Fanfic su artisti musicali > Ed Sheeran
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Autore: Molly182    07/03/2013    1 recensioni
Edward alzò la testa e puntualmente i nostri occhi s’incontrarono e mi sorrise.
Erano le persone come lui che mi mettevano davvero a disagio. Erano sempre così sorridenti, sembrava che andasse tutto bene finché sei insieme con loro, ma poi ti ritrovi da sola e tutto è così triste, scuro, grigio. Non ci sono più sfumature ma soltanto un unico colore che ti divora all'interno e la sensazione di nostalgia verso quelle persone che riescono a cambiarti la giornata, che ti fanno sembrare la vita meno schifosa del solito.
E sapevo che ci sarei ricascata, mi sarei lasciata trasportare dalla sua positività se solo mi fossi lasciata avvicinare e avessi dato retta ad ogni sguardo che mi mandava mentre cantava.
Il fatto che fosse un bravo musicista rendeva ancora più difficile la cosa.
"Posso darti una mano?" , mi chiese Edward seguendomi per i tavoli.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chap 3
Quando mi svegliai, dei deboli raggio di sole irruppero nella stanza. Mi girai dal lato opposto della finestra ma mi svegliai immediatamente. Avrei voluto passare la giornata a letto ma ero in una città nuova, non dovevo passare la giornata a gironzolare per casa senza fare niente.
Dovevo assolutamente fare qualcosa!
Mi alzai dal letto e scostai la tenda bianca facendo entrare più luce possibile nella stanza. Era davvero una bella giornata.
Feci colazione e uscii velocemente di casa. Mi ero promessa di trovare un lavoro e lo avrei dovuto trovare a tutti i costi.
Girai per il quartiere e solo nel pomeriggio m’inoltrai verso il centro. Feci domanda a vari negozi, supermercati e bar ma non cercavano personale o almeno non volevano assumere una ragazza così giovane con poca esperienza. Era il solito cliché.  Avevo deciso di rinunciare per quel giorno finché non mi sedetti su una panchina e un cartello attirò la mia attenzione.
Entrai di corsa nel locale. Si trattava di un pub, non molto illuminato con delle lampade antiche che scendevano dal soffitto. Un grande bancone di legno con numerosi sgabelli si trovava vicino all'ingresso e di fronte, alla parete opposta, una sottospecie di palco che consisteva in una pedana nera con dei tappeti e degli sgabelli.
Alle pareti restanti erano disposti alcuni divanetti rossi e delle poltrone abbinate attorno a dei tavolini. Mi ricordava molto un pub, dove ero stata quando ero ancora in Italia.
"Salve", dissi avvicinandomi al bancone.
"Posso esserle utile?", mi chiese un uomo sulla quarantina intento a pulire dei boccali.
"State ancora cercando personale?", chiesi speranzosa. "La prego, mi dica di si"
"Non sei un po' troppo giovane per lavorare in un pub?"
"Penso di essere abbastanza grande da poter lavorare", gli risposi alzando le spalle. Ero pronta all'ennesimo rifiuto.
"Non è facile lavorare qui, soprattutto quando c'è qualche musicista che viene a suonare"
"Ottimo, io amo la musica"
"E buona pazienza?"
"Ho vissuto con due sorelle minori per tredici anni, penso di sapere cosa significhi avere pazienza", dissi ridendo.
"Sembri davvero interessata a questo lavoro e non capisco perché…"
"Vorrei fare qualcosa di utile nella mia vita, sono stanca di sentirmi una fallita e ho pensato che se avessi trovato un lavoro questa sensazione sarebbe svanita pian piano, sto cercando di scrivere la mia storia, di comportarmi finalmente da ragazza indipendente e penso che questo sia un inizio. Mi sono trasferita da poco, diciamo da due giorni, forse sto facendo le cose troppo di fretta ma mi sono resa conto troppo tardi che diciannove anni di vita entravano perfettamente in una valigia e uno zaino e mi sono chiesta se questo fosse giusto. Mi sono chiesta dove avevo lasciato il resto della mia vita ma sono una stupida e sono qui ad annoiarla con la mia inutile vita, immagino che neanche lei voglia assumermi…", dissi infine scendendo dallo sgabello e raccogliendo la mia borsa. "Può dirmi che non assume gente così giovane, è quello che mi hanno già detto altre quattro persone"
"Stai per caso cercando di farmi pena?", chiese l'uomo abbozzato un sorriso.
"Funziona?"
"In parte sì ma non so, sei un tipo forte e ti voglio mettere alla prova"
"Sul serio?", chiesi tornando a sedermi.
"Perché no?", disse alzando le spalle. "Potresti iniziare col prendere le ordinazioni e servire ai tavoli, immagino che non hai domestichezza dietro al bancone, vero?"
"Ho visto 'Cocktail' e 'Le ragazze del Coyote Ugly' tre volte, può andare?", dissi scherzando.
"Penso che i balletti li lasciamo ai night club, intanto potremmo iniziare a insegnarti qualcosa", disse ridendo. "Lory ti darà una mano"
"Grazie mille"
"Aspetta, almeno hai l'età per lavorale?"
"Ho diciannove anni, quasi venti"
"Ne sei sicura?"
"Sta per caso dubitando soltanto perché sono bassa?"
"Hai un bel caratterino", rispose ridendo. "Comunque io sono Mark e sarò il tuo boss", disse porgendo la mano e io gliela strinse.
"Madeline"
"Bene Madeline, se non hai impegni potresti cominciare da domani pomeriggio, se vieni un po' prima ti faccio conoscere Toby e Lory, così puoi iniziare ad ambientarti"
"Perfetto!", dissi scendendo di nuovo dallo sgabello. "A domani"
Ancora non ci credevo, stava andando tutto fin troppo bene. Avevo trovato una casa e ora un lavoro, mi sorprendeva come la mia vita fosse migliorata spostandomi soltanto di qualche chilometro. Ok, forse erano più di qualche chilometro, diciamo che c’erano un po’ di montagne e una bella pozza d’acqua di mezzo, ma erano dettagli, giusto?

Avevo lasciato il locale che erano le sei del pomeriggio, mi sarei dovuta affrettare a tornare a casa prima che facesse totalmente buio e dovevo ancora imparare le linee dei mezzi da prendere, ma lo avrei fatto la mattina successiva, ora volevo godermi questa città.
Tornai a casa distrutta tanto che appena misi piede all’interno dell’abitazione, crollai sul divano e mi svegliai soltanto la mattina dopo con un enorme torcicollo.
Non passarono molte ore dopo il mio risveglio. Alle tre ero già fuori casa diretta al locale. Mi ero informata sui vari mezzi da dover prendere e con grande fortuna esisteva una fermata della metro a pochi metri dal locale.
"Buongiorno", salutai varcando la soglia.
"Buongiorno, cosa posso offrirti?", mi chiese una ragazza bionda da dietro il bancone.
"Ciao Madeline", disse Mark comparendo da dietro una porta.
"Tu devi essere quella nuova?!", dichiarò poi un ragazzo sbucando da dietro una console.
"Piacere, sono Maddy"
"Ciao io sono Loren ma puoi chiamarmi Lory", disse la ragazza allungando la mano verso di me.
"Toby", ribadì il ragazzo facendo lo stesso. "Tu non sei inglese!", annunciò poi.
"Sono italiana"
"Forte, ti sei già acquistata il tuo primo soprannome!"
"Sarebbe?", chiesi.
"Tony lasciala in pace!", intervenne la ragazza.
"Italia"
"È orrendo, Toby!", gli fece notare Mark. "Ascolta Lory e non iniziare ad assillare Madeline"
"Allora ti chiameremo Maddy", disse poi.
Questo soprannome era già più accettabile, infondo era già il mio soprannome ma lo lasciavo usare soltanto a delle persone a me care. Non mi piaceva che ci fosse tutta quella confidenza ma questi ragazzi avranno avuto sì e no venticinque anni, erano miei coetanei. Perché non avrebbero potuto chiamarmi così?

"Allora iniziamo subito", disse Mark facendomi sedere su uno sgabello. "Questa sera sarà abbastanza incasinata, voglio essere sincero: non sarà facile!", voleva per caso spaventarmi? "Ci saranno molte persone per via del live. Quasi ogni venerdì organizziamo delle serate dove alcuni artisti si possono esibire e il pubblico può venire ad ascoltarli senza pagare l'ingresso. Sono delle sottospecie di live session oppure vengono a presentare il loro nuovo album e cose del genere, hai presente?", annuii. "Bene, quindi ti sto solo dicendo di stare attenta. Dovrai continuare a fare avanti e indietro tra i tavoli. I tuoi compiti saranno di prendere le ordinazioni e portarle ai tavoli giusti, mi raccomando, e anche quello di raccogliere i bicchieri vuoti, tutto chiaro?"
"Chiarissimo"
"Perfetto", ripeté battendomi il pugno. "Io sarò qui dietro con Lory mentre Tony starà alla console e poi ti darà una mano, dovrai resistere per un'oretta e mezza, massimo due"
"Va bene", ero pronta!
"L'ospite di stasera è piuttosto conosciuto qui, ormai è di famiglia, credo che abbia qualche anno più di te, si chiama Edward Sheeran"
"Non l’ho mai sentito…", dissi dispiaciuta. 
"Non importa, lo vedrai stasera, dovrai farci l’abitudine è sempre qui, non riusciamo più a togliercelo dai piedi", scherzò. “Ma è un bravo ragazzo”
Sembrava bello lavorare in quel posto, avrei ascoltato buona musica, avrei imparato qualcosa e i miei 'colleghi' e il mio capo sembravano simpatici. Era davvero un bell’ambiente.
Il pomeriggio passò fin troppo in fretta, anche se non c'erano state numerose persone con cui provare i miei nuovi compiti.

Alle nove e mezza sarebbe iniziato lo show e l'artista si sarebbe presentato tra poco per fare il soundcheck per la serata. Da una parte ero curiosa di ascoltare quel ragazzo. Mark ne aveva parlato in un modo talmente dolce che sembrava che fosse suo figlio. Era davvero fiero di quel ragazzo.
Mentre chiacchieravo con Lory era entrata nel locale una figura incappucciato. Qualche ciuffo rosso usciva dal cappuccio e i suoi occhi erano coperti da un paio di occhiali da sole, nonostante fuori non ci fosse per nulla il sole.
"Edward!", annunciò Mark quando il ragazzo varcò la soglia con una chitarra sulle spalle.
"Ehi Mark!", lo salutò facendo scontrare i loro pugni.
"È un piacere vederti"
"Sono tornato da poco dall’America, è stato spettacolare,
Example è un fottuto genio!"
"Pensavamo di mandare i soccorsi, sembravi sparito"
"Ho avuto problemi con l'aereo, ho costatato che non so prenotare un volo su internet"
"Quindi..."
"Ho preso tre aerei per raggiungere Londra", spiegò appoggiando la chitarra a terra. "Ho passato tutto mercoledì e giovedì a dormire per via del jet lag"
"Oh Edward a volte mi chiedo se tu non sia più vecchio di me"
"Probabilmente, sono arzillo come un ottantenne", scherzò lui.
"A proposito di chi è più giovane, ti presento la nostra new entry, si chiama Madeline", disse indicandomi. "Maddy vieni qua". 
"Ti conosco!", esclamò il ragazzo appena mi vide.
"Ancora tu?", dissi incredula. Pensavo di essermi liberata di quel ragazzo all’aeroporto.
"Vi conoscete?", chiese l'uomo.
"Una sottospecie, Cristopher mi ha rubato la valigia qualche giorno fa", dissi.
"Cristopher?", domandò.
"Lui", lo indicai. "All'aeroporto"
"Sicura che sia lui?", mi chiese ancora. 
"Sì, certo, mi ha detto di chiamarsi Cristopher", dissi ingenua. “Ha anche la stessa faccia da prendere a schiaffi”
"E tu sei Maddy", intervenne il ragazzo.
"Madeline", gli risposi scocciata portandomi le braccia al petto. "Quindi quello non è il tuo vero nome..."
"Ho detto una piccola bugia"
"Bene…"
"Vi lascio parlare", dichiarò Mark vedendo che tirava una strana aria. "Mi trovate in ufficio"
"Ti sei arrabbiata?"
"Perché mai dovrei arrabbiarmi? Neanche ci conosciamo"
"Maddy, suvvia"
"Maddy mi chiamano solo gli amici e tu non sei mio amico"
"Ora tieni il muso?"
"Non so come riesci a stare simpatico a Mark ma sei irritante, lasciatelo dire"
“Non mi sembrava che in aeroporto ti desse fastidio…”

“Pensavo di non vederti più”
"Comunque sono Edward ma puoi chiamarmi Ed"
"Se mai avrò bisogno..."
"Scommetto che lo farai, fidati"
"Speraci...", dissi voltandomi per andare dietro al bancone.

Mi chiedevo come era possibile che quel ragazzo mi fosse stato simpatico in un primo momento. Ora invece m’irritava, anche se forse era colpa mia… No! Non era colpa mia! Mi aveva mentito, ma non dovevo prendermela tanto. In fondo era uno sconosciuto e lui poteva fare quello che voleva. Non doveva dirmi per forza il suo vero nome. Eppure mi aveva dato fastidio.
"Che c'è?"
"Niente"
"Perché mi fissi?"
"Non ti sto fissando"
"Non dovresti fare delle prove?"
"Non ne ho bisogno, possiamo parlare un po’…", disse sedendosi sullo sgabello davanti a me.
"Penso che dovresti fare qualcos'altro"
"Lory, ti do fastidio se resto qui?", chiese il ragazzo.
"Per me potresti anche venire dietro al bancone a servire, avrei almeno un po' di pausa"
"Sei la solita sfaticata"
"Senti chi parla", disse lei tirandogli una nocciolina addosso. "Come vi conoscete voi due?"
"É una storia davvero buffa...", iniziò il ragazzo.
"In verità non ci conosciamo affatto, ci siamo scontrati per caso, tutto qui"
"Oh beh, non puoi mai sapere chi incontrerai un giorno... ci sono persone che così hanno migliorato la loro vita, si sono fidanzate, poi sposate e hanno avuto figli…"
"E poi ci sono io che ho incontrato Cristop... Edward"
"Poteva capitarti di peggio"
"O magari meglio, un bel Tom DeLonge sarebbe stato perfetto"
"A Londra?", chiese lei.
"Hai ragione, avrei più probabilità di trovare Mark Hoppus", dissi ridendo. 
"Suvvia, non è poi così terribile aver incontrato me", intervenne lui.
"Sei solo il ragazzo più irritante sulla faccia della terra"

“Almeno mi pensi”
“Io…”
"Ed, qui è tutto pronto, tra poco il locale si riempirà e tu devi ancora accordare la chitarra", lo informò Toby dal fondo del locale.
“Devo andare, il lavoro mi tocca”, disse enfatizzando la frase con un gesto della sua mano. “A più tardi fanciulle”

“Certo che è un bel tipo”, affermò Lory mentre il ragazzo di allontanava.
“Come?”
“Ed…”, rispose. “È carino, ha la tua età e sembra esserci confidenza…”

“Oh no, assolutamente no!”, contestai. “Non esiste!”
“Perché?”
“Perché, dico, lo hai visto? Non penso di poterlo sopportare, parla sempre, è troppo espansivo…”
“Che c’è di male in questo?”
“Io tendo a stare alla larga da persone del genere”

“Penso che Edward non sia una persona cattiva”
“Non dico questo, immagino che rubarmi la valigia sia stato solo un errore, ma persone come lui mi spaventano, cioè hanno sempre qualcosa da dire mentre io preferisco restare in silenzio ad ascoltare, m’intimoriscono…”
“Magari dopo mi racconti cosa voleva fare Ed con la tua valigia…”, disse ridendo cercando di cambiare discorso. Era riuscita a capire che volevo evitare quell’argomento.
“Già, forse, dopo…”, dichiarai guardano verso di lui.
Edward alzò la testa nello stesso istante in cui lo guardai, e puntualmente i nostri occhi s’incontrarono e mi sorrise.
Erano le persone come lui che mi mettevano davvero a disagio. Erano sempre così sorridenti, sembrava che andasse tutto bene finché si restava insieme a loro, ma poi ci si ritrovava da soli e tutto era così triste, scuro, grigio. Non esistevano più sfumature ma soltanto un unico colore che ti divorava all’interno e la sensazione di nostalgia verso quelle persone che riuscivano a cambiarti la giornata, che ti facevano sembrare la vita meno schifosa del solito.
E sapevo che ci sarei ricascata, mi sarei lasciata trasportare dalla sua positività se solo mi fossi lasciata avvicinare e avessi dato retta ad ogni sguardo che mi mandava mentre cantava.
Il fatto che fosse un bravo musicista rendeva ancora più difficile la cosa.
"Posso darti una mano?" , mi chiese Edward seguendomi per i tavoli.
Aveva finito il suo piccolo show e dopo qualche bicchiere di birra fresca era tornato all’attacco per infastidirmi cercando di essere gentile.
"Sto lavorando, lasciami in pace"
"Penso che tu abbia bisogno di una mano"
"Ce la posso fare"
"Dammi!", disse prendendo il vassoio che tenevo in mano. "Ecco le due birre e la coca cola che avete ordinato"
"Edward!", lo richiamai.
"Che c'è ?", chiese.
"Perché lo fai?"
"Sembrava che tu avessi bisogno di una mano"
"Non ce ne era bisogno"
"Perché ti da fastidio che ti possa aiutare?", disse ora raccogliendo i bicchieri da un altro tavolo che era appena stato lasciato vuoto. Pian piano la gente se ne stava andando e l’orario di chiusura si stava avvicinando.
"Non lo so, forse perché è il mio lavoro e tu lo stai facendo per me"
"A Mark non dispiace, a volte do una mano anche a Lory e lei non si lamenta"
"Allora puoi andare da lei", dissi esasperata.
"Pensi che sia un peso stare con te?"
"Penso che tu abbia di meglio da fare che stare qui con me"
"Penso che tu pensi troppo"
"Non dovresti tornare a casa?"
"Sono grande abbastanza da poter stare fuori la notte, non credi?", mi rispose. "Tu piuttosto..."
"Cosa?"
"Quanti anni hai?"

“Non è importante…”
“Maddy!”
"Diciannovenne"
"Sei giovane, cosa ci fai a Londra da sola?", alzai le spalle senza dargli una risposta. "Va bene, forse un giorno me lo dirai…"
"Come sarebbe «un giorno»?", chiesi guardandolo.
"Pensi che sia finita qui?"
"Ci speravo..."
"Sarebbe stato troppo bello, non credi?"

"Lo immaginavo", dissi sospirando.
"Hai già fatto un tour per la città?"
"Non ne ho ancora avuto tempo..."
"La mia proposta è ancora disponibile..."
"Grazie, ma penso che..."
"Non ti fidi di me?"
"Non mi fido delle persone in generale..."
"Potresti cambiare idea"
"Potrei ma al momento sto bene cosi"
"Davvero?"
"Stai cercando di analizzarmi?"
"Sto cercando di capire che persona sei"
"Lascia perdere...", dissi. "Ora è meglio che torno a casa"
"Ti posso accompagnare, immagino che tu non abbia una macchina e non posso farti prendere i mezzi a quest'ora"
"Non ti devi disturbare"
"Non lo è"

“Va bene”, gli risposi spazientita. Se era l’unico modo per allontanarlo mi sarei sacrificata molto volentieri. Salutai tutti e mi recai fuori dal locale con lui.
Scossi la testa quando Lory mi fece l’occhiolino e alzò il suo pollice come segno di approvazione appena mi vide uscire con lui.
Davvero credeva che sarebbe successo qualcosa?
 

Ed p.o.v.
Da quando eravamo usciti dal locale si era chiusa in se stessa, si limitava a guardare distratta fuori dal finestrino e mi chiedevo a cosa stesse pensando. Cosa la teneva così occupata da neanche parlare.
Non adoravo tutto quel silenzio, ma a lei sembrava piacere e volevo farla sentire a suo agio forse perché l’avevo tormentata per tutta la serata standole sempre intorno pure quando mi ripeteva di levarmi dalle scatole. Eppure non lo facevo, ma questo perché non ci riuscivo. Non riuscivo a non comportarmi da stupido e probabilmente l’avevo messa a disagio standole così vicino ma suscitava in me una stupida sindrome da crocerossino e volevo darle una mano, anche se sapevo che ce l’avrebbe fatta benissimo da sola senza il mio aiuto.
La vedevo durante la sessione acustica mentre sorrideva per chiedere a degli sconosciuti cosa volessero che li portasse e mi sarebbe piaciuto ricevere anche un solo sorriso ed invece, con la coda dell’occhio vedevo che la sua bocca era chiusa, ben lontana da un sorriso.
Era così distaccata rispetto alla realtà che la circondava.
“A cosa pensi?”, le chiesi rompendo quell’irritante silenzio.
“Come?”, mi rispose voltandosi verso di me.
“Sembri piuttosto pensierosa…”
“Oh… si… già…”
“Vuoi parlarne?”
“Penso di no”
“Va bene”, dissi facendo cadere la conversazione. “Non mi hai più chiamato per quel…”
“Non ne ho avuto il tempo, scusa”
“Perché ti scusi? Non eri obbligata a farlo…”
“Giusto…”
“Quindi, se cambi idea o hai voglia di compagnia, sai dove trovarmi”
“Grazie”, disse per poi tornare di nuovo a guardare fuori.
Neanche questa volta ero riuscito a farla sorridere. Mi chiedevo come mai fosse così diversa da tutte le ragazze, probabilmente era questa sua caratteristica che mi spingeva a conoscerla, ma sembrava che più mi avvicinavo e più lei si ritraeva.
Ormai eravamo quasi sotto casa sua, la discussione sarebbe morta lì. L’avrei vista scomparire dietro al portone e la faccenda si sarebbe chiusa lì, ma forse era meglio che io tornassi a casa dove era giusto che fossi, e non in macchina con lei.
“Perché sei così gentile con me?”, mi chiese all’improvviso sorprendendomi. Mi ero fermato sotto casa sua e lei si ero voltata a guardarmi con i suoi occhi verdi.
“Perché non dovrei essere gentile?”, le risposi con tutta la naturalità possibile. “Non mi hai fatto nulla di male”
“Ti ho continuato a risponderti e a ripeterti di levarti dalle palle, sono stata sgarbata e tu mi stai riaccompagnando a casa e ti preoccupi se sono pensierosa”, disse. “Non dovresti”
“Non sei una persona cattiva”
“Se avessi bisogno di chiamarti, saresti disposto ad ascoltarmi, anche se ti telefono alle quattro del mattino?”
“Penso di sì, non ti posso promettere che sarei lucido alle quattro del mattino ma penso che ti rispondere e ti ascolterei”
“E questo cos’è?”
“Cosa?”
“Quello che hai detto”
“Da queste parti si chiama gentilezza”
“No, i canadesi sono gentili, gli inglesi no!”
“Te lo hanno mai detto che fai ridere?”
“Sono seria…”
“Ti prometto che ti lascerò stare ma tu devi venire con me"
"Ora?"
"Domani mattina"
"Non penso che sia..."
"Una buona idea?", dissi concludendo la sua frase. "Io penso di sì... domani mattina non lavori"
"Se ti dico di sì, mi lascerai davvero in pace?"
"Assolutamente"
"Non mi resta che accettare", rispose sconfitta.
Avevo trovato il posto perfetto dove portarla, immaginavo che le sarebbe piaciuto, ne ero sicuro. Speravo solo che si sarebbe divertita e che non mi avrebbe più visto come un ragazzo rompiscatole che cercava di importarla. Volevo solo esserle amico, nulla di più. Non volevo neanche che mi odiasse e per questo l'avevo invitata ad uscire. Volevo solo che non si sentisse a disagio, volevo aiutarla. Sembrava così indifesa.
"Buona notte", disse all'improvviso.
"Come?", le chiesi non accorgendomi di essermi fermato.
"Sono arrivata"
"Giusto"
"Grazie per il passaggio"
"Di nulla", dissi mentre la guardavo uscire dall'auto. "Madeline", la chiamai.
"Che c'è?"
"Ti passo a prendere alle dieci"
"Va bene"
"Buonanotte Maddy"
Aspettai che sparisse dietro al portone prima di accendere la macchina e continuare per la mia strada.
Non sapevo bene cosa mi era passato per la testa in quello preciso momento, quando l'avevo invitata ad uscire, eppure lo avevo detto senza pensare. Non che me ne pentivo però non era giusto!

 
   
 
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