Capitolo VII
Incrinature
Uffici del
comando delle Forze Navali Americane
Grosvenor Square, Londra
L’appuntamento
per la prima riunione della
task force era fissata alle 8.00 e Mac giunse, come sempre,
puntualissima ed
impeccabile.
Si
presentò all’entrata del Comando e
chiese all’ufficiale di guardia indicazioni per raggiungere il luogo
del
convegno. L’uomo la scortò fino al secondo piano del palazzo e la
introdusse in
un ambiente che, per molti versi, somigliava alla sala riunioni del JAG
a Washington.
La
sala riunioni del JAG… le ricordava quel
bacio dato così impulsivamente al suo ex collega. Aveva provato delle
sensazioni bellissime posando le sue labbra sulle sue, intrecciando la
propria
lingua alla sua, assaporando la mano di lui sulla nuca che l’avvicinava
e la
stringeva ancor di più. Scacciò dalla mente questi pensieri. Ormai era
acqua
passata: le loro strade si erano divise per sempre ed era giusto che
fosse
così.
Girellò
per l’ampio salone curiosando fra
le raccolte di giurisprudenza, i codici, i testi e le riviste.
“Ti
stai ambientando”, risuonò alle sue
spalle la voce profonda di Harm.
Mac
trasalì e si voltò: “Sei diventato
puntuale o gli inglesi ti hanno fatto cambiare abitudini a forza di
riempirti
le stanze di orologi?”, lo prese giro per nascondere il proprio disagio.
“Un
po’ dell’uno e un po’ dell’altro”
rispose lui allontanandosi e sedendo ad un capo del grande tavolo in
noce.
Fuori,
la grigia e piovosa mattinata non
metteva di buonumore, ma Mac era insolitamente piena di energia e
voglia di
fare, proprio lei di norma meteoropatica. Imputò questo suo stato
d’animo alle
parole di incoraggiamento di Clay della sera prima, e non certo al
fatto che
lei e Harm erano tornati a fare squadra.
Si
sedette.
“Quando
arriverà il resto della task
force?”
“Tra
un’ora.”
Mac
lo guardò in tralice: “E perché mi hai
fatta venire alle 8.00 se la riunione era alle 9.00?” chiese truce. Non
le
piacevano questo genere di giochini e voleva che Harm avesse ben chiaro
il
concetto. Il tempo dei giochi fra di loro era finito.
“Perché
prima volevo discutere con te i
dettagli del caso e sentire la tua opinione” le rispose aprendo il
faldone dove
erano custodite le carte. “Se dobbiamo gestire insieme il comando è
opportuno
che la pensiamo alla stessa maniera circa il modo di condurre le
indagini. Se
non c’è armonia fra di noi tutto ne risente senza elencare le
conseguenze
politiche.”
“Harm
il saggio” replicò asciutta Mac, “ma
cosa credi?” proseguì poi infervorandosi, “Che sia venuta qui per
gestire
questo caso con leggerezza? Che non ne conosca i risvolti politici e le
implicazioni nelle relazioni fra Stati Uniti e Inghilterra?” lo guardò
accigliata.
“Non
ti sto dicendo questo Mac, ma la
situazione è più delicata di quanto pensi. Abbiamo già un precedente
con gli italiani
e sai come è andata a finire, per poco non si rompevano le relazioni
diplomatiche. Il Presidente non vuole che accada la medesima cosa.
Tutto qui.
Il fatto è che questa, più che un’indagine militare, ha il sapore di
un’azione
politica.”
“Oh
certo Capitano e tu sei un autentico
animale politico.”
“Anche
tu lo sei” rispose piccato Harm
punto sul vivo. “Webb è una buona scuola. Scommetto che ti ha insegnato
un
sacco di giochetti.”
Mac
lo fulminò con un’occhiata
inceneritrice: “Non ti permettere Rabb. Intesi?” lo ammonì gelida. “La
mia vita
privata non ti riguarda più, se mai ti abbia riguardato in passato”
soggiunse.
E
la temperatura nella grande sala scese di
parecchi gradi.
“Passami
il fascicolo e concentriamoci sul
lavoro” disse piatta e incolore.
Lui
fece quanto chiesto, pentendosi
dell’uscita infelice, ma non scusandosene. Ma cosa gli aveva preso?
Aveva
deciso che la vita di Mac non lo riguardava più, e allora perché
continuava a
tormentarla, e a tormentare se stesso, con quelle idiozie? La notte
scorsa
aveva dormito male, inseguito dagli incubi di lei che si sposava con
Webb,
l’immagine dell’anello al suo dito, il viso di lei perso di felicità…
una
nottataccia. E al mattino aveva quasi litigato con Belinda.
La
guardò di sottecchi mentre leggeva le carte
che le aveva appena passato. Era ancor più bella di quando l’aveva
lasciata.
L’amore
fa miracoli,
pensò, ma sarei dovuto essere io
l’artefice di questo cambiamento.
Tornò
a concentrarsi sul caso eliminando
dalla sua mente qualunque altro pensiero estraneo. Sarebbe stato
difficile, ma
avrebbe superato tutto e una volta che Mac fosse ripartita per gli
States non
si sarebbero mai più rivisiti e la tranquillità sarebbe tornata. E
allora
perché al solo pensiero gli si stringeva lo stomaco?
Un
attimo dopo il Tenente Cunningham entrò
nella sala scortando due ufficiali inglesi.
“Il
Capitano Lockeed e il Comandante
Seymour” annunciò.
Harm
si alzò e accolse i due uomini.
“Benvenuti”
disse. “Accomodatevi. Questa è
il Colonnello dei Marines Sarah Mackenzie, l’altro membro della task
force.”
Mac
si alzò e strinse la mano ai due.
Lockeed,
un biondo sui quarant’anni
allampanato e magrissimo, prese la parola per primo, mentre Seymour,
che
sembrava il fratello gemello di Jean Claude Van Damme, estraeva dalla
valigetta
alcuni documenti.
“Abbiamo
visionato tutti i rapporti e le
testimonianze delle persone che erano a bordo della jeep” esordì con
voce
nasale Lockeed, le vocali arrotondate come se avesse frequentato Oxford
fino al
giorno prima. “Tutti sostengono di non aver visto il check point e di
non
sapere che in quella zona ve ne fosse uno.”
“Sulle
mappe però era segnato. E come mai
le forze armate americane non sapevano dell’operazione in corso?”
chiese Mac.
“Perché
era così che doveva essere” rispose
laconico e atono Seymour.
“Non
è una risposta” replicò Mac. “Il
comando delle operazioni in Iraq è affidato agli Stati Uniti che devono
essere
pertanto messi al corrente di ogni cosa che accade sul suolo iracheno.”
Mac
e Seymour si fissavano con aria per
nulla cordiale, la prima perché non sopportava le non-risposte, il
secondo per
semplice antipatia. Da generazioni, la sua famiglia mandava almeno un
figlio in
Marina e da generazioni erano sostenitori che le donne non dovessero
stare
nell’esercito. Ed ora era costretto a lavorare con una donna più alta
in grado
di lui! Insopportabile.
La
fissò con astio: troppo bella per essere
anche intelligente e capace, e troppo arrogante e saccente per
riuscirgli
gradita. Nella concezione del Comandante della Royal Navy Lancaster
Seymour, le
donne dovevano limitarsi a sposarsi, restare a casa e sfornare figli.
“Andiamo
Signori” intervenne Harm a fare da
paciere. “Siamo qui con il medesimo scopo e non è il caso di partire
con il
piede sbagliato. Dobbiamo giocare a carte scoperte se vogliamo arrivare
in
fondo a questa spiacevole vicenda” proseguì fissando Seymour.
“Ve
lo chiedo ancora: perché non siamo
stati informati della presenza di soldati inglesi dei reparti speciali
della
Marina nell’area di Nassirya? E perché il Comando delle Forze Alleate
non
sapeva dell’esistenza di un ostaggio inglese e dell’operazione di
liberazione?”
Seymour
e Lockeed si guardarono per un
attimo.
“L’ostaggio
era un giornalista del ‘Times’ che
stava seguendo un’indagine
circa una possibile presenza di Al Qaida in Iraq” rispose alla fine
Lockeed.
“Ma
che Al Qaida sia presente in Iraq è
risaputo!” sbottò Mac. “Al Zarqawi ne è uno dei capi.”
“No,
Colonnello” intervenne Seymour con
supponenza. “Herriott, il giornalista, stava cercando di dimostrare che
Bin
Laden in persona si trova in Iraq e non in Afghanistan dove avete
sempre
creduto si trovasse” concluse condiscendente.
Gli
occhi di Mac mandavano lampi in
direzione del Comandante, non sopportava quella tracotanza e quell’aria
da
compatimento che assumeva quando parlava con lei. Mantenendo a stento
la calma
e la voglia di rompergli il naso con un colpo ben assestato, mise le
cose in
chiaro: “Qualcosa nella mia persona la disturba Comandante? Ha
difficoltà a
relazionarsi con una donna superiore a lei nella scala gerarchica? Se
c’è
qualcosa che la irrita, Comandante Seymour, me lo dica qui e subito”.
Harm
guardava ora l’uno ora l’altro dei due
ufficiali. Mac era scesa sul sentiero di guerra e lui adorava vederla
così. Era
una combattente, che non si lasciava sopraffare dalle difficoltà o
dagli
ufficiali presuntuosi. Ora capiva cosa l’aveva attirato in lei e cosa
tutt’ora
lo faceva stare male al pensiero di non poterla più considerare almeno
come
amica. Rimpiangeva i tempi in cui Mac gli riservava lo stesso
trattamento,
quando la loro amicizia era salda e non c’erano muri di incomprensione
dividerli, né un fidanzato e una convivente a rendere le cose ancor più
complicate.
Sperava
ardentemente che quel passato
potesse tornare, anche se lui si era sistemato con Belinda e lei con
Webb. Cosa
avrebbe potuto impedire loro di tornare amici?
Riportò
l’attenzione sulla battaglia che si
stava svolgendo in quel momento: Mac guardava Seymour, che ricambiava
lo
sguardo, in attesa di una risposta, mentre il Capitano Lockeed sembrava
in
imbarazzo.
“Non
ho nulla nei suoi confronti
Colonnello” rispose alla fine l’inglese.
“Ne
sono lieta. Le consiglio pertanto di
assumere un tono più urbano quando si rivolge a me” concluse Mac secca.
Harm
ripetè la domanda: “Come mai non avete
ritenuto opportuno segnalare la missione?”.
“Perché
l’incarico di Herriott era in parte
giornalistico e in parte militare, con un finanziamento dell’MI5”
rispose
Lockeed questa volta. “Non si voleva che la notizia fosse diffusa.”
“Però
i rapitori l’hanno saputo che
Herriott era a Nassirya in cerca di Bin Laden.”
“Sì
e non sappiamo come abbiano potuto
avere le informazioni” rispose desolato Lockeed.
Harm
e Mac si scambiarono uno sguardo
fuggevole ma carico di significati.
“Abbiamo
chiarito un punto” disse poi lei.
“Adesso dobbiamo capire perché il vostro convoglio ha ignorato l’alt
del check
point, peraltro segnalato sulle mappe.”
“Quella
che avevano loro non riportava la
presenza del check point” disse Lockeed.
“Ma
dove l’hanno presa?”
“Gli
è stata fornita dal Comando.”
Si
guardarono perplessi: era notorio che le
mappe in uso alle Forze Armate erano identiche per tutti.
“Dobbiamo
acquisirla” disse Harm
“E’
andata distrutta nel conflitto a fuoco”
rispose Seymour.
“Allora
interrogheremo il furiere che si è
occupato dell’equipaggiamento della spedizione. Da dove è partita?”
“Baghdad.”
“Mi
hai letto nel pensiero Marine” le disse
Harm.
“Non
lo faccio sempre?” rispose Mac con un
sorrisino ironico.
La
riunione proseguì per tutta la mattinata
e parte del pomeriggio, e durante quelle ore vennero suddivisi i
compiti: i due
americani avrebbero interrogato i compatrioti, mentre Lockeed e Seymour
si
sarebbero incaricati di raccogliere le testimonianze dei soldati
inglesi.
Il
giornalista, Jonathan Ascot Herriott,
l’avrebbero sentito insieme.
Discussero
molto circa l’acquisizione delle
prove materiali (cartine, bossoli, la macchina, i rilievi della Polizia
Militare) e alla fine convennero che sarebbe stato meglio acquisire
tutto e
conservarlo in un luogo sicuro, per evitare l’inquinamento delle prove.
Quando
terminarono, Mac era esausta. Tutto
quello che desiderava era una doccia calda e un letto dove potersi
riposare.
Salutò
Harm e prese un taxi in direzione
dell’albergo.
Non
appena giunta nella hall venne fermata
dal concierge che le porse un
elegante
busta color avorio di pregiata fattura.
Mac
l’aprì, convinta di trovarvi dentro
un’ennesima sorpresa di Clay, ma quale fu la sua
di sorpresa quando lesse il cartoncino, vergato a mano in
elegante calligrafia vittoriana: il Premier inglese e la moglie
avrebbero avuto
l’onore della sua presenza quella sera al 10 di Downing Street per una
cena
informale?
“E
adesso dove lo trovo un abito da sera?!”
chiese allarmata Mac ad uno stupito concierge.
Brook Street
Londra
La
rappresentazione teatrale era
stata superba e la compagnia di Sua Grazia, il Duca di Lyndham,
piacevole e
divertente. L’anziano gentiluomo non assomigliava affatto a Lord
Thornton,
sempre così sarcastico e arrogante, a volte anche ombroso, come quella
sera.
Andrew Nicholas Thornton aveva in comune con il nipote solo parte del
nome.
Per
tutta la serata, Lord
Thornton era stato sulle sue, parlando poco e solo se interpellato,
tanto che
anche il prozio si era lamentato del suo comportamento.
Lady
Sarah non riusciva a capire
come mai l’avesse invitata, per poi non rivolgerle quasi la parola. Si
era
accorta, tuttavia, che non l’aveva lasciata un attimo con lo sguardo:
più
volte, mentre chiacchierava amabilmente con l’anziano Duca, prima
dell’inizio
dello spettacolo o durante l’intervallo, aveva colto su di sé il suo
occhio
sano che la scrutava, quasi volesse leggerle dentro.
Non
si era mai sentita tanto a
disagio con lui come quella sera.
Al
punto che, all’uscita da
teatro, costatando che il Duca e Lord Thornton erano arrivati con due
carrozze
differenti, aveva suggerito che non era necessario che Lord Thornton la
riaccompagnasse, sarebbe stato sufficiente che le prestassero una delle
due
carrozze.
A
quel tentativo d’indipendenza,
Nicholas rispose secco e deciso:
“Non
se ne parla nemmeno”,
suscitando anche un rimprovero da parte di suo zio.
“Nick,
ragazzo mio, non è così
che si risponde ad una signora!”
“Scusatemi,
Milady…” bofonchiò
lui, solo perché evidentemente costretto dal commento dell’anziano
gentiluomo,
facendole così desiderare maggiormente di poter rincasare sola.
Ma
entrambi i suoi
accompagnatori non avevano voluto sentire ragione e ora lei si trovava
in
carrozza in compagnia del silenzioso e scorbutico futuro Duca di
Lyndham.
Fortunatamente
siamo arrivati,
ringraziò mentalmente
Lady Sarah quando sentì la carrozza accostare, poiché non reggeva più
l’atmosfera.
Fece
per salutare il suo
cavaliere e scendere, senza neppure attendere che egli la precedesse
per
accompagnarla, quando la mano di Nicholas Thornton la bloccò,
trattenendola per
la vita.
“Aspettate…”
ordinò con voce
imperiosa, intensificando la stretta del braccio. Alla debole luce di
un
lampione poco distante, il viso dell’uomo era contratto in
un’espressione
intensa, quasi sofferente.
Sorpresa
da quel gesto e da quello
sguardo, non trovò neppure la forza di ribellarsi quando sentì le sue
labbra
posarsi su di lei.
Nicholas
l’aveva desiderata
talmente tanto per tutta la sera, che non era neppure riuscito a
godersi lo
spettacolo e la sua compagnia: non aveva fatto altro che immaginare di
poterle
baciare la pelle vellutata del decolleté,
che l’ampia scollatura dell’abito, di un delicato rosa
antico, mostrava
generosamente. Portava i capelli raccolti da un lato e lasciati
ricadere in
morbide onde dal lato opposto, in un’acconciatura che la rendeva dolce
e al
tempo stesso misteriosa.
Stregato
dalla sua pelle che
risplendeva al chiarore della luna, si era chinato verso di lei,
posando le
labbra sulla curva delicata del collo per poi lasciarle lentamente
scivolare
verso le spalle, arrischiandosi ad andare oltre, fino a sfiorare
rapidamente
l’attaccatura del seno, e tornare infine ad esplorare la pelle
sensibile della
gola…
Sapeva
perfettamente che
assaporare la dolcezza del suo corpo e la fragranza del suo profumo lo
avrebbe
eccitato maggiormente, ottenendo solo di sentirsi più insoddisfatto di
prima,
ma non era riuscito a farne a meno.
“Questo
colore vi sta
d’incanto…” le sussurrò roco all’orecchio, prima di dirigere le labbra
verso la
sua bocca, una mano che le accarezzava la schiena e l’altra che si
infilava
sensuale tra i suoi capelli.
Voleva
baciarla. Desiderava
assaporare le sue labbra, che in quel momento avevano la stessa
delicata
sfumatura rosa dell’abito che indossava.
Voleva
baciarla ma non solo… ciò
che in quel preciso istante avrebbe desiderato davvero fare era
spogliarla
lentamente e soddisfarsi di lei, fino a non poterne più… anche se
temeva che
neppure dopo anni si sarebbe saziato a sufficienza di quella donna.
Lady
Sarah era rimasta talmente
sconvolta dalle emozioni che il tocco dell’uomo al suo fianco le stava
facendo
provare, che lo aveva lasciato fare, permettendogli una confidenza che
andava
fin troppo oltre i suoi reali desideri.
O,
almeno, così credeva prima…
prima di sentire un brivido di eccitazione raggiungerle il ventre,
mentre il
volto di Nicholas Thornton affondava nella sua scollatura e lei si
trovava
intrappolata nella morsa d’acciaio delle sue braccia.
La
barba le solleticava la pelle
e le labbra gliela incendiavano… nell’attimo in cui lo sentì risalire
verso la
sua bocca, decise di fermarlo, per timore di scoprire di desiderare
ardentemente quel bacio.
“State
pretendendo un anticipo
sul vostro compenso?” domando con voce fredda.
Lui
si bloccò immediatamente, il
respiro leggermente affannato.
“Cosa
intendete?” chiese aspro,
frustrato per essere stato fermato nel momento in cui stava per
impossessarsi
delle sue labbra. Il desiderio intenso lo aveva già spinto oltre con
l’immaginazione, facendolo fantasticare su una sua risposta
appassionata… se
lei avesse ricambiato il bacio come aveva sperato, nulla l’avrebbe
fatto
desistere dal farle desiderare quel piacere che tanto voleva farle
provare,
sollevandole l’abito per accarezzarla ove da tempo sognava di far
scorrere le
mani.
“Oh,
niente… solo che mi era
parso di capire che mi avreste aiutato in cambio di qualcosa…” rispose
Lady
Sarah, con un controllo ben lungi da ciò che realmente stava provando.
Era
spaventata da quanto la condotta disdicevole di quell’uomo arrogante e
odioso
aveva sconvolto i suoi sensi: si era scoperta a desiderare di essere
baciata
con passione, di essere nuovamente toccata e amata da un uomo…
“Non
ho mai detto questo”
replicò lui, furioso.
“No?
E la proposta di
matrimonio, allora, non era compresa nel prezzo che avrei dovuto pagare
per il
vostro aiuto?”
Lui
non rispose e lei continuò,
sprezzante:
“Caro
Lord Thornton, potete
riporre nell’armadio la vostra armatura da cavalier servente. Il vostro
piano e
la vostra nobile e disinteressata proposta d’aiuto non mi servono più…”
Aveva
volutamente forzato, con tono sarcastico, le parole nobile
e disinteressata e, quando vide un lampo d’ira
attraversargli l’occhio sano, sorrise soddisfatta: era come tutti gli
altri, da
lei voleva solo una cosa.
“Non
vi servono più?” domandò
lui, quasi incredulo.
“No.
Proprio stamani ho ricevuto
una proposta migliore della vostra” gli disse provocante.
“Che
genere di proposta?”
chiese, prendendola per le spalle, visibilmente arrabbiato.
“Oh,
nulla che vi debba
interessare…” rispose leggera lei, dandogli un’occhiataccia per come la
stava
nuovamente importunando. Lui si rese conto di quello che stava facendo
e,
riluttante, la lasciò andare, facendo tuttavia scivolare lentamente le
mani
lungo le sue braccia, in una carezza quasi sfacciata.
“L’aiuto
disinteressato di un altro
gentiluomo, magari più ricco del
sottoscritto?” insinuò, volutamente cattivo.
“Il
denaro o un titolo nobiliare
non mi sono mai interessati.”
“Neppure
se non riusciste ad
incastrare Hewitt e la vostra famiglia perdesse tutto?”
“Non
accadrà. Ma se anche
dovesse accadere, non mi venderei mai, come invece fece mio padre, per
riscattare il mio tenore di vita. Lo dimostra il fatto che l’uomo di
cui sono
innamorata era un conte e desiderava sposarmi…”
Lui
non replicò e lei lo vide
deglutire, come costretto dalle sue parole, pur contro la propria
volontà, a
rimangiarsi tutto quello che le aveva detto di fronte all’evidenza di
quel
fatto.
“Ad ogni modo, non che vi debba
interessare, ma la proposta d’aiuto che ho ricevuto è migliore della
vostra per
un unico motivo: pretende in cambio solo del denaro, cosa che sono più
che
disposta a sborsare, per incastrare il truffatore che ha rovinato la
mia
famiglia…” gli disse, mentre scendeva dalla carrozza compiaciuta di se
stessa
per averlo lasciato lì, furibondo nel vedere il proprio piano fallire e
frustrato di desiderio insoddisfatto.