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Autore: Groan    09/03/2013    4 recensioni
I Guaritori sono poco collaborativi, ed interrogare il ritratto di Silente è più ostico che chiedere informazioni stradali ad una Sfinge. La storia di come Harry Potter, senza sapere come e neanche il perchè, si ritrova con un'altra piccola battaglia da combattere. Una persona sgradevole da salvare, dei nuovi ostacoli da superare, allucinanti allucinazioni da sconfiggere. Ed un Pensatoio assurdo in cui frugare.
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da VII libro alternativo
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III. Primo mondo



Forme ad inchiostro - è così che le chiama, involontariamente. Sbrodolii di coscienza che si fanno persone solo quando la mente ne ha abbastanza, quando il viaggio è finito.
Ma, stavolta, non ci sono figure umane nei paraggi.
Qualcosa scricchiola sotto le suole delle sue scarpe, abbassa lo sguardo, vede dei vetri rotti. Muove le gambe lentamente, guardandosi attorno, senza rendersi conto che c'è qualcosa di profondamente sbagliato nei piccoli vetri che scoppiettano sotto alle suole di gomma, nel suo fiato che si condensa in nuvole di vapore. Sente freddo, sente un odore rancido nell'aria.
E' in una strada che non conosce, le case sembrano rimanere in piedi solo perchè si appoggiano così strettamente una contro l'altra. Tutte uguali, la maggior parte ha le finestre sbarrate, sull'asfalto accidentato ci sono mozziconi di sigaretta, fazzoletti ridotti a poltiglia, lattine vuote di birra.
Harry percorre una specie di semicerchio, si guarda attorno, sfregandosi energicamente le braccia nude per cercare di combattere il freddo. Il cielo è dello stesso colore del ferro, il vento srotola zaffate di cattivo odore sotto al suo naso. C'è troppo silenzio.
Torna verso i vetri rotti, li calpesta senza preoccuparsi di tagliarsi... perchè dovrebbe? E' solo un ricordo, lui non è qui veramente...
E allora perchè riesce a sbriciolare i frammenti di vetro sotto alle scarpe? Perchè il suo fiato si condensa a quel modo, perchè sente freddo?
E' un pensiero che gli attraversa la mente di corsa, come una fitta di dolore. Smette di respirare per un attimo. Ma la sua attenzione è qualcosa di labile, con la coda dell'occhio si rende conto che i vetri provengono dalla finestra che ha di fronte, ora malamente rattoppata da un foglio di plastica. Respira a bocca aperta, non se ne rende conto, respira veloce, non sa perchè si stia fermando a controllare il nome sulla cassetta delle lettere arrugginita. E' una targhetta di carta, bloccata con una grande quantità di nastro adesivo, arricciato qua e là, ingiallito dal tempo. Per un attimo non è sicuro di ciò che legge - controlla automaticamente di avere gli occhiali sul naso - perchè le lettere sono sfocate, e per un attimo legge "Prince", poi si dà del cretino, perchè c'è scritto "Evans". Ma, non appena sbatte le palpebre, vede che la scrittura è nitida, l'inchiostro solo un po' sbavato dall'umidità. C'è scritto "Piton", in uno stampatello un po' inclinato di lato.
Allunga la mano verso la maniglia, è viscida e gelida. Non succede niente, ed è ovvio, è solo un ricordo, dovrebbe essere solo un ricordo.
Ma il Piton che cerca lui ancora non si vede, e ciò è strano e snervante allo stesso tempo. E' un'irregolarità.
Quindi bussa, aspettandosi al massimo di produre un suono che gli altri non potranno sentire...
Passa solo un secondo, sente il rumore di una chiave che gira. La porta si apre, Harry non si accorge di essere trasalito, di fissare l'entrata con occhi enormi e la bocca stupidamente aperta.

Vede un naso enorme e sgraziato, dei lineamenti talmente spigolosi e male assortiti che sembrano essere creati con un'accetta, da un demente senza alcun senso estetico. Ma quello non può essere Piton: i capelli sono tagliati corti, anche se malamente, ricordano la peluria di un pulcino - di un pulcino nero e con marcate tendenze punk, per l'esattezza. Harry abbassa lo sguardo, nota che l'uomo sembra indossare una tuta da lavoro di un blu stinto, macchiata in più punti, degli stivaletti vecchi. Si prende tutto il suo tempo per guardare e riflettere, trova solo vagamente disturbante il fatto che quell'uomo sembri fissarlo a sua volta, in maniera poco amichevole. Harry sa di non essere veramente lì, quindi se ne sta con la fronte aggrottata a pensare oziosamente che sì, dev'essere il padre di Piton, quel Babbano... come si chiamava?

«Sei qui per la camera?»
La voce del padrone di casa lo fa sobbalzare. E' lenta, un po' strascicata, appena roca. Il ragazzo si guarda alle spalle, lentamente, senza fare movimenti bruschi. Si ripete ancora che non può vederlo, tutto ciò che ha attorno appartiene al passato, Harry è solo uno spettatore.
L'uomo sembra avere tutt'altra opinione, perchè mostra per un attimo i denti storti e giallognoli, prima di ripetersi.
«Fa freddo, se non l'hai notato. Potresti cortesemente rispondere, anzichè rendere superflui i nostri sforzi per pagare il riscaldamento?», si informa, con un'ironia pesante. Guarda Harry come se lo ritenesse un po' tardo, ed Harry - nello shock del momento - riesce solo a pensare che Piton è una copia sputata di suo padre. Hanno anche lo stesso dannato senso dell'umorismo - o la stessa sua mancanza, a seconda di come si vuole vedere la questione.
«Io...», inizia a dire, e la sua voce sembra piccina, sembra fioca in quell'aria gelida e stranamente densa. E' quasi come stare sott'acqua, pensa, ma subito dopo un altro pensiero, fastidioso ed enorme, torna a lampeggiare nella sua testa.
Mi vede. Mi sta parlando.
Ed è un mantra allo stesso tempo calmo ed angosciato quello che segue, un "c'è qualcosa che non va" ripetuto velocemente, tanto velocemente che, se provasse a dirlo, la lingua non riuscirebbe a tenere il passo.
L'uomo fa una specie di sospiro, una specie di sbuffo, gli esce dal naso. Apre del tutto la porta, l'aria sembra più densa, l'aria odora di cavolo bollito e polvere.
"Mi sono sempre chiesto che genere di gentaglia potesse attirare quell'inserzione. Grazie per avermi aiutato a trovare la risposta», osserva, ironico. Harry non ha la più pallida idea di che cosa stia parlando, ma obbedisce meccanicamente quando quella persona lo invita dentro casa, con un gesto assai brusco.
Ancora prima che la porta si chiuda Harry si dice che è ovvio che abbiano difficoltà a pagare il riscaldamento: fa un caldo nauseante, lì dentro. Ma viene nuovamente distratto da Piton (Tony? Toby? Non riesce a ricordarsi) che gli tende la mano. La fissa stupidamente per quella che gli pare un'eternità, vede le dita sporche, il nero sotto alle unghie. Quella dell'indice è rotta, è saltata via quasi per metà. Alla fine la stringe, è ruvida e magra, la stretta è frettolosa e leggera.
«Piton.»
«Ehm. Harry...», riesce a dire, in risposta alla presentazione superflua, ma una brutta sensazione lo costringe a staccare gli occhi dall'uomo, ancora prima di dire il proprio cognome. Il salotto è piuttosto piccolo, tremendamente sporco, ma non è questo a disturbarlo: si sente osservato. Ci mette un attimo a mettere a fuoco la persona seduta su una vecchia poltrona - vede nitidamente tutto, ogni brutta lacerazione che lascia uscire l'imbottitura giallognola della poltrona, ma non il suo viso. Ha come una piccola sensazione di mancamento, un breve giramento di testa che lo costringe a strizzare gli occhi, cercando di rimanere in contatto con la realtà.
Quando li riapre, vede la donna. Sembra giovane, ancora sotto la trentina, con un viso lungo e pallido, da cane bastonato. Siede con le mani, bianche come la pancia di un pesce, raccolte mollemente in grembo. Lo sguardo è fisso davanti a sè, verso Harry, ma non batte le palpebre. Sulle labbra ha un accenno di sorriso, qualcosa di malsano, di scollegato da tutto... no! Harry si morde un labbro, sente un lieve dolore, si sente più in contatto con se stesso. Il viso della donna è semplicemente sereno. C'è solo qualcosa... nella sua immobilità, nei suoi occhi, in quelle pupille dilatate e fisse, che non è giusto e non è umano.

«Questa è mia madre.»
La voce di Piton lo fa sobbalzare, non si era reso conto dello spostamento dell'uomo. Adesso è in piedi, dietro alla donna, ha appoggiato una mano sulla sua spalla. Indossa un vestito a fiori, un grembiule... un abbigliamento da casalinga della televisione, un vestito da pubblicità di detergenti. «Mi prendo cura di lei», aggiunge, con un tono strano, qualcosa che suona contemporaneamente come una giustificazione e come un annuncio di possessione. Qualcosa di sgradevole.
La sta toccando, sta toccando quella cosa, la sta toccando...
Harry inghiotte quel panico improvviso, quel pensiero che gli torce lo stomaco, sente il cuore che gli batte direttamente nel collo, nella testa. Non vorrebbe fare quella domanda, sente che non dovrebbe. La fa lo stesso.
«Quanti anni ha?»
«Ventiquattro», risponde Piton, senza dare segni di turbamento, nè notare l'incongruenza della propria risposta. Le rughe sul suo volto sono profonde, ingrate, e per un attimo il ragazzo crede di sapere la sua età ed il suo nome. Ha trentanove anni, anche se ne dimostra molti di più. Perchè ha avuto una vita difficile, perchè se sollevasse la manica sinistra potrebbe vedere...
Harry nota soltanto adesso che c'è una macchia, sul colletto della tuta da lavoro. Una macchia scura, e sa che è sangue. Non si sorprende di non averla notata prima, nè si sorprende di non riuscire a leggere le scritte sul pacchetto di sigarette che l'uomo tira fuori dalla tasca, malgrado adesso gli sia molto vicino. Ancora una volta, non l'ha visto mentre si spostava - è come se ogni tanto la sua mente facesse dei piccoli balzi, si scollegasse. Ma adesso vede tutto molto chiaramente, quasi con distacco, senza meraviglia. L'uomo allunga verso di lui il pacchetto, Harry scuote la testa. Non sa da cosa nascano le sue domande, non sono il frutto di un qualche ragionamento, sono solo cose che sente.
«Suo padre fumava?», chiede, senza rendersi conto di quanto sia surreale la loro conversazione. Senza preoccuparsi che l'altro si accorga della stranezza della cosa, senza adeguarsi al canovaccio - aveva parlato di una camera e di un'inserzione, prima...
L'uomo si infila una sigaretta in bocca, un po' di traverso, sobbalza mentre parla. Negli occhi scuri non c'è traccia di sorpresa o perplessità.
«Sì. Lavora giù alla fabbrica. Adesso ci sono io.»
Non capisce veramente la risposta, ma capisce vagamente la situazione. E non si sorprende di riuscire finalmente a leggere le scritte sul pacchetto delle sigarette - è come se le cose acquistassero contorni più nitidi, non appena si concentra su di loro.
Non guardare la macchia.
E' un pensiero strano, alieno, non è certo che sia del tutto suo. E' comunque incline ad obbedire, per una volta.

Batte le palpebre, quando riapre gli occhi si trova all'interno di una stanza. Ha la distinta impressione di trovarsi ancora all'interno di quella casa, e non sa spiegare perchè abbia quel tuffo al cuore quando sposta lo sguardo verso la porta. Non ce n'è motivo, sembra solo che il legno abbia preso un po' di botte, la vernice è screpolata, il legno è un po' incassato in alcuni punti.
La voce di Piton ha un'inflessione strana, quasi dialettale, da persona poco istruita. Ma non è quella di - Tobias, si chiamava Tobias...
«La camera è libera da subito. E' libera da tanto tempo», dice, tranquillamente. La sigaretta è già fumata per metà, della cenere crolla sul pavimento sudicio. Harry vede un letto ridicolmente piccino, una semplice rete con sopra un materasso ingiallito e macchiato, una finestra priva di tende, i vetri sporchi. La luce del cielo sembra diversa da prima, come se fossero già passate delle ore dal momento in cui ha bussato alla porta.
Evita di guardare più su delle gambe magre dell'uomo, seduto sul letto. Tiene lo sguardo basso, rimane molto fermo, si trattiene dal cercare di scollarsi dalla pelle il tessuto della maglietta - è zuppa di sudore, fa troppo caldo, è come essere all'inferno.
«Sono qui per affittare una camera?», si ritrova a chiedere, come se cercasse un appiglio. Non ha bisogno di guardare il viso dell'uomo per sapere che ha in bocca una smorfia sarcastica. Lo sente sbuffare via il fumo, prima di parlare.
«So solo che io sono qui per cercare qualcuno a cui affittarla», risponde, mentre Harry sente qualcosa gocciolare sul materasso. Vede delle gocce rosse, alcune grandi come galeoni, schiantarsi senza tanti problemi sulla stoffa. Alza di poco lo sguardo, la manica della tuta dell'uomo è inzuppato di sangue, che arriva a colare pigramente sul dorso della mano e, poi giù, tra le dita, lungo le dita, macchiando il filtro della sigaretta... un piccolo volo e poi - plic - sul materasso. Abbassa ulteriormente lo sguardo, sulle proprie scarpe, si sforza di fingere di non averlo notato. Sembra importante, dannatamente importante, fingere di non aver visto, anche se quel suono è nauseante, anche se ha paura...
«Finchè rimango qui, devo trovare il modo di pagare le spese. Devo prendermi cura di mia madre...»
La sigaretta cade sul pavimento, rotola via. Harry strizza gli occhi fino a chiuderli, si impone di non guardare Piton. Lo sente ridere, è una risata onestamente divertita, a voce bassa.
«Dovevo prendermi cura di mia madre. Vivo qui da solo.»
«Vive sempre qui?», si sorprende a chiedere, sentendo di nuovo la sua voce che sembra perdersi nell'aria innaturalmente densa. «Dove lavora?»
«Giù alla fabbrica. Come mio padre. Non sarà un granchè ma è un lavoro onesto, è un lavoro vero. Posso prendermi cura di mia madre.»
«Ha detto che... che vive da solo.»
Il suo tono di voce cambia, si fa rabbioso, se alza la voce il sangue sembra scorrere più copioso, a fiotti, come se venisse vomitato fuori assieme alle parole.
«Voglio stare solo. Ho fatto già abbastanza, Potter, ho già fatto fin troppo!»
Un pensiero saetta nella mente di Harry, come un topolino spaventato - Non gli ho detto il mio cognome.
E da qui, riesce a trarre l'ovvia conclusione.
Sa che sono qui. Sa che sono io...

«Guardami.»
Di nuovo, con la stessa voce strozzata e morente della prima volta in cui l'ha sentito dire quella frase.
Harry alza gli occhi, senza la sua volontà, e non prova sollievo nel vedere che il sangue è scomparso.
Severus Piton è ancora seduto sul letto, la tuta da lavoro è scomparsa, il viso magro sbuca attraverso la tenda unticcia dei capelli neri, di nuovo lunghi. La veste nera che indossa è la stessa di quella sera, è quella che indossava sempre.
Il cielo è diventato di un rosso inumano, sta scendendo la notte, e la realtà sembra farsi più sottile - solo una pellicola, che riesce a malapena a separare questo mondo difettoso dall'orrore che sta dietro, da ciò che c'è sul fondo del Pensatoio. Sa che non può rimanere lì, non la notte, perchè potrebbe succedere qualcosa, qualcosa di...

Piton fa una smorfia, mostra i denti ingialliti e storti.
«Non dovresti essere qui, Potter.»

Harry cade, sente di cadere, ma per un lungo momento vede solo nero.
Il pavimento di pietra dell'ufficio di Silente non gli è mai sembrato così deliziosamente solido e reale.

 

Note dell'autore
Okay, questo capitolo è un "chi mi ama mi segua", perchè so che non è quello che vi aspettavate. Forse non è meglio e forse non è peggio, ma è comunque una cosa un po' diversa.
Potrei mettermi a spiegare di tutto e di più, ma le spiegazioni sarebbero più lunghe del capitolo e noiose almeno il quadruplo, quindi vi incito semplicemente a farmi tutte le domande che volete.

Anzi, a una vi rispondo già ora. Se vi state chiedendo come sta Severus coi capelli corti, la risposta è... male. Almeno secondo lo schizzo che ho fatto, e che vi metto qui come "premio" per essere arrivati alla fine del capitolo:




  
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