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Autore: __deep    13/03/2013    1 recensioni
Giorgio di Maio alla voce. Francesco Saracini alla chitarra. Damiano Martini alle pelli. Giulia Scorsino al basso. Also known as, gli Wave.
Cinque giorni. Cinque capitoli. Un locale. Una sfida:
Pentacontest.
(dedicato ai quattro sozzi sopra citati, un gruppo di amici)
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Once upon a time... Pentacontest Days

Capitolo II

Giorgio di Maio alla voce. Francesco Saracini alla chitarra. Damiano Martini alle pelli. Giulia Scorsino al basso.
Also known as, gli Wave.
Cinque giorni. Cinque capitoli. Un locale. Una sfida.
Pentacontest.

-- DISCLAIMER! --
Non tutto ciò che è narrato qui è riconducibile a verità: gli Wave non si sono di certo formati così; Giorgio NON fuma; Damiano non ha mai suonato il basso (o forse sì? lo sa solo lui); e tante altre stronzate che ho scritto ispirandomi a Jack Frusciante è uscito dal gruppo sono riconducibili a puttanate che ho inventato al momento.

# Boh

Sistema il microfono, Giorgio.
La puzza acre di fumo del piccolo locale riempie le sue narici.
Sputa a terra.
Stridio del microfono.
«Il pezzo che facciamo...»
Silenzio totale
«Il pezzo che facciamo è una cover...»
Colpo di tosse tipico del fumatore incallito da parte di qualcuno delle ultime file. Il tecnico dell'audio sbaglia a settare le chitarre e si sente un fischio.
«Tonight, tonight degli Smashing Pumpkins, e noi siamo gli Outsiders.»
Un tizio barcollante sale sul palco, afferra il microfono e fa con voce alticcia
«Outsiders, Tonight, tonight, con il numero 16, qui al Pentacontest!»
Un applauso? Neanche a pagarli.
Un signore in prima fila rutta.
Saracini fissa Damiano, che fissa Scorsino (e le sue tette?), che fissa Di Maio, che fissa il vuoto davanti a lui.
SOL maggiore con rabbia.
E sono lì, forse per la prima volta davanti ad una sfida vera, gli Outsiders.
Lo fanno, il pezzo, discretamente. L'hanno provato due volte.
Alla fine del brano Damiano si permette pure l'assolo ai tamburi (finezza romanaccia senza eguali, giusto per dire).
«...believe in me as I believe in you tonight...»
Giorgio chiude con stile.
Non ha cantato con la sua solita enfasi – comprensibile, davanti tutta quella gente – ma non ha stonato. Può dirsi pure soddisfatto.
Un ciccione in prima fila fa scattare l'applauso. Lo appoggiano convinti una coppia di fattoni in piedi al bancone mentre limonano, un ragazzo sulla ventina dal fondo della sala ed un adolescente sbarbatello seminascosto dalla folla nel suo metro e settanta stentato.
Nessun altro.
Il tizio barcollante ricompare per magia ed afferra il microfono, che prontamente gli scivola via dalle mani.
La puzza di whiskey impregna l'olfatto di Giorgio.
«Questi erano gli Outsiders! Se volete che passino» singhiozzo che interrompe la frase a metà «votate il numero sedici! Grazie ragazzi.»
Damiano batte sul rullante ed esce di scena, afferrando il giubbotto di pelle nera e scomparendo dietro le quinte. Lo seguono a ruota Giulia – che stacca il jack del basso con violenza per lanciarlo via – e Francesco – che non si cura neanche di riporre accuratamente i pedali della chitarra nelle loro custodie. Ultimo, e forse pure per importanza, Giorgio da' un calcio a una lattina di birra da discount sul palco e se ne va sbraitando.
Le urla del pubblico accolgono un nuovo gruppo.
Bestemmiando fra sé e sé, Damiano ascolta la presentazione del nuovo gruppo capendoci qualcosa che c'entra con pop, perché no?, Filippo, poi si rituffa nella sua serie di imprecazioni da corte dell'Inquisizione.
«Non ci ha cagato un cazzo di nessuno.»
«Non è vero, Damiano.»
«Certo Giulia, c'hai proprio ragione. Abbiamo fatto un successone, vero? C'è gente che ci chiede gli autografi e roba del genere, eh? Guarda, se aguzzo la vista c'è pure qualcuno che ti chiede di dargliela!»
«DAMIANO!»
«Se posso dire la mia» fa Saracini sbucando dalle quinte con la solita custodia grossa il doppio di lui fra le mani «non è andata tanto male. Qualcuno ci ha applaudito, almeno.»
«Mister Giamaica e mistress Colombia, il Campione della Prova del Cuoco ed il miglior frequentatore di Youporn, che grande pubblico che c'hanno, sti Outsiders!»
«Era la nostra prima uscita al pubblico, Damon, che pretendevi?»
«Qualche apprezzamento, magari.»
«Ma facciamo alternative rock, amico! Non senti quelle pecore come applaudono davanti ai poppettini? Dieci a uno che coverizzano Rihanna.»
«E noi gli Smashing Pumpkins.»
«Almeno noi facciamo buona musica.»
«Ma falliamo, Francè! Falliamo e basta! Quattro-schifose-persone. Perché!?»
«Sta' calmo, Damiano, ti ripeto che è la prim- Oh, guarda, c'è Giorgio!»
Saracini si interrompe da solo. Giorgio sbuca dietro le quinte incazzato nero, glielo si legge in faccia. Sputa a terra. Fissa gli altri.
Senza parlare, così, lo sguardo cupo, li squadra uno ad uno, come se fossero estranei catapultati in quella realtà da chissà che altra dimensione.
Fissa Damiano negli occhi, lo fulmina con lo sguardo. Rabbia, solo rabbia nei suoi occhi.
«A casa mia, fra mezz'ora. Vado a piedi. Punto.»
Giorgio da' un calcio alla porta sul retro del Pentatonic e scompare sotto la pioggia.
Damiano lancia uno sguardo perplesso agli altri due, che si guardano i piedi.
Sanno tutti e tre quello che Giorgio avrà da dirgli. Sanno che non sarà nulla di buono.
«Andiamo?»
«Andiamo.»

# Mezz'ora dopo, circa, casa Di Maio

Bussa alla porta, Damiano.
Dietro di lui, Giulia e Francesco si stringono sotto un misero ombrello raccattato da un tunisino fuori Termini, per tre euro.
Passano i secondi, nulla. Rumore di passi. Catena che si toglie. Cardini che cigolano. Giorgio compare davanti ai tre.
Maglia impregnata d'acqua, faccia nera di rabbia, sigaretta in bocca.
Visione biblica.
Giorgio apre, i quattro si riuniscono e siedono alla tavola romboidale di casa Di Maio.
«Gli Outsiders non hanno più motivo di esistere.»
Sentenza inamovibile. Bam!, come un colpo al cuore, una martellata sui coglioni peggio della notizia di una Scorsino fidanzata, un fulmine a ciel (non tanto) sereno.
Giorgio scrolla via la cenere della sigaretta sul pavimento in moquette.
«Perché!?»
E' la prima cosa che riesce a dire Saracini, colto evidentemente da uno shock.
«Perché siamo dei falliti, e basta. Senza tutto il rispetto.»
«Giorgio, era la prima apparizione, dovrai capire che...»
«Basta, stop, Francesco, i tuoi discorsi non mi mettono nel sacco. Sei un bravo oratore, ma sotto sotto non riesci a ragionare. Dove cazzo vuoi andare con quattro persone al tuo seguito?!»
«Giorgio, tu eri il primo a parlare di Smashing Pumpkins e partire dal basso...»
«MA NOI NEL BASSO CI SIAMO FINITI! Non mi aspettavo delle folle faraoniche, ma almeno un cazzo di applauso, capite!?»
«No che non capiamo!»
«Bene, allora se non capite sarò io a spiegarvelo meglio. Esco dagli Outsiders. Formate un gruppo senza di me, se ci tenete allo spettacolo. E vaffanculo a tutti.»
«Giorgio...»
«Se voleste uscire fuori da casa mia, prego...»
«GIORGIO!»
«Niente cazzi, Damiano, voglio stare da solo.»
Damiano si alza, sputa a terra sulla cenere della sigaretta e va via sbattendo la porta.
Giulia e Francesco lo seguono a ruota. Senza neanche salutare.
Giorgio si chiude nella sua stanza.
Butta la sigaretta a terra, ancora accesa.
Grida.

# Una via Venti Settembre quasi deserta, mezzanotte e un quarto

Damiano è solo. Si sente da schifo.
Un attimo prima: palco, musica, grancassa & rullante a 120 bpm, birra fredda gentilmente (ma neanche tanto) offerta dal Pentatonic, amici. Giulia che lo tiene per mano. Un attimo dopo: solitudine.
Via Venti Settembre non gli è mai piaciuta, a lui.
Troppo lunga, troppo dispersiva.
Ma quella sera è quasi deserta. Come se si fosse accorta del desiderio di Damiano di restare solo, e si fosse scrollata di dosso tutta la gente che ne inquina i marciapiedi.
Solitudine & sassofono.
Ha un sassofono appresso, Damiano.
Non sa neanche lui perché. Tornato a casa, ha preso il suo sassofono ed il suo impermeabile sfondato ed è uscito senza neanche salutare.
Metro, fermata, sigarette, metro, fermata, paio di birrette dal kebbabbaro del cazzo giù al Colosseo, metro, Barberini, via XX Settembre. Cronaca di una notte insonne.
Si appoggia alla colonna di un palazzo del cazzo che sta all'angolo con via Salandra. La via più inutile di tutto il Lazio.
Non c'è nessuno, in quella via. Ed anche se ci fosse qualcuno, non si vergognerebbe lo stesso a fare quello che sta per fare.
Suona.
Così, per le strade di Roma a mezzanotte passata, suona.
Suona per sfogarsi.
Suona per sfogare tante cose.
La delusione con Giulia, prima di tutto.
Canzone d'amore.
Ma la rabbia per l'esclusione dal contest, anche quella.
Canzone d'amore con note tristi.
Ce l'ha lì, la canzone, gli si formano le note in mente.
Terza media, iPod, gite sul lago di Garda. E' da lì che va a pescare quella maledetta canzone. Prime cotte. Sì, sì, è quella.
Ad orecchio la improvvisa.
Romeo and Juliet, Dire Straits.
«A lovestruck Romeo, sings a streetlight serenade...»
Non può cantare, ovviamente, ma la voce bassa di Knopfler sembra entrargli nelle orecchie come ai tempi dell'mp3 sulla riva del lago.
«...laying everybody low with the love song that he made...»
In quelle note di sassofono ci mette tutta la sua passione. Tutta l'incazzatura, tutta l'ansia, tutto l'amore, tutta – tutto.
«...he finds a streetlight, he steps out of the shade...»
La melodia è dolce e risuona nel silenzio di via XX Settembre. L'eco la diffonde rapidamente fra le finestre anodizzate e fra i portoni semichiusi del quartiere.
Solo gli uccelli lo ascoltano sognare.
«Says something like...»
«...you and me babe, how about it?»
Quello che non ti aspetti.
Sapete, no, quando stai facendo una cosa e sai già come andrà a finire?
Ecco, e sapete quando proprio ad un certo punto avviene una cosa inaspettata, che stravolge tutto quello che stai facendo? In meglio, o in peggio, non importa, ma la stravolge lo stesso?
E' la stessa identica cosa.
Damiano sa che la voce di Mark Knopfler è solo evocata dalla sua mente, che Knopfler è probabilmente a tirarsi su una sega di metà pomeriggio su un divano da qualche parte su a Glasgow, lo sa.
Ma Damiano sa che la voce angelica che ha appena completato il verso che lui stesso suonava nel silenzio è più che reale. E che è lì, vicino a lui, la fonte di quel canto soave.
Se la ritrova davanti, così, come se la conoscesse da sempre, questa ragazza.
«Ti prego, continua...»
Senza neanche essersene accorto, Damiano si è fermato.
Ricomincia più piano. Accompagna con un dolce movimento ogni singola nota.
«You and me, babe, how about it?»

# Sulle sponde del Tevere, notte fonda

Giorgio si alza da terra e spegne l'ultima sigaretta del pacchetto.
Ha la camicia sporca di terra.
Se la straccia di dosso e la getta nel fiume del cazzo che scorre davanti a lui.
Si toglie le cuffie che pompano a palla i Joy Division e cerca nella sua giacca: niente. Il pacchetto di Dunhill l'ha appena finito, e non ne ha altre.
Nessun altro stecchetto cancerogeno da portare ai polmoni.
Poi le sue dita incontrano un sacchetto. Quel sacchetto.
Ricordi.
Damiano che caccia l'erba, Damiano che «Se vinciamo al Pentacontest ce la fumiamo tutta in una sera, che ne dici?», Damiano che «Tienila un attimo tu, per favore», Damiano che «Porcoddio dove ho messo l'erba?», Giorgio che «No non l'hai mica data a me, ti sbagli», Giorgio che se la ficca in tasca, Giorgio che la ritrova qualche ora dopo.
Fine dei ricordi.
Giorgio apre la bustina e la cannabis quasi gli cade per terra.
Attimo di riflessione.
Estrae le cartine dalla tasca.
Ce le ha lì, perché ce le ha lì?
Le ha prese quasi meccanicamente, eppure lui fuma sigarette, non rolla.
Damiano che prende la sua giacca, Damiano che «Vado a Trastevere e torno!», Damiano che «Oh, tutto apposto, Saracio viene alle prove domani!», Damiano che posa la sua giacca.
Damiano.
Damiano che come un coglione lascia erba e cartine nella giacca del proprio migliore amico.
Messaggio subliminale? Forse.
Ma Giorgio, con il cervello spappolato e la coscienza andata a puttane, non è che sta molto a pensarci su.
Cartina. Erba. Rolla. Filtro messo storto ed alla cazzo di cane. Accendino. Giù col primo tiro.
Non fuma mai erba, Giorgio.
Non è il tipo da farlo.
Non è neanche il tipo da fumare in generale, a dire il vero, ma vuoi che Damiano iniziò e vuoi che un tiro tira l'altro, c'ha preso pure il vizio e non riesce manco più a toglierselo.
Il fumo è aspro. Tira ancora.
E' incazzato nero.
Non con Giulia, o Francesco, o Damiano, che – poveri Cristi in croce – si sono dovuti anche subire la sua sfuriata post-incazzatura suprema. No.
E' incazzato con la società romana di merda.
Quella società che l'ha portato a prendere ad insulti i propri amici per una sfida del cazzo fra band del cazzo. In un locale del cazzo. In una città (quasi) del cazzo.
Quella società musicalmente retrograda che continua a preferire i pezzi di Rihanna a quelli degli Smashing Pumpkins.
La canna è già finita.
Altra erba, altra carta, un altro filtro sistemato alla meno peggio, la fiammella scalda di nuovo l'estremità dello spinello.
«Servirebbe qualcosa da bere», pensa.
Alza il culo, lascia lì sui bordi del Tevere chitarra, giacca, sacco a pelo e tutto il resto e si infila nel primo locale squallido che riesce a scorgere davanti a sé.

# Stesso luogo, diversi minuti dopo

Ritorna lì dopo qualche minuto, Giorgio.
Fra le mani: un cartone di birra Finkbrau scadente, una vodka liscia a temperatura ambiente ed una bottiglia d'assenzio.
Baudelaire gli fa un baffo, in pratica.
La chitarra è ancora lì, nota con piacere.
Non che tema particolarmente il furto della sua Eko da 35 euro comprata nel primo negozio di merda a San Giovanni, anzi, ma una notte da passare sulle sponde del Tevere è meno insonne se si ha una chitarra con sé, no?
Sì, è così, ha in pratica deciso di fuggire di casa per una notte, Giorgio.
I genitori sono in viaggio, e lui ha decisamente bisogno di tagliare un po' la corda.
Fissa le acque luridi, fangose e ripugnanti del Tevere.
Ci sputa dentro.
Quel fiume ha visto passare Giulio Cesare e poi Traiano, fra le sue acque.
Ed ora? La saliva di Giorgio di Maio, cantante fallimentare degli Outsiders.
Decadenza.
Un'onda.
Porta via lo sputo fresco che fino a poco prima galleggiava fra il lerciume.
Un'onda che scorre.
Panta rei.
Tutto scorre, pensa Giorgio.
Quell'onda, la sua saliva, quella dopo ancora, la sua rabbia, il proprio odio, e l'onda ancora successiva.
L'acqua che ha visto passare Giulio Cesare non è la stessa che ha visto passare Traiano, che non è la stessa che ha visto passare gli sputi rabbiosi di Giorgio.
Sarebbe scorso anche quel brutto periodo? Sicuramente.
Un'onda.
Un'altra.
Cullano una ad una le sue teorie, le onde.
Onda.
Wave.
Si alza di scatto, Giorgio, e spegne l'ennesimo spinello fra il terriccio lercio ed acquoso della sponda del Tevere. La bottiglia d'assenzio mezza vuota cade e si rovescia malamente sul terreno.
La serata è piatta. Non c'è vento. Anche le onde del fiume sembrano leggere.
Il fumo aleggia tutt'intorno la sua testa. Sale lentamente.
Il suoi occhi notano ogni dettaglio, ogni particolare. Sembra un sogno quasi lucido.
Prende la chitarra. Il manico di legno scadente è freddo a contatto con le sue mani bollenti di ira, collera, ed alcol in circolo nelle vene.
Mi minore. Cupo, come il cielo di Roma alle tre del mattino.
Sol. Limpido, come il liquido verdastro appena rovesciato sull'erba.
Mi minore di nuovo. Ancora più cupo in contrapposizione con l'altro accordo.
La. Deciso. Forte. Duro.
Mi, sol mi, la, mi, sol, mi, la mi sol mi la mi sol mi la misolmilamisolmilamisolmilamisolmilamisolmilamisolmilami- una litania: a ripetizione, questi accordi risuonano nella testa di Giorgio.
Posa la chitarra. La stende sul dorso.
Forse qualche corda si rompe, non sa dirlo neanche lui, ma non gliene frega nulla.
Carta e penna alla mano, fra il fumo e l'odore d'assenzio nell'aria: scrive.
Scrive di tutto ciò che non ha potuto dire fino a quel momento. La sua frustrazione assurda, è tutta lì, dentro quella penna che scorre sul foglio di carta a quadretti stracciato per caso dall'inutile quaderno di fisica.
Un foglio, poi due.
Parole su parole, cancellature, scarabocchi, correzioni, ed ancora parole, che si sovrappongono, si elidono a vicenda, e sputano disappunto, sputano schifo e tormento, sputano ira, collera, impeto, sputano odio verso la società moderna dei giovani romani del cazzo.
Sbuca il sole.

# Casa Scorsino, poco dopo il Pentacontest

«Perché non eri sotto il palco?»
Voce decisa. Dura. Tradisce la rabbia.
«Te l'ho detto, Giù, è l'università! La settimana prossima ho il secondo esame, e dovevo prepararmi!»
«Perché non mi hai avvisata?»
«Oh, andiamo, perché avrei dovut-»
«PERCHE' NON MI HAI AVVISATA?»
Silenzio.
«Ti hanno visto. Giù, a Spazio 900, con la tettona del quinto anno.»
«Giulia, io...»
«Sta' zitto. STA' ZITTO! ABBIAMO PERSO, IO AVEVO BISOGNO DI TE, E TU FICCAVI LA LINGUA IN GOLA A QUELLA TROIA! CHE RAZZA DI UOMO SEI?»
«Posso spiegarti...»
«TU NON MI SPIEGHI UN CAZZO DI NIENTE, MARCO, SONO IO CHE TI SPIEGO QUALCOSA: ABBIAMO CHIUSO! CHIU-SO! LEVATI DALLE PALLE!»
«Giulia...»
«Riprenditi il tuo cazzo di anello, se ti piace così tanto! Glielo puoi ficcare al dito di quell'altra, se è così bella, no? VA' DA LEI E NON FARTI PIU' VEDERE!»
Gli scaglia con rabbia l'anello sul volto. Marco si graffia. Un po' di sangue cola dal suo zigomo.
Giulia sbatte la porta con forza. Chiude a chiave. Spegne le luci.
Si stende sul letto e piange dolore.

# Casa Saracini

E' steso sul letto, Francesco.
Pensa.
Non decadentemente, come Giorgio; né tristemente, come Damiano; né rabbiosamente, come Giulia. Razionalmente, pensa lui.
Analizza i fatti. Uno ad uno.
La sconfitta, l'esclusione, la rabbia di tutti. La collera di Giorgio e la furia di Damiano. La propria apparente calma esteriore contrapposta ad un dispiacere interiore.
Sa già che sarà una di quelle serate difficili da digerire. Persino per lui, che ha uno stomaco abituato a mandar giù serate di solitudine ed angoscia.
Si è accorto anche dell'interesse di Damiano verso Giulia, lui.
Non è uno stupido, affatto. Anzi, è una persona dalle spiccate capacità intellettive. Così hanno detto i professori ai colloqui di metà anno, almeno.
Intelligenza, sì, ma alla fin fine... gli ha portato qualcosa, quest'intelligenza?
Amici? Poco e nulla.
Non che all'Infernetto ci sia questa grande movida notturna, per dire, ma comunque non ha stretto molte amicizie al di fuori dei quattro ragazzetti del quartiere e dei pochi amici alle medie ed al liceo.
Ragazze? Manco a parlarne.
Per quanto lui non si consideri estremamente bello, né attraente, nessuna ragazza si è mai sentita attratta dalla sua personalità, dal suo charme, dal suo fascino da chitarrista punkrockmetalbluesjazztantialtrigenerisconosciutialleorecchieumane.
Non ci soffre molto, Francesco, alla fin fine.
Ci ha fatto l'abitudine.
Però questa faccenda, l'idea di Giulia e Damiano insieme, voglio dire, ha riportato alla sua mente questa questione.
Riuscirà a trovare una ragazza prima del conseguimento della maggiore età? (ebbene sì, pensa proprio queste parole: troppi CCCP, pensa)
Riuscirà a trovare qualche amicizia veramente salda, lì, a Roma?
Non lo sa neanche lui.
A dir la verità, si è scocciato.
Si è scocciato di tutte queste domande, si è scocciato di subire sempre passivamente, si è scocciato e basta.
Vuole prendere per la prima volta in mano la sua vita.
Versa il whiskey nel bicchiere.
Beve alla sua salute.

Fine del capitolo 2

   
 
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