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Autore: Moiraine    09/03/2013    1 recensioni
Salve a tutti :)
La protagonista, Estel, è una ragazza dal passato oscuro e misterioso del quale apparentemente non ricorda nulla. Vive una vita difficile o, almeno, vive una vita difficile fino all'incontro con un ragazzo speciale.
Questa è la prima storia che pubblico; quindi non fatevi scrupoli e commentatemi o criticatemi.
Buona lettura :) Spera che la storia vi piaccia :)
Genere: Fantasy, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’assassino

 
Il detective camminava attentamente lungo una buia stradina di campagna. Dietro di lui, qualche agente della polizia continuava a seguirlo in silenzio.
Era ormai da più di una settimana che davano la caccia a quel criminale e, purtroppo, ancora non avevano raggiunto nessun risultato. Non un indizio, non un impronta; niente che potesse far pensare a dove potesse essersi nascosto. L’unico elemento che era riuscito a far nascere un’ipotesi, un’idea, era stato il minuscolo cip piazzato nella testa del coniglio.
Quell’oggettino aveva un raggio d’azione di dieci chilometri. Questo voleva dire che oltre quella distanza, l’assassino non sarebbe riuscito a manovrare il suo piccolo robot killer.
Partendo dalla scuola e andando verso ovest, chiunque avrebbe incontrato prima la casa della seconda vittima e a qualche chilometro di distanza quella di Shaza. Di conseguenza, premettendo che la distanza dalla scuola alla casa di Shaza fosse di diciannove chilometri e ipotizzando che l’assassino avesse agito sempre dallo stesso posto senza mai spostarsi, questo significava che il suo nascondiglio poteva soltanto trovarsi a metà tra i due luoghi, ovvero nel piccolo boschetto del paese.
Yetille si fermò e trattenne il respiro. Si appiattì contro il tronco di un vecchio albero e sospirò silenziosamente. Avevano basato l’intera ricerca su quella sua banale ipotesi e adesso era arrivato il momento decisivo. Si umettò le labbra secche e lanciò uno sguardo ai suoi uomini che, fedelmente, lo seguivano in silenzio.
Quando aveva chiesto al commissario una squadra per portare avanti le ricerche, gli erano stati affidati loro; e quelli, nonostante la sua ipotesi fosse davvero banale, non si erano lasciati sfuggire neanche una critica o un commento sprezzante. Lo avevano seguito senza dire una parola.
Sospirò e tornò a guardare il tronco dell’albero che aveva davanti. Si sporse oltre il proprio nascondiglio e si guardò intorno. A parte se stesso e gli agenti della polizia, in quella piccola radura non si percepiva anima viva. Fece cenno alla sua scorta e continuò a procedere in silenzio, sperando in cuor suo che la propria ipotesi fosse corretta e che il criminale fosse lì nascosto da qualche parte. All’improvviso, tra gli alberi apparve una piccola casetta di legno scuro. Sembrava fosse stata abbandonata da tantissimo tempo e non c’era nulla che potesse far pensare che dentro ci vivesse ancora qualcuno.
Gli occhi del detective scintillarono e sul suo viso apparve uno sorrisetto compiaciuto. Non era ancora detto che l’assassino fosse lì dentro, ma c’erano buone probabilità di successo. Fece cenno agli agenti e, silenziosamente, cercando di non farsi vedere da presunti occhi che spiavano dalle finestre, dopo aver afferrato la propria pistola, si avvicinò al portone della catapecchia. Prese un profondo respiro, dopodichè, una volta che gli agenti l’ebbero attorniato, lo sfondò con un calcio. Puntò l’arma ovunque di fronte a sé, alla ricerca dell’assassino, ma, presto, si rese che conto che in quell’unica stanza, a parte loro, non c’era nessuno.
Gli agenti accesero le torce per illuminare l’ambiente e, grazie a quella flebile luce, il detective riuscì a distinguere su una parete, dietro una delle grandi finestre, una grande scrivania di legno marcio. Le si avvicinò e notò, con una nota di collera, che su di essa c’erano vari documenti.
«A quanto pare si è sbagliato, detective» sussurrò demoralizzato uno degli agenti. Yetille prese in mano un documento e lo accartocciò nervosamente. La sua ipotesi era corretta; l’assassino si era nascosto in quella catapecchia per moltissimo tempo, soltanto che, dopo che il suo coniglio era stato esaminato dalla scientifica, probabilmente aveva pensato fosse meglio fuggire.
«Siamo soltanto arrivati troppo tardi..» sussurrò, furioso. Gli agenti lo fissarono confusi e preoccupati.
«Come, prego?» gli chiese uno di essi.
«Siamo arrivati tardi!» urlò, sbattendo il foglio accartocciato contro il pavimento. 
«Si spieghi meglio» gli disse lo stesso uomo con tono spaventato. Il detective rimase in silenzio per qualche secondo; dopodichè si voltò per guardare i suoi collaboratori. Aveva lo sguardo acceso dall’ira e, effettivamente il suo viso illuminato dalla flebile luce delle torce che gli creava delle strane ombra sulle tutta la faccia, faceva un po’ paura.
«Su questa scrivania ci sono i suoi progetti: progetti di bombe e di conigli robot. Lui era qui» sussurrò, stringendo i pugni per la rabbia. Se solo il commissario avesse avuto fiducia in lui, sarebbero partiti prima e magari sarebbero riusciti ad acciuffarlo! Invece no; la sua ipotesi era banale e quindi, prima di concedergli il beneficio del dubbio e quindi di permettergli di verificare la sua ipotesi, erano state verificate le ipotesi più credibili che si erano rivelate sbagliate. 
Sconsolato, con un sospiro, si sedette alla scrivania e si prese la testa tra le mani. In quel momento però notò qualcosa di strano. Proprio sotto la scrivania, c’era un piccolo contenitore di vetro chiuso da un coperchio. Incuriosito, lo prese in mano e notò che dentro c’era un mozzicone di candela.
Corrugò la fronte interessato, e delicatamente aprì il contenitore. Un’ondata di puzza di fumo lo investì immediatamente. Allontanò subito l’oggetto, colto di sorpresa, storcendo il naso per la puzza che gli si era infilata dentro. Dopodichè, sbattendo le palpebre, si chinò su di esso per osservarlo. Sulla parte superiore del coperchio c’era un alone nero, mentre la miccia della candela era ancora un po’ calda, per non parlare del fatto che toccandola, il detective si era tinto i polpastrelli di nero. Si sfregò l’indice contro il pollice, come per assaporare la sensazione che lo investiva mentre la fuliggine si staccava dalla pelle cadendo per terra. Con un sorrisetto, guardò nuovamente la candela. Tutti quegli indizi potevano portare ad un’unica soluzione: la candela era stata spenta poco prima che arrivassero loro; ma se era davvero così, significava che chiunque l’avesse accesa, dovesse trovarsi lì dentro da qualche parte. Non c’erano finestre aperte e l’unica porta che dava sull’esterno era quella da dove erano entrati loro; quindi non poteva essere scappato nel momento in cui loro erano entrati. Doveva essere lì, nascosto da qualche parte.
Posò lo sguardo sulla scrivania e in quel momento si rese conto che, effettivamente, era strano che l’assassino se ne fosse andato lasciando lì i suoi progetti. Perché non se li era portati via?
D’un tratto un’idea gli percorse il cervello. Si alzò di botto.
«Cercate ovunque!» urlò agli agenti che lo osservavano in silenzio. Di fronte a quel suo comportamento, sussultarono e si guardarono tra loro, preoccupati e confusi.
«Cosa?» chiese uno di loro, in un sussurro.
«Porte nascoste, botole; qualunque cosa che possa portare in una stanza segreta» rispose con un nuovo sorrisetto sul viso. Forse avevano ancora una possibilità.
Gli uomini si guardarono confusi, ma dopo qualche secondo iniziarono a perlustrare l’intera stanza e non ci volle molto perché uno di essi gridasse di aver trovato una botola nascosta sotto un tappeto.
Il detective gli si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla.
«Ottimo lavoro» gli disse con un sorriso. L’agente si sistemò il cappello e sorrise.
«Ho fatto solo il mio dovere, signore» gli rispose, fiero di se stesso. Il detective ridacchiò; dopodichè afferrò la propria pistola e prese un profondo respiro. Guardò attentamente gli agenti con uno sguardo serio. Molti di essi avevano gli occhi scintillanti di preoccupazione; qualcun altro era un po’ spaventato; qualcun altro anche eccitato.
«Ci siamo» sussurrò con un improvviso groppo alla gola. Sorrise e alzò la botola. Davanti ai loro occhi apparve una scura scala di legno. Prese la torcia ad uno degli uomini che gli stavano accanto ed iniziò a scendere puntando sempre la pistola davanti a sé.
All’improvviso percepì un movimento nell’ombra e istintivamente puntò la torcia in quella direzione. Pochi secondi di attesa e di cuore che batteva a mille per l’emozione ed  incrociò il suo sguardo.
«Prendetelo» disse ai suoi uomini con un ghigno di trionfo. Gli agenti non se lo fecero ripetere più d’una volta. Si avvicinarono all’uomo che, immobile, li guardava con un’espressione delusa.
«Pesavo sarebbe stato più veloce, detective» gli disse con un tono di voce grave. Yetille rise con gusto, invece gli uomini si bloccarono a guardarlo confusi.
«Credevi di potermi prendere in giro?» gli chiese con un sorrisetto.
«Assolutamente no; vedi, tu mi hai trovato perché io l’ho voluto» gli disse tranquillamente, infilandosi le mani nella tasche dei jeans scuri. Il detective smise di sorridere.
«Se così fosse, ti saresti fatto trovare di sopra, anziché qui sotto» gli rispose con una smorfia acida. L’assassino lo guardò, senza tradire nessuna emozione.
«Sei caduto nella mia trappola» sussurrò, tranquillamente. Dopodichè, con la stessa velocità di un serpente, uscì un pugnale dalla tasca dei jeans e lo lanciò dritto verso il petto del detective che, con un urlo di dolore e sorpresa, cadde a terra.
«Detective!» urlarono due agenti correndogli incontro.
«Prendete lui, idioti!» urlò, furiosamente, dopo aver tolto il pugnale dal proprio corpo.
«L’hanno già ammanettato» gli rispose uno di quelli con un’espressione seria. Yetille lo guardò; dopodichè, con un sorriso, si lasciò andare tra le braccia dei due uomini. 

  
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