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Autore: C h i a r a    11/03/2013    3 recensioni
Questa è una ff di genere Young-Adult. Eleonora è una ragazza di Livorno che non ha amici. A molti la situazione starebbe scomoda, ma a lei no, non vuole interagire con nessuno.
(la storia si svolge a Livorno, ma luoghi e persone sono puramente inventati, ogni riferimento è puramente casuale)
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sabato sera...

Sono le otto, mi sto facendo delle onde ai capelli con la piastra. Mi piace tenerli così, tutti sulla spalla sinistra, mossi e lunghi, sono contenta di essermi tinta i miei banali capelli biondo cenere in un bel biondo platino. Non c’è il minimo contrasto con la mia pelle pallida, sembro una dai paesi nordici. Metto il vestito e le scarpe comprate con Alessio, poi vado a truccarmi: una semplice linea di eyeliner nero “svirgolato”; fondotinta chiarissimo; blush rosa; rossetto bordeaux. Prendo la pochette di mia mamma, quando sento la sua vocina.
«Dio, Eleonora, sei bellissima! Se uscire con lui ti fa questo effetto, approvo la vostra relazione.»
Mi siedo sul divano vicina a mio papà. «Sappi che allora approvi il nulla. Non c’è nessuna relazione.»
Torna  in cucina con un sorrisetto furbo che non mi piace. Mio papà mi guarda.
«Sei bellissima. Ma la gonna è troppo corta.» dice.
«Non serve che fai il papà geloso.»
Mi sorride. «Bene, perché non lo sono.»
Metto i piedi sul divano, fregandomene se ho le scarpe, e appoggio la testa sulla sua spalla. Stiamo così, in silenzio, finché non suona il campanello.
Vado ad aprire e mi trovo Alessio vestito come la volta che è venuto a casa mia. La prima volta che siamo stati insieme, fuori da scuola. Cerca di entrare, ma io lo spingo indietro gentilmente. Saluto i miei, e ce ne andiamo. Lui fa per scendere le scale, ma io gli fischio e gli indico le scarpe. Ride. Quando ride mi dimentico dei miei dubbi, e mi sembra di essergli amica da una vita. Chiamo l’ascensore, prima che si possa rendere conto di come lo fissavo.
«Sei bellissima.» dice, rompendo il silenzio.
«Grazie. Quanto si paga?»
«Con questi entriamo gratis.» dice, mostrandomi dei volantini. «Però dobbiamo pagarci tutte le consumazioni.»
«Che fregatura!»
«Hai intenzione di bere tanto?»
«Il più possibile.»
«Non pensavo fossi un’alcolizzata.» Ride. Perché deve ridere così spesso?
«Non lo sono. Però mi piace bere, e oggi ho intenzione di farlo.»
«Perfetto.»
Usciamo dal palazzo, e andiamo verso il locale, vicino a casa mia. Dall’esterno sembra un grande capannone bianco. Non c’è fila, ma solo perché siamo arrivati presto, ho sentito che dalle nove si forma una fila lunghissima.
«Ci sei già stato?» gli chiedo.
«Un paio di volte. Con Omar.»
Diamo i volantini all’omone all’entrata. L’interno è completamente bianco, dei faretti blu sul tetto fanno sembrare le pareti di ghiaccio. Percorriamo un lungo corridoio, poi il bianco cede posto al buio. Ci sono dei pilastri e stalattiti trasparenti, per fingere il ghiaccio, il pavimento è trasparente. Scalini dovunque. Mi viene già male a i piedi. La cosa che mi stupisce è che sia praticamente vuoto, e la musica è bassa, senza nessun dj. Alessio vede che ho uno sguardo stupito.
«La gente inizia ad arrivare per le nove. Siamo venuti prima così vedi un po’ il posto.»
Al centro della sala c’è una grande pista da ballo, accerchiata da dei divanetti. Facciamo il perimetro del locale: ci sono sei posti bar, qualche divanetto qua e là, scale ogni due passi. Mi mostra dove sono i bagni, poi mi porta al “piano” di sopra. Più che un vero e proprio piano è una passerella che corre per tutto il perimetro, con un parapetto, trasparente. Guardo se anche il pavimento è trasparente. Grazie al cielo non lo è. Sembra di essere in una bottiglia di plastica più che in un igloo.
Scendiamo. «Si può iniziare?» chiedo.
Per un attimo mi guarda senza capire, poi vede il mio sorrisetto e mi accompagna al bar. Ordiniamo un angelo azzurro per me e una vodka lemon per lui. Il barista fa un buco alla sua tessera, quando usciremo la dobbiamo dare alla guardarobista e pagare. Io gli do la mia, ma la rifiuta.
«Il primo giro offro io bella.» dice squadrandomi.
Io gli mostro il medio, facendogli l’occhiolino. Risponde mandandomi un bacio in aria. Andiamo a sederci in un divanetto, io assaggio un po’ del suo e lui assaggia un po’ del mio. L’angelo azzurro è pesante, ma mi piace tantissimo. Quando abbiamo finito i nostri cocktail il posto è già pieno, il dj è arrivato e la musica a volume massimo riempie le nostre orecchie. Mi fa segno verso la pista. Adesso che ho bevuto sono un po’ più sciolta, quindi accetto. Andiamo nella pista, a spintoni ci mettiamo vicini alla console del dj. Siamo praticamente abbracciati, da quanta gente c’è. Solo adesso che sento il suo corpo contro il mio mi rendo conto di quanto sia fatto bene. Ha i muscoli nel posto giusto, il ragazzo. Guardo nel cubo e trovo le “veline” a strusciarsi con due ragazzi. Batto il dito sulla spalla di Alessio e gliele indico, lui alza le spalle e poi si fa ancora più vicino. Gli metto le mani attorno al collo, lui mette le sue attorno i miei fianchi. Non farei mai una cosa del genere, perché la sto facendo? Bah, ho passato tutta la vita a preoccuparmi. Chissene. Oggi faccio quello che voglio. Stiamo a ballare ancora per quattro o cinque canzoni. Ci muoviamo insieme a ritmo, nei momenti più “gasanti” alziamo il pugno e lo scuotiamo al tempo dei bassi. Mi piace ballare, perché odiavo questo posto? Dopo un po’ sono veramente stanca allora faccio ad Alessio il gesto di bere. Allora andiamo al bar di prima, stavolta ordino solo io, prendo un caipiroska alla fragola. Un altro bello pesante. Quando l’ho finito però non sono ancora contenta. Alessandro mi dice di fermarmi, ma non ho voglia. Così ordino un sex on the beach. Questo è un po’ più leggero, avrei voglia di un altro. Ma perfino da mezza ubriaca mi accorgo che basta così. Alessio continua a dirmi che dovrei stare qui seduta. Gli rido in faccia.
«Scemo! Ti pare che stia seduta qui? No.» mi alzo, ma poi barcollo, e mi risiedo sul divanetto «Vedi quel pezzo di figo laggiù?» gli dico, indicandogli un ragazzo con un bicchiere in mano, in piedi vicino al bar con i suoi amici. «Quello lì è Marco Oliveri. Mi piace da un anno.»
«Mi sembrava avessi detto che odi i ragazzi.»urla nell’orecchio per passare la musica.
«È vero, ma sono pur sempre umana. Adesso vado là e ci provo.»
Mi alzo, stavolta riesco a reggermi in piedi. Alessio mi afferra. «Non mi sembra un ottima idea.»
Ma io me ne frego. Di tutto e di tutti. Alessio può fare quello che vuole. Io adesso vado da Marco. Lo raggiungo e mi presento.
«Ciao Marco. Sono Eleonora, quarta A.»
«An si. Ti ho vista all’intervallo. Vieni con me, ti offro da bere.»
Sto per dirgli che non è il caso, ma poi ripenso “chissene frega.” Ecco, questo sarà il motto della serata. Prendo la vodka lemon che mi sta offrendo e la bevo velocemente. Poi andiamo sul cubo e ci strusciamo un po’. Vedo con la coda dell’occhio Alessio, ai margini della pista. Finché se ne sta lì buono buono e non mi rompe, a me va bene. Marco mi sussurra, per quanto sia possibile sussurrare in discoteca, all’orecchio.
«Ti va di andare in bagno a...» non capisco il resto, ma non mi importa.
Scendiamo dal cubo e mi faccio guidare verso il bagno. Entriamo tutti e due nella stessa “cabina”, come le chiamo io, si abbassa la zip, poi i pantaloni e poi le mutande. Non so cosa devo fare, ma sento le mie ginocchia che automaticamente si piegano. E poi gli faccio un pompino. Quando abbiamo finito mi viene il vomito. Mi piego sul water e vomito tutto l’alcol che avevo in corpo.
«Ha fatto così schifo, piccola?» dice, ridendo di me.
Usciamo, io sto per tornare in pista, a cercare Alessio, voglio tornare a casa. Ma mi sento tirare dal braccio. Non c’è nessuno in bagno. Solo quello delle ragazze è sempre pieno. Marco mi blocca, e poi mi fa sedere sul lavandino, a gambe aperte.
«Ti andrebbe di andare oltre?»
Ovviamente è una domanda retorica, perché nonostante io stia cercando di spingerlo e continui a dirgli no, lui mi bacia il collo. È un ragazzo forte, non riesco a spostarlo di un centimetro, neanche mettendoci tutte le mie forze. Le sue mani mi alzano il vestito fino a sopra l’orlo delle mutande. Sento la porta del bagno che si apre. Finalmente qualcuno che mi può aiutare. Chiamo questo ragazzo, ma lui entra nella “cabina”, facendo finta niente. Sta per abbassarmi le mutande, quando la porta si apre di nuovo. Stavolta però il ragazzo non fa finta di niente. Infatti Marco viene finalmente staccato da me. Non riesco neanche ad accorgermi che Alessio gli sta tirando un pugno, perché le lacrime mi offuscano la vista.
«Che cazzo fai? È stata lei a venire da me!» urla Marco.
«E ora lei ti ha detto di andartene.» lo prende per le spalle e lo spinge fuori dalla porta «Come stai?» mi chiede, nonostante il suo tono sia dolce, il suo sguardo è durissimo.
«Bene, adesso. Scusa.»
«Non preoccuparti. Dai andiamo.»
Scendo dal lavandino, mi sistemo la gonna. Poi lo abbraccio. Probabilmente gli sto sporcando la camicia con il rimmel colato. Quando ci separiamo prende il mio volto fra le mani e mi bacia. Mi rendo conto che era una cosa che avrei voluto fare da un po’ di tempo, quindi rispondo al bacio. Dimentico del mondo che mi sta intorno. Chiudo gli occhi e non esisto più io. Non esiste più lui. Non esiste più il mondo. Mi sento come se fluttuassi nell’aria, è una bellissima sensazione. Usciamo mano nella mano, ma il suo sguardo è stranamente vuoto. Ho sbagliato qualcosa? Non ho mai dato un vero bacio, magari non sono stata brava. Solo in questo momento mi accorgo che siamo migliori amici. È un peccato che me ne accorga solo ora, perché è anche il momento in cui inizio a desiderare di essere più che amici.
  
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