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Autore: RubyChubb    25/09/2007    5 recensioni
Erin era una ragazza sorridente. Aveva appena compiuto diciannove anni, un'età abbastanza difficile, a cavallo tra l'adolescenza e la maturità. Tom, famosa rockstar, deve combattere contro i suoi fantasmi, contro le sue stesse scelte di vita, contro se stesso... --- Nuovo lavoro firmato RubyChubb!!!
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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GETTING IN TOUCH… OUCH!

“Dammi una spiegazione plausibile o ti sbatto fuori di qua!”, tuonò dall’alto della sua posizione gerarchica la direttrice Popper.
Erin, seduta davanti alla sua scrivania, non le rispondeva. Muoveva ritmicamente la sua gamba, si mangiava l’unghia del pollice e guardava da un’altra parte.
“Visto che la sua nuova coinquilina, signor Kauliz, ha un carattere così pessimo da non poter nemmeno rispettare la mia autorità le dispiacerebbe raccontarmi che cosa è successo?”, disse lei, rivolgendosi in toni più pacati al ragazzo.
“Niente, è entrata nella mia stanza…”, prese a spiegare lui.
“E’ la mia stanza.”, disse sottovoce Erin, ma abbastanza da farsi sentire.
“Stavo dicendo, è entrata nella mia stanza dicendo che voleva sbattermi fuori. Allora io le ho detto che potevamo parlarne con lei. Lei è partita a corsa e io le sono venuto dietro per capire cosa stava per fare.”
“Non è vero.”, disse Erin.
“Le dirò io quando poter dire la sua!”, fece la direttrice, zittendola.
“E’ solo un alcolista bugiardo!”, disse Erin, “E’ stato lui a dirmi che mi voleva fuori dalla mia stanza ed è stato lui a voler fare la gara!”
“Non è vero!”, le disse l’altro, “E’ colpa tua se sono qui!”
“Basta!”, gridò la direttrice, alla quale stava iniziando a mancare la voce.
“Se non mi crede vada in camera mia e vedrà dei pezzi di vetro in terra!", disse Erin, tirando fuori la carta vincente, "Aveva una bottiglietta nella valigia! E io l’ho trovata!”
“Signorina Geller, lei mi stupisce ogni volta che apre la bocca! Come si è permessa di frugare nelle cose altrui?”, fece la direttrice, aggiungendolo alla lista delle violazioni.
“E’ quello che le ho detto anche io. E comunque non c’era nessuna bottiglietta, se lo sta inventando lei per farmi punire al posto suo.”, fece Tom, con serenità.
Erin non riusciva più a contenersi, ma sapeva di non poter esplodere. Mentre la sua anima si ribellava alle diffamazioni, lei cercava di mantenere il controllo, benché fosse molto difficile.
“Allora, mettiamola così. Non sono riuscita a capire chi dei due abbia la colpa, quindi vi punisco entrambi.”, disse la direttrice, stremata dai due. “Signor Kaulitz, se la troveremo con altre bottiglie, verrà automaticamente espulso dalla clinica, senza diritto di replica, ed informeremo la stampa della sua permanenza qui. Adesso vada, non si azzardi ad entrare nella sala tv per tre mesi.”
Ma bene, pensò Erin, se l’era cavata con niente! Bella giustizia era quella!
La direttrice attese che il ragazzo se ne fosse andato, poi parlò ad Erin.
“Erin, non voglio sapere altro di quello che è successo.”
“Ma è un bugiardo e lei lo sa benissimo!”, disse lei in sua difesa.
“Non mi interessa. Ad ogni modo, la tua punizione è questa: fagli da tutore.”
“Cosa?!?”
“Hai capito benissimo: per i prossimi sei mesi sarai il suo tutore. Anche tu sarai responsabile della sua buona condotta. Comunque sarebbe stata questa la cura che avevo pensato per te: trovare qualcuno con il tuo stesso carattere da rieducare, per farti capire quanto sei spiacevole.”
“Ma grazie per il complimento!”, disse Erin, alzandosi e lasciando la stanza.
“E le cartelline? Devo rimetterle a posto io?”, fece la donna, inforcando i suoi occhiali.
Erin sbuffò. Erano le sei del pomeriggio. 
Avrebbe perso la cena. 

 

Quando ebbe pronte le cartelline, con lo stomaco in subbuglio, sperò nella buon anima di Gero: non vedendola arrivare forse avrebbe serbato un po’ della sua cena per lei, anche solo una mela. Posò le cartelline sulla scrivania della direttrice e andò verso la stanza del suo amico. La trovò vuota, sia della sua presenza che di quella del suo coinquilino, quindi poteva essere in sala tv. Desolata, non era nemmeno lì.
C’era solo un altro posto: l’altalena. Chiudendo la lampo della sua felpina, Erin andò verso il giardino, dove trovò Gero, a cavalcioni sull’altalena, che si dondolava a destra e a sinistra.
“Hey….”, gli disse, sedendosi di fronte a lui.
“Con te non ci parlo.”, fece lui, con voce infantile.
“Dai…”
“No.”
“Gero...”, lo supplicò Erin.
“Ti ho preso un’arancia e una mela.”, fece lui, tirandole fuori dalle tasche della sua larga felpa.
“Sei un tesoro!”, esclamò Erin, rubandogli in un soffio la mela e addentandola.
“Cosa è successo?”, le chiese.
“Quell’imbecille mi ha sfidato ad arrivare per prima dalla Popper per chiedere il trasferimento di stanza. Arrivati lì troviamo quell’arpia che esce dallo studio con le cartelline mediche e gliele facciamo volare a terra.”, gli spiegò lei, tra un rapido morso ed un altro.
“Cacchio…”
“Sì… e lui scarica tutta la colpa addosso a me, mentendo spudoratamente. E’ proprio un alcolizzato del cazzo.”
“Già… e quindi?”
“Lui se l’è cavata con una minaccia di espulsione e tre mesi senza tv.”
“Ma non è giusto!”, esclamò Gero.
“E non hai sentito l’ultima… io sarà la sua tutrice. Senti cosa ha fatto quella puttana: me l’ha messo in camera cosicché possa prendermi le sue colpe! Hai capito? Io sono la vittima di questa storia e mi tocca anche fargli da tutrice!”
“Merda!”, disse Gero, alzandosi e dando una pedata all’altalena.
“Dice che l’ha fatto perchè vuole farmi capire cosa vuol dire avere a che fare con una come me, con il mio carattere.”
“Cazzo, non bastava una predica, una pacca sulle spalle ed una pedata nel culo?”, disse Gero, arrabbiato tanto quanto la sua migliore amica.
“Evidentemente no… andiamo, sono le nove. Nessuno in giardino dopo le nove.”, disse Erin, ricordandogli una delle regole fondamentali della clinica.
Passarono un po’ di tempo nella sala tv, dove incontrarono Bea e le raccontarono tutte le disavventure che erano capitate loro. Lei, ovviamente, nel sapere che era vero ciò che aveva sentito dire, non potè fare altro che saltare dalla gioia.
“La passerà sempre liscia solo perchè è Tom Kaulitz e suona tra con quei finocchi.”, disse Gero.
“Te lo immagini! Domani arriverà a mensa e tutti lo assaliranno per chiedergli un autografo!”, disse Bea, che di sicuro si sarebbe unita alla folla con carta e penna.
In quel momento la direttrice entrò nella sala, facendo zittire tutte le chiacchiere.
“Ascoltate, ragazzi e ragazze: come saprete già, per i prossimi mesi avremmo un ospite nella nostra clinica. Un ospite fuori dal comune. Ha passato, come alcuni di voi, momenti molto difficili ed è qui per riprendersi. Abbiamo promesso che non una parola uscirà da questo istituto, nessuno di voi menzionerà la sua presenza. Altrimenti, se ci sarà la cosiddetta fuga di notizie, tutti verrete puniti. Nel modo più severo possibile. E quando dico tutti, lo dico davvero, dal primo all’ultimo. Sono sicura che non succederà, ditelo anche a coloro che non sono qui adesso.”, disse la donna e poi ripetè, per essere stata chiara, “Nel modo più severo possibile.”
Quel tipo di punizione significava l’espulsione a caso di alcuni pazienti, misura mai applicata e spesso sostituita dal pagamento del doppio del costo semestrale.
“Stessa punizione a chi di voi disturberà questo ospite con richieste varie, come gli autografi.”, disse, concludendo la sua paternale.
Un attimo prima di uscire, lanciò un’occhiata ad Erin che le fece gelare il sangue.
“Sarà meglio andare a letto.”, disse Gero.
“Già…”, fece Erin.
“Io rimango qua. Notte ragazzi!”, disse Bea, salutandoli con un cenno di mano ed un sorriso.
I due si dettero la buonanotte davanti alla porta delle loro stanze. Gero entrò subito nella sua camera, mentre Erin rimase ancora un po’ fuori, con la schiena appoggiata contro il muro, pensando a quanti problemi stava andando incontro. Anche lei aveva avuto una tutrice, quando era arrivata in clinica, e le aveva fatto vedere i sorci verdi. Chissà stava per succedere, pensò, mentre abbassava la maniglia della porta. Quando la spinse, la porta però non si aprì. Erin cercò di capire come mai, ma la risposta non fu difficile da trovare, sicuramente quell’imbecille ci aveva messo una sedia a contrasto.
“Fammi entrare!”, disse, mentre bussava insistentemente.
“Levati dalle palle!”, rispose l’altro.
“Ti giuro che se non mi fai entrare scateno il finimondo!”
“Fai con comodo.”
Erin ebbe la tentazione di prendere l’estintore che era appeso al muro e sfondare la porta, ma anche se ci fosse riuscita, i veri problemi sarebbero nati dopo.
“Senti, apri questa porta, entrambi abbiamo il diritto di vivere in questa stanza.”, disse Erin, sperando che parole meno minacciose potessero servire. Ma niente, nessuna risposta. Dette una spallata alla porta, ma il dolore la fece desistere. Provò con un calcio, ma il ragazzo aveva sistemato ad hoc la sedia sotto la maniglia.
“Vedrai che domani avrai da pentirtene!”, gli disse.
Si voltò ed iniziò a bussare alla porta di Gero. L’altro le aprì, dopo qualche attimo, doveva essersi già addormentato. A tempo di record!
“Che c’è…”, fece, con voce rauca.
“L’alcolista non mi fa entrare!”, disse Erin, alzando la voce per farsi sentire.
“Non sono un alcolista!”, gridò Tom, da dentro la stanza.
“Alcolista! Alcolista! Alcolista!”, prese a canzonarlo Erin, cercando di farlo stanare.
“Chiudi quella cazzo di bocca!”, fece Tom, aprendo la porta per non sentirsi più offendere in quel modo.
"Notte ancora.”, disse Gero, chiudendo scocciato la porta e tornandosene a letto.
Erin, braccia conserte, entrò nella sua stanza e prese il suo posto, senza dire nemmeno una parola. Non avendo più nemmeno la possibilità di vivere la sua intimità, fu costretta a chiudersi in bagno e a prepararsi per la notte lì dentro. Quando uscì, vide che l’unica barriera tra lei e lui era composta da una lunga tenda nera, montata per l’occasione quando lei era fuori dalla stanza, e che divideva la camera perfettamente in due.

  

Come sempre, si aspettava di mettere i piedi fuori dal letto prima che la sua sveglia le ricordasse che erano arrivate le otto, e le sue aspettative furono rispettate. Il motivo principale fu la mancanza totale di sonno, dovuta ad un pessimo incubo che aveva fatto pochi minuti dopo aver chiuso gli occhi: se ne stava in piedi, sull’orlo di un burrone di cui non vedeva il fondo. Dietro di lei, un uomo con un fucile che le puntava dritto dietro la nuca. Scegliere una morte o l’altra? Aveva aperto gli occhi, trasalendo, e si sentiva tutta sudata, le coperte penzolavano inerti dal letto. Andò in bagno a bere, si sciacquò la faccia e se ne tornò a letto, senza più chiudere un occhio. Dell’altro, nemmeno il respiro, niente, come se non ci fosse. Per quello che le interessava, poteva anche essere scappato.
Aprì gli occhi stanchi, guardò l’ora e spense la sveglia. Oramai la nottata era andata a puttane, non rimaneva altro che alzarsi ed iniziare una giornata che si sarebbe prospettata di merda, ne era sicura. Prese gli abiti che avrebbe indossato e se ne andò in bagno per cambiarsi, chiudendo la porta a chiave. Doveva fare la doccia, con tutto quello che aveva sudato era più appiccicosa della carta moschicida. Se si sbrigava, riusciva anche ad uscire di lì in una mezz’ora per lasciare il  bagno libero, ma non gliene importava un bel niente di farlo, così si prese tutto il tempo del mondo. 
Ogni volta che si lavava i capelli era un incubo ad occhi aperti: quella massa di nodi era così difficile da districare che una boccetta di balsamo e di lozione bastavano a fatica per due lavaggi. Con calma e pazienza, due doti che mancavano all’appello, si armò di pettine e, sotto il getto dell’acqua calda, iniziò la grande opera. Se il problema fosse stato solo quello, quando uscì fuori dalla doccia Erin poteva dirsi a posto, ma anche l’asciugatura era un impresa epica. Doveva stare attenta che tutta l’acqua fosse evaporata, altrimenti avrebbe passato la giornata con la testa mezza bagnata ed era a rischio malattia. Ci volle un’ora prima di uscire completamente pulita e linda dal  bagno.
Stava per uscire, quando ebbe la tentazione di vedere se l’altro era sul suo letto. Scostò solo un briciolo di tenda e lo vide lì, steso, pancia all’ingiù, non si era nemmeno tolto gli abiti. 
Aveva da fare tanta di quella strada, pensò Erin. 
Per iniziare, serviva una sveglia poderosa, ma non era una cosa che voleva fare. Lo avrebbe lasciato dormire, tanto le avrebbe causato solo fastidi.
Enormi fastidi. 
Uscita dalla sua stanza, bussò tre volte alla porta di Gero, segno che voleva dire che era pronta per la colazione.
“Giorno Erin.”, fece lui, uscendo dalla stanza con un paio di borse sotto gli occhi che toccavano terra.
“Ehy, cosa sono quegli occhi stanchi?”
“Non ho dormito niente.”, rispose lui, chiudendo la porta della sua stanza.
“Anche io… come mai?”
"Stavo in pensiero, ti ha dato fastidio?”
“Macchè… stecchito sul suo letto tutt’ora. E io ce lo lascio stare. Non l’ho mai sentito tutta la notte.”, rispose Erin, mentre si riscaldava le mani nella giacca della sua felpa.
“Meno male… e tu?”, le chiese Gero.
“Boh… forse non avevo sonno.”, rispose lei.
Di solito l’unica persona a cui riferiva dei suoi sogni era il dottor Bebel, l’unico che secondo lei era sano di mente da poter curare i malati come lei.
“Brutti sogni vero?”, la prese lui in contropiede.
“Cacchio non ti si può nascondere proprio niente… comunque sì, ma non ho voglia di parlarne.”, disse Erin. Tanto poi finiva che, dottor Bebel o no, lei gliene parlava comunque.
“Ok, andiamo a mangiare piuttosto, anche se non ho fame.”
“Manco io.”, disse Erin.
 

Al piano di sotto Bea aveva preso posti per entrambi e, con i vassoi mezzi vuoti per colpa dei loro stomaci chiusi, si misero al tavolo, con poca voglia di parlare. Anche Bea non sembrava essere dell’umore giusto, quindi rimasero per un po’ in silenzio, prima che venisse detta una parola.
“Il tuo compagno di stanza…”, fece Bea, armeggiando con i biscotti.
“Non lo nominare.”, disse Erin.
“Ok…”, disse l’altra, “Dormite bene insieme?”
“Allora!”, esclamò Erin.
“Era tanto per sapere!”, fece l’altra, offesa per la rispostaccia dell’amica.
“C’è una tenda nera che ci separa… ma basta, finiamola qui.”, disse Erin, sperando che l’amica le desse ascolto.
“Ancora non credo che lo sappia qualcuno chi è veramente questo ospite particolare della clinica…", continuò Bea, "A proposito, perchè non è venuto a colazione?”
“Bea… per piacere.”, disse Gero, implorandola con uno sguardo poco amichevole.
La ragazza si zittì, recependo la richiesta di silenzio da parte dei due. Ad ogni modo, la camminata decisa della direttrice creò ulteriore silenzio.
“Geller, può venire un attimo fuori, per cortesia?”, le chiese, con tono molto pacato, tanto da fare preoccupare la ragazza.
Posò il cucchiaio con cui stava giocherellando e andò dietro alla donna, chiedendosi cosa fosse successo. 
Nessuno fece caso alla situazione, erano tutti abituati alle stupidate di Erin.
“Dov’è il signor Kaulitz?”, le domandò, sottovoce, fuori dalla porta della mensa.
“Beh… non lo so. L’ho lasciato in camera che dormiva.”
“Ah, bene. Per stamattina passi, ma poi deve rispettare le regole come tutti voi. Intesi?”, le disse, con sguardo severo e deciso.
“Anche se vuol dire fare a pugni nell’atrio?”, fece Erin, incrociando le bracca in senso di sfida.
“Sarà meglio evitare una cosa del genere.”
“Allora sappi che ieri sera si era barricato in camera, non mi voleva fare entrare.”, disse Erin, sperando che la donna prendesse provvedimenti. Ma lei non disse niente, se ne andò e basta.
“Che stronza…”, disse tra i denti, mentre tornava verso i suoi amici.
“Che voleva?”, le chiese subito Gero.
“Niente, solo rompermi le palle.”, sibirò Erin.

 

Mani in tasca e umore nero, Erin camminava a testa bassa verso camera sua. Gero aveva provato a farle passare tutto, ma non c’era stato verso. Avrebbe saltato il programma giornaliero, sarebbe andata solo da Bebel nel pomeriggio. Voleva solo starsene sulla sua altalena, lettore mp3, canzoni a tutta palla nelle orecchie, e fottersene di tutti. Andò in camera, entrando dentro come se non ci fosse nessuno. Infatti, era vuota, l’altro letto disfatto. Da una parte avrebbe voluto prendere quello che le serviva e andarsene, ma da un’altra c’era sempre la Popper che incombeva.
Bussò nel bagno e chiese se c’era nessuno al suo interno.
“Chi vuoi che ci sia…”, rispose Yom.
“E’… è tutto a posto?”
“Cazzo di domanda...”, borbottò quell'altro.
“Hey, da oggi in poi sarò la tua tutor, ho delle responsabilità nei confronti di diverse persone. E soprattutto ho il diritto di sapere che stai bene.”
“Ok, sto bene, vattene.”
“Cosa stai facendo?”
“Niente, aria, sparisci.”
“Vuoi rimanere tutto il giorno lì dentro?", gli fece, "Bene, mi fa piacere, perchè io rimarrò qua davanti alla porta. Proprio così, seduta contro la porta, così potrai continuare a rovinarti la vita come stai facendo ancora adesso!”
“Non sto facendo niente di male. Non si può nemmeno pisciare in pace.”
“Sento odore di alcol, caro ragazzo. Si può sapere dove lo hai preso?”, gli chiese Erin. 
Sapeva chi, tra i ricoverati, aveva le mani in pasta e sapeva rifornire la clinica di certa roba. Ma ancora l’alcol non era tra le sostanze che circolavano. Sembrava strano,ma  era più facile riuscire a trovare un po’ di morfina, che non fosse di quella utilizzata dai dottori, che un litro di alcol. Era quasi un fenomeno paranormale!
“Fottiti, lasciami in pace.”
“Te lo ha portato un parente?”
Il ragazzo smise di rispondere alle sue domande, non aveva più voglia. Che se la prendesse con lui, quella ragazza, tanto ormai tutto il mondo sembrava odiarlo. Tutto il mondo, tutto, tutti.
“Allora io rimango qua. Mi metto ad ascoltare un po’ di musica. Vuoi che accenda lo stereo così la senti anche tu?”, chiese lei, ovviamente senza ricevere risposta.
Erin fece di testa sua, prese il suo piccolo stereo portatile ed accese la radio, in cerca di una stazione che trasmettesse qualcosa di suo gradimento. Nel frattempo, commentava ad alta voce le stazioni che incontrava.
“Pubblicità… pubblicità… questo qui ha troppi discorsi in bocca… ah! Senti questa, questa di piace! Vuoi che alzi il volume”, fece, piazzando la frequenza su una stazione che trasmetteva musica tradizionale tedesca, con quei cantanti dai grandi baffi che facevano strani gorgheggi.
“Chi tace acconsente!”, disse Erin, alzando a tutto volume lo stereo.
“Abbassa quella dannata musica!”, gridò l’altro, dando sonore pedate alla porta e facendo sobbalzare Erin, che vi stava con la schiena contro.
“Ah! Sei sempre vivo! Pensavo avessi tirato il calzino!”, disse Erin.
La porta si aprì e in un attimo la ragazza si trovò con la schiena a terra, mentre lui la scavalcava. Senza dire una parola se ne uscì dalla stanza.
Almeno il bagno era libero, pensò Erin. Vi entrò, cercando di trovare qualcosa che tradissero le parole del ragazzo. 
Chi aveva una dipendenza era un gran mentitore, lo sapeva benissimo, ma non sembrava averle detto una bugia. 
A meno che non avesse nascosto qualcosa dentro ai suoi enormi pantaloni, oppure dentro alla vaschetta dello sciacquone....
Niente, cassetta vuota. Guardò nei buchi dietro al lavandino, dove passavano i tubi, ma ancora nulla. Aveva visto un film, una volta, dove si diceva che per imparare a trovare bisogna saper nascondere. E lei aveva saputo nascondere benissimo, per molto tempo. 
Prese il suo lettore mp3 e andò nel giardino, a dondolarsi sulla sua altalena.

 

Con la schiena appoggiata alla catena di ferro ed i piedi ancorati in terra che la spingevano delicatamente a destra e a sinistra, Erin non vide che tutte le attenzioni delle persone della clinica erano concentrate su una panchina, al di là del laghetto. 
Lì si trovava l’ospite particolare, quello di cui non bisognava parlare a nessuno, che non andava disturbato. I pazienti di una certa età, quelli del primo piano, non sapevano chi fosse oppure ne avevano sentito parlare dai nipoti o dai figli. Quelli del secondo piano, che erano per lo più anziani, non lo avevano neppure mai visto. Quelli del terzo piano, che andavano da un’età minima di tredici anni ad una massima di trenta, invece, lo conoscevano benissimo.
Erano soprattutto loro che guardavano verso di lui, che lo indicavano, che facevano dei risolini e cercavano di attirare la sua attenzione passeggiando nelle sue vicinanze.
Eppure lui se ne stava seduto, con un piede sulla panchina ed il mento appoggiato sul ginocchio, a tirare sassolini dentro l’acqua del laghetto, anche se era vietato dal regolamento, ma nessuno glielo fece notare. Quando l’orologio sulla torre centrale suonò mezzogiorno, tutti interruppero le loro mansioni, le loro chiacchiere e le loro passeggiate per andare a pranzo. Erin fu scossa da un anziano signore che le era passato accanto.
“Grazie.”, disse lei, mentre avvolgeva le cuffie intorno al lettore.
“Con quei cosi voi ragazzi vi perforerete i timpani.”, disse lui.
Ecco, un altro rompipalle, pensò Erin, che invece sorrise all’uomo senza farsi accorgere del suo pensiero.
“Piuttosto, signorina, mi sa dire chi è quel ragazzo laggiù, quello che continua a tirare i sassi nel laghetto?”, le domandò.
Erin dovette aguzzare la vista per vederlo.
“Ah, grazie per avermi detto che è lì.”, fece, allontanandosi da lui senza rispondere alla sua domanda.
Mentre camminava, Erin realizzò che la Popper diceva sul serio: se quello non avesse messo la testa a posto ci avrebbe rimesso lei, in prima persona, perchè sua tutrice. Si ricordava di quante note disciplinari aveva fatto prendere alla sua, un tempo, perchè lei continuava a mettersi nei guai. Onde evitare di far allungare la sua fedina penale, Erin cercò di stabilire un contatto con lui, aspettandosi però di non essere accolta con mazzi di fiori.
“Ehy…  è l’ora di pranzo!”, disse, mentre si avvicinava a Tom. 
Di tutta risposta, quello si alzò e si spostò di tre metri più in là. 
Si comincia bene, pensò Erin.
“Beh, non credo che tu voglia far parte anche della categoria degli anoressici. Non ti basta quella degli alcolizzati?”, fece lei, cercando un approccio sarcastico, mentre gli si avvicinava ancora.
“Possibile che non riesci proprio a lasciarmi in pace? Sei un cozza!”, fece lui, spostandosi di nuovo più in là.
“Grazie per il complimento, Tom… comunque il mio nome non è cozza, è Erin. E il soprannomista ufficiale della clinica Sellers è Gero, il ragazzo con cui stavi per fare a botte ieri. Quindi non cercare di prendere il suo posto.”, disse Erin, continuando a seguirlo a pochi passi di distanza.
“Allora tanto piacere Cozza.”
“Se chiamarmi in quel modo ti fa sentire bene, fallo pure. Non ti obbligo certo a fare il contrario.”
“Lo sai che mi stai stancando?”, disse lui, interrompendo la sua lenta fuga e voltandosi di scatto verso di lei, “Cosa vuoi da me? Vuoi fare amicizia? Ecco, stringimi la mano, ora sei amica di Tom Kaulitz, sei contenta?”
“Non molto… la tua mano era sudaticcia…”, fece Erin, strusciandosela contro i pantaloni, “Ma adesso che conosco una celebrità posso dire che il mio status sociale si è ribaltato!”
“Molto divertente…”, disse l’altro, riprendendo la sua camminata verso il laghetto.
“Senti, lo so che saranno difficili questi primi giorni ma… cerchiamo di collaborare. Io non vado nei guai se non sei tu a mettertici e, visto che la direttrice non mi ama affatto, perchè non facciamo un patto di non belligeranza? Non ti dico che devo per forza starti simpatica, puoi odiarmi come stai odiando il resto del mondo, basta solo che cerchi di comportarti bene, sia per te stesso che per me. Ci stai?”
Lui si voltò, la guardò un attimo, poi le mostrò il suo dito migliore, quello medio.
“Beh… grazie per la risposta.”, fece Erin, “Sei proprio una testa di cazzo e fai bene ad attaccarti alla bottiglia.”
Lo lasciò al laghetto, fottendosene di lui. Avrebbe parlato con la Popper, era meglio troncare il tutoraggio, lui non aveva capito che c’era da sudare in quel posto e che non era nessuno, se non uno malato, come tutti gli altri. 
Ancora più in malumore di prima, Erin decise che non era proprio il caso di mangiare. Lo stomaco le si era chiuso un’altra volta. Si mise ad aspettare fuori dallo studio del dotte Bebel, il loro incontro era fissato per l’una ed un quarto, quindi bastava solo aspettare una mezz’oretta.

 

Gero aveva assistito a tutta la scena dalla mensa, affacciato alla finestra. Da solo, Bea si era seduta con altre persone, aspettava che Erin salisse e si mettesse davanti a lui. Le aveva già preparato il suo vassoio, oramai la conosceva bene da indovinare cosa avrebbe scelto da mangiare. Aveva visto lui voltarsi verso di lei, alzarle il dito medio e gli era presa un po’ di rabbia, ma soprattutto, gli era tornata la voglia di rompergli il naso. Erin se ne era andata via incavolata nera, era ovvio, e non sarebbe venuta a mangiare. Aveva l’appuntamento con il suo psicologo, quindi sicuramente stava ad aspettarlo davanti al suo ufficio. 
Se avesse trovato quell’idiota per i corridoi, gli avrebbe sicuramente fatto capire che non si trattano in quel modo le persone che volevano aiutarlo.

  

“In anticipo come sempre.”, disse il dottor Bebel, mentre apriva con la chiave il suo studio.
“Beh… non avevo niente da fare e mi sono messa qui ad aspettarla.”, rispose Erin.
“E non hai mangiato. Lo sai che così peggiori solo la tua salute.”, fece lo psicologo, con quel suo tono rilassato ed accondiscendente.
“No, dottore, ho mangiato, non si preoccupi.”, rispose lei.
“Anche mentire ti fa male.”
“Ecco, tutti a farmi la predica!”, disse Erin, mentre entrava nello studio.
Si sedette come sempre sul comodo divanetto, appoggiata sul bracciolo. Accanto, la poltrona del dottor Bebel e il solito taccuino per gli appunti.
“Allora Erin… da cosa vogliamo partire?”
“Beh... ho fatto un brutto sogno, tanto per cambiare.”, disse lei, abbuiandosi.
“I tuoi genitori alla tv?”
“No… questo non lo avevo mai fatto prima.", fece lei, "Ho sognato che un uomo mi puntava un fucile alla nuca e davanti a me c’era un burrone. Dovevo scegliere di quale morte morire…”
“E chi era l’uomo con il fucile?”, le domandò.
“Non lo so… stava con la faccia dietro l’arma… così.”, fece Erin, cercando di imitare la posizione dell’uomo, “E comunque non è di questo che voglio veramente parlare…”
“Mi ha detto la direttrice che ti ha affidato un ragazzo.”
“Proprio lui…”, disse Erin, sbuffando.
“E lo conoscevi anche prima?”
“Sì, insomma, lo avevo visto in tv o sulle riviste... Diciamo che sì, lo conoscevo, ma di vista. Del resto non sapevo niente. Ad ogni modo, credo che sia sbagliato affidarmelo.”
“Perchè?”
“Perchè… ancora ha molta strada da fare.”
“E’ gia stato in clinica per tre settimane, lo avevano ricoverato al primo piano. Ha già superato il primo mese.”, disse l’uomo.
“Insomma, non credo che lo abbia superato, perchè ho trovato una bottiglietta nella sua valigia e mi ha aggredito per averla. Ma me la sono bevuta io.”
“Questo la direttrice lo sa?”
“Certo che gliel’ho detto, ma mi ha ignorato. Anzi, invece di punire lui ha punito me!”
Il dottore represse un sorrisetto che gli era salito sulle labbra. Poi tornò serio e si grattò la fronte.
Ecco, si disse Erin, ecco il momento del predicozzo.
“Devo essere sincero con te Erin: quando la direttrice mi è venuta a parlare di questa ‘cura’ per te, come la chiama lei, non le ho certamente nascosto le mie preoccupazioni. Secondo me affidarti uno come lui, indipendentemente dalla sua identità, ma con i suoi problemi, è sbagliato.”
“E’ sbagliato sia perchè è lui, sia perchè ha quel particolare problema.”, fece Erin, felice perchè il dottore, per quel momento, aveva deciso di riporrere le sue solite parole da omelia per prendersela con la decisione della direttirice.
“Mettila come vuoi, ma è comunque troppo presto per te. Insomma, tutto questo non fa altro che farti rivivere il tuo rapporto con tuo…”
“No, dottore, non inizi con quelle baggianate!”, fece lei interrompendolo. Era finito il momento magico del 'non-prendetevela-con-Erin-ma-con-l'aguzzina-della-Popper'.
“Erin, non sono baggianate e finchè non ti metterai in testa che determinati tipi di amicizie non possono far altro che danneggiarti sarai condannata a soffrire del tuo male per tutta la vita. Ad esempio, lo sai che cosa penso del tuo rapporto con Gero…”
“La prego, dottore, parliamo di altro…”, lo implorò Erin, che non sopportava quando tirava in mezzo determinati discorsi come quello.
“Da qualche mese non stai facendo nessun progresso. E questo non va bene.”
“Ho capito dottore, alla prossima seduta.”, disse lei, alzandosi irrispettosamente e uscendo dallo studio.
Era stato inutile anche parlare con lui!
Corse diretta verso la sua camera, ignorando completamente tutti quelli che la salutarono. Prese il suo piccolo taccuino da schizzi e andò sull’altalena




Eccomi qua, di nuovo a scrivere i ringraziamenti!!! Lidiuz 93 mi ha fatto notare che non ho collocato temporalmente questa storia, in poche parole non si capisce quando accadrebbe, ch età ha Tom... mettiamola così, in questa storia ha sui 22/23 anni, quindi siamo un po' in là... facciamo gustare la parte amara del successo a sto ragazzo! 

CowgirlSara: grazie mille per i complimenti, anche se questa storia è proprio rognosa... sono ferma al quinto capitolo!!! Mi sa che mi toccherà cambiare qualcosa per sbloccare la situazione... non mi dilungo altro, ci sentiamo su msn!!!

Lidiuz93: sì, davvero, nessuno romanticismo in vista, ma tanti litigi! Hai ragione, non ho collocato i th in un contesto temporale! Non mi sembrava importante, ma forse è meglio dare una delucidazione... grazie mille per i complimenti!!!

Ruka88: no, stavolta l'amore sarà bandito... o meglio, forse comparirà, ma farà solo capolino e cmq non sarà certo tra i due, che invece faranno molte scintille. Davvero ti sei immaginato Gero come lui? Wow! Penso che sia veramente... sanguineo! Mi fa venire certi pensieri...

Carillon: i rasta? presto faranno un volo dalla finestra... scherzo! XD cmq penso di essere una delle poche che glieli taglierebbe di nascosto, odio i rasta! No, non è Bill perchè non mi dà l'impressione di essere uno con un carattere molto forte e deciso, mi sembra un po' più... non so come spiegartelo, ma mi sembrava più adatto Tom! E grazie per la recensione!

Dew94: grazie e dire che, fino a sei mesi fa, non avevo più l'ispirazione per niente! Sono stata un anno senza scrivere! Vabbè, spero che Erin ti piacerà tanto quanto Mac, anche se ha un caratterino con cui non si vorrebbe avere molto a che fare! Grazie per la recensione!

Sososisu: no, devo deludere anche te, basta con gli amori, sono finiti, adesso scriverò di dolore e di disperazone e basta! XD scherzo ma non più di tanto XD comunque grazie mille di tutto, sia per i complimenti che mi hai fatto, sono molto lusingata, sia anche per la recensione che hai lasciato al capitolo finale dell'altra storia.... *lacrimuccia* grazie mille davvero!!!

Judeau: come puoi mettere questa storia tra i preferiti e poi nemmeno lasciare una recensione???? guarda che ti butto il gattino in mezzo all'autostrada eh? lo torturo! XD no, povero gattino, lasciamolo fare... ma la prossima volta non ti perdono eh, intesi? Bacioni crucco!

   
 
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