And
now you're gone it's like an echo in my head
And I remember every word you said
It's a cruel thing you'll never know all the ways I tried
It's a hard thing faking a smile when I feel like I'm falling apart
inside
And now you're gone it's like an echo in my head
And I remember every word you said
Little
red sick hood.
Alla
fine tutti i suoi incubi si riducevano ad un ammasso di boscaglia nera
come la
notte, nella quale cercava di districarsi fino allo stremo delle forze.
Poteva vedere
Scott al di la dei rami dalle forme inquietanti, poteva vederlo
sorridere,
scherzare, in un posto sicuro e pieno di luce.
Eppure,
per quanto Stiles si sforzasse di raggiungerlo, di spezzare rami, di
evitare di
ferirsi, non riusciva mai ad avvicinarsi. Anzi, si ritrovava spesso
riverso a
terra, con la faccia spiaccicata contro il terriccio umido e gli arti
pieni di
graffi. La cosa più brutta, poi, era che il dolore fisico
era sempre surclassato da quello
mentale. Era come se la testa stesse per
scoppiargli
da un momento all’altro: una terribile esplosione
nella quale il suo
cervello si schiantava contro la radura immersa nell’oblio,
fondendosi con
l’oscurità.
*
*
*
“No!”
urlò, alzando il busto in uno scatto rabbioso mentre, ancora
intontito, spalancava
gli occhi.
Le
pareti della sua stanza. Il suo letto. La familiare finestra dalla
quale
entrava appena uno spicchio di luce.
“Calmati,
Stiles, era solo un incubo…”
E
la voce di Scott.
Stiles
si voltò di scatto: troppo in fretta, la testa gli girava da
matti e la febbre,
probabilmente, non si era ancora abbassata. Ma li c’era
Scott, in grado di
fargli perdere un battito e di fargli comparire agli angoli della bocca
un
sorrisino da ebete che, se non ci fossero stati i 39 gradi di
temperatura (o
forse si erano alzati?) a fornirgli una maschera dietro la quale
nascondere i
propri sentimenti, sarebbe sembrato fin troppo compromettente.
Come
l’alcool. A pensarci, avrebbe potuto farsi venire la febbre
più spesso. Niente
sospetti per Scott e niente dolorose finte per lui. In più
la lucidità era
giusto un tantino meno compromessa di quando beveva qualcosa. Un compromesso perfetto.
“Eeeehy,
amico”
Scott
inarcò un sopracciglio e sorrise in quel modo che a Stiles
faceva sempre
pensare ‘Scott il migliore amico
del mondo’
o ‘Scott la cosa più
carina del mondo’;
in quel caso lo fece sospirare forte mentre si lasciava andare contro
il letto:
la schiena pesantemente adagiata contro il materasso e
un’espressione
addolorata dipinta sul volto.
Era
sleale: sorridere in quel modo era puro sadismo.
“Sai
che sei davvero messo male?” chiese Scott, soffocando una
risata dai toni particolarmente
fastidiosi mentre si sedeva ai piedi del letto, infossando leggermente
il
materasso.
Stiles
roteò gli occhi, sbuffando di nuovo.
“Ma
come siete originali, tutti quanti. Potrei commuovermi, sul
serio.”
“Ti
ho portato le medicine. Tuo padre era impegnato col lavoro e non
è potuto
tornare a casa, e così mi ha incaricato di curare il suo piccolo cucciolo malato!”
Nonostante
l’ultima parte della frase di Scott – oh, andiamo?
Piccolo cucciolo malato? –
Stiles ringraziò mentalmente suo padre con un fervore tale
che, senza
accorgersene, si mise di nuovo a sorridere. Se ne rese conto quando
notò il
ghigno buffo di Scott che lo guardava con insistenza, e allora
mascherò il
tutto con una smorfia seccata.
“Dammi
qua, mr. Piccolo cucciolo malato!”
gli ringhiò contro, alzando il busto ed allungandosi verso
di lui per sfilargli
di mano il piccolo sacchetto di carta.
Scott
gli mise una mano sul busto e, senza difficoltà, lo fece
sdraiare di nuovo.
“Stai
buono, Stiles. Sei più strano del solito, e questo
può voler dire una sola
cosa: stai davvero male. Oppure hai bevuto, ma direi che è
più probabile la
prima.”
Stiles
si mise a ridere.
“Mi
complimento con te per la tua arguzia, amico!”
“Fai
poco lo spiritoso. Se ancora non ti è chiaro, ho in mano le
sorti della tua
vita.”
Stiles
strabuzzò gli occhi, mentre gli si inaridiva la bocca come
nemmeno il deserto
del Sahara. Le sorti della sua vita.
Scott
non avrebbe potuto trovare una frase più adatta: se invece
delle medicine gli
avesse dato le sue labbra – o qualcos’altro a caso
– gli avrebbe garantito la
felicità eterna e, molto probabilmente, la febbre sarebbe
stata sconfitta dai suddetti
sentimenti felici. Oppure la sua temperatura corporea sarebbe aumentata
a
dismisura e gli sarebbe esplosa la testa, semplice.
“Sono
davvero in buone mani, allora.” Sussurrò con finto
sarcasmo tra se e se,
abbastanza forte da farsi sentire da Scott e abbastanza piano da
nascondere
l’esplosione che quella frase creava nel suo cuore.
Scott
si sedette più vicino a lui, sorridendo in
quel modo.
“Ecco”
disse, cominciando ad aprire il sacchetto di carta “ora
sì che cominciamo a
ragionare.”
Stiles
arricciò le labbra: “Curami e falla
finita.”
C’erano
dei momenti in cui non riusciva a sopportarlo, Scott. Lui faceva di
tutto per
nascondere quello che provava realmente, anche a costo di strapparsi il
cuore
dal petto, e cosa otteneva in cambio? Nulla. Niente.
Nemmeno uno straccio di sospetto. Ovvio che questo fosse
l’obiettivo che si prefissava di raggiungere, ma ottenerlo
ogni dannatissima
volta poteva diventare davvero frustrante.
“Questo
cucciolo malato è davvero acido, oggi.”
Grugnì Scott.
“Mi
duole informarti che il tuo cervello sta velocemente regredendo a
quello di un
bambino di tre anni.”
Scott
gli diede un piccolo pugno in testa, intimandogli il silenzio con uno
sguardo
ch’era un misto tra il serio e il divertito mentre, tutto
impegnato, tirava
fuori diverse confezioni di medicine dal sacchetto di carta. Erano
entrambi
poco efferati sull’argomento, ma quello che ne sapeva di
più era sicuramente
Scott: sua madre lavorava all’ospedale.
Ma
Stiles si sarebbe fidato di lui in ogni caso. Per quanto lo riguardava,
quelle
medicine avrebbero pure potuto essere veleno: lui aveva altre cose per
la
testa. Decisamente.
“Ok,
non toccare niente mentre io scendo a prendere un po’
d’acqua. Ah, il
termometro dov’è?”
“Qui.”
Mormorò Stiles, indicando con lo sguardo il comodino alla
sua destra,
sforzandosi di sorridere nonostante i pensieri stessero prendendo la
piega
sbagliata e lo stessero conducendo verso la tortuosa e poco piacevole
strada
della distruzione mentale senza vie di ritorno.
Scott
annuì ed uscì dalla stanza.
E
a
Stiles, una volta recuperata un minimo di sanità mentale,
prese un colpo. Scott
era li e lui era uno schifo di quelli davvero tremendi – non
aveva ancora avuto
l’occasione di guardarsi allo specchio ma per come si sentiva
doveva
sicuramente assomigliare ad un troll o a qualche altra creatura
mitologica
davvero orrenda –. Era anche vero che Scott l’aveva
visto in tutti i modi
possibili – o quasi: con grande rammarico di Stiles alcuni settori rimanevano ancora
completamente inesplorati –, ma
questo non significava che ogni volta non fosse uno shock di quelli che
ti
segnano per la vita.
Doveva
assolutamente darsi un contegno. O almeno lavarsi, dato che puzzava
peggio di
un licantropo bagnato. E si sa, i licantropi bagnati cauterizzano le
narici.
Spalmò
i palmi delle mani contro le lenzuola e, facendo forza sulle braccia,
riuscì
lentamente ad alzarsi dal letto. Peccato che, una volta in piedi, le
cose non
andarono come aveva previsto. Era troppo stanco, esausto, senza forze;
perse
l’equilibrio e finì con il fondoschiena per terra,
le gambe divaricate e
l’espressione inebetita dalla botta appena presa.
“Stiles!”
Non
appenò entrò in stanza e lo vide in quel modo
– di male in peggio, perfetto –
Scott appoggiò il bicchiere d’acqua sul comodino e
si accovacciò vicino a lui.
“Tutto
ok?” gli mormorò, con uno sguardo profondo che
– Stiles lo sapeva – aveva il
preciso obiettivo di sondargli l’anima e leggergli qualche
risposta a qualche
silenziosa domanda inespressa. Beh, Stiles non gliele avrebbe fornite,
quelle
dannatissime risposte – davanti alle quali, tra
l’altro, si ostinava comunque a
rimanere cieco.
Silenzioso
ed accigliato distolse lo sguardo, mostrandogli il profilo. E una
smorfia di
disappunto.
“Certo,
Scott, tutto ok. Tranne per il fatto che mi scoppia la testa, ho i
brividi
ovunque e non riesco a reggermi in piedi.” …e
faccio schifo e non sono riuscito nemmeno a darmi una sistemata,
fanculo. E oh,
tu continui a cercare di scannerizzarmi con i tuoi occhietti neri pieni
di implicita
cupidigia.
Con calma, Scott lo
aiutò a rialzarsi e
adagiarsi contro il letto.
“Allora”
cominciò, con un tono particolarmente serio “prima
di tutto devi mangiare
qualcosa.”
Tirò
fuori dal sacchetto un piccolo dolce con la crema e una fragola
solitaria appostata
in cima, ridusse la carta ad un mucchio indistinto e accartocciato e
centrò il
cestino all’angolo della stanza con un tiro preciso, ben
assestato.
“Non
ho fame per niente.”
“Dai,
Stiles…”
Stiles
si coprì il volto con le mani, stropicciandosi gli occhi:
“No, non mi va.”
“Non
dirmi che devo mettermi a giocare al dottore
e il paziente per riuscire a farti mangiare!”
Stiles
si coprì completamente la faccia con le mani, soffocando una
risata. Effettivamente,
Scott non poteva immaginare quanto avrebbe potuto piacergli, giocare
con lui al
dottore e il paziente. Beh, magari
una versione alternativa, ecco.
Scott
si alzò dal letto, tossicchiando un paio di volte mentre si
calava nella parte.
“Lei
è il signor Stilinski, giusto?” chiese, inarcando
un sopracciglio.
Stiles
non riuscì a trattenersi: Scott dottore era una delle cose
più adorabili ed
esilaranti che avesse mai visto. Scoppiò a ridere, annuendo
con foga.
“Beh,
pare che nel suo sangue ci sia un’alta quantità di
acidità repressa. Deve
assolutamente mangiare questo dolce” e nel dirlo fece
dondolare la mano con la
quale teneva il dolcetto in maniera plateale “per ristabilire
gli equilibri.”
“E
se non lo faccio?”
“Il
dottore si irrita, si trasforma in lupo e ti mangia in un sol
boccone.”
“Che
roba è? Una versione alternativa di Cappuccetto
Rosso?” chiese Stiles,
sconcertato.
Scott
sorrise e si adagiò nuovamente sul letto, vicino a lui.
Dopodiché gli prese la
mano, allontanando delicatamente le dita dal palmo e appoggiandovi
infine il
dolce sopra.
“Dai,
mangia, cappuccetto.”
“Va
bene. Nonnina.” Acconsentì infine Stiles, con uno
sbuffo teatrale e
particolarmente lungo.
Ce
la mise tutta per mangiare il dolce, ma alla fine ne lasciò
comunque un
pezzetto che, nauseato, appoggiò sul comodino senza nemmeno
guardarlo.
Si
concentrò su Scott, che lo stava ancora guardando in quella
maniera apprensiva
e preoccupata tanto in voga tra le nonnine. Stiles cercò di
leggergli negli
occhi qualcosa che assomigliasse a quello che provava lui, ma non
trovò niente.
Assolutamente niente. La cosa lo
fece
abbattere notevolmente e, con un movimento brusco, gli diede le spalle
voltandosi verso il muro alla sua sinistra.
“Ma
che ti prende, Stiles?”
“Perché
non mi lasci in pace?” gli grugnì contro,
accartocciandosi su se stesso.
“Perché
sei il mio migliore amico e sono preoccupato per te.”
E
Stiles non ci vide più.
Si
voltò di scatto verso di lui, alzando il busto in un
crescendo di foga che, per
quanto si sforzasse, non riuscì proprio a controllare. Si
ritrovò il volto di
Scott incredibilmente vicino: gli occhi sinceramente sorpresi e la
bocca
schiusa dallo stupore.
Stiles
strinse i pugni, cercando di calmarsi. Ma non servì a niente.
“E
se fosse proprio questo? A disturbarmi, intendo? Ci hai mai pensato,
eh? Eh?”
gli urlò contro, con una potenza distruttiva che
stupì perfino se stesso.
Scott
trattenne il respiro, e a Stiles parve di intravedere una sorta di muta
consapevolezza nei suoi occhi. Fu un lampo, un secondo, e poi il suo
migliore
amico abbassò lo sguardo.
“Cosa
vorresti dire?” aveva la voce bassa al punto che, se Stiles
non fosse stato
così vicino alla sua bocca, probabilmente non
l’avrebbe sentito.
// Ceinwein91: Grazie! Sono contenta che ti piaccia 8D
Keepsake: Muahahah! Grazie! e...