Mike:
Procedo
a 80 chilometri orari. Siamo quasi arrivati.
Moon non dà segni di
vita.
È l'una: forse si è addormentata.
Le lancio uno
sguardo: è girata verso il finestrino, è distesa
sul sedile
abbassato. Mi dà le spalle e non riesco a vederle il volto.
Vedo
solo i capelli verdi e spettinati, una porzione di guancia bianco
latte e il collo delicato. Ha le mani quasi congiunte vicino al naso:
le sue dita sono affusolate e sottili. Ha lo smalto bordeaux
smangiucchiato. Scommetto che ha le mani fredde.
Mi giro verso di
lei, scruto la sua forma distesa.
Sta tutta rannicchiata, nella
mia felpa sembra ancora più minuta e bassina.
È strano no? È
solo mezza giornata che la conosco, eppure già sono cotto
come un
pesce lesso.
Ma che cazzo dici Mike! Nessuno è cotto di
nessuno! Pensa con la testa per una fottutissima volta, non con
l'uccello!
Il fatto
è che
non sto pensando con l'uccello, sto pensando con il cuore, con il
CUORE. Anzi, a dire la
verità mi sembra di non star pensando affatto.
Tu? Il
razionale, logico, preciso, realista Mikey?
...Ancora
queste cazzo di lotte interiori. Dovrei smetterla altrimenti mi
interneranno in manicomio.
Perché mi è preso un colpo quando ci
siamo sfiorati? Perché ho mancato un battino (o forse due)
quando mi
ha dato un bacio sulla guancia? Perché mi sento annegare nei
suoi
occhi quando mi guarda?
Io sono sempre stato il tizio con i piedi
per terra, quello che non si lascia trasportare, non si lascia
andare. Sono sempre stato colui che sa tutto e che sa perfettamente
tenere in mano le redini della sua vita, e ha il controllo su di
essa. Adesso mi sento solo confuso, non riesco a sentirmi pensare;
sento solo il rimbombare del cuore tra le tempie, come se lo avessi
al posto del cervello. Continua a martellare da due ore buone ormai.
Ho bisogno di capire.
Moon è quel tipo di persona che ti
rapisce. O magari fa quest'effetto solo a me.
Mi sembra di essere
diviso in due, una coppia di metà che continuano a farsi la
guerra:
il Mike che si fa guidare dai sentimenti, lo stesso che mette le
parole l'una accanto all'altra quando scrive i testi, quello che sa
quali note ci vogliono per scrivere la musica. E poi l'altro me,
quello razionale, il Mike con i piedi di piombo e ancorati a terra,
che ha bisogno di avere il controllo su tutto. Quello che non
può
permettersi di lasciarsi andare. Sì perché sono
io quello che alle
prove della band, quando si finisce per farsi una risata, io devo
ridere e dopo un po' zittire tutti perché dobbiamo provare.
Sono io
quello che dice “ora basta con le birre, dopo dobbiamo
lavorare”.
Non posso permettermi di lasciarmi andare, perché se lo
faccio, lo
faranno anche tutti gli altri. Gli altri si aggrappano a me per
rimanere con le cime ormeggiate, non posso permettermi di mandare al
diavolo il lavoro mio e altrui. Il lavoro di una
vita.
E
io mi sento nel mezzo di queste due metà, conteso tra di
esse. E
nessuna delle due riesce a prevalere né io a sceglierne una.
Mi
passo una mano sul viso, cercando di rinfrancarmi.
Siamo arrivati.
Parcheggio vicino ad un cartello con su scritto il nome del lago.
Mi
guardo nello specchietto e poi torno a guardare Moon. Devo
svegliarla? Mi sembra di commettere peccato se lo faccio.
Sussurro
piano: «Moon?»
Lei non reagisce.
Decido di scendere
dall'auto; appena il mio naso viene a contatto con l'aria fredda e
gelida rabbrividisco. Faccio il giro dell'auto e apro lo sportello
del passeggero.
Moon ha il viso sereno, sembra quasi che le aleggi
l'ombra di un sorriso sulle labbra.
«...Ehi bella addormentata!»
dico piano. La mia voce echeggia tutto intorno, fuori dalla
macchina.
Mi chino vicino al suo viso, vicino l'orecchio. Il suo
profumo mi pizzica le narici: odora di fumo, di cannella, di profumo
da ragazzo, di tutti gli odori che amo di più. Odora di
serate
passate a ridere, di notti passate a fissare il soffitto, sognando
qualcosa che non entrava nella stanza. Odora delle bottigliette di
birra che ci siamo scolate. Delle canzoni rock che abbiamo urlato a
squarciagola alle pareti della macchina. Odora di amore
buono.
Annuso vicino al suo collo e inspiro il suo odore come
fosse cocaina da sniffare. Chiudo gli occhi e lascio che mi invada la
mente. Riapro gli occhi. Sono chinato su di lei, così vicina
alla
sua pelle tanto che le vedo anche i pori e le cicatrici della
varicella.
«Moooooon» bisbiglio vicino al dilatatore, sudando
freddo e con la bocca impastata per l'imbarazzo.
Ho ricominciato
a sudare, merda.
Sento il suo repiro che mi sfiora le labbra, è
caldo e tranquillo. E' un suono rilassante, paragonabile a quello
della risacca delle onde. La sua pelle è così
liscia, è così
delicata, pura, inviolata, bianca...Aggettivi. Mi vengono in mente
solo aggettivi per descriverla, invece di agire riesco solo a
formulare catene di pensieri.
Mi sembra di vivere la fiaba della
“Bella Addormentata nel Bosco”. C'è il
bosco. C'è la
principessa addormentata. Ci sarebbe anche un principe, se posso
essere considerato così. Cos'è che fa il principe
per svegliarla?
La bacia, coglione.
Cristo,
mi stacco subito da lei, scatto come una molla, mi allontano e sgrano
gli occhi. Inciampo anche nei miei piedi andando indietro, cadendo
rovinosamente a terra, di culo. E facendo un rumore infernale,
amplificato dall'eco tutt'intorno. Quel pensiero, il bacio per
risvegliarla, mi ha mandato in tilt, cazzo cazzo cazzo non dovevo
pensarlo.
Ma guardati ahahahah, ti prendeva un infarto
anche a pensare a una semplice fiaba adesso, ahahaha. Sei patetico.
Dimmi, come riuscirai mai a cantare davanti a un vero pubblico, non
intendo le 10-15 persone dentro un locale, senza svenire o senza
avere il bisogno di farti una dose di cocaina? Hahahaha, ridicolo.
Moon:
BADABUM!
Un
tonfo assordante mi fa ridestare dal mondo dei sogni; sussulto e
scatto a sedere sul sedile, spalancando gli occhi e guardandomi
intorno spaesata.
Sbatto gli occhi più volte, cercando di
spazzare via dal mio campo visivo gli ultimi rimasugli di sogno.
Due
dadi mi penzolano davanti, appesi allo specchietto.
Riordino le
idee.
Sono Moon, ho 15 anni, sono nella macchina di...cerco Mike
con gli occhi. Non c'è vicino a me seduto sul sedile del
guidatore,
non è dietro. Mi guardo intorno con il cuore che inizia ad
accelerare i battiti. Giro attorno lo sguardo.
Mike è steso a
terra e si sta rialzando a sedere in questo momento. La macchina
è
parcheggiata, il motore è spento e Mike ha il culo
sull'asfalto.
Sorrido e mi alzo, mi avvicino a lui: mi accorgo che è
diventato
rosso, ma così rosso che si vede anche se lui ha la pelle
olivastra
e se è tutto buio intorno.
«Ehi ma che cazzo è successo? Mi hai
fatto prendere un accidente!» esclamo io sorridendo e
accucciandomi
io vicino a lui.
«Emh...è...è
che...n-nien...niente» balbetta
e mi sembra agitato. Lo scruto e inizio anche un po' a preoccuparmi.
Respira affannosamente e ha la fronte imperlata di minute goccioline
di sudore.
«Mike, che hai? Sembra che tu abbia appena visto un
fantasma» gli prendo il viso tra le mani; lui tiene gli occhi
bassi.
Le mie mani gelide vengono a contatto con la pelle liscia e morbida
delle sue guance, il suo calore mi penetra nelle dita. Sento che un
brivido gli attraverso il corpo.
«Nulla...sono solo caduto, come
un deficiente...» abbozza un sorriso mesto.
Io continuo a
fissarlo, noto che una vena gli pulsa lungo la gola.
«Sei sicuro?
Mi sembri piuttosto agitato» chiedo seria con voce
tremolante. Siamo
vicini: i nostri nasi quasi si toccano, ci sono forse due centimetri
e continuiamo a scrutarci. A perderci l'uno negli occhi dell'altro. I
suoi sono grandi, un po' a mandorla; le sue iridi sono marrone legno,
con delle venature più scure, come la corteccia di una
quercia. Le
sue pupille sono così nere che ho quasi paura di guardarci
dentro
troppo a lungo, per timore di sprofondare. Ha le ciglia lunghe. Sento
il suo respiro che mi accarezza.
«Così sto bene, non ti
preoccupare» dice lui in un soffio. Così
anche
io sto bene, vicino a te, a tuffarmi nei tuoi occhi.
Io mi
allontano e mi rialzo, cerco di sorridere senza sembrare che abbia un
crampo alla faccia. Gli tendo la mano e lui me la afferra, io mi
appendo indietro e lo tiro su. Si spolvera i pantaloni.
Lo sento
tirare un sospiro.
«Allora,» si schiarisce la voce «che ne
pensi? Ti piace il posto?» allarga le braccia per indicarmi
la zona
circostante.
Adesso siamo in un parcheggio, alla mia destra c'è
la strada ma è deserta. C'è un cartello con su
scritto il nome di
un lago. Davanti a me si estende una boscaglia, vedo un contorto
intreccio di rami di pino e tronchi d'abete. C'è una ripida
discesa,
ai piedi della quale intravedo il riflesso argenteo della Luna
sull'acqua. Un brivido mi passa lungo la schiena, ho un po'
freddo.
«Oddio Mike ma qui è meravigliso!»
«Eh beh, sì, di
notte è ancora più bello»
Cammino un po' in giro per dare
un'occhiata.
«Solo che dovremo ucciderci lungo questa discesa per
arrivare al lago» indico la ripida pendenza non lontana dai
miei
piedi. Il suolo è ricoperto di aghi di pino e abete, alcuni
secchi
altri ancora verdi; è disseminato di pigne cadute. Le radici
degli
alberi formano un reticolato nodoso sotto la terra, come le arterie e
le vene su un polso, e si incontrano con quelle sottili e corte degli
arbusti. L'aria tutt'intorno è impregnata dell'odore fresco
degli
alberi, un odore...purificante. Inspiro a fondo. In sottofondo si
sente il rumore del vento leggero tra le foglie.
Chiudo gli occhi
e assaporo il momento.
«La notte è come una coperta che, quando
viene stesa, porta la quiete...di giorno, normalmente, se vieni qui
si sente solo il rumore delle auto che passano ininterrottamente,
oppure gli schiamazzi dei bambini che vengono al parchetto qui
vicino. Invece di notte, lo stesso posto è irriconoscibile.
Si
riescono ad apprezzare molte più cose»
Apro gli occhi.
Mike
mi è affianco, non mi sono nemmeno accorta che si
è mosso. Fissa
davanti a sé. Lo guardo e noto che ha un borsone ai suoi
piedi,
sembra piuttosto pesante. Notando che fisso l'oggetto con aria
interrogativa, mi dice: «Eh, ci sono...emh...cose.
Cose utili» rotea gli occhi. Io lo guardo di sbieco.
«...Sarà
meglio che incominciamo ad avviarci, che già è
tardi, e non sarà
facile arrivare con tutti gli arti attaccati fino al lago»
dico
io.
Lui prende il borsone e io incomincio la discesa.
Alla prossima!