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Autore: Dante_Chan    11/03/2013    1 recensioni
Questa storia parla di due ragazzini. Di un metallaro allevatore di ratti (o un allevatore di ratti metallaro?) che si innamora irrimediabilmente di un truzzo un po' particolare. La trama...beh, in realtà la scopro scrivendo, ma in generale il primo incontra il secondo, rimane colpito e tenta di ritrovarlo. Seghe mentali comprese nel prezzo :3
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Più vado avanti a scrivere più questo povero ragazzino mi diventa amaro. Non doveva essere così, all'inizio XD ma fa tutto da solo...



Il primo tentativo, come abbiamo visto, non era andato a buon fine; ma Dante l’aveva messo in conto. Certo, non credeva che sarebbe andata in quel modo, ma sapeva che sarebbe stata una fortuna trovare il ragazzo già la prima volta.
«Sono stato cretino, ecco. Come sempre, del resto. Uff…a volte mi è proprio difficile sopportarmi. Mi prenderei a schiaffi da solo.».
Era domenica pomeriggio; Trunks aveva invitato l’amico a fare un giro in centro. I due camminavano sotto i salici del parco cittadino, spruzzato dalla neve caduta quella mattina, mentre Dante raccontava cos’era successo. Ora la fase di rabbia era passata, ed era entrato in quella depresso-commiserativa.
«Ma non c’ho proprio pensato. Non avrei nemmeno vestiti adatti, in realtà, ma almeno qualcosa di anonimo…».
«Oh, avanti, non prendertela troppo, adesso. Non avresti potuto immaginare di trovare il buttafuori scassapalle.».
«E pure la carta d’identità…! Non sarei entrato in ogni caso!».
«Ecco, quella forse. Ma così sei sicuro che la prossima volta non te la dimentichi.».
«Eh, LO SPERO. Non si sa mai, sai com’è.».
«Mi dispiace solo che tu debba aspettare un’altra settimana.». Trunks ridacchiò.
«Guarda, a questo punto io spero solo che mi passi!» rise Dante a sua volta.
Il più grande guardò il più piccolo sorridendo. «Ehm…che ne dici se c’imbuchiamo da qualche parte? Fa un freddo polare, ho una terribile voglia di qualcosa di caldo.».
Dante acconsentì più che volentieri; ritrovò subito il buonumore davanti a una tazza di cioccolata bollente e tornò ad essere l’amico di sempre. Per tutta la settimana successiva riuscì a essere più presente e a evitare di stressare qualcuno con quella storia, se non i suoi ratti. Nel frattempo, però, cercò di trovare un abbigliamento che non mandasse tutto in vacca di nuovo: in realtà non avrebbe dovuto procurarsi nulla, dato che di cose anonime ne aveva, ma non sapeva decidere quali vestiti sarebbero stati i più consoni. Di cose anonime, appunto, ne aveva, ma sentiva di voler essere il più convincente possibile. Paura del buttafuori, probabilmente. Il mercoledì pomeriggio andò nel negozio più tamarro della città, spendendo a malincuore mesi di paghette messe da parte per una maglia e dei pantaloni convincenti. Quale spreco, quale ingenuità! Ma di cagate ne abbiamo fatte tutti, per cui non sta a noi giudicare. Prese anche del gel per capelli, giusto il più scrauso e meno costoso, praticamente sputo. Tanto non sapeva nemmeno come usarlo. Sua madre fu felicissima degli acquisti, nella sua ignoranza in fatto di moda giovanile; ella non sapeva a quale categoria adolescenziale appartenessero quegli abiti, altrimenti sarebbe probabilmente scoppiata in lacrime. Vedeva solo che finalmente suo figlio era tornato a comprare vestiti colorati, e sperava che ciò fosse un sintomo di guarigione dalla malattia nera e satanica nel quale era caduto. Quello era uno dei casi in cui la cura è peggiore della malattia, ma sssst, meglio far finta di niente.
 Dante non disse di questo acquisto nemmeno a Trunks, da quanto sbagliato gli sembrava. Era forse la prima volta che gli teneva nascosto qualcosa, ma aveva tutte le ragioni per farlo: probabilmente in quel caso pure il suo amico gli avrebbe dato dello scemo.
Ma andiamo ora un attimo avanti, e arriviamo a venerdì mattina. Dante si trovava a scuola, durante una noiosissima quarta ora di storia. Aveva passato i primi venticinque minuti a osservare una mosca uscita non si sa da dove che gironzolava svolazzando a tempo perso per l’aula, e a scarabocchiare il libro scrivendoci in penna frasi delle canzoni che gli venivano in mente. Non aveva persone con cui cazzeggiare, dato che considerava tutta la gente della sua classe come disprezzabile, per un motivo o per l’altro; erano quasi tutti fighetti/e con cui non aveva nulla da spartire. In classe ci passava le ore di lezione perché costretto, ma i suoi amici stavano fuori da essa.
A ricreazione era riuscito a fregare metà pacchetto di patatine a Chele, e in quel momento aveva una sete terribile. Chiese il permesso di uscire e si diresse in bagno a bere; in quello più lontano, due piani di sotto, giusto per perdere qualche minuto di lezione in più. Scendendo le scale canticchiando (aveva ancora in mente l’ultima canzone che aveva annotato sul libro) andò a sbattere contro due ragazzi più grandi, tanto era con la testa tra le nuvole.
«S-scusate.» balbettò ripiombando alla realtà. Alzò lo sguardo su di loro: ma quella scuola era piena di truzzi o era lui a farci troppo caso?
«Tranquillo.» disse sorridendo il più alto dei due, prima di lanciare un’occhiata indecifrabile all’altro.
Dante riprese la sua strada mentre entrambi lo stavano ancora fissando. Giusto per perdere altro tempo, si fermò vicino alla portineria, dove si trovava una bacheca con annunci vari lasciati dagli studenti, da libri scolastici in vendita a dei ragazzi che cercavano un bassista per mettere in piedi un gruppo hardcore. Leggendo l’annuncio, il ragazzo sospirò: a lui sarebbe piaciuto un sacco imparare a suonare la batteria, la trovava troppo potente; ma aveva come l’idea che una batteria decente costasse un occhio della testa, senza contare che non aveva un posto dove potersi esercitare: avrebbe dovuto far insonorizzare camera sua.
Finalmente, camminando il più lentamente possibile, si decise a raggiungere il bagno; stava bevendo, quando sentì la porta chiudersi sbattendo e una mano lo afferrò per i capelli e gli ficcò la testa sotto il getto freddo. Ebbe un sussulto spaventato e aspirò dell’acqua col naso, mettendosi a tossire forte. Aveva ancora gli occhi chiusi quando venne sbattuto con violenza contro il muro e afferrato per il colletto con una presa d’acciaio. Riuscì ad alzare una palpebra e si trovò davanti i due ragazzi di pochi minuti prima, che lo guardavano uno con ferocia, l’altro ghignando. “Ha proprio una faccia da ebete” fu la prima cosa che venne da pensare a Dante guardando quest’ultimo, nonostante la situazione in cui si trovava non fosse delle migliori.
«Cosa…diavolo…state…?» ansimò dalla paura.
«Tu sei un amico di Diamanti, vero?» gli chiese minacciosamente il ragazzo che lo stava tenendo, gli occhi di ghiaccio puntati su di lui. «Sei sempre con lui, sì?».
«E con questo??».
«Non ci va a genio, Diamanti, ultimamente ha alzato un po’ troppo la cresta. Se crede di potersi comportare come cazzo gli pare si sbaglia. Sta giocando a fare il prepotente, ma adesso ha superato il limite».
«Che c-cosa c’entro io?? P-prendeteve…la con lui! Io non c’entro niente!!».
«Eh, è piuttosto difficile prendersela con lui.» spiegò sempre ghignando il ragazzo dai capelli scuri dietro a loro.
«S-s-siete dei codardi! Sono perché io sono-».
«Non osare insultarci, piccoletto. Sarai anche della stessa risma, ma non puoi concederti quello che si concede il tuo capo.» tornò a ringhiare il ragazzo dagli occhi azzurro gelo. Dante sentì la presa sul colletto farsi più forte e il tessuto strozzarlo leggermente.
«C-c-cosa vo…volete?» domandò sull’orlo delle lacrime.
«Solo mettergli un po’ di paura e fargli capire che ha oltrepassato il limite.». Il ragazzo, coi capelli color del grano, avvicinò la sua bocca a un orecchio di Dante, sussurrandogli quelle parole e riuscendo in quel modo a renderle ancora più minacciose. «Di’ al tuo amico che deve smetterla di comportarsi come se tutto gli fosse concesso. Se s’azzarderà ad attaccare anche solo verbalmente un altro dei miei, sappia che inizieremo a fare sul serio anche noi. E prova a immaginare chi sarà il primo ad andarci di mezzo…» disse, accarezzandogli una guancia.
Dante tremava come un pulcino bagnato. «M-ma io-io n-non c’en-».
«Mi hai capito?». Il ragazzino lo guardò terrorizzato, senza dare risposta. «Ho detto: mi hai capito??» ripeté allora il biondo, facendogli sbattere la testa contro il muro.
«S-sì…lasciami…».
«Oh, dai Luca, lascialo, adesso.» s’intromise il bruno, mantenendo la sua faccia da schiaffi. «Non vedi che se la sta facendo sotto? È solo un bimbetto!».
Il ragazzo lasciò la presa, lanciandogli un’ultima occhiata minatoria. «Spero per te che tu abbia capito. E, oh, portagli anche quest’altro messaggio.» disse, tirandogli subito dopo un pugno alla bocca dello stomaco, che portò Dante a piegarsi e a tossire di nuovo; dopo ciò, fece un cenno all’amico e si dileguò assieme a lui.
Dante cadde carponi, tremante, con l’acqua che gocciolava dai suoi capelli fin sul pavimento sporco, con lo stomaco sottosopra. «Non è giusto…» piagnucolò. «…bastardi…». Pian piano si rialzò, aggrappandosi al lavabo per aiutare le gambe instabili a sostenerlo. Si scostò la frangia bagnata dagli occhi, chiuse il rubinetto rimasto aperto e si prese qualche minuto per cercare di calmarsi. Cosa diavolo combinava il Diama? Quei due bulletti avevano solo cercato un pretesto per prendersela con lui o erano seri? “Ma la sfiga ha deciso che sono un soggetto divertente da prendere di mira o cosa??! Ultimamente, non so…!”. Tentò di asciugarsi un po’ i capelli con le salviette di carta per le mani prima di tornare in classe, ma rimasero irrimediabilmente fradici. Anche la sua maglietta era diventata bomba fino alle spalle, per colpa dell’acqua che vi era gocciolata.
Rientrò in aula aprendo lentamente la porta, sforzandosi di sembrare calmo e naturale.
«Dante!! Dov’eri finito?? Stavo per mandare qualcuno a cercarti!» disse la professoressa nel vederlo varcare la soglia, facendolo bloccare a metà strada tra l’entrata e il banco; il ragazzo non sapeva come giustificarsi: non aveva alcuna intenzione di raccontare l’accaduto. «Ma…! Perché sei bagnato??». L’insegnante si avvicinò a lui e lo prese per un braccio, guardandolo negli occhi. «Cos’hai fatto??».
«Ehm…io…».
«Spiegami cos’è successo!».
«Niente.». Dante cercava di mantenere un tono convincente. «Avevo…caldo. E ho pen-».
«Mi credi un’idiota?? No, dico, mi credi un’idiota?? Non venire a raccontare bugie a me, sai! ESIGO sapere cos’hai fatto!».
«…». Non sapeva come difendersi. La guardò con la bocca serrata, decidendo di starsene semplicemente in silenzio.
«Rispondi! Vuoi rispondermi??».
Scosse la testa, continuando a sostenere il suo sguardo. Un brivido di freddo gli percorse la schiena per colpa della maglietta bagnata.
«Bene. Bene! Una nota sul registro non te la toglie nessuno.» sbottò la prof, sgambettando velocemente fino alla cattedra. Aprì il quaderno di classe e si mise a scrivere, con piglio cattivo e labbra sottili. Dante era ancora in piedi nel mezzo della classe e la guardava con astio. Ciò era decisamente ingiusto, ma preferiva beccarsi la nota piuttosto che raccontare quello che aveva subito.
«Hai un maglione, vero?» abbaiò la docente quando ebbe finito di scrivere. «Togliti la maglietta e mettila ad asciugare sul termosifone, e indossa la felpa. Se non hai la canottiera sotto va’ a cambiarti in bagno, TI ACCOMPAGNO IO. Cos’è, stai cercando di ammalarti?? Ma dico io…!».


Circa due ore dopo, la campanella trillò finalmente la fine di quel giorno scolastico. Dante era, com’è facile immaginarsi, di pessimo umore, e ficcò velocemente la maglietta calda e ormai asciutta nello zaino per poi sparire dall’aula il prima possibile, facendosi i due piani di scale con muso duro e passo lesto. Voleva solo buttarsi sul divano davanti alla tv assieme al suo ratto preferito e non pensare più a nulla per le due ore successive.
Stava attraversando con grandi falcate il cortile, quando una mano gli strinse la spalla destra. Sussultò e si girò di scatto, in chiara posizione di difesa. «Ma sei scemo?!» sbottò poi, vedendo Trunks. «Mi hai fatto prendere un colpo!».
«Ehi, calmino!» rise lui in risposta. «Che c’è, sei nervoso?».
«No, scusa. Ero perso nei miei pensieri.».
«E a che pensavi?».
«A niente.».
Prima che Trunks potesse sottolineare la contraddizione, una voce zelante richiamò Dante. Quest’ultimo si girò e vide la professoressa di italiano e storia zampettare velocemente verso di lui. «Allora, ti sei asciugato?».
«Sì.» rispose a denti stretti.
«Non farmi mai più scherzi del genere! O la prossima volta mi sentirò costretta a chiamare i tuoi genitori. Hai capito?».
«Sì.».
«Non so cos’hai fatto, ma non è stato per niente divertente. …A volte non riesco proprio a capire cosa ti passi per la testa, vivi in un mondo tutto tuo. Cerca di essere un po’ più presente, va bene?».
«Sì. ‘Derci, prof.».
«…ah, quindi è successo qualcosa.» riprese Trunks quando si furono allontanati dall’insegnante.
«No!» rispose rabbioso Dante.
«Su, dimmi. Cos’hai fatto?».
«IO non ho fatto proprio niente! Lasciami in pace.».
«Quindi qualcun altro ha fatto qualcosa? Ti hanno dato la colpa per qualcosa che non hai fatto? …Eddai, dimmi cos’è successo!». Il giovane afferrò l’amico per lo zaino nel tentativo di trattenerlo, perché questi aveva accelerato il passo; Dante si liberò sfilandoselo di dosso e lasciandolo per terra, continuando imperterrito a camminare. Girò un angolo, ma Trunks lo prese e lo bloccò addosso al muretto di una casa, agguantandogli i polsi. «Dimmelo, dai!» insistette, mentre l’altro cercava di divincolarsi. Il ragazzo sorrideva, stava giocando, ma Dante era in uno stato talmente alterato da leggere il suo comportamento come un ulteriore abuso, e perse la pazienza.
«Lasciami!!».
«Eheh, no! Dimmi, dai!».
«Ma sai farti i fatti tuoi? Fatti i fatti tuoi! Non te lo voglio dire, quindi smettila!!».
«Ma se ti vedo così nervoso mi preoccupo... Dimmi, su! Tanto non ti lascio andare se non me lo dici!».
«Ma cazzo…! No, insomma…LASCIAMIIH!!!». Dante scoppiò a piangere senza preavviso e Trunks si scostò all’istante, perplesso.
«Sono STUFO di tutta la gente che si approfitta di me, sono stufo!!! Hic! Solo p-perché ho il corpo di un dodicenne tutti credono di potermi fregare, mi spintonano, mi spostano di qua e di là, fan-no quello c-che vogliono! Come se fossi una bambola!! Le persone in fila mi superano, i negozianti tentano di fregarmi sul resto, i miei c-che continuano a trattarmi come un bamboccio, e il buttafuori che fa il prepotente quando si vede benissimo che IO non posso far male a nessuno perché sono un bamboccio, e mio padre che mi rivolta appena lo faccio arrabbiare, i tizi di oggi che se la prendono CON ME perché Diama è troppo grosso, e adesso anche tu!! Basta!! Hic! I-io non c-ce la faccio più!! Non sono più un bambino, ho una d-dignità anch’io! Siete tutti degli stronzi e io non sono disposto a sopportare oltre!! Non s-sono il vostro chihuahua del cazzo!!!».
Trunks era basito e lo fissava senza parole. Non aveva mai visto l’amico esplodere e la cosa in verità faceva piuttosto paura. Non credeva che il non essersi ancora sviluppato fosse così pesante per lui, non gliel’aveva mai accennato prima…evidentemente era un problema di cui non riusciva a parlare, o che non era riuscito a formulare nemmeno a se stesso.
«Dante, m-mi dispiace, ma ora calmati!» balbettò afferrandogli le mani.
«HO DETTO BASTA!! Ti sto dicendo che non voglio essere bloccato così e continui a farlo!!!» urlò l’altro, liberandosi con un forte strattone.
«S-scusa, hai ragione, mi viene naturale!».
«Ma certo che viene naturale! Blocchiamo pure Dante tutte le volte che vogliamo, tanto lui è un tappo e non ha la forza di liberarsi!!!!».
«Calmati, Dante, per l’amor del cielo!! Non lo faccio più!!».
Il ragazzino aveva il respiro accelerato; tentò di asciugarsi gli occhi, ma grossi lacrimoni continuavano a solcargli le guance. Lanciò un’occhiataccia a Trunks e fece per andarsene, ma l’amico lo fermò parandoglisi davanti con le mani in alto, per resistere alla tentazione di ghermirlo. «No, no, no! Stai dimenticando lo zaino!».
«Non me ne frega un cazzo dello zaino!!».
«Non fare l’idiota, adesso. Va’ a prenderlo.».
Dante si passò per l’ultima volta con rabbia la manica sugli occhi, poi camminando lentamente tornò a recuperare la cartella.
«Allora non vuoi proprio dirmi cos’è successo?» gli chiese dolcemente Trunks. Dante sospirò e lo guardò torvo. «Te l’ho già detto.».
Il più grande si sedette sul bordo del marciapiede e fece segno all’altro di fare lo stesso. «Qualcuno se l’è presa con te invece che con Diama?». Dante annuì. «Chi erano? Che ti hanno fatto?».
«Due truzzi, direi, più grandi. Di quarta o di quinta. Mi hanno ficcato la testa sotto il getto del rubinetto mentre stavo bevendo. E mi hanno sbattuto sul muro e mi hanno detto che devo dire a Francesco che deve smetterla di fare il prepotente con loro. E quando gli ho chiesto perché se la stavano prendendo con me mi hanno detto che lui è troppo grosso, e che quindi è troppo difficile prendersela con lui.».
«…che bastardi…e non hai detto niente alla professoressa?? Perché??».
«No, e ha pensato che avessi fatto chissà cosa perché sono tornato in classe bagnato, e mi ha messo una nota.».
«Va’ dal preside e denunciali! Non possono mica passarla liscia!».
«Dovevo andare subito! E poi che prove ho?».
«Sono passate un paio d’ore, mica è troppo tardi! La tua classe ti ha visto bagnato!».
«E allora? Potrei essermi inventato tutto. E comunque no, non voglio dirlo, non mi va.».
«Comunque ora capisco perché sei così arrabbiato! Ma perché ti hanno detto queste cose??».
«Perché mi vedono sempre con voi.».
«Sì, ma…che diavolo fa il Diama che noi non sappiamo, allora…?».
«Non me ne frega niente, ma non vedo perché io devo andarci di mezzo!!».
«Quando hai intenzione di dirglielo?».
«Non ho alcuna intenzione di dirglielo.».
«Cosa?! Scusa, ci sei andato di mezzo e nemmeno vai a lamentarti?!». Dante scosse la testa. «Perché??».
«…perché mi vergogno, ecco.».
«Dovrebbero vergognarsi quei due, non tu.». Trunks si coprì la faccia con una mano. «Dante…tu sei troppo orgoglioso.».
«Che?! Orgoglioso io? Ma se ho l’autostima sotto i tacchi!».
«Autostima e orgoglio sono cose diverse. Tu…ti prendi troppo sul serio, ma te la prendi per cose per cui non vale la pena. Fai qualche cagata? Pazienza, tutti le fanno, che problema c’è? Qualcuno ti fa qualcosa? Che senso ha nasconderlo, hai paura di fare la figura del debole? Aiuti solo chi ti ha dato fastidio, stando in silenzio. E anche se passi per debole, ma chi se ne frega! Finisci di vivere per questo? No. E non prendertela troppo perché sembri piccolo, non è una cosa che dipende da te, ti avveleni il sangue e basta. Impara a ridere di te stesso, piuttosto, solo così si riesce ad affrontare la vita serenamente. Ci vuole un po’ autoironia, capisci.».
«…beh, scusa se me la prendo per cose stupide, sai…sono così, non posso farci niente.».
«Sì che puoi, invece. Basta metterci un po’ di buona volontà.».
«Non ti parte l’autobus?».
«…e a te non è già partito?».
«Sarei tornato a piedi comunque.».
Trunks aveva afferrato il messaggio: si alzò, diede una pacca sulla spalla a Dante e se ne andò, lasciando finalmente solo l’amico.

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