Capitolo
8
Incoerenza
Una
pioggia sottile ferì il volto cereo di Auguste per tutta la durata del suo
penoso tragitto verso casa. Mai il percorso gli era parso tanto lungo e
snervante, il corpo gravato dalla cappa d’insostenibile dolore che corrompeva il
suo animo. Un’angoscia senza fine, inesorabile, gli dilaniava il cuore a piccoli
morsi e, dopo aver prosciugato ogni sua energia morale e reso vano e patetico
ogni suo sforzo di reagire, si era impossessata delle sue membra, risucchiando
ogni goccia d’energia fisica, accorciando i suoi passi ed irradiando il cupo
malessere ad ogni fibra del suo corpo.
Stremato,
quasi incosciente, Auguste fissò la volta color piombo che incombeva sulla sua
disgraziata città e, accecata dalla disperazione, la sua mente fu sfiorata
dall’inconsulto desiderio che il cielo si richiudesse su di lui ed inghiottisse
il suo dolore. L’avrebbe liberato da quel male lacerante, annegandolo e
disperdendolo fra torbidi ricordi dal sapore di veleno e dissolvendolo in
essi.
Il
nulla.
Il
nulla.
Era la sola risposta e l’unica soluzione al suo dolore: lasciarsi passivamente
sommergere dalle sue stesse incancellabili colpe e dal desiderio insano di
smarrirsi nell’oblio, come se non fosse mai nato.
Dal
cielo corrucciato, il suo sguardo si spostò gradualmente sulla città
circostante, nido di spergiuri ed assassini, ammasso di mura gelide stillanti
sangue.
Auguste
arretrò di un passo. Lo stesso colore del cielo gli pareva innaturale. Non era
azzurro né grigio a causa delle nubi né dorato per l’avanzare dell’aurora: era
livido. Ad oriente, un pallido sole, ancora seminascosto dagli edifici
circostanti, tentava di squarciare le tenebre con il suo chiarore
malato.
Lucien
era morto come un animale scannato, ed i flebili raggi solari solleticavano
insolenti i suoi occhi stanchi, gonfi di lacrime non
piante.
Aveva
smesso di piovere. Le sue lacrime, confuse con il pianto del cielo, morirono
insieme alle ultime stille di pioggia, cessando momentaneamente di rigargli il
volto contro la sua volontà. La vita scorreva nelle sue vene, straziandolo, ed
il sole aveva il coraggio di sorgere e di rivelare impietoso la sua
desolazione.
Ormai
a pochi passi dal portone brunito della sua austera dimora, Auguste sentì le
ginocchia cedergli e ricadde pesantemente sui gomiti. Non tentò di
rialzarsi.
Ignorò
gelidamente i sassolini aguzzi che gli si erano conficcati nei palmi delle mani,
ferendoli impietosamente.
Riuscì
soltanto a sollevare fieramente verso il cielo lo sguardo allucinato, il viso
coperto da un velo di lacrime brucianti.
Che
cosa faccio ancora qui?
Ruggì. Il sole si mostra nuovamente ai
miei occhi e mi sputa in faccia che sono ancora vivo nonostante tutto; mi dona
la vita, dopo che il mio Lucien ne è stato barbaramente
privato.
Annientami,
piuttosto che costringermi a vivere come una larva, impotente di fronte al mio
destino! Cosa aspetti?
Quasi
in una tacita risposta, il pallido disco solare spuntò definitivamente oltre le
costruzioni e lo spesso strato di nebbia, trafiggendo imperioso gli occhi di
Auguste con i suoi raggi.
Al
diavolo tutto, maledizione!
Auguste
rivolse nuovamente un’occhiata sdegnosa e tracotante verso il vuoto, verso
l’astro che, illuminandolo, osava rivolgere uno sguardo pietoso a quella vita
che non aveva più senso. Serrò la mascella in un moto d’odio e disincantata
fierezza, prima che il suo atteggiamento sprezzante si sciogliesse in una nuova,
violenta crisi di pianto. Accasciato lì, in mezzo alla via, come un sacco di
stracci fradici.
-
Auguste… Auguste, sei forse impazzito?
Una
voce nota riecheggiò nella sua testa, ma non fu sufficiente a riscuoterlo del
tutto. Esitante, Auguste rivolse lo sguardo verso la figura altera che sostava
compunta dinnanzi al portone aperto.
- E
ora, cosa ti è successo? – soggiunse la donna.
Quel
tono, un poco più carezzevole di quello adoperato pochi istanti prima, era
percorso da una fremente agitazione.
Lo
raggiunse in mezzo alla strada bagnata di pioggia. Auguste fissò distrattamente
le eleganti scendiletto ormai impregnate d’acqua piovana.
La
donna gli sfiorò timidamente la giacca con la mano delicata; poi,
inavvertitamente, Auguste si sentì prendere il braccio e trascinare dentro con
un’energia che gli parve innaturale attribuire ad Emilie. Privo di volontà, il
volto quasi assente, si lasciò condurre fino al salone.
-
Auguste, che ci facevi fuori a quest’ora? – domandò la donna, inasprendo
involontariamente la propria espressione.
Quel
fare indiscreto e vagamente inquisitore lo infastidì profondamente, benché egli
non fosse abbastanza lucido da recepirne l’intrinseca ed umana
apprensione.
Smettila,
Emilie. Taci, e sarà meglio per tutti. Non sei mia moglie e neppure mia madre
per sindacare sulla mia vita. Non rendere tutto ancora più
complicato.
-
Auguste… Auguste, hai deciso di farmi preoccupare sul serio? – la voce della
donna perse la sua determinazione fino ad infrangersi in un singulto disperato –
Parlami, Auguste, te ne supplico. Sei sconvolto e non dici nulla. Parlamene,
amore mio.
Riscaldato
da quell’abbraccio impacciato e materno, Auguste avvertì quanto la stretta di
Emilie non fosse confortante come avrebbe desiderato. Si abbandonò
distrattamente sul seno morbido della sua compagna, sfiorando con il volto il
tessuto sottile e profumato della veste da camera. Cullato da quel dolce tepore
che gli impregnava la mente, Auguste cercò la forza di enunciare a qualcuno che
non fosse se stesso il resoconto di quella notte
terribile.
-
Emilie, Lucien è… – si fermò di colpo e fissò il vuoto oltre il volto della
donna, trapassandolo quasi fosse trasparente.
-
Gli è accaduto qualcosa, Auguste? So che ti recavi da lui – la sua espressione
s’indurì – Per… quella faccenda.
Auguste
le rivolse un cenno con la mano, ottenendo perentorio il suo silenzio. Sapeva
che Emilie alludeva chiaramente alle sue imprudenti, sediziose attività
clandestine.
Non
dire altro, Emilie.
-
Lucien è morto – sentenziò infine.
La
vide impallidire e strofinarsi nervosamente le dita candide le une sulle
altre.
-
Un incidente?
Auguste
scosse mestamente il capo e scandì bene le sue ultime
parole.
- È
stato ucciso. Scannato come le bestie al macello.
Tacque,
non riuscendo a proferire nient’altro: Emilie l’aveva messo alle strette.
Strizzò dolorosamente le palpebre: non voleva vedere altre lacrime né sentire le
urla ed il pianto. Non era in grado di sostenere sulle sue spalle la propria
pena: quanto avrebbe potuto reggere le lacrime altrui?
Le
labbra di Emilie si piegarono in una smorfia d’orrore, mentre, sconvolta, si
portava le mani alla bocca nel soffocare un grido. La sua espressione smarrita
sottintendeva l’amarezza e la costernazione che aveva occultato di fronte a lui.
Auguste la vide singhiozzare sommessamente fino ad inghiottire le lacrime e far
cessare ogni singulto. Si rese conto di aver sottovalutato il suo
temperamento.
-
Mi… dispiace – sussurrò la donna, frastornata.
Auguste
lesse l’imbarazzo negli occhi scuri e scintillanti che risaltavano sulla pelle
d'avorio come baratri senza fine. Tuttavia, non si mosse e non disse nulla.
Incrociò le braccia sul petto, immobile: qualsiasi atteggiamento consolatorio
sarebbe stato superfluo ed inutile e non avrebbe costituito un valido sostegno
per nessuno dei due.
Le
carezze di Emilie gli facevano male come se gli ricordassero con costanza di
essere un misero relitto in mezzo al mare in tempesta, sballottato dalla furia
degli eventi e privato della sua forza vitale.
-
Sei fradicio. Ti porto qualcosa d’asciutto – asserì la donna, la voce arrochita
dal pianto represso.
Non
comprendi, Emilie. Annaspi nel vuoto, non sapendo come prendermi. Cosa credi
m’importerebbe se il mio corpo, in questo preciso istante, si tramutasse in
ghiaccio per poi sciogliersi e disperdersi in milioni di
frammenti?
Auguste
sentì la collera montare inarrestabile dentro di sé.
Non
per causa sua. Non era sua la colpa. Perdonami, Emilie.
Perdonami.
-
Sono davvero importanti, in questo momento, gli abitucci caldi? – proruppe con
crudele sarcasmo – Vuoi la verità, Emilie? A me non importa di nulla, tanto meno
di me. Di nulla. E tutto mi si ritorce inesorabilmente contro. Sarei disposto a
sprofondare all’inferno, se questo fosse veramente necessario ad annullare il
dolore e cancellare le ultime cinque ore della mia vita. Invece, non ne sono
capace o non ne ho la forza, e ogni mio respiro per me è una boccata di veleno.
Non c’è nulla che io possa fare, e neanche tu. Niente!
-
Vuoi che un malanno ti mandi all’altro mondo? – lo contraddisse la donna con
petulanza.
-
Non m’importa – ripeté Auguste nel suo agghiacciante ritornello – Non
m’importa.
-
Credi forse che startene bagnato e al freddo ti riporterà indietro Lucien? – lo
provocò Emilie.
-
Non lo nominare! Non nominarlo neppure! – ruggì Auguste.
I
suoi pugni si strinsero fino a far sbiancare le nocche e a conficcare le unghie
nel palmo.
Per
un attimo, i due si studiarono come due belve pronte ad azzannarsi, irritate
dalla reciproca presenza.
Poi,
distolsero entrambi lo sguardo, inquieti.
-
Fa’ come vuoi. A me importa di te, Auguste, con tutto quel che ne consegue.
Sappi soltanto che… ti sarò vicina – mormorò Emilie con freddezza e distacco,
uscendo dalla stanza.
Auguste
era rimasto solo: la consapevolezza gli strinse il cuore.
La
sua rabbia si era disciolta come neve al sole dopo lo scatto iniziale e dopo
essersi confrontato con lo sguardo fermo di Emilie. Non poteva biasimarla se,
nonostante tutto, si sforzasse di stargli accanto perché le faceva pena. Già:
quando aveva letto negli occhi della sua compagna la più scarna commiserazione,
la sua collera si era tramutata in tristezza e vergogna. Ora fissava immobile e
meditabondo la scacchiera disegnata sul pavimento dalle piccole mattonelle. Un
ronzio incessante gli riempiva la testa.
In
silenzio, Auguste si sciacquò le mani in un catino d’acqua e si bagnò la faccia.
Se Emilie, dopo la sua reazione esasperata, avesse iniziato a coltivare il
sospetto di qualcosa di poco chiaro fra lui e Lucien, qualcosa che, secondo le
sterili regole della decenza, andava oltre il limite, avrebbe avuto i suoi buoni
motivi.
Strattonò
con forza il morbido panno intorno alle punte gocciolanti dei suoi capelli,
asciugandole di fretta.
Questo
no!
Proruppe in un anelito d’orgoglio disperato. Nessuno infangherà la memoria del mio amico,
per nulla al mondo. A costo di portarmi il mio segreto nella tomba. Il nostro…
amore, chiamatelo come più vi piace, ha diritto al rispetto che solo chi l’ha
provato è in grado di garantire.
Non
aveva senso rigirarsi nel letto e tirarsi le lenzuola sulle spalle. Aveva
freddo, eppure il suo sangue bruciava come acido. Spazientito, mandò giù
l’ultima goccia di liquore e ripose di malagrazia il piccolo bicchiere vuoto sul
comodino.
Nel
momento in cui Auguste soffiò sulla candela, dei passi leggeri annunciarono
l’ingresso di Emilie nella stanza.
-
Stai meglio?
Auguste
la osservò: era chiaro come il sole quanto vederlo in quello stato l’avesse
ferita ed amareggiata.
Malgrado
la penombra che le luci dell’alba riuscivano solo parzialmente a penetrare,
Auguste riuscì a distinguere i riflessi di rame sui capelli scuri che ricadevano
in folti boccoli sul seno e lungo la schiena. Gli occhi, impenetrabili,
spiccavano come due tizzoni ardenti sul chiarore di crema del suo
volto.
Gli
si accostò. Senza aggiungere altro, gli prese il volto tra le mani e lo
baciò.
-
Non avere paura, Auguste. Non devi temere.
Io
non ho paura. Non ho mai avuto coscientemente paura: è sempre stato il mio
peggior difetto, non aver mai interiorizzato la mia paura. Vedi, non ho paura di
alzar la spalla e lasciarmi andare dinnanzi a tutto, persino di fronte alla
morte delle persone care.
Auguste
si sollevò a sedere e strinse il corpo minuto di Emilie contro il proprio, in un
incosciente bisogno di calore.
Come
tacita risposta, la donna slacciò con enfasi i nastri che le allacciavano la
camicia da notte sul busto e si scoprì il petto.
Il
contrasto fra le spalle esili ed i seni pesanti e floridi faceva pensare ad una
giovane e fertile giovenca. Svelta, la donna quasi strappò lo jabot sulla
camicia del compagno ed accostò il proprio corpo al suo, premendo il proprio
petto contro il torace solido di Auguste.
L’uomo
reclinò la testa all’indietro in un lieve sospiro, imprimendo nei propri sensi
e, in seguito, nella mente, il profumo celestiale che suggellava il
momento.
Emilie
salì sullo spoglio talamo, accostandosi più agevolmente a lui. Sedette
cavalcioni sul suo grembo e ondeggiò mollemente il bacino sfiorando la carnale
rigidità del suo amante.
Auguste
ansimò quasi senza accorgersene. Aveva perso il controllo non solo della propria
mente, che ormai viaggiava per proprio conto, ma anche del suo corpo. Non era
stato difficile perdere la ragione e tuffarsi a capofitto in una circostanza
dettata unicamente dal suo istinto malato, dopo essersi stordito con l’alcool e
dopo che la sua angoscia, simile ad una ragnatela appiccicata alle pareti
intorno a lui, si era tramutata in tensione erotica.
-
Ci sono io, Auguste. Ci sono io.
È
ciò di cui ho veramente bisogno? È opportuno annegare un giusto dolore
nell’appagamento sensuale?
Auguste
era stordito ed innegabilmente eccitato. Se la sua mente non era in grado di
percepire sensazioni di considerevole intensità, il corpo era difficilmente
governabile. Il fatto che i calzoni stretti soffocassero in una morsa
d’insopportabile tensione la sua turgida, fremente virilità, costituiva il segno
indiscutibile di come impulso e ragione schizzassero in direzioni opposte.
Soltanto che, stavolta, l’istinto stava riguadagnando
terreno.
Emilie
prese a tormentare tra le labbra la fragile cute del suo collo, mentre, di tanto
in tanto, gli affondava voluttuosamente con i denti nella
pelle.
Auguste
soffocò un gemito di desiderio spasmodico, quando un ennesimo morso di Emilie
attaccò la solida carne della spalla.
Basta,
Emilie. Basta! Non sono un animale.
Quali
sensazioni era convinta di evocare in lui, mentre avviluppava fra le proprie
ginocchia i fianchi compatti di un uomo distrutto che stava per fare l’amore con
lei e che, contemporaneamente, si abbeverava nel calice della
falsità?
Emilie
si sfilò con un gesto fluido la camicia da notte che ormai le era d’intralcio.
Il serico indumento andò a confondersi nel groviglio delle lenzuola. Alla stessa
fine furono destinati gli indumenti che separavano il corpo di Auguste dalla
nudità.
Privo
di veli, Auguste si sentiva ancora più vulnerabile. Dov’erano il suo orgoglio,
la sua dignità e tutto ciò che lo rendeva un uomo degno di questo nome? Si era
dissolto, insieme ai suoi indumenti ed alla sua coscienza
martoriata.
Chi
sei fuori, Auguste? Quale costume, quale maschera ricopre meglio la tua nudità
morale? Chi è il vero Auguste?
Era
un uomo, fisicamente eccitato e privato della propria dignità, che si accingeva
a strofinare il proprio ventre nudo contro quello di una donna che, in quel
momento, percepiva quasi sconosciuta.
Un
fremito di sorda eccitazione lo scosse come una corda rimasta tesa troppo a
lungo. In un impeto puramente istintivo, Auguste congiunse le mani intorno alle
anche vellutate di Emilie e la trasse completamente su di sé, immettendosi
prepotentemente nel suo umido grembo.
Emilie
si piegò su di lui e lo baciò sulle labbra, mentre Auguste ricadeva supino in
preda a spasmi di piacere.
Cosa
succede? Perché il mio essere uomo si esplicita unicamente in ciò che mi rende
affine alle bestie?
* *
*
Auguste
si sistemò un lembo del lenzuolo sulle spalle nude e infreddolite. La brezza che
filtrava attraverso gli spifferi, a contatto con la pelle sudata, lo fece
rabbrividire.
Come
stai, Auguste? Sei più sereno, ora che i tuoi lombi sono sazi?
Osservò
i lineamenti di Emilie, distesi nel sonno del giusto. La linea morbida
dell’ovale, gli zigomi pronunciati ed il rosso vivo delle labbra conferivano al
suo volto un tratto peccaminoso.
Davvero
per te è soltanto un pretesto, Auguste? Guardati allo specchio e di’ a te stesso
cosa provi per questa persona.
La
amava? La amo,
ammise.
È
la mia seconda condanna: io amo. Non posso fare a meno di ricambiare, anche se
in un modo del tutto distorto, i sentimenti di chi mi è vicino, anche se,
talvolta, avveleno il mio cuore con sentimenti al di là dell’ossessione.
Confesso: sono condannato ad amare senza essere ricambiato, a ripagare l’amore
con il tradimento e la menzogna, a mentire a me stesso ed a trascinare tutti con
me nell’abisso. Soffrire e far soffrire: io ho imparato bene questa
lezione!
Voglio
bene ad Emilie,
ammise ancora una volta, ma quel che ho
fatto non era nulla di ciò di cui entrambi avevamo bisogno. È stato un
palliativo, uno sfogo furioso ed irragionevole.
Un
miserabile folle e vizioso: ecco in cosa mi sto trasformando.
Io
non faccio l’amore per diletto: lo giuro; e, se anche è successo, vorrei
soltanto che Emilie non mi serbasse rancore. Non posso negare, anche se
inconsciamente, di riservare una parte del mio cuore ad ognuna delle persone
amiche che ho incrociato nella mia vita.
Ora
vorrei riuscire a ripiegarmi su me stesso e a capire quale strascico ha lasciato
nel mio cuore uno sfogo sessuale – e non certo il primo di una lunga e triste
serie – scaturito dalla disperazione e dall’istinto
irrazionale.
Cos’hai
provato, cosa provi, ora?
Vuoi
proprio che lo dica? Nulla. Nulla capace di scaldarmi il petto e riaccendermi il
cuore.
Sospirò:
ogni singolo momento da lui percorso in quegli stralci di vita gli pareva una
recita infame costellata di punti oscuri, incertezze e decisioni incoerenti
dettate da motivazioni incomprensibili che sfuggivano al suo raziocinio. Era
come se una serie di sovrastrutture mentali a lui sconosciute lo portassero in
determinati momenti a compiere un determinato tipo di scelta piuttosto che un
altro: decisioni che, a ben vedere, poco avevano a che vedere con la sua vita,
le sue aspirazioni e gli intrinseci desideri.
Raggomitolato
sul letto sfatto, le lenzuola stropicciate avvinte al corpo nudo per proteggersi
dal freddo e dai suoi fantasmi, raccolto su se stesso, Auguste volgeva le spalle
ad Emilie. Non era stata una buona idea quella di fare sesso: il calore della
passione aveva sì sopito, in parte, il suo dolore, gelandone gli slanci più
autodistruttivi, ma, come prezzo da pagare, gli aveva lasciato addosso una
sensazione di freddo e di vuoto dell’anima.
La
donna che, assopita al suo fianco, condivideva il suo letto, era ormai una
statua di marmo: assolto quel che fino a quel momento era stato in suo potere,
aveva perso la sua capacità d’infondergli un fugace
calore.
La
sua gioia e la sua coerenza non erano più di questo mondo: senza Lucien non
sarebbe stata mai più la stessa cosa, sebbene con tutte le contraddizioni che la
sua situazione aveva presentato sin da principio.
Un
ennesimo sospiro gli fornì una nuova, fresca boccata d’ossigeno, e, mentre
scivolava lentamente in una sorta di dormiveglia, sentiva che i bei ricordi,
richiamati con delicatezza dal suo istinto, non gli bruciavano più come un rogo
nel cuore. Era forse presto per dirlo, ma, in quel momento, erano piuttosto un
dolce balsamo che scorreva sulle sue ferite.
Non
era la stessa cosa,
si rendeva conto con cruda consapevolezza: nulla gli avrebbe ridato
quell’irrefrenabile languore che aveva riempito le notti in cui Lucien era
giaciuto con lui. Quelle ore intense di stillante passione erano andate perdute,
scivolate tra le sue dita prima che egli se ne fosse
avveduto.
Il
mio cantuccio:
Buonasera,
lettori carissimi! Come vedete, anche se con un “lievissimo” ritardo di ben un
mese e tre giorni, ho mantenuto la promessa e sono riuscita a postare l’ottavo
capitolo. Non è un capitolo molto lungo né particolarmente significativo ai fini
della trama; spero mi perdonerete e, soprattutto, spero di non aver deluso le
aspettative.
Ringrazio
tutti coloro che, sopportando stoicamente i miei terrificanti ritardi
nell’aggiornare, seguono il mio lavoro: prima fra tutti, Monella, che puntuale recensisce ogni
mio capitolo. Senza ripetermi ulteriormente riguardo al piacere che mi fanno i
tuoi commenti, sempre molto gentili, ti rassicuro per quanto riguarda la parte
“d’azione”, che arriverà, così come la tematica propriamente “vampiresca”.
Purtroppo ho il pallino per indugiare molto nelle presentazioni, nella
descrizione dei personaggi e nella loro introspezione. Insomma, ogni tanto
finisco per “incartarmi” un po’ nei loro pensieri e nei loro mutevoli stati
d’animo. Inoltre, tendo molto a cercare di dare un quadro quanto più compiuto
della situazione, onde evitare incoerenze o scarsa comprensione da parte del
lettore.
Il
racconto non è già scritto per intero, lo sto stendendo pian piano capitolo per
capitolo, dunque, anticipo da ora che si potrebbe andare incontro a
“dilungamenti” o, al contrario, passare subito all’azione concreta con dei colpi
di scena. La trama l’ho già ben in mente, ma, ogni volta che mi metto di buona
lena alla tastiera, per me è un’avventura a sé, e… insomma, non si può mai
sapere per certo in quale modo potrebbe volgere questo o quel
capitolo!
Al
prossimo aggiornamento!^^