembre, era stata dolorosa e l’aveva lasciato sveglio per ore a sfogliare una serie di rimorsi e rimpianti: era servito che sua nonna morisse perché lui si decidesse a cercare di realizzare il proprio sogno nonostante suo padre lo ostacolasse e sua madre fosse troppo debole per fare qualsiasi cosa. Il suo ultimo messaggio in segreteria non era stata una sorpresa; Blaine si era chiesto se fosse normale che se l’aspettasse. Le voleva bene, naturalmente, non si smette di amare un genitore dalla mattina alla sera; e sì, un giorno sperava di poter riallacciare i rapporti con lei e persino con suo padre. Solo che ora doveva cavarsela da solo.

Tuttavia, invece che cercare conforto in una tisana, nel programma di letteratura della NYU o addirittura nella scrittura, quella notte aveva raggiunto il borsone ed estratto il libro di sua nonna.

L'aveva aperto e avvicinato al viso e, mentre respirava piano, aveva pensato che la gente avrebbe dovuto farlo più spesso, questo: chinarsi sulle pagine e prendere un profondo respiro, assaporando il profumo di carta e inchiostro.

Nonostante tutto sapeva ancora di casa.

 


 

 

Christine diceva sempre alle sue amiche che Blaine possedeva un cuore d’inchiostro perché credeva fermamente che per poter scrivere fosse necessario mettere a nudo i propri sentimenti. Non che Blaine ci riuscisse davvero – anzi, solitamente tendeva a schermarli dal resto del mondo, l’esatto opposto – ma lei sembrava convinta che il nipote avesse, nascosta in fondo, questa capacità di imprimere nella carta, con quel tratto nero, non solo le parole ma anche il cuore.

 

Doveva solo riuscire a trovarla ma la ricerca si stava rivelando ogni giorno più ardua.

 



New York City, East Village,

22 settembre 2013

 

"Ti dico che appropinquarsi è un termine decisamente più appropriato di avvicinarsi" insistette Sebastian dall'altro capo del telefono, cercando di sovrastare con la propria voce il rumore del traffico newyorkese. Da cantante con le corde vocali particolarmente allenate, non gli riusciva poi così difficile. “È una parola figa”.

Blaine si prese il viso tra le mani per non cedere all'impulso di sbattere la testa sulla tastiera fino a farsela sanguinare. Il portatile di fronte a lui sembrò quasi lanciargli uno sguardo di rimprovero e pietà.

"Sì, escludiamo il fatto che appropinquarsi sia un termine ripugnante per un romanzo e che le tue competenze letterarie sono pari a quelle di un bradipo che si è fatto di LSD. Non è un sinonimo che cambierà le cose, sai? Non c'è niente da fare" sospirò appoggiando la fronte contro il palmo della mano. "Il capitolo di certo non si scriverà da solo, e nemmeno il saggio sull'importanza della Didattica. Faccio schifo".

Sebastian gridò un paio di macabri insulti in francese contro un'altra auto prima di riportare l'attenzione su di lui. Era un guidatore molto… rumoroso.

"Sono tre giorni che sei chiuso in casa sopra quelle cinque righe spelacchiate" gli fece notare il suo migliore amico con un vago tono di rimprovero. “Quand’è stata l’ultima volta che siamo andati ad una festa? Te lo dico io: l’anno scorso. Ti sei almeno fatto una doccia? No, non rispondere”.

“Lo so, lo so” borbottò Blaine, raccogliendo la tazza di caffè ormai vuota e abbandonando la sua postazione per sbirciare fuori dalla finestra. In autunno la luce della tramonto aveva su New York un effetto da mozzare il fiato.

“Però non me la sento di uscire, Bas, te l’ho detto, specialmente per un ridicolo party, senza contare che domani ho addirittura lezione alle otto di mattina. E poi non puoi convincermi a fare qualsiasi cosa ti passi per la testa”.

“Quest’estate in Ohio ti ho convinto a salire su una torre idrica” gli fece argutamente notare l’ex Warbler.

Sebastian”.

Sebastian emise un sospiro contrariato ma non disse nulla. Blaine non aveva bisogno che parlasse, grazie tante, si faceva pena anche da solo.

Non aveva ancora compiuto diciannove anni, viveva a New York da un anno ed era single.

Non che l’ultima voce dell’elenco fosse fondamentale. Aveva avuto un ragazzo al liceo ma non era stato niente di importante, né era durato molto. Solo esperienza. Certo, di ragazzi carini e disponibili in Ohio ce n’erano a bizzeffe – Sebastian era il suo migliore amico, quindi non contava – ma nessuno aveva mai attirato abbastanza la sua attenzione, così erano rimasti solo lui, gli Warblers e le sue amate pagine. Persino ora che frequentava il college le cose non erano cambiate: preferiva la compagnia di un libro ad una festa alcolica. Un potenziale sfigato, insomma.

Solo che era diventato tutto terribilmente difficile, perché aveva perso – aveva perso l’ispirazione.

Da quando si era trasferito nella Grande Mela e aveva iniziato a frequentare la facoltà di Lettere alla New York University non era più riuscito a scrivere, o almeno non in maniera decente. Le lezioni erano fantastiche, le amava ed erano terribilmente stimolanti ma erano durissime ed ogni volta che apriva il portatile e tentava di scrivere qualcosa di suo si bloccava.

E poi c’era il suo romanzo, ricco di trama eppure ancora privo di un titolo, lasciato a metà. Scriveva tre righe al giorno, le rileggeva e le cancellava, disgustato. Passava notti intere a cercare un titolo. Il coro del McKinley? Will Schuester e i suoi ragazzi? Quegli sfigati? Glee?

Era diventata quasi un’ossessione, più che una sfida. Una procedura che si ripeteva senza fine, un dolore fisico il non poter continuare. Perché non riusciva a dargli un titolo? Perché si bloccava ogni volta?

Ultimamente pensava sempre più spesso che sua nonna si fosse clamorosamente sbagliata e che suo padre avesse sempre avuto ragione: forse davvero non aveva la tenacia adatta a questo genere di lavoro.

Magari era la solitudine: avere Sebastian come unico amico – o quasi – in tutta la città aveva i suoi lati positivi ma anche quelli negativi. Tutti gli amici che si era fatto alla Dalton o tra gli Warblers erano sparsi per l’America. Wes era addirittura finito a studiare medicina a Londra.

Così il libro che cercava di portare avanti da una vita se ne stava lì, a fissarlo dal tavolino da caffè, in attesa di essere scritto.

Persino il protagonista della sua storia sembrava ribellarsi a lui, come se si rifiutasse di seguire il corso degli eventi, ormai non tanto chiari nemmeno nella sua mente. Non era una favola felice, certo, ma neppure triste. Era semplicemente realistica e Blaine avrebbe tanto voluto portarla a termine e trovare un editore disposto a pubblicarla.

Prima però doveva scriverla, e il suo personaggio principale non collaborava.

“Senti” ringhiò Sebastian dopo che il telefono ebbe riportato il suono metallico di una brusca inchiodata e dell’ennesima imprecazione in francese. Blaine si preparò al peggio. “Ora scendo e prendo regalmente a pugni questo cazzo di tassista. Ti do altri tre giorni, Anderson, non un minuto di più, dopo di che mi fai leggere la porcata di capitolo che hai buttato giù e ci lavoriamo insieme. Ti farò resuscitare entro tre giorni, o la considererò una sconfitta personale”.

Prima ancora che potesse acconsentire con un sospiro Sebastian gli attaccò in faccia, lasciandolo solo con il ritmico tu tu tu tu tu della linea ormai persa e i suoi cupi pensieri.

 


 

 

Una volta Sebastian l’aveva convinto a salire fino in cima alla torre idrica a qualche chilometro da Westerville nel cuore della notte solo per chiedergli, una volta lassù, come andasse la sua crisi da pagina bianca.

 

Segreteria Telefonica del 23 Agosto 2012

Speeeeak.

“Oh, per l’amor di dio, Blaine. Sono io, mamma. Spero per te che non fosse Sebastian quello alla porta. So che è sconvolto per i suoi fratelli, ok, ma ti sta trascinando nel burrone con sé! Ti sembra il momento di sparire così, nel cuore della notte, con la situazione familiare in cui ci troviamo? Cos’è, stai cercando di indispettire tuo padre? Smettila di fare i capricci e torna a casa. Possiamo parlarne, se solo smetteste di urlarvi contro ogni cinque minuti. Vuole solo il tuo bene e quello della nostra famiglia. Vuoi fare la fine di Cooper? Torna a casa appena senti il messaggio, ok? Ma che parlo a fare, tanto non li ascolti mai”.

 

Era passato poco tempo dal funerale di Gustave e Camille ed entrambi erano ancora incatenati in quel periodo di incertezze, paure e rimorsi che veniva subito dopo il diploma, prima del trasferimento a New York. Sebastian stava dando il peggio di sé in quei mesi ma durante quei pochi momenti di lucidità in cui non era ubriaco o stava dormendo Blaine riusciva a intravedere un’ombra di quello che era stato il suo migliore amico.

Era allora che riusciva a sentire la speranza che quel ragazzo non fosse del tutto scomparso, soffocato dai sensi di colpa e dal dolore.

“Non va. Non ho scritto nemmeno una riga” aveva risposto Blaine sinceramente, prendendolo per un gomito per tirarlo indietro. “Bas, soffri di vertigini. Perché siamo quassù?”

Sebastian aveva alzato le spalle. “Se stai aspettando che me ne esca con una patetica frase da emo tipo le vertigini sono solo voglia di volare puoi anche scendere direttamente dal parapetto. E comunque lei adorava venire qui”.

Blaine l’aveva osservato a lungo. “Beh” aveva commentato infine, appoggiando i gomiti al metallo freddo che li divideva dal vuoto e lasciando che il vento gli scompigliasse i capelli. “Almeno qui si vedono le stelle”.

 


 

 

New York City, East Village,

22 Settembre 2013

 

Blaine quella sera non aveva cenato. In realtà non si era mosso dal divano nella vana speranza che fissare il file aperto di word senza battere le palpebre neanche una volta lo avrebbe portato ad avere chissà quale improvvisa illuminazione sul punto in cui si era bloccato.

La verità era che non aveva fatto altro che fargli venire gli occhi rossi e gonfi di stanchezza e procurargli un rimprovero dalla sua vicina vecchia e completamente pazza, Meg Giry, che allevava piante carnivore e lo sgridava per via del troppo poco rumore almeno una volta al giorno.

“Il ragazzo scivolò lentamente lungo l’armadietto fino a finire seduto a terra, aggrappato alla tracolla della sua borsa di pelle come un’ancora. Fissava la schiena del giocatore di football troppo”, erano le ultime frasi che aveva scritto. Non aveva idea di come continuare, di che parole usare. E, dannazione, quella frase risaliva al pomeriggio precedente alla morte di Christine.

Da lì in poi il buio, come se insieme a sua nonna se ne fosse andata anche la sua bravura, lasciandolo solo con un migliore amico infelice e depresso e nient’altro che un avvertimento sulla prima pagina di un vecchio libro.

"Non rinunciare mai al Cuore d'Inchiostro, Blaine, nemmeno quando è il Cuore d'Inchiostro a rinunciare a te. Christine"

Frustrato, afferrò il foglio stropicciato con gli appunti sulla trama e vi scrisse sopra a caratteri cubitali il nome del protagonista, come se poter guardar male quelle dieci lettere potesse in qualche modo sbloccare la sua situazione.

Suo padre aveva ragione, aveva deluso sua nonna, aveva deluso se stesso.

“Sei solo uno spreco di carta” ripeté al foglio con amarezza, quasi aspettandosi di vederlo protestare, di sentirsi rispondere ‘no, tu lo sei’. La cosa non lo fece stare affatto meglio, anzi: pesava come se fosse la verità. Era un fallito.

Si chiese cosa avrebbe pensato di lui il protagonista, davanti al quale nel corso della storia aveva posto una difficoltà dietro l’altra, una sofferenza per ogni piccola conquista. Probabilmente avrebbe riso di lui. Se fosse stato reale lo avrebbe odiato, se non altro per ciò che gli aveva fatto patire.

Un lampo, fuori dall’ampia finestra della sala, squarciò il cielo.

Alla fine Blaine optò per andare a farsi una doccia e abbandonare il lavoro almeno per un po’ – rivaluti l’utilità del getto d’acqua bollente quando scopri di poterci nascondere lacrime su lacrime – e si spogliò con disattenzione, impaziente di poter sciacquare via parte della tensione.

Iniziò a piovere proprio in quel momento e lui quasi non ci fece caso.

Rimase sotto al getto caldo e rilassante finché non esaurì tutte le lacrime di rabbia che aveva da versare e la lieve pioggerellina che aveva colpito New York non si trasformò in un temporale.

Stava per uscire dalla doccia e tornare ad una realtà più asciutta quando sentì il primo rumore provenire dal soggiorno, come di una tazza che cadeva.

Sebastian, grazie a Dio, non era mai riuscito a rubargli le chiavi dell’appartamento per farne una copia ed intrufolarsi a suo piacimento, e Blaine non aveva animali domestici. Un altro rumore, stavolta più somigliante ad un gemito soffocato, giunse tremolante fino alla porta del bagno.

Ci manca solo la rapina finita in tragedia.

Cercando di mantenere la calma – non posso morire, non ho finito di scrivere la storia – chiuse l’acqua e si avvolse un asciugamano intorno alla vita senza perdere tempo ad asciugarsi.

Afferrò il primo oggetto a portata di mano vagamente somigliante ad un’arma– una spazzola, se fosse sopravvissuto Sebastian l’avrebbe preso in giro per anni. Ma cosa avrebbe potuto usare, il tubetto del gel? – e aprì lentamente la porta della sala, immersa nel buio e illuminata fiocamente solo dal lampione fuori dalla finestra.

Per poco non gli cadde la spazzola di mano per lo spavento.

Al centro della stanza, in piedi vicino al tavolino da caffè, c’era un ragazzo.

Stringeva in una mano il suo foglio degli appunti e aveva come delle cicatrici cosparse su ogni punto visibile di pelle, perfino in alcune parti del viso. Un’impossibile quantità di liquido scuro e viscoso colava dai suoi vestiti fino al pavimento, tanto che per un istante Blaine pensò che fosse sangue, e il ragazzo lo stava fissando con degli enormi, terrorizzati occhi blu.

L’idea che potesse trattarsi di un ladro scivolò via dalla sua mente in fretta, sostituita da una ben più assurda.

Lui quegli occhi li conosceva.

C’erano volute ore e ore per deciderne il colore, la forma, ogni singola sfumatura. Li aveva descritti con tanta cura da arrivare a sognarli.

Conosceva quel ragazzo e non perché era un amico d’infanzia, un parente o un vecchio compagno di scuola.

Era Kurt Hummel.

Kurt Hummel che non esisteva perché era il protagonista del suo romanzo ma che in quell’esatto istante si trovava nel suo salotto e stava sgocciolando inchiostro sul pavimento, più reale che mai.

 



 

 

Note dell’Autrice


*speeeeak: se qualcuno ha visto Rent il musical (versione film con Idina Menzel, per capirci), saprà che è la frase che introduce i messaggi in segreteria telefonica di Mark & Roger!

Bene, cercherò di essere breve! Bentornati a tutti! So che questo primo capitolo vi lascerà un po’ perplessi – scioccati.

Sì, Blaine sta scrivendo la storia di Glee. Sì, Kurt è il protagonista. Sì, Kurt non esiste.

Detto questo, un paio di cose da chiarire:

1 – questa storia è una Klaine. Sebastian è il migliore amico di Blaine e ricoprirà un ruolo estremamente importante nella storia (vedrete, ahahaha). In ogni caso, non ci saranno interazioni romantiche né con Blaine né con Kurt. Questo lo chiarisco subito perché è giusto che sappiate cosa andrete a leggere J

2 – Christine, la nonna di Blaine, deve il suo nome a Christine del Fantasma dell’Opera. Stessa cosa per Meg Giry!

3 – Per non complicarvi la vita con i salti temporali (e per non complicarla a me stessa) vi consiglio di leggere le date dei messaggi in segreteria telefonica, che introducono sempre un pezzo del passato, o le altre date, che introducono sia il luogo sia il giorno corrente, e chiaramente quello è il presente. Spero si capisca!

4 -  La storia sarà interamente dal punto di vista di Blaine, ma Kurt avrà modo di far sapere la propria opinione, vedrete!

5 – La storia è romantica, è un po’ angst ma niente di insopportabile, e personalmente non so che dire, se non che ci sto mettendo l’anima, e che sto facendo del mio meglio.

I soliti ringraziamenti vanno a Medea00 (Farina), che si deprime con le trame delle mie storie, a Rin che mi sostiene sempre nei miei scleri, e a Elisa che ha fatto da voce del popolo e letto i primi pezzi della storia in anteprima.

E naturalmente a Ila, che si becca sempre una menzione a parte perché sì.

Bene. Penso di aver detto tutto. AH, il mio giorno di aggiornamento (?) è il GIOVEDI’. Quindi ci si vede la settimana prossima con il secondo capitolo!

Fatemi sapere cosa ne pensate, cruciatemi, ditemi che fa schifo, quello che volete.

 

Selene






   
 
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