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Autore: selfisher    10/03/2013    34 recensioni
Faith ne era innamorata, parlava solo ed esclusivamente con lui, mangiava solo se lui la pregava di farlo, e dormiva solo se si ritrovava accoccolata nelle sue braccia.
Ma in fondo sapeva che non potesse nascere niente tra loro due, anche se si rifiutava di accettarlo.
Perché tra di loro non poteva nascere qualcosa? Semplice, perché Niall in realtà era soltanto frutto della sua immaginazione.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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Questo scritto, ideato completamente dalla sottoscritta, non è stato assolutamente scritto a scopi di lucro. Le caretteristiche dei personaggi presenti in questa storia non sono legate ad atteggiamenti reali, in quanto errati. La storia presente scene al quanto esplicite, che potrebbero irritare. Per problemi contattare personalmente.







 




Faith, era considerata pazza, a parere di molte persone.
Faith, era considerata pazza da tutti, e per tutti intendeva proprio tutti, persino i suoi genitori adottivi, che non avevano perso tempo a rinchiuderla in quello stupido istituto.
Ma Faith non era pazza, era semplicemente sola.
Sola nel vero senso della parola, sola senza nessuno. Dopo aver visto la morte di ogni componente della sua piccola famiglia con i propri occhi, si è rintanata in se stessa, in una piccola casetta in cima ad una montagna.
Non parlava, non mangiava, non dormiva, non faceva niente, vedeva semplicemente la sua vita andare in frantumi ed aveva paura.
Aveva paura di parlare, e di rivivere le parole uscite dalla bocca del padre.
Aveva paura di  mangiare nel caso avesse trovato uno dei piatti preferiti di Alex, suo fratello.
Aveva paura di dormire semplicemente perché ogni volta che chiudeva occhio le immagini di quel momento le attanagliavano il cervello.
Era da quasi due anni rinchiusa in quella clinica, ma non dava cenni di miglioramento. Continuava a  non parlare, a non mangiare, a non dormire, a meno che non fosse Niall a chiederglielo.
Chi era Niall? Forse la causa principale per la quale era stata rinchiusa.
Niall era moro,tinto di biondo per sperimentare, alto poco più di lei, di due anni più grande, con occhi azzurri, ed un carattere molto dolce, simpatico e premuroso, un principe azzurro in poche parole, a differenza del fatto che non fosse omosessuale.
Faith era completamente persuasa e sottomesa a lui, parlava solo ed esclusivamente con lui, mangiava solo se lui la pregava di farlo, e dormiva solo se si ritrovava accoccolata nelle sue braccia.
Ma in fondo sapeva che non potesse nascere niente tra loro due, anche se si rifiutava di accettarlo.
Perché tra di loro non poteva nascere qualcosa? Semplice, perché Niall in realtà era soltanto  frutto della sua immaginazione.
Era invenzione, era l’amico che non aveva mai avuto. Il migliore amico di cui finivi per innamorarti.
Era l’ amico che non aveva mai avuto e che si era dovuta creare con la sua fantasia.
I signori Duncan –i coniugi a cui fu affidata dopo la morte dei familiari- l’avevano accolta, ma nessuno si sarebbe assunto le responsabilità di una quindicenne sorda, muta e con forti disturbi psicotici. Vedendo, ovviamente,  che la situazione non accennava a migliorare l’hanno portata all’istituto psicologico.
E adesso l’unica persona che gli rimaneva era proprio Niall.
 
 

Psycho.

 

«Allora Faith, come va oggi?» La dottoressa Smith – l’unica dottoressa dell’istituto che aveva assunto l'incarico di occuparsi del suo caso, ormai perso- cercava di farla parlare, inutilmente.
La ragazza di fatti non rispose,
"Come tutti i giorni", si limitò a pensare.
Guardava d’avanti a se, fisso nel vuoto.
Sapeva che in questo modo non faceva altro che dare una delusione alla dottoressa, ma non riusciva proprio ad aprire bocca.
 Le era affezionata, dopo quasi due anni di incontri, ma nonostante tutto non riusciva a parlare.
La dottoressa Smith sospirò borbottando un  “non sarei voluta arrivare a questo ma…”
«Niall come sta?» A questa domanda la ragazza balzò.
Come faceva a sapere di Niall? Non aveva detto a nessuno di lui, nessuno sapeva la sua esistenza.
Prese a tremare tutta sgranando gli occhi, comunque senza parlare. Le mani tremavano, gli occhi si gonfiarono inevitabilmente, diventando rossi. La testa prese a pulsare, e il respiro diventò pesante.
La dottoressa attese a lungo la risposta che come sempre non arrivò, perse le staffe incominciando a sbraitare.
«Faith! Parla ti prego! Ti rendi conto di cosa sono arrivata per farti parlare? Abbiamo frugato nella tua mente! Con uno stupido aggeggio e tu continui a non parlare! Sai che se non mostri cenni di miglioramento dovremo spostarti al reparto psichiatria avanzata! E lì non sono tutti dolci e gentili come lo sono io,Faith! Lì ti strappano le corde vocali, impiantandotene altre pur di farti parlare!»
Ci mise tre minuti buoni per concepire le parole che erano appena uscite dalla bocca della giovane donna davanti a lei.
Avevano davvero frugato nella sua mente?  Come avevano osato farlo?.
Non le importava se l’avessero spostata di reparto, non le importava se le avrebbero stracciato le corde vocali, lei non avrebbe parlato con nessuno, semplicemente per il fatto che non si fidava di loro.
La dottoressa sospirò calmandosi, anni ed anni di studio l’avevano portata a capire perfettamente come comportarsi con i pazienti, e sbraitargli contro, di certo non era corretto.
«Lo hanno inventato due giovani olandesi, venuti qui proprio per sperimentarlo - Aveva abbassato lo sguardo. Faith era impassibile, con gli occhi fissi nel vuoto. - Loro lo chiamano vangen gedachten, che nella loro lingua vuol dire ‘acchiappa pensieri’, non avevo idea che funzionasse sul serio. »  Si sistemò meglio sulla poltrona cercando una posizione comoda e visibilmente agitata.
«Poi, perché crearsi un amico immaginario Faith? Hai noi dottori a disposizione, noi siamo tutti reali, e disposti ad ascoltarti.»
Faith avrebbe voluto gridarlo. Avrebbe voluto gridare che, frutto della sua fantasia, o meno, Niall la ascoltava per ciò che era, senza costrinzioni, tanto meno per lavoro. Non prendeva appunti su uno stupido taqquino, era semplicemente lì, per lei.
Avrebbe voluto gridarlo, scriverlo sui muri, inciderlo sulle vetrate, sulla pelle, nella testa delle persone, ma per cosa poi? Avevano ragione, il suo Niall non esisteva.
Presa dalla rabbia si alzò dalla poltrona uscendo di fretta e furia dalla stanza sbattendo con forza la porta. Riuscì solo a sentire il sospiro proveniente dalla dottoressa: Se aveva pensato anche solo per un secondo di ritornare a parlare aveva sbagliato, non lo avrebbe mai fatto con nessun’altro, a meno che non fosse il suo Niall.

 
 
“Che ne dici di dormire un po’?”
Niall premuroso le accarezzava i capelli, o almeno era quello che lei pensava che stesse facendo. Cercava di farla riposare un po’ , ma con scarsi risultati, non voleva addormentarsi, non ci riusciva nemmeno, oltre alla paura di sognare di nuovo quel giorno aveva anche paura che le leggessero ancora la mente con quello stupido macchinario, quindi non voleva.
Scosse la testa. Con forza, prendendo a tremare. Incominciò ad alterarsi, si alzò di scatto dal letto aggiustandosi gli abiti rigorosamente bianchi compratogli dalla dottoressa e incominciando a fare avanti e indietro per la camera.

“Calmati ! E cerca di riposare”
Le sorrise rassicurante Niall, quel sorriso che, preso dalla sua immaginazione la fece tremare.
Lo amava, ed è normale, quando si ama una persona –che sia reale o meno- sentire ogni gesto nei propri confronti come se fosse un qualcosa di unico.
E fu proprio con quel sorriso donatogli dalla persona che amava a farla addormentare cullata immaginariamente dalle braccia del suo finto ma sincero amore.
 

Faith era terrorizzata, aveva paura. Aveva commesso lo sbaglio più grande della sua vita. Ma d'altronde era ossessionata.
Innamorata di un malato mentale di nove anni più grande di lei.
Mike aveva ventiquattro anni, mentre lei ne aveva semplicemente quindici.
Era il suo primo vero ragazzo, e, a detta sua,il suo unico grande amore.
Ma era innamorata di un Mike che non esisteva, o almeno non più. Da dolce e gentile era diventato manesco e bruto, alcolizzato ai massimi livelli, e sempre reduce da qualche rissa.
Faith non poteva continuare in quel modo. Era da sempre stata una ragazza intelligente, e consapevole che farsi sopraffare da qualcosa da cui non sarebbe potuta uscire, la avrebbe condotta alla rovisa.
Decise di lasciarlo,con il cuore spezzato, e con la consapevolezza che non sarebbe mai tornato quello di una volta.

«Non ti conviene, ragazzina.»  Gli aveva sputato in faccia quelle parole con tutto l’odio che riusciva a contenere quel corpo di circa due metri, lentamente, in modo che arrivassero una ad una perfettamente.
Ma lei come una stupida non lo era stato ad ascoltare, gli aveva riso in faccia, chiamandolo pazzo.
La prima settimana passò tranquilla, Mike non si era fatto vedere, e lei continuava la sua vita da normale adolescente, almeno fino a quando  lo ritrovò a casa, il sabato pomeriggio appena tornata da scuola.
Era un giorno come gli altri. Aveva preso il buon voto che meritava dopo aver constantemente studiato l'intera settimana, e due sue compagne di classe aveva litigato per un ragazzo.
La normalità di quel giorno venne però scombussolata.
Mike aveva legato i suoi genitori su delle sedie, coprendogli le bocche con una pezza stretta, facendo in modo che non potessero parlare.

«Faith, ricordi cosa ti dissi quando ci siamo lasciati?»
Lei deglutì a fatica. Era bloccata dalla paura, non riusciva a parlare, a muoversi, a fare niente, persino i suoi occhi si rifiutavano di guardare.
«Tu non mi conosci. Nessuno, tanto meno una stupida troia di quindici anni, può permettersi di lasciarmi.» Si avvicinò sempre di più alla ragazza –rimasta ancora immobile-  la caricò in spalla senza dare conto ai suoi calci e ai suoi continui ‘mollami!’, e con uno schiaffo diritto in piena faccia riuscì a farla stare ferma.
La attaccò ad una sedia con una corda, mani e piedi in modo che non potesse muoversi.
Con un sorriso sghembo si avvicinò ai genitori  che terrorizzati giacevano a terra.
Lo sguardo sadico su quel viso.

«Direi di iniziare dal padre, la madre ed in fine il fratellino che ne dici? »
La ragazza scattò, incominciando a tremare tutta e a scalpitare, cercando di liberarsi, a scarsi risultati.

«Mike, ti prego, non fare niente di avventato. Io ti amo, lo sai!» Decise di cambiare tattica.
Sarebbe davvero tornata insieme a lui pur di salvare la propria famiglia? Certo ovvio, avrebbe rischiato tutto per loro.
Proprio come loro avevano fatto con lei.

«Potevi pensarci prima» Si affrettò grazie alla piccola accetta che teneva in mano a slegare il padre che non cercò nemmeno di ribellarsi.
«Papà, fa qualcosa!» Urlò Faith.
Il giovane uomo abbassò il capo senza più guardare la sua piccola bambina  che era posizionata proprio davanti a lui e a Mike.

«Sono cosi fiero di te patatina, sceglili meglio la prossima volta.» Sorrise consapevole di ciò che sarebbe avvenuto.
Prese a piangere continuando a scalciare.
Senza nemmeno aspettare che proferisse una parola Mike infilzò la piccola accetta nel petto del padre che si accasciò a terrà tutto insanguinato.
Faith urlava, ma era impotente. Aveva visto gli occhi del padre essere attravesati da una strana scintilla, aveva sentito il rumore delle ossa che si rompevano, aveva sentito l'ultimo respiro fuori uscre dalle labbra di quell'uomo, esteticamente, tanto simile a lei.
Dopo nemmeno un minuto dalla morte del padre la stessa fine toccò alla madre.
Mike si stava divertendo, era felice.
Mike era malato, malato di lei, malato. Sempre davanti ai suoi occhi, la madre le era stata strappata via, non poteva sopportare altro dolore, non poteva vedere un altro componente della sua famiglia morire cosi, davanti a lei

«Veloce visto? Ma adesso tocca al più bello. Alex vieni qui.»
Alex avanzò tremante e con gli occhi rossi dal pianto.
Suo fratello. Aveva da poco compiuto cinque anni. Con quale coraggio avrebbe potuto togliere la vita a qualcuno di così piccolo?

«Alex! -Urlò disperata - Ti prego, Alex! Ha una vita da vivere!»
Con un ultima risata cacciò dalla sua tasca un coltello ben appuntito e affilato.
«Tua sorella parla troppo.»
Velocemente il coltello pulito che aveva tirato fuori dalle tasche fu sporcato dal sangue del bambino.
E con un ultimo urlo straziato di Faith, Mike uccise anche il piccolo bambino squartandogli la gola, prendendo in pieno la giugulare.
«Te l’avevo detto di non metterti contro di me, ragazzina Con lo stesso coltello, ancora sporco del sangue del fratello, Mike si avvicinò a Faith.
Con uno scatto veloce e studiato sfregiò anche il suo piccolo viso, con una liena lungo dal sopracciglio al labbro.
 Uscì di casa posizionandogli il coltello col quale aveva ucciso il fratellino e sfregiato il suo viso sulle gambe ancora legate alla sedia di lei.
Aveva visto morire il padre.
La madre.
Il fratello.
Ma a morire era stata soprattutto la sua anima, ridotta in pezzi.
 

 
Aveva sognato ancora quel giorno, come ogni volta che chiudeva gli occhi, era terrorizzata, le immagini della testa squartata del fratellino che cadeva a terra, della polizia che accorreva chiamata dai vicini, delle lunghe ore di interrogatorio subite dopo, dell’ultimo sguardo di Mike mentre veniva trascinato nella cella, trent’anni di carcere erano troppo pochi. Tutte queste scene erano ancora infisse nella sua mente, si alzò scostando le coperte facendo attenzione a non svegliare Niall che a detta sua dormiva beatamente e si posizionò di fronte la scrivania.
Se c’era una cosa che amava fare era scrivere.
Scriveva tutto, ogni suoi pensiero, ogni sentimento:Tutto.
Ancora tremante dai ricordi del sogno fatto prese ad imbrattare un foglio bianco, la sua scrittura era grande e leggibile, le ‘a’ belle tonde e piene, le ‘l’ ben arrotondate, era perfetta.
E proprio con la sua scrittura perfetta decise di descrivere il suo sinonimo di perfezione.
I capelli biondi del ciuffo tirato all’insù, la radice castano scuro, un sorriso illuminato dal luccichio della macchinetta, e quegli occhi, color oceano, non come i suoi, più luminosi, allegri, contornati da quella sfumatura di nero, riempiti di un bianco spumeggiante che rendeva il tutto limpido, quegli occhi che la facevano sognare.
Descriveva il corpo, medio e magro, per niente palestrato.
Descriveva quello che era un sogno proibito.
 L’unico suo sogno. Sogno irrealizzabile.
Niall.


Capitolo revisionato.
01/05/2014
13:53.
  
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