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Autore: Anacarnil    12/03/2013    1 recensioni
Tra le vie di Glasgow, caotica metropoli scozzese, si consuma un delitto dalle tinte oscure ed insondabili. la polizia solleva le mani, incapace di ficcare il naso in questioni tanto subdole, e toccherà così a Rachel, giovane detective inglese di belle speranze, assieme al suo ragazzo Nathaniel, consumato e seducente poliziotto e a due nuovi innesti sollevare il velo caduto su questa misteriosa dipartita.
Genere: Drammatico, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo squillo basso degli speaker accompagnò la progressiva frenata del treno, che andava ora fermandosi lì dove un ampio cono di fredda luce al neon tornava ad illuminare l'esterno del vagone, con centinaia di volti anonimi ammassati dirimpetto al lungo veicolo, in attesa di compiere la quotidiana lotta a suon di spallate che permetteva ai più fortunati ed ai più ostinati di guadagnare uno spazio decente all'interno del vagone.

«Fermata: Lloyd Avenue. Siete pregati di fare attenzione allo scalino. Vi auguriamo una buona giornata. »

La donna dal pesante accento scozzese terminò il ripetitivo annuncio e l'ultimo, brusco strattone era generalmente il segnale di un'altra furiosa lotta destinata a consumarsi all'interno del vagone. Nathaniel dovette sorreggere la poliziotta tenendola per i fianchi il necessario, affinché questa non ruzzolasse per la carrozza. Poi la liberò dalla morsa per garantirle un rapido guizzo verso i posti che si stavano liberando, a un paio di passi di distanza. Le porte si spalancarono, una fiumana di gente si riversò all'interno, intralciata dalla corrente di volti che, per riflesso, doveva attraversare le soglie del treno per uscire. Ma Rachel aveva già il suo posto, e non poté nascondere un mezzo sorriso di soddisfazione per aver guadagnato tanto in fretta e senza storie la comoda poltroncina.

«Prossima fermata: Hamilton Crescent.»

Nathaniel non riuscì a nascondere una smorfia infastidita.

«Mi chiedo come tu riesca a sopportare con tanta noncuranza quest'accento.» Scosse il capo, guardandola, il volto che tornava inespressivo come al solito.

«Non che a Liverpool possiate offrire qualcosa di meglio, eh?» E rivolse al freddo investigatore il più sincero dei sorrisi di scherno.

Se non ci fosse stata tanta calca, il brusco e repentino strattone che informava della partenza del veicolo avrebbe mandato a gambe all'aria un numero indefinito di gente, distratta dalle elucubrazioni mattutine o semplicemente dal torpore che le calde coperte avevano lasciato loro giusto un'ora prima. Qualcuno imprecò nel rude gaelico scozzese, linguaggio tanto raro quanto radicato nonostante l'utilizzo primario dell'inglese come lingua madre nelle terre di Wallace. Era sempre un piacere ascoltarlo, realizzò Rachel, che si trattasse della bestemmia più sentita o semplicemente di un cordiale saluto.

«Parole sante, signorina, i dannati damerini inglesi non riescono a capire quanto possano sembrare delicate checche da gay pride con il loro accento tutto svolazzi e patate in gola. Ha!» Il nuovo interlocutore rivolse un'occhiata complice alla donna, mostrando il suo sorriso giallo, prima di adocchiare in tralice Nathaniel alla sue spalle. Questi si limitò a rivolgere una sguardo freddo e distaccato all'uomo corpulento e dalla pelle arrossata, limitandosi a tacere, impassibile.

Capitava spesso di trovare patrioti convinti in Scozia. La coppia ci aveva ormai fatto il callo, ma Rachel si divertiva sempre a vedere Nathaniel mutare in una fredda statua di marmo ogni qualvolta qualcuno provasse ad attaccare bottone sull'argomento. Era rimasto traumatizzato, un paio di anni prima, quando ad Aberdeen aveva provato a mettere un po' da parte i suoi pregiudizi e a scherzare con i locali sulle divergenze tra inglesi e scozzesi. Ne era uscito con il naso rotto e un paio di centinaia di sterline in meno per rimetterlo a posto.

La poliziotta si limitò a fare spallucce all'indirizzo dell'uomo che li aveva interpellati, prima di tornare ad ignorarlo e rivolgere l'attenzione a Nathaniel, ora nuovamente seria.

«Cosa credi si nasconda dietro il... »

«Non qui.» Tagliò corto Nat senza guardarla, ormai eclissatosi nei suoi silenzi.

Rachel si morse il labbro, portando lo sguardo a spaziare per il corridoio affollato, soffermandosi per qualche istante in più su ogni volto che le capitava di raggiungere. Giovani con l'iPod in mano, estranei a quel che accadeva attorno a loro, compiti uomini d'affari in giacca, cravatta e ventiquattr'ore; la metropolitana di Glasgow, come quella di Londra del resto, offriva una vastissima varietà di gente, ciascuna con le sua peculiarità, ciascuna con la sua storia particolare. In molti probabilmente stavano pensando la stessa identica cosa, dovette realizzare. Non poté esimersi dal sorridere in modo vago, rassicurandosi dopo che la preoccupazione del freddo rimprovero di Nathaniel aveva intaccato la sua fragile certezza.

Lo sferragliare del treno sulle rotaie ed il chiacchiericcio sommesso della gente la catturavano, in un certo qual senso. E la proiettavano nuovamente al caso su cui stava lavorando, e che quel giorno poteva assumere dei connotati ben definiti all'arrivo in Park Road centododici. Willy Usher aveva telefonato d'urgenza quella mattina stessa, informandoli dell'omicidio di un giovane rampollo scozzese nella sua magnifica villa a pochi isolati dallo stadio di cricket. Gli elementi dell'assassinio parevano condurre tutti al caso già sotto la sua copertura e quella di Nathaniel, Gregory Hawthorne e dell'avvenente specializzanda in criminologia Evelyn McGonagall, unica scozzese a poter dire la sua in quell'intricata rete di indizi, prove, false prove e cavilli insormontabili, almeno per il momento.

«Fermata: Hamilton Crescent. Siete pregati di fare attenzione allo scalino. Vi auguriamo una buona giornata.»

Erano già passati venti minuti, e come suo solito non se ne era resa conto. Attese che il treno rallentasse, prima gradualmente, poi infilando la staccata finale e aggressiva, per tornare in piedi e avvicinarsi a Nat, ad un passo di distanza, imprigionato tra uomini e donne in precario equilibrio. Dietro di lei, già si sentivano i tonfi sordi delle spallate di chi cercava di guadagnarsi il posto a sedere. Qualcuno decise di fare il galante, concedendo ad un'altra donna di accaparrarsi la poltroncina su cui aveva seduto poc'anzi Rachel. Una volta in piedi, in fila dietro Nat per uscire, si accorse che qualcuno, sulla sua destra, immobile la fissava. Un uomo sulla quarantina, un filo di barba che conferiva lui un aspetto elegante a coprire guance, mento e base del collo, capelli corti neri e occhi del medesimo colore. Quando si accorse dello sguardo dell'altra, si affrettò a distogliere il suo, allontanandosi per primo verso l'uscita, impassibile.

Subito qualcosa mulinò nella mente della donna. Chi era quell'uomo? E per quanto l'aveva fissata? Durante il viaggio, come suo solito, aveva dato libero sfogo ai suoi pensieri e aveva prestato decisamente scarsa attenzione alla gente che aveva intorno. Aveva guardato, adocchiato, è vero, ma niente di così profondo da farle rizzare i peli sulla nuca. Sembrava semplice routine, come sempre, un semplice viaggio in metropolitana come migliaia prima d'ora, ma quell'uomo aveva cambiato le carte in gioco.

Nathaniel dovette prenderla per mano per evitare che strattoni, spinte e mani lunghe dei numerosi pervertiti che sostavano nel treno potessero allontanare da sé la distratta Rachel, lo sguardo fisso avanti, movimenti meccanici ad accompagnare la sua uscita dal treno. Il giovane di Liverpool dovette dar fondo alla sua auto-disciplina per non balzare alla gola dei maniaci che tentavano di allungare la mano verso il fondoschiena della bionda poliziotta, limitandosi a spingerle vie nell'istante stesso in cui queste comparivano.

«Grazie.» Soffiò ora nuovamente consapevole la donna, adocchiando colpevole l'alto Nat, tenendogli la mano e guardandosi un attimo indietro, poi avanti, alla ricerca dell'uomo che a lungo l'aveva fissata in treno.

Nat non rispose, si limitò a infilare la mano destra nella tasca del giaccone in pelle, la sinistra stretta a quella della poliziotta londinese, il passo svelto che lei a fatica riusciva a mantenere.

«C'era qualcuno che mi fissava in treno, Nat. Me ne sono accorta solo mentre stavamo uscendo.»

«Il solito porco dalla mano facile.» Concluse con un certo risentimento, mentre imboccavano le scale mobili che portavano all'uscita dalla stazione.

«Ti dico che c'era qualcosa di strano in quello sguardo! E poi è sparito, dileguato non appena ho posato io stessa lo sguardo su di lui.»

«Falla finita Rachel, sta diventando un'ossessione.»

Rachel ammutolì, tornando a fissare la gente avanti a loro, la scala mobile che li trasportava in alto.

I successivi venti minuti passarono così, con Nat visibilmente rabbuiato, evidentemente provato dalle fantasie di Rachel e dalla fatica di tenerla al sicuro da figuri poco raccomandabili, laconico e schivo, e la donna che provava a mettere insieme, ancora una volta, i pezzi ingarbugliati del puzzle, scompigliati dall'arrivo di nuovi pezzi i cui dentini scombinavano l'ordine raggiunto, esigendo una nuova collocazione, una nuova disposizione.

Kellie-Smith Mansion era isolata dal resto della città, per entrarvi bisognava varcare i cancelli che delimitavano la proprietà privata a circa un miglio di distanza in linea d'aria, seguendo un sentiero battuto che si inoltrava tra alti alberi di larice, cipresso e salice disseminati lungo una distesa lussureggiante di cespugli di rose, di bacche e amenità simili, senza che potesse mancare il classico prato inglese ben curato ove, inoltre, poggiavano statue di diversa foggia e dimensione, rappresentanti svariati soggetti di origini palesemente cristiane. I due si limitarono ad osservare con distaccata curiosità quel che avevano intorno, adesso ambedue silenziosi e con la mente rivolta a quel che si sarebbe detto nell'atrio della villa. Trascorse un'altra manciata di minuti prima che la coppia raggiungesse l'ingresso dell'imponente villa, una costruzione circondata da un giardino immenso, con una fontana al momento spenta, decorata con dovizia dirimpetto all'ampio portone in legno verniciato. Sulla soglia sostava un gruppetto nutrito di gente, e non mancavano le telecamere dei giornalisti, tanto numerosi da risultare un fastidioso surplus in quella situazione. Non appena Greg Hawthorne li vide giungere, interruppe la sua conversazione con quello che pareva l'ispettore della polizia scozzese, dirigendosi a grandi passi verso Rachel e Nathaniel, facendo segno ad una ragazza di bassa statura, dai fluenti capelli biondi ed il volto sbarazzino di seguirlo.

«Ce ne avete messo di tempo, maledizione!» Esordì, sistemandosi la calata del cappello da golf dal motivo a quadri grigi e blu, i lunghi capelli rossi legati in una arruffata coda di cavallo, la sua tipica espressione stralunata dipinta sul volto pallido, segnato da una spruzzata abbondante di efelidi e da due enormi occhi azzurri.

«Che fine hai fatto ieri sera?» Rispose Rachel, un velo di risentimento che ora animava il suo volto delicato. Hawthorne aprì la bocca per rispondere, ma fu anticipato dal pronto saluto della donna alle sue spalle, che nel frattempo li aveva parimenti raggiunti.

«Buongiorno. Dovete essere Rachel Fraser e Nathaniel Rogers. Sono Evelyn McGonagall, avrete già sentito parlare di me dai vostri superiori.» Fece rapida, un sorriso cordiale ad animare il volto rotondo, la tipica inflessione delle Lowlands ed un tono professionale, a dispetto della corta gonna di cotone scuro e del décolleté generoso che si apriva sulla camicia bianca. Avanzò sicura una mano, che a turno, Nat e Rachel strinsero con scarsa convinzione, ricambiando il saluto ed annuendo.

La poliziotta londinese decise di rimandare a un altro momento il mezzo battibecco che aveva intenzione di affrontare con Greg, lasciando che i due li accompagnassero all'ingresso, distante circa trenta metri.

«Quali sono i dettagli dell'omicidio?» Esordì finalmente Nat, ammantato nei suoi silenzi fino a quel momento.

Nuovamente, Greg fece per aprir bocca e partire con le sue tipiche imprecazioni esplicative, ma Evelyn lo anticipò ancora, dando dimostrazione di essere pronta e scattante e di meritarsi l'incarico, a dispetto della scarsa fiducia riposta nella esordiente dai due appena giunti.

«Il soggetto corrisponde a Sir Flavio Domiziano Kellie-Smith, trentadue anni, celibe. Ha ereditato la villa dai potenti ed anziani genitori scomparsi anni or sono e vive con i domestici. Ha cambiato da due anni nome all'anagrafe, prima era conosciuto come Arthur Percival William Kellie-Smith. Dirigeva una azienda di produzione ed esportazione di abbigliamento in filo di Scozia e deteneva una cospicua quota di mercato della multinazionale Nike. Era solito passare giorni interi nelle sue stanze, a cui era vietato l'accesso ai domestici, e non era inusuale vederlo trincerato in un silenzio immotivato anche per lunghe settimane. Il corpo è stato ritrovato questa mattina, quando i domestici, preoccupati, hanno usato la universale per aprire le sue stanze. Il decesso è stato ipotizzato essere avvenuto intorno a quattro giorni fa.»

La McGonagall terminò il suo monologo improvvisamente, la voce aveva mantenuto la stessa inflessione per due minuti abbondanti, prima di smorzarsi e spegnersi quando il gruppo aveva ormai raggiunto l'ingresso.

Hawthorne la guardò a bocca aperta, limitandosi a concludere con uno stranito «... Esattamente, diamine.», mentre per Rachel e Nathaniel fu sufficiente annuire una volta ancora. Erano tesi ad immagazzinare quante più informazioni era possibile, pertanto nutrivano davvero scarso interesse nell'approfondire la comica relazione che Greg ed Evelyn avevano sviluppato da quando si erano conosciuti. Tanto più, credevano a ragion veduta che un tipetto così pepato potesse soltanto essere d'accordo con loro, in quel momento.

«Ispettore Naysmith, la squadra investigativa è ora al completo.» Soggiunse la McGonagall autoritaria. L'ispettore era un uomo pasciuto dagli ampi baffi a ventaglio, sudaticcio ma saldo nello sguardo e nella postura. Voltandosi, saltò a pié pari qualsiasi convenevole, giungendo subito al nodo focale della situazione senza girarci intorno.

«Ferite da pugnale ai polsi ed alle caviglie, una singola perfetta incisione a croce su fronte, labbra e mento, morto dissanguato. La porta non era forzata, supponiamo si tratti di suicidio.»

«Ma Usher ci ha riferito di un omicidio, come può essere?» Intervenne Rachel, scrutando con i suoi occhi verdi quelli castani dell'ispettore.

«Era la nostra prima ipotesi, poiché è una pratica inusuale e bizzarra per commettere un gesto tanto azzardato. Ma i domestici ci hanno riferito che le finestre erano integre e la porta è stata aperta unicamente da uno di loro nel momento del ritrovamento del cadavere. »

«Parleremo con loro più tardi, ora ispezioniamo le sue stanze, queste telecamere mi innervosiscono.» Sibilò a denti stretti Nat, e fu il primo a chiedere permesso per entrare nella immensa casa e ad indossare i guanti in lattice della scientifica. Uno dei domestici che era nelle vicinanze, un uomo alto, completamente calvo e dal naso affilato, si offrì di accompagnarli nelle stanze.

«Non avevamo mai visto cosa contenessero quelle stanze, signori. Pare essere morto su un altarino di marmo, accanto alla sua figura immersa nel sangue vi era un lungo pugnale istoriato.» Parlava nervosamente, la voce strozzata, quasi fosse timoroso di quello che stava rievocando. Deglutì un paio di volte, ricacciando le lacrime che offuscavano il suo sguardo, avanzando a capo del gruppetto.

«Povero povero signore... Come può aver riservato Dio un destino tanto orribile ad una persona così speciale? » Fece, mentre salivano un'ampia e sontuosa scalinata rivestita di velluto rosso, dai corrimani in marmo candido. Anche l'interno della casa era disseminato di statue di santi e di rappresentazioni di scene provenienti dalla cultura cristiana, tutti di pregevole fattura. Nathaniel parve infastidito dalla figura del domestico, a cui rivolse un'occhiata in cagnesco che a Rachel non passò inosservata. A parte il servitore, che disse di chiamarsi Thomas Gravehill, sul resto del gruppo gravava il silenzio accorto tipico di chi è in prossimità di un luogo importante, o di un evento rilevante. Come se lentamente gli aggrovigliati fili della matassa del caso andassero sciogliendosi, uno dopo l'altro. La porta della stanza era spalancata, una porta di legno scuro, decorata con filigrane d'oro, in fondo al corridoio del terzo piano. Era l'unica, evidentemente per fornire ai domestici un chiaro avvertimento. L'interno era illuminato solo da alcune basse candele in appositi candelieri sulla scrivania a ridosso della parete di sinistra, ornata con quadri appartenenti ancora una volta alla tradizione cristiana. Vi era una croce romana oltre l'altarino, ove grumi di sangue disegnavano la macabra scritta “Fratres, agnoscamus peccata nostra, ut apti simus ad sacra mysteria celebranda.“ lungo l'intero asse verticale.

Thomas rimase in silenzio oltre la porta, invitando gli investigatori a fare il loro ingresso. Immediatamente si separarono, ognuno si diresse verso una delle pareti. A Rachel toccò il muro dirimpetto l'altare e la croce. Gravava un'atmosfera inquietante in quella stanza dalle pareti rosso sangue, come se serpeggiasse tra loro un pericolo insano, sottile, velato. Suggestionata dalle sue fantasie, la poliziotta londinese dovette abbassare lo sguardo sull'altare per non incontrare gli occhi dei dipinti, che parevano scrutarla severamente nel profondo dell'animo, sondando il suo essere con l'austerità del passato. Si sforzò di rivolgere al cadavere le prime attenzioni. Era riverso sul ventre, poggiato scompostamente sull'altarino in marmo dalle candele bianche spente e talvolta spezzate contro il corpo di Kellie-Smith. Attorno alla sua figura esanime un bagno di sangue, e le ferite sulla pelle diafana che scintillavano oltre i pantaloni e la giacca. L'espressione sul viso era già quella del rigor mortis, impossibile stabilire se il trapasso era stato doloroso e lento o rapido e fugace. Su di lui poteva controllare poco, la scientifica doveva aver già prelevato il contenuto della giacca, per questo sorpassò il giovane scozzese dalla incipiente calvizie per rivolgere l'attenzione altrove. Appoggiò il corpo sulle ginocchia flesse, lasciando vagare lo sguardo sulla croce prima, intimorita da quella scritta vergata con sangue presumibilmente umano. Scosse il capo, come a scacciare cattivi pensieri che si stavano impadronendo della parte più debole di lei, e si voltò per ispezionare l'altare, su cui il turibolo era poggiato. La fiamma all'interno del braciere pareva essersi spenta da non più di qualche ora, e doveva essere quello il motivo per cui l'aria era gravida dell'odore di incenso arso.

«Doveva essere uno di quei convintissimi bigotti, per la miseria. Che Gesù lo abbia punito per tanta devozione?» Tentò di stemperare l'atmosfera Hawthorne, accompagnando la frase con una mezza risata mentre apriva cassetti ed ispezionava il loro contenuto con attenzione. Nessuno recepì il messaggio, erano tutti troppo occupati a fare il loro lavoro.

Il pugnale era di quelli da cerimonia, il pomolo e l'elsa tempestati di gemme e rivestiti d'oro puro, la lama sottile ma decisamente affilata, poiché Rachel lanciò un gemito quando passò inesperta ed impacciata il pollice sul filo della lama, recidendo il lattice del guanto bianco e compromettendo ora irrimediabilmente quella prova, affrettandosi ad estrarre un fazzoletto dalla tasca della giacca per avvolgervi il dito sanguinante. Una goccia del liquido ematico tuttavia sfuggì alla presa della donna, andando a infrangersi sul piattone della lama che la donna aveva abbandonato. Questa aggrottò la fronte, stranita, rivolgendo a uno qualsiasi degli dei tutt'oggi oggetto di culto una sonora imprecazione mentale mentre una lettera si materializzava sull'acciaio, lì dove il sangue aveva intaccato l'arma.

«Tutto bene?» Nathaniel si era nel frattempo avvicinato all'altra, accortosi del taglio che la donna si era procurata. Lo sguardo corse sulla lama.

«Sì, sì... Ma guarda.» La sua attenzione era tutta rivolta alla lama. Avvicinò il volto ad essa mentre teneva il pollice sanguinante nel fazzoletto, e Nat fece lo stesso.

«Qui non c'è un cavolo di niente, maledizione. Ehi, che avete trovato?» Hawthorne si gettò verso di loro, puntando gli occhi dove Nat e Rachel li stavano puntando. Alcune lettere, lontane fra loro, erano comparse: “CID” era quello che si poteva desumere leggendole in successione dall'elsa alla punta.

«La scientifica probabilmente ci ammazzerà, ma ormai la prova è contaminata e serve per le nostre indagini. Tanto le loro analisi le hanno già fatte.» Sussurrò Nathaniel mentre disperdeva il sangue lungo l'intera superficie della lama, lasciando che intaccasse il metallo per intero. In breve tempo, la scritta “PICKLEWICK AND DAVENCROFT” comparve sotto il loro naso.

«E in questa libreria potrebbe esserci qualcosa che ci interessa... » Evelyn trasse un grosso e vecchio volume dalla rilegatura in pelle. Non aveva titolo.

   
 
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