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Autore: BeeMe    11/03/2013    3 recensioni
-Tu ti sei mai innamorato, Lou? –chiesi un giorno, seduto sul divano a fianco al mio amico.
Lui sobbalzò e si girò a guardarmi in faccia: -Perché?
-Volevo scoprire se quel che provo per una persona è amore. –dissi, semplicemente. Quel giorno non avevo voglia di giri di parole. Louis era il mio migliore amico, avrebbe capito.
-Si, mi sono innamorato.
(...)
Non moriva nessuno, qui da noi, mai. Si inciampava, si scivolava, si cadeva, ma ci si rialzava sempre.
(...)
Quel per noi aveva distrutto una vita, aveva fatto rinchiudere Louis in carcere e cambiato radicalmente la mia.
Non sapevo quanto ci avrei messo a tornare a vivere come prima, non sapevo se sarei mai tornato a vivere per davvero.
Al momento volevo solo dimenticare.
(...)
-I'm Harry Styles. I saw a murder
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A Giulia,
la mia critica, amica e riccetta preferita.
Ti voglio bene <3


Talk about our future like we had a clue
Never planned that one day
I'd be losing you

 
 
Ero perso in un magnifico sogno quando sentii la porta cigolare piano. Era sempre il solito stridio, acuto e penetrante che mi svegliava ogni mattina.
Lui e la luce che sarebbe entrata dalla finestra che il mio coinquilino avrebbe spalancato entro poco.
Quando sentii il sole riscaldarmi e portarmi definitivamente via dal mio bellissimo sogno, rotolai su un fianco e borbottai qualcosa che somigliava ad un: -Lou, maledizione, non sei la mia sveglia personale. Puoi non svegliarmi, puoi lasciarmi dormire, no?
Lui sorrise e poi esclamò:-Alla fine mi ringrazi sempre per averti svegliato, altrimenti arriveresti sempre in ritardo. E, a proposito, sono le otto meno un quarto.
Balzai in piedi di colpo, dimenticandomi di non aver indosso nient’altro se non i boxer e vidi Louis arrossire di botto. Vivevamo insieme da circa tre anni ed era il mio migliore amico, mi imbarazzava vederlo così a disagio.
Mi vestii velocemente e presi al volo la barretta dietetica che mi lanciò per poi fiondarmi fuori casa.
Vidi la fiancata verde dell’autobus passarmi accanto e non riuscii a trattenere un’imprecazione. Sarei arrivato in ritardo.
Arrivai alla fermata arrancando e biascicando insulti fra me e me e quasi non prestai attenzione alla ragazza al mio fianco. Era appoggiata distrattamente al muro dietro di lei e giocherellava con la lunghissima sciarpa che le circondava il collo sottile. Non l’avevo mai vista prima di quel momento e mi stupii di vedere qualcuno di nuovo nello sperduto paesino dove vivevo.
Restai a fissarla per qualche istante, poi lei si girò e io mi voltai di scatto.
Quando tornai a guardarla stava sorridendo e aveva iniziato a intrecciare treccine sulla frangia sfilettata della sua sciarpa.
-Fra quanto passa l’autobus? –domandò dopo qualche minuto, incrociando il suo sguardo nocciola col mio.
-Un paio di minuti, credo, ma sembra che qui gli orari non contino nulla. –risposi e le sorrisi.
-Oh perfetto! Così arriverò in ritardo di sicuro! –esclamò, irritata, e io osservai le sue guance colorarsi di rosso per poi tornare candide.
-Sei nuova di qui? – chiesi dopo qualche istante, incapace di trattenermi e lei si passò una mano fra i capelli, a disagio, come se non avesse voluto parlare di quell’argomento: -Mi sono trasferita qui un paio di giorni fa. Abito in quel grande palazzo rosso lì- disse e indicò una casa rossa poco distante.
A quel punto mi aprii in un sorriso: -Anch’io abito lì! Terzo piano, porta a destra. Vivo col mio coinquilino, si chiama Louis Tomlinson.
Lei sembrò sinceramente sorpresa: -Secondo piano, porta a sinistra. Sarò onorata di fare la conoscenza del tuo coinquilino.
Tese una mano in un gesto così tipicamente formale che esitai un momento prima di stringerla e la vidi ridacchiare.
-Mi chiamo Giulia, comunque. –disse senza accennare a voler mollare la presa sulla mia mano.
-Io sono Harry. –risposi e in quel momento mi accorsi di non voler lasciare quelle dita sottili. Restammo qualche secondo a fissarci e a continuare a scuotere le mani, poi sentii uno stridore di freni e l’autobus inchiodò davanti a noi.
-Quindi ci sentiamo, vero? –chiesi, appena la vidi salire in mezzo alla folla. Lei annuì e poi venne inghiottita da quel turbinio grigio che costituisce la tipica popolazione di un autobus nelle ore di punta.
Passai la giornata a ripensare a quella strana ragazza che si era trasferita in un paese dimenticato da Dio e che abitava sotto di me.
Volevo rincontrarla, lo sentivo dentro, e non riuscivo a capire perché.
Ritornai a casa in uno stato di semi trance, attento ad ogni ragazza con una grossa sciarpa rossa che vedevo e totalmente distaccato da ogni altro essere umano. Per un giorno non sentivo il fetore caratteristico dei mezzi pubblici o cercavo disperatamente senza un posto a sedere.
Quando passai davanti alla sua porta rallentai un attimo, ma poi scossi la testa e continuai a salire le scale.
-Ciao Harry! –esclamò una voce alle mie spalle, senza nascondere l’entusiasmo e la felicità.
Mi girai sorridendo, ma invece della ragazza mora dell’appartamento di sotto, mi ritrovai davanti al mio coinquilino.
-Ciao Lou! –risposi cercando di non sembrare dispiaciuto e tentando disperatamente di impedire alle mie labbra di cadere in un’espressione delusa che avrebbe sicuramente ferito Louis.
-Sei arrivato in orario, alla fine? –chiese senza smettere di sorridere e aprendo la porta di casa.
Mi buttai distrattamente sul divano e annuii al mio amico.
-Sai che abbiamo una nuova vicina di casa? –gli chiesi dopo qualche secondo e vidi il suo sorriso trasformarsi in una smorfia.
-L’ho vista. E’ bella, no? –rispose e io annuii di nuovo. Non riuscivo davvero a capire cosa ci fosse di sbagliato e il motivo del suo improvviso cambio di umore.
-Vado a preparare la cena. –mi avvisò e scomparve in cucina.
Sentii le pentole sbattere le une contro le altre e l’olio sfrigolare piano, rumori che, mi accorsi, cercavano di coprire il campanello che suonava.
Mi alzai e aprii la porta di colpo ritrovandomi davanti Giulia.
Sorrise vedendomi e esclamò: -Terzo piano, appartamento a destra. – io annuii, divertito, e lei continuò: -Pensavo di aver sbagliato qualcosa, sai, non rispondeva nessuno.
-Louis sta facendo un sacco di rumore lì in cucina –affermai prima di aprire di più la porta e scostarmi di lato. –Vuoi entrare? Per conoscere Louis ovviamente! –dissi aggiungendo l’ultima frase in fretta e furia.
-Certo! –rispose sorridendo e io le feci strada fra vecchi cartoni di pizze e bottiglie vuote di birra.
Non sembrò notarle e proseguì imperterrita fino alla cucina.
Aprii la porta scura che ci separava da Louis e lo trovammo di spalle, intento a buttare ingredienti dentro una grossa padella.
-Eccoti qua Harry! –esclamò senza girarsi –pensavo fossi andato da quella nuova, quella del piano di sotto! Sai…
Lo interruppi tossicchiando piano e lui si girò ritrovandosi faccia a faccia con Giulia che nel frattempo era diventata rossa come un peperone. Anche il mio amico arrossì di colpo e si ritrovò a sibilare: -Potevi anche avvisarmi!
Alzai le spalle e iniziai a fare le presentazioni: -Lei è Giulia –la ragazza alzò la mano in segno di saluto e il mio amico fece un passo indietro finendo contro il bancone. –mentre lui è Louis. Sono sicuro che diverrete ottimi amici!
Lui borbottò qualcosa che somigliava pericolosamente ad un “contaci” molto ironico, mentre lei andò avanti a torturarsi una ciocca di capelli scuri fra l’indice e il medio.
-Ora devo proprio andare. –disse dopo qualche secondo –Ci vediamo presto! E, Louis, è stato un piacere conoscerti! –detto questo schizzò fuori e dopo poco sentimmo i suoi passi susseguirsi veloci sulle scale.
-E’ stato un piacere conoscerti?! –ruggì Louis appena chiusi la porta d’ingresso –ci prende anche in giro, quella!
Non l’avevo mai visto così alterato, nemmeno quando gli avevo presentato Taylor. Quel giorno era rimasto immobile come una statua di cera, sorridendo sporadicamente, ma alla fine l’aveva invitata a tornare.
Con Giulia era diverso, sembrava la odiasse senza averla neppure conosciuta.
-Si può sapere cosa ti ha fatto? –gli urlai –Sembra simpatica!
Lui non rispose, ma mi scoccò un’occhiata assassina e tornò a barricarsi in cucina.
 
Io e Giulia andammo avanti a vederci per tutti i giorni del mese dopo e Louis sembrò accettare il fatto che fosse solo un’amica per me.
Se non fosse stato il mio migliore amico avrei potuto anche domandarmi se non fosse stato geloso, ma lui era Louis e io non mi ponevo delle domande del genere.
Un giorno invitò la ragazza a bere un the e penso fu in quel momento che decise che magari non era un soggetto pericoloso, di darle un’opportunità.
Giulia iniziò a passare pomeriggi interi seduta sul divano in salotto, accoccolata al mio fianco a guardare un film. Con la coda dell’occhio riuscivo a vederla mentre faceva e disfaceva le treccine sulla sua grossa sciarpa.
Un giorno le chiesi perché non se la togliesse mai. Lei rise e disse che aveva sempre freddo al collo, ma i suoi occhi mi pregavano di non approfondire oltre quella storia. La sciarpa era un argomento top secret e io non lo nominai più.
Piano piano scoprii che adorava i film in cui compariva una storia d’amore e che tifava sempre per delle coppie assurde, ma, quando anche Louis iniziò a darle man forte, decisi di mettere fine a quei pomeriggi di attori e romanticismo.
Con l’arrivo della primavera portavo Giulia a mangiare il gelato nel miglior posto di tutta la città che, per qualche scherzo del destino, si trovava oltre il parco di fronte a casa nostra. Mi accorsi che prendeva sempre i soliti gusti –cioccolato e nocciola- ma che passava sempre qualche secondo  prima di ordinare, come se stesse valutando di prendere qualcos’altro, ma alla fine non resisteva e tornava sempre a chiedere le stesse cose.
A volte veniva anche Louis e durante quelle uscite a tre sembrava che non ci fosse nulla di sbagliato, che tutto stesse andando per il verso giusto.
Louis rideva sempre quando Giulia mangiava il gelato perché piccole gocce colorate finivano sempre per sporcarle il naso e lui non riusciva a capire come facesse a macchiarsi lì.
Un giorno fece cadere il suo frappé sulla grossa sciarpa della ragazza e la vidi sgranare gli occhi in un’espressione a metà fra lo esterrefatto e il panico più totale.
Scattò verso casa più velocemente che mai e il giorno dopo la sua sciarpa era di nuovo splendente.
Louis si scusò in ogni modo e lingua possibile e lei cercava di non far notare quanto tenesse in realtà a quella sciarpa e liquidò l’incidente come una cosa da niente.
-Capita a tutti di rovesciare qualcosa –disse quando sentì le scuse del mio amico e lo vidi rilassarsi impercettibilmente. Le aveva creduto. Mi domandavo perché non riuscissi a crederci anch’io, perché una vocina sussurrasse nella mia testa che quella sciarpa contava moltissimo per Giulia.
Volevo scoprire cosa nascondeva, cosa pensasse, cosa pensasse di me.
-Tu ti sei mai innamorato, Lou? –chiesi un giorno, seduto sul divano a fianco al mio amico.
Lui sobbalzò e si girò a guardarmi in faccia: -Perché?
-Volevo scoprire se quel che provo per una persona è amore. –dissi, semplicemente. Quel giorno non avevo voglia di giri di parole. Louis era il mio migliore amico, avrebbe capito.
-Si, mi sono innamorato. –sussurrò lui in risposta.
-E’ la cosa peggiore che ti possa mai capitare –continuò poi –pensi di essere invincibile, di poter far tutto per quella persona. Ogni volta che lo vedi sorridere ti si ferma il cuore, ti senti lo stomaco sottosopra e vorresti sapere cosa pensa di te, se ricambia.
Si fermò un attimo e io assimilai lentamente cioè che aveva detto. C’era qualcosa che non andava...
Nel frattempo lui ricominciò a parlare: -Non riesci a stare lontano da chi ami, vuoi sempre stargli accanto, abbracciarlo, renderlo felice.
-Stai parlando al maschile! –esclamai appena mi resi conto di cosa stesse dicendo.
Lui arrossì fino all’attaccatura dei capelli e protestò: -Non è vero!
Io annuii: -E invece sì! Cioè, non ho problemi se sei gay, avresti potuto dirmelo prima però…
Louis si fece ancora più rosso: -E’ che non sapevo cosa avresti pensato –mormorò passandosi una mano fra i capelli corti.
Io pesai bene le parole, incerto su come comportarmi in una situazione del genere: -Io non ho problemi ad avere un migliore amico gay. –dissi e gli sorrisi, cercando di farlo sentire a suo agio. –Resti sempre Louis, il solito Lou di sempre.
Lui sorrise e si avvicinò un poco: -Sono felice che anche tu la pensi così, avevo paura della tua reazione, sai?
-Davvero? –mormorai e lo vidi muoversi fino ad arrivare vicino a me. –Parlami di questa persona che ti piace, dai. –dissi di getto, senza pensare.
Lui sorrise, malizioso: -E’ il ragazzo più bello del mondo e il più dolce e il più gentile di tutti. Ha sempre una buona parola per tutti e cerca sempre di aiutare tutti in ogni modo possibile.
Era sempre più vicino, troppo.
-Ah, che bello, sono felice per te! Sono convinto che questa persona ricambia. –dissi cercando di allontanarmi un poco.
-Lo spero anch’io –sussurrò e si chinò in avanti cercando di baciarmi.
Io, rendendomi conto solo in quel momento di quel che stava succedendo, mi alzai di scatto e lo vidi spalancare gli occhi, ferito.
-Lou, io non sono gay… Io non ti amo. –dissi d’un fiato e vidi la sofferenza farsi strada sul suo volto.
-Io parlavo di Giulia, io penso di essere innamorato di lei –ammisi e lui corse via, chiudendosi in camera sua.
Io, da parte mia, corsi di sotto e bussai freneticamente alla porta di Giulia. Lei mi aprì con i capelli arruffati di chi si è svegliato da poco.
- Giulia? Ho bisogno di te. –penso si accorse di quanto fossi disperato dalla mia espressione o magari dal tono della mia voce, ma fatto sta che mi fece entrare, schizzò in camera e ne uscì perfettamente in ordine, coi capelli lisciati indietro e un cappello di paglia sulla testa.
Sorrisi alla vista della sua sciarpa rossa che si contrapponeva tanto al suo abbigliamento estivo. Faceva caldo, perfino per un giorno estivo, ma lei non era intenzionata a separarsene.
Mi tese la mano e mi fece alzare: -Vieni, ti porto in un posto speciale.
Salimmo sulla sua piccola macchina blu e lei guidò, concentrata sulla strada. Io guardavo fuori, ancora scioccato per ciò che era appena successo con Louis.
Pensavo che avrei dovuto gestirla meglio, che magari erano cose che succedevano tutti i giorni.
Sì, come no. Il mio migliore amico è innamorato di me: come gestire il fatto che ora ti odia.
Non era normale per niente.
Cercai di fare dei respiri profondi, di calmarmi.
Louis era gay. Bene. Fino a qui riuscivo ad assorbire la notizia.
Louis era innamorato di me. Mi presi la testa fra le mani. Era quello il problema: fino a quel momento avevamo condiviso tutto, ogni singola cosa, e ora tutto stava cambiando.
Lanciai un’occhiata veloce a Giulia che fissava assorta la strada illuminata dal sole caldo di mezzogiorno. Magari stava cambiando in  meglio.
Si fermò in uno spiazzo al margine della strada, fra campi coltivati e un piccolo boschetto.
Mi riprese la mano e mi portò fra gli alberi; scavalcammo radici e ci abbassammo per schivare rami bassi fino a quando arrivammo al margine del bosco.
Restai a guardare incantato lo spettacolo che mi si parava davanti: dietro di me c’erano alberi incastrati l’uno nell’altro fino a formare un intricato arazzo di rami e foglie, mentre davanti si stendevano alte spighe di grano, dorate e piene.
Quando mi girai a guardare Giulia, vidi che si era seduta all’ombra di un albero e che mi stava osservando con un sorriso.
-Questo posto è fantastico! –esclamai aprendo le braccia e sedendomi al suo fianco.
-Vero? Mi ci portava sempre mio padre... - Il suo sguardo si perse all’orizzonte e le sue mani corsero alla sciarpa rossa.
Io restai in silenzio, ma quando Giulia si girò e incrociai i suoi occhi nocciola, capii che voleva dirmi tutto.
Un segreto è difficile da mantenere, troppo pesante per essere nascosto a tutti, per non essere detto alle persone che ami.
Mi resi conto che tutto stava davvero cambiando e mentre Giulia chiudeva gli occhi cercando le parole giuste, mi domandai se in meglio o peggio.
-Non mi metto questa sciarpa perché ho freddo al collo – esordì e io le sorrisi invitandola a continuare.
-Era di mia madre, la metteva sempre perché era freddolosa, aveva i brividi anche quando io morivo di caldo. Ce l’aveva addosso il giorno dell’incidente. –rabbrividì piano e chiuse di nuovo gli occhi, poi proseguì: -E’ stato un paio di mesi fa, una domenica, e lei e mio padre erano andati a fare la spesa insieme. Io ero con loro, seduta sul sedile posteriore e stavo scrivendo ad una mia amica. La polizia dice che hanno incrociato un cervo e che sono usciti fuori strada e io non mi ricordo se è vero o no, ma sono morti sul colpo. Ho tinto la sciarpa di rosso per cancellare il dolore che c’era sopra e la metto sempre perché sa ancora di mia madre, nonostante tutto.
Quando mi guardò aveva gli occhi lucidi e parlava velocemente,cercando di trattenere i singhiozzi: -Quando sono triste la annuso e profuma ancora di lei. Mi ricorda tutti i momenti felici che abbiamo vissuto insieme, mi ricorda com’era la mia vita prima dell’incidente. Mi sono trasferita qui per scappare dai fantasmi del mio passato. A volte mi chiedo perché non sono morta io al posto loro, che cosa ci faccio ancora qui.
Di colpo Giulia si rannicchiò su se stessa e io la abbracciai, incapace di dire qualsiasi cosa o di consolarla. Strinse le mia camicia fra le mani e affondò il viso nell’incavo della mia spalla, lasciando finalmente andare tutte le lacrime che stava trattenendo.
-Va tutto bene, Giu, va tutto bene –mormoravo, accarezzandole i capelli, e poco a poco lei si calmò e si asciugò gli occhi arrossati.
-Mi dispiace, non volevo rovinare tutto –sussurrò al limite della disperazione.
-Non hai rovinato nulla, davvero. Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata. –lo dissi così, come se fosse una cosa che dicessi tutti i giorni, ma lei sembrò capire che era quello che pensavo davvero.
Si strinse nuovamente a me, ma stavolta non c’era disperazione nei suoi gesti.
-Ti amo, Giulia. –sussurrai e lei posò le sue labbra sulle mie.
Fu il bacio migliore di sempre, un bacio al sapore di lacrime e disperazione, di speranza e nuovi inizi.
Quando si staccò, le sue mani corsero alla sua sciarpa rossa e con un unico fluido movimento me la attorcigliò attorno al collo.
-Tienila tu, per adesso. Non voglio rimpianti oggi. –mi disse e io sorrisi.
La ammirai mentre camminava a fianco delle spighe di grano, sistemandosi il cappello che rischiava di cadere ad ogni suo singolo movimento.
Senza quasi accorgermene, tirai fuori dalla tasca dei pantaloni il cellulare e la fotografai proprio nel momento in cui si girava a sorridermi.
-Non farmi foto! –esclamò –Vengo male.
Volsi lo schermo del cellulare dalla sua parte: -Guardati, sei bellissima. Non capisco davvero come tu possa dire che vieni male. Anche se in effetti...
-In effetti cosa?
-Nessuna macchina fotografica può catturare la tua bellezza. –disse sorridendo e la ritrascinai accanto a me.
Ci baciammo e abbracciammo fino a quando il sole non si abbassò sull’orizzonte, poi salimmo in macchina e lei mi riportò fino a casa.
Non mi ero neanche accorto che non avevamo parlato dei miei problemi che ora sembravano essersi dissolti.
-Ci vediamo presto, amore. –la salutai sulla soglia di casa sua e lei mi diede un ultimo, lungo, bacio.
Aprii la porta di casa con un sorriso stampato sulla faccia e salutai Louis come se niente fosse.
-Ehi Lou! Vado a farmi una doccia! –trillai e lui mi guardò storto, come se non capisse cosa fosse successo.
Mi infilai sotto il getto caldo e non sentii bussare alla porta.
Non udii nulla, perso nei miei pensieri. Canticchiavo a bassa voce canzoncine d’amore che avevo imparato da bambino e ripensavo a Giulia, a quanto fosse la persona migliore di sempre.
Anche Louis è speciale –sussurrò una vocina nella mia testa, ma io le risposi che quella era un’altra cosa, che amore e amicizia sono due cose diverse.
Uscii dalla doccia rinvigorito e mi vestii in fretta. Volevo parlare con Louis, chiarire le cose fra noi.
Quando uscii dalla doccia sentii il cigolio tipico della nostra porta d’ingresso che si chiudeva, ma non vi prestai attenzione.
Lou sarà uscito per prendersi qualcosa da mangiare, pensai e continuai a vestirmi.
Appena fui pronto, uscii dal bagno e andai in soggiorno dove ero sicuro ci fosse anche Louis.
Lo vidi subito, seduto sul divano con lo sguardo perso nel vuoto e un sorriso che non gli si addiceva dipinto sul volto. Non era un sorriso da Louis, quello; era un sorriso malvagio, da criminale.
Avanzai piano, incerto sul da farsi, e poi mi sedetti al suo fianco.
-Ehi –lo salutai e lui si voltò verso di me sostituendo velocemente il sorriso inquietante con uno normale.
-Ciao –disse lui, stranamente allegro.
Sorrisi all’idea che avesse già accettato la realtà e provai a tastare un po’ il terreno, a vedere se era davvero così: -Riguardo a Giulia, ecco... –iniziai, ma lui mi interruppe subito: -Stai tranquillo, abbiamo chiarito tutto. D’ora in poi non ci darà più alcun fastidio.
Mi alzai di scatto, entusiasta dalla notizia. Ero felice che il mio migliore amico avesse capito, che avesse accettato il fatto che non ricambiavo il suo amore.
-Vado a dirglielo, okay? Poi magari resta anche a cena! –esclamai, troppo felice per vedere l’espressione strana che si stagliava sicura sul viso di Louis.
Appena lui annuì, corsi verso la porta d’ingresso, ma subito prima di uscire lo sentii mormorare: -Sarà tutto come prima, come se non fosse mai esistita.
Mi fermai un attimo, incerto sul da farsi, ma poi decisi di aver sentito male, che Louis non avrebbe mai potuto fare nulla di male.
Iniziai a scendere le scale fischiettando piano; non vedevo l’ora di rivedere Giulia.
Appena girai l’angolo un punto rosso sul pianerottolo del piano di sotto catturò il mio sguardo e mi spinse a guardare meglio.
Giulia era riversa per terra, una mano stretta intorno alla sciarpa e una stesa di lato in una posizione del tutto innaturale. Guardava l’ascensore, ma dalla mia posizione non potevo vedere se aveva gli occhi aperti o chiusi.
Arrivai al suo fianco in un attimo e le presi un polso, cercando disperatamente il battito del suo cuore.
Lo sentivo ancora nella mia mente battere veloce sotto i miei baci, galoppare ad ogni mio contatto. Non poteva essersi fermato, non poteva.
-Giulia, tesoro, rispondimi. Lo so che sei viva, lo so. –mormorai istericamente e d’improvviso lo sguardo mi cadde sul suo volto dove i suoi occhi fissavano vitrei un luogo indefinito.
-Giulia...? GIULIA! –ormai ero in preda al panico. Sentii distrattamente Louis scendere le scale e lo vidi digitare il 911, ma i miei pensieri erano rivolti verso la ragazza riversa ai miei piedi che ormai non respirava più.
Mi accasciai su di lei senza più cercare di trattenere le lacrime e sentii la mano di Louis accarezzarmi dolcemente la schiena.
-Va tutto bene, Harreh, va tutto bene –sussurrava dolcemente, ma sapevo benissimo che non era così.
-Non va bene per niente! –urlai isterico –Giulia, Giu, amore diglielo tu che sta succedendo!
Scossi il braccio della mia ragazza che dondolò inerte fra le mie mani per poi ricadere a terra con un tonfo.
Non volevo accettare ciò che stava succedendo.
Lei stava così bene quel pomeriggio, non era la stessa persona che ora era a terra,  no no.
Mi accasciai su di lei senza smettere di singhiozzare e mormorare che tutto ciò non stava accadendo, non a noi almeno.
Un infermiere vestito interamente di bianco mi staccò a forza da Giulia e non mi permise di salire sull’ambulanza che poi partì diretta all’ospedale. O all’obitorio, mi sussurrò cupamente una voce lugubre nella mia testa.
Non era così, lei non era morta. Sarebbe tornata ridendo e dicendoci che si era distratta guardando la sua sciarpa e che era caduta giù per le scale, ma che ora stava bene. Ci avrebbe abbracciati forte e poi mi avrebbe riportato nel nostro luogo magico, la radura a metà fra il bosco e le spighe dorate.
-Sì signore, era molto distratta –sentii dire da Louis ad un ufficiale di polizia –avrà messo un piede in fallo e sarà caduta, ecco tutto.
Vidi il poliziotto annuire e chiudere il blocco su cui stava prendendo appunti. Disse qualche parola di condoglianza a Louis e poi se ne andò a testa china.
Non moriva nessuno, qui da noi, mai. Si inciampava, si scivolava, si cadeva, ma ci si rialzava sempre.
 Nessuno era mai rimasto steso a terra, nessuno aveva mai avuto bisogno di un’autopsia. Non che ci fossero medici capaci di farla, comunque.
Il poliziotto avrebbe scritto “Caduta accidentale” come causa della morte –ma Giulia non era morta!- e avrebbe liquidato il tutto senza indagare ulteriormente.
Il mio cervello prese per un attimo in considerazione l’idea che la mia ragazza se ne fosse andata, poi la scartò come impossibile.
Lei non era mai scivolata, non era mai inciampata su niente, nemmeno sulle radici nascoste nel sottobosco. Delle scale non avrebbero mai potuto ucciderla.
Ritornai in casa e mi chiusi a chiave in camera. Per quel giorno ne avevo abbastanza con il mondo.
Ogni persona che era entrata in casa nostra aveva detto che Giulia era morta, ma io sapevo che era una grossa bugia per coprire il fatto che le cure mediche avrebbero potuto fallire. Aveva solo sbattuto la testa e i medici avevano paura di non riuscire a curarla, ecco perché tutti dicevano che non si era salvata.
Poggiai la testa sul cuscino ripetendomi queste frasi come un mantra e alla fine mi addormentai.
Il mattino dopo un cigolio familiare mi svegliò, un cigolio che non avevo più sentito da quando io e Giulia avevamo iniziato a frequentarci.
-Sveglia, sveglia, dormiglione! –esclamò Louis spalancando le persiane –Sono le dieci passate!
Mi alzai di scatto, domandandomi perché non mi ero svegliato prima, perché la sveglia non aveva suonato. Sarei arrivato tardi al lavoro.
-Oggi hai la giornata libera –mi disse Lou sorridendo per poi specificare –Sai, per l’incidente di Giulia...
Di colpo tutti i ricordi della sera prima mi sommerso, travolgendomi.
Rividi Giulia stesa a terra e i medici che la portavano via, risentii la sua pelle fredda e mi ricordai dei suoi occhi vitrei.
La verità mi colpì come un pugno allo stomaco: Giulia era morta, nessuno stava mentendo per coprire un qualche sbaglio dei medici.
La mia piccola ragazza con una sciarpa rossa troppo grande per lei e i suoi occhi castani che sembravano voler vedere tutto, se n’era andata. Non avrebbe mai più potuto vedere nulla.
Il mio sguardo cadde su Louis, che canticchiava a bassa voce una canzoncina da bambini e che saltellava per casa alla ricerca di una tazza pulita.
Lui non era triste per Giulia, lui l’aveva odiata.
Un altro ricordo mi assalì all’improvviso: udii di nuovo la porta d’ingresso cigolare nel tipico suono che indicava che qualcuno stava entrando. E l’unica persona in casa pochi secondi dopo era Louis.
Quindi lui aveva visto Giulia cadere!
Corsi in cucina dove lui stava friggendo delle strisce di bacon per poi rallentare di colpo.
Stavo sbagliando qualcosa, non era possibile che lui avesse assistito alla caduta di Giu e poi fosse ritornato a casa senza fare niente.
Sì, avevo decisamente confuso qualche ricordo. La porta non aveva mai cigolato e nessuno era mai entrato.
Presi un succo all’arancia dalla dispensa e mi sedetti al tavolo, ripensando a tutto quello che era successo.
Non riuscivo neanche a realizzare che fosse accaduto davvero.
D’un tratto una lampadina si accese nel mio cervello: l’anno prima la mia sospettosa vicina di pianerottolo –una vecchia che sospettavo essere paranoica- aveva fatto installare una telecamera sulle scale in modo da prevenire furti. Non ce l’aveva mai detto, ma credeva fortemente che noi volessimo derubarla e aveva fatto del suo meglio per farci capire che era tutto sorvegliato e che non saremmo mai riusciti a farla franca.
Uscii di casa di corsa e raggiunsi in fretta la videocamera che dava sulle scale, accuratamente nascosta da una palma da interni.
Mi arrampicai sul grosso vaso di terracotta e riuscii a premere il minuscolo tasto rosso che fece immediatamente espellere il cd contenente tutte le precedenti registrazioni.
Tornai in camera il più velocemente possibile e sprangai l’entrata: non volevo che nessuno mi interrompesse, volevo restare solo con Giulia.
Accesi il computer e aspettai che il disco venisse letto. Poi si aprì la grande schermata video e mandai avanti fino a quando la piccola sveglia sul margine destro non segnò le 8 di sera.
Vidi me stesso tornare in casa con un sorriso estasiato sul volto e la testa di Louis fare capolino dalla porta per salutarmi. Dieci minuti dopo passò la nostra vicina di pianerottolo con il suo piccolo chihuahua abilmente vestito con un cappottino rosa e poi il video restò piatto per diversi minuti, quasi un’ora, fino a quando Giulia non salì le scale e arrivò davanti alla nostra porta.
Misi la registrazione in pausa e mi perdetti a fissare la linea perfetta del suo corpo, i suoi capelli mossi e il contrasto che la sua sciarpa faceva con il muro bianco dietro di lei.
Vedevo un accenno di sorriso risaltare sulle sue labbra morbide e di colpo desiderai poter tornare indietro nel tempo e continuare a baciarla per sempre.
Probabilmente Giulia era salita mentre mi facevo la doccia e non l’avevo sentita arrivare.
 Rimisi il video in play e la vidi bussare alla porta. Mi aspettavo che nessuno le aprisse mentre invece, dopo qualche secondo, la porta si spalancò lasciando intravedere i capelli scuri di Louis.
Nel video non c’era l’audio, ma vidi le sue labbra muoversi fino a formare un deciso: -Che cosa ci fai qui?
Giulia iniziò a torcersi i capelli nervosamente fra le dita e le parole che i due si dicevano divennero chiare, come se io parlassi il labiale da sempre.
-Volevo salutare Harry e invitarvi a cena. –disse e accennò un sorriso timido.
L’espressione del mio migliore amico rimase dura: -Volevi venire qui e fare come se io non esistessi, volevi sbaciucchiarti il tuo amato, amatissimo, Harry e poi magari portarlo via per non tornare mai più.
Louis iniziò ad avanzare e lei indietreggiò, il sorriso sostituito da un’espressione ansiosa: -Lou, che dici? Non voglio portarti via Harreh, so quanto tieni a lui...
-Tu non sai nulla! –ruggì il mio amico e le prese le braccia stringendole forte fra le mani. Ormai erano arrivati vicino alle scale.
Ti prego, Giulia, stai zitta e vattene, la pregai mentalmente anche se sapevo che quello era solo uno stupido video e lei non poteva sentirmi.
Infatti sollevò il mento e fissò Louis dritto negli occhi: -Invece so un sacco di cose- dichiarò- So che sei gay, so che tieni a Harry più di ogni altra cosa, so che...
-Smettila, smettila, smettila – sibilò Louis, ma lei continuò imperterrita: -So che lui non ricambia, che non ricambierà mai.
-Stai zitta! –urlò il mio coinquilino e afferrò le due estremità della sua sciarpa rossa e le tirò verso di lui.
Le labbra della mia ragazza si trasformarono in una o stupefatta e la osservai mentre cercava di inserire una mano fra la sciarpa e la pelle in modo da salvarsi.
Vidi il cappio intorno al collo di Giulia farsi sempre più stretto e la vidi annaspare alla disperata ricerca di aria.
-Louis, ti prego, basta –mimò con le labbra, la pelle ormai tendente al blu, ma lui non si fermò e strinse ancora di più.
Alla fine lei cadde a terra e lui lasciò andare la sciarpa. Perso l’ultimo contatto che la teneva in equilibrio sul pianerottolo, Giulia rotolò giù dalle scale uscendo dal campo visivo della telecamera.
Tutta la mia attenzione si focalizzò allora su Louis il quale si chinò leggermente in avanti per assicurarsi che la ragazza non si muovesse più e poi rientrò in casa con lo stesso sorriso malvagio che gli avevo visto addosso appena uscito dalla doccia.
Da quel momento in poi la registrazione si interrompeva per qualche minuto, poi comparivo io e infine tutte quelle persone che mi avevano fatto compagnia la sera prima.
Spensi il computer con la testa vuota, troppo scioccato per formulare un solo pensiero logico.
Come in trance andai in soggiorno e fissai la sagoma allegra di Louis finire di lavare i piatti.
Quando si girò mi regalò un sorriso smagliante e mi fece segno di aspettare qualche istante in modo da potermi raggiungere. Di colpo la mia mente si rischiarò e corsi a prendere il cellulare.
Digitai freneticamente il numero della polizia e mi chiusi in bagno sperando che Lou non sentisse.
-Pronto, 911. Desidera? –rispose una voce di donna al quarto squillo. Era la polizia, maledizione, non avrebbe potuto rispondere prima?
-Sì, mi chiamo Harry Styles. Ho visto un omicidio.
La donna dall’altra parte del telefono sembrò agitarsi e mi fece molte domande promettendomi che una squadra sarebbe arrivata entro poco.
-E, mi raccomando, stia lontano dal soggetto!- esclamò riferendosi a Louis.
Annuii, anche se non poteva vedermi e poi riattaccai.
Aveva ragione, lo sapevo benissimo, eppure avevo bisogno di risposte. Louis non era così, non avrebbe mai potuto uccidere qualcuno, non il ragazzo che conoscevo io, almeno.
Uscii dal bagno e mi sedetti accanto a lui, aspettando che dicesse qualcosa.
-Bella giornata, non è vero? –esclamò infatti dopo qualche secondo e si girò per guardarmi in faccia.
Sembrava ringiovanito, come se tutti i suoi problemi si fossero risolti. E forse era proprio così.
-Lou, so cos’hai fatto a Giulia –dissi d’un fiato. C’erano tanti modi per affrontare la questione e questo era senza dubbio il peggiore, ma anche l’unico che mi era venuto in mente.
Lui sgranò gli occhi, ma poi sembrò ritrovare la calma che lo aveva accompagnato per tutto il giorno e chiese: -Come?
Voleva sapere come avevo fatto e io glielo dissi, gli raccontai della videocamera e di come avessi visto il filmato mentre lui cucinava.
Lui annuì, come se gli sembrasse una cosa accettabile e poi distolse lo sguardo.
-Cosa ne pensi di me, ora? Hai paura di me? –domandò sottovoce e io lo guardai sconvolto. Era più preoccupato della mia reazione che di quanto aveva fatto!
-Non ho paura di te, Lou, e sinceramente non so cosa pensare... Ciò che hai fatto è così sbagliato...- risposi scuotendo la testa.
-Vuoi sapere perché l’ho fatto, vero? –mi chiese dopo qualche minuto di silenzio e proseguì senza aspettare la risposa: -L’ho fatto per noi, Harreh, per noi. Ora che lei non c’è più potremmo finalmente stare insieme!
Stava sorridendo come un pazzo e aveva gli occhi lucidi. In quel momento la porta venne buttata giù da un intero corpo di polizia che afferrò Louis e lo scortò fuori in fretta e furia.
Mentre lo chiudevano nella volante, lui si girò nuovamente a guardarmi e mimò con le labbra le parole che mi perseguitarono per il resto della mia vita: -Resteremo insieme per sempre, Hazza. E ricordati sempre che ho fatto tutto questo per noi.
Poi la macchina partì, lasciandomi solo sul vialetto, circondato da parole mai dette e rimpianti.
Quel per noi aveva distrutto una vita, aveva fatto rinchiudere Louis in carcere e cambiato radicalmente la mia.
Non sapevo quanto ci avrei messo a tornare a vivere come prima, non sapevo se sarei mai tornato a vivere per davvero.
Al momento volevo solo dimenticare.
 
 
Sporsi la testa oltre gli scogli, guardando il mare. Mi era sempre piaciuto, era così rilassante guardare le onde infrangersi ripetutamente, senza mai smettere.
Feci un passetto in avanti e mi ritrovai con le punte delle scarpe che sporgevano oltre lo strapiombo.
Sarebbe stato così facile. Un altro piccolo passo e sarei finito dieci metri più sotto, in  mezzo ai pesci e alle onde che non si sarebbero comunque fermate.
Il mare, in fondo, somigliava un po’ alla vita.
Ad entrambi non fregava niente se qualcuno se ne andava, se qualcuno cadeva giù da una scogliera e se qualcuno invece riusciva a tornare a galla e a venire salvato. Entrambi continuavano a scorrere, inesorabilmente e non si poteva far altro che seguire il loro corso.
Alcune persone avevano imparato a cavalcare le onde, a domarle, ma altre venivano sconfitte, assorbite negli abissi più profondi.
Mi resi conto che alla fine quelle persone scompaiono anche dalla memoria di chi le ha amate.
Chiusi gli occhi, cercando di portare alla mente il volto di Giulia e mi accorsi che si stava sfuocando, che i suoi lineamenti erano diventati incerti, tremolanti.
Accesi velocemente il cellulare e osservai a lungo il mio sfondo. Era la foto che le avevo scattato l’ultimo giorno che avevamo passato insieme; sorrideva guardando l’obbiettivo, con gli occhi lievemente socchiusi a causa del sole.
Era un ricordo felice, ma la mia mente non poteva fare a meno di sovrapporvi l’immagine di Giulia in fondo alle scale, la grossa sciarpa rossa stretta intorno al suo collo e lo sguardo vitreo.
Non ero mai tornato a vivere veramente dopo quel giorno, il mare mi aveva lentamente portato a fondo.
Ora guardavo il mondo da sotto, attraverso una patina azzurra che mi bloccava, che mi riportava indietro e mi costringeva a rivedere continuamente il filmato della telecamera.
Non ero mai riuscito a dimenticare e personalmente pensavo che non ce l’avrei mai fatta.
Feci un passo avanti, l’ultimo.
Al momento volevo solo tornare da Giulia.
  
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