V
Un Ispettore
di polizia sull’attenti
Ci sono due
categorie umane che sono accomunate, a volte, da una stessa condizione: la
condizione è quella di risvegliarsi improvvisamente dopo ore senza avere il
minimo ricordo di quel che si è fatto in quel lasso di tempo o di come ci si
sia addormentati, e le categorie umane sono quella degli ubriachi e quella
delle persone fortemente provate da un tormento; entrambi questi tipi, seppure
per motivi diversi, agiscono come in sonno finché il sonno vero non ne ha pietà
e scende su di loro a raccoglierli con braccia compassionevoli.
Posto che Javert non era ubriaco, doveva appartenere per forza alla
seconda categoria, e quando si risvegliò si ritrovò nella stessa situazione
della sera prima: in maniche di camicia, in un letto che non era il suo, in una
camera che non era la sua. Solo la luce del sole che filtrava dalle persiane
indicava che era passato del tempo e che la notte intera era ormai trascorsa
per lasciare il posto ad un nuovo giorno.
Javert lasciò
andare un gran sospiro.
Da quanto
tempo era a letto? Non lo sapeva. Come ci era arrivato? Lo ignorava.
Della nottata
trascorsa gli restava solo un’impressione vaga, che date le circostanze era
affatto strana e quanto mai fuori luogo: era una sensazione come di sollievo.
Gli pareva
di respirare più liberamente dopo che… si fermò interdetto.
Dopo cosa?
L’ultima cosa che ricordava chiaramente era di essersi accasciato a terra e di
aver levato il lamento “sono un miserabile” come un’estrema confessione di
colpa, ma dopo? Perché, nonostante la disperazione che ricordava di aver provato,
adesso si sentiva il petto come liberato di un gran peso?
Certo, solo
un uomo poteva avere la risposta, Jean Valjean.
A quel
pensiero provò uno strano sobbalzo dietro lo sterno, che lo incuriosì e gli
fece formulare in maniera confusa questo pensiero “Toh, guarda un po’! Dentro
di me c’è qualcosa di vivo, qualcosa che palpita e trema… che sarà mai?”
Si portò una
mano aperta sul petto e per la prima volta in vita sua prestò attenzione al suo
cuore che batteva.
Che strana
cosa, scoprire di avere un cuore!
Restò un po’
a contemplare quel miracolo, poi però ricordò a chi era che doveva essere
riconoscente se aveva ancora la possibilità di viverlo e si alzò di scattò.
Si rivestì
in fretta, si ravviò i capelli ed uscì dalla stanza.
La casa in
Rue de l’Homme-Armé era molto più modesta di quella
in Rue Plumet, che già non era un’abitazione di
lusso, e si articolava tutta su un piano anzi che su due.
Javert si trovò in
un corridoio che continuava tutto alla sua destra, lo imboccò deciso e, alla
prima svolta, rischiò di sbattere addosso proprio a Valjean.
:-Ah,
Ispettore, siete voi! Come state? Non vi sarete alzato senza prima di esservi
ripreso del tutto, spero-:
C’era, nel
tono di Valjean, un misto di preoccupazione e di
bonario rimprovero.
:-Non dovete
preoccuparvi per me, adesso sto bene. Ma… che ore sono? Mi sembra di aver
dormito per dei giorni!-:
:-Oh, no,
non giorni, Javert, solo ore. Sono passate da un po’
le nove del mattino. Io e mia figlia abbiamo appena finito di fare colazione,
volete mangiare anche voi qualcosa? Prego, da questa parte-:
Senza
spettare una vera risposta Valjean fece strada e Javert lo seguì docile, con uno strano sentimento di
fiducia.
Arrivati
sulla soglia della stanza da pranzo Valjean si fermò
e bussò discretamente alla porta prima di fare un passo dentro.
:-Cosette,
bambina mia, c’è una persona che devo presentarti-:
L’Ispettore
trasalì. Cosette! La bambina scomparsa da Montfermeil,
la figlia adottiva di Valjean, che aveva rischiato la
sua vita per risparmiarle un dolore.
Entrò nella
sala un po’ in imbarazzo, combattuto tra l’obbedire all’istinto del poliziotto
di osservarla con fare indagatore e l’obbedire alla convenzione sociale che
impone ad un uomo di mantenere più distanza possibile tra se ed una donna
appena conosciuta.
:-Ispettore,
questa è mia figlia Cosette. Cosette, questi è l’Ispettore capo Javert -:
La ragazza
si era già alzata da tavola, e poiché era stata presentata per prima, fece per
prima un grazioso inchino dicendo :-Sono onorata di fare la vostra conoscenza-:
L’Ispettore
si inchinò a sua volta con rispetto, una mano dietro la schiena e l’altra al
petto.
:-L’onore è
mio, Mademoiselle-:
Cosette si
rivolse a Valjean.
:-Papà…-:
iniziò, poi, ricordandosi che erano in presenza di un estraneo, si corresse
:-Padre, adesso vorrei ritirarmi in camera mia, se permettete-:
:-Ma certo,
tesoro, vai pure-:
Le disse Valjean con affetto.
Lei fece un
timido sorriso, si inchinò di nuovo ad entrambi ed uscì dalla stanza.
Javert era senza
parole. Dunque era quella Cosette! Figlia di una prostituta ed allevata da un
ladro, la bambina che aveva creduta rapita trascinata in chissà quale sordido
bassofondo era in realtà una composta signorina borghese, dai modi garbati e
dall’educazione impeccabile.
Non appena
Cosette si fu ritirata, Javert si voltò verso Valjean con un’aria infinitamente contrita.
:-Perdonatemi,
Monsieur Valjean. Io devo delle scuse a vostra
figlia, vogliategliele porgere voi da parte mia dopo che sarò uscito da casa
vostra-:
Valjean lo guardò
sconcertato.
:-Delle
scuse? A Cosette? Ma l’avete a malapena vista!-:
:-Sì, è
vero, ma la disprezzavo ingiustamente per le sue origini. Come disprezzavo
ingiustamente sua madre. Come disprezzavo ingiustamente voi-:
Si fermò ad
occhi bassi aspettando una reazione.
In verità
pareva che aspettasse il permesso di Valjean anche
solo per tirare il fiato.
:-Accetto le
vostre scuse nome di mia figlia. E vi ringrazio per essere stato sincero, non
ve ne farò una colpa per aver pensato male dal momento che vi siete accorto del
vostro errore ed avete voluto farne ammenda. Sapete, Javert,
credo che voi siate ancora troppo severo con voi stesso. Adesso volete
sedere?-:
Javert sedette a
tavola, e dall’altro lato sedette Valjean.
:-Prego,
Ispettore, servitevi. Mi scuserete se non mangio anche io, ma, come credo di avervi già detto, ho fatto
colazione prima. Spero che non vi dispiaccia se nel frattempo leggo il
giornale-:
Javert sentiva che
non avrebbe potuto toccare neanche una briciola di quel pane.
L’uomo più
anziano aveva cominciato a sfogliare le pagine in un tranquillo silenzio, a Javert invece quel silenzio pesava sul cuore, lo sentiva
premere, opprimerlo, togliergli il fiato.
:-Siete
libero-:
Disse in
fretta, spezzando il silenzio come un sasso infrange una vetrata.
Valjean alzò la
testa, negli occhi un’espressione indefinibile di sorpresa e di gioia.
:-Io sono…
avete detto che sono…-:
Ansimò
incredulo.
Javert annuì. Per
l’ultima volta stava impersonando la Legge, quello era il suo ultimo atto da
poliziotto nei confronti di Valjean.
La mano si
era aperta, stavolta per sua volontà, ed aveva lasciato andare il condannato
che aveva stretto tanto a lungo.
:-Siete
libero, Monsieur Valjean. Io non posso… ah, e va
bene, diciamolo pure! Io non voglio arrestarvi!-:
Dall’altro
lato del tavolo pareva che Valjean trattenesse il
fiato.
:-Quindi non
tornerò in cella… non tornerò ai lavori forzati… Grazie, Ispettore-:
Javert si schermì
da quei ringraziamenti che non sentiva di meritare.
:-Non mi
dovete ringraziare. Sarei una bestia se vi arrestassi, e non solo perché vi
devo la vita, ma anche perché…-:
Si
interruppe. La frase avrebbe dovuto continuare con “siete un santo”, ma non si
sentì di andare avanti.
:-Ma non
avrete dei guai per questo? Se lasciate andare un ricercato sarete considerato
mio complice. Pensateci bene, Ispettore…-:
:-Ci ho già
pensato. Io sono l’unico a sapere chi siete veramente, e se io manterrò il
segreto nessun altro avrà mai motivo di cercare Jean Valjean.
E poi, se mai doveste essere riconosciuto, c’è a vostro favore un mio rapporto
a Monsieur Gisquet in cui gli ho spiegato come mi
avete salvato la vita. Vi farà ottenere, se non la grazia, almeno molte
attenuanti. Inoltre vi prego di non chiamarmi Ispettore. È un titolo che non mi
appartiene più-:
Javert aveva
parlato con un tono definitivo, come se stesse dettando le sue ultime volontà.
In effetti,
dopo la sua decisione di non denunciare Valjean non
si sentiva di restare nella polizia, soprattutto non con un grado elevato, ma
allora che fare della sua vita?
Mentre si
poneva questa domanda i suoi occhi divennero opachi e spenti, come se stessero
guardando di nuovo le acque torbide sotto al ponte Notre Dame.
Era così
immerso nei suoi pensieri che non si accorse che Valjean
lo stava chiamando.
:-Javert!-:
Quel tono
improvvisamente imperioso lo fece trasalire.
Si voltò e Valjean era in piedi accanto a lui, con un’espressione così
severa che provò in petto un brivido di timore.
Si alzò
anche lui ma non riuscì a sostenere lo sguardo dell’altro, che sembrava leggere
fino in fondo alla sua anima.
:-Javert, non starete pensando di togliervi la vita per
lasciare andare me? È così, non è vero?-:
L’ormai ex
ispettore di polizia ebbe un sussulto.
Come aveva
fatto quell’uomo a scoprire una cosa che lui aveva pensato solo per un istante?
Rimase in
silenzio a testa bassa, in un atteggiamento di colpevole ammissione, e allora Valjean lo scosse quasi con violenza.
:-E allora
ascoltate, Javert! Io vi ho salvato la vita e adesso
voglio una ricompensa per questo!-:
:-Ditemi
cosa volete-:
Rispose
piano.
Valjean lo lasciò
andare e riprese a parlare.
:-Voglio da
voi una promessa, Javert. Giurate che, quali che siano
le difficoltà che la sorte vi metterà davanti, voi non penserete mai più di
togliervi la vita. Questa notte quando vi siete ferito ho davvero avuto paura,
e se Dio non voglia vi fosse successo qualcosa di peggio me ne sarei sentito
responsabile come se vi avessi ucciso io stesso. Pensateci bene, Javert, la vita è la sola cosa che noi davvero possediamo,
e per quanto a volte sembri dura, addirittura insostenibile, c’è sempre la
possibilità che un giorno possa cambiare. Ho la vostra parola che non proverete
mai più a farvi del male?-:
Valjean lo scrutava
con gravità e con una certa dose di preoccupazione, e Javert
per un attimo provò qualcosa di simile alla vergogna sotto quello sguardo,
mista ad un sentimento di devozione quasi religiosa per quell’uomo che faceva
di tutto per salvarlo da se stesso.
Si sentì
attraversare da una scossa che gli fece drizzare la schiena, rialzare la fronte
e gli riaccese gli occhi di una luce nuova.
Riprese il
portamento marziale che lo aveva sempre accompagnato e, a testa alta e sguardo
fiero, fece la sua promessa.
:-Monsieur Valjean, voi volete che io viva? Sta bene. Giuro che
conserverò con cura la vita che voi mi avete restituito per due volte e che la
vivrò con tutta la dignità che mi sarà possibile-:
Aveva
pronunciato il suo giuramento con una solennità militare e con l’intenzione di
rispettarlo come un ordine impartitogli dal Padreterno in persona.
In effetti era
avvenuto uno strano mutamento nell’animo inflessibile dell’Ispettore.
Egli era
dotato per carattere di una lealtà feroce, e poiché questa già dalla sera prima
era rimasta orfana della sua divinità, la Legge, adesso cercava disperatamente
qualcosa di superiore a cui consacrarsi, altrimenti avrebbe perso il suo senso
di esistere.
Javert faceva
parte di quella specie di uomini che, un po’ per indole, un po’ per abitudine, hanno
bisogno, per così dire, di un altare presso cui inginocchiarsi, e quell’altare lui
lo aveva trovato nella maestà morale di Jean Valjean.
Era come
l’ago di una bussola attirato per lungo tempo verso un falso Nord da un pezzo
di ferro, e che ora, tolto l’inganno, ritrovava improvvisamente la giusta
direzione verso cui orientarsi.
Cantuccio dell’Autore
Sono
d’obbligo dei ringraziamenti!
A chi ha
messo la storia nelle preferite o nelle seguite e a chi ha recensito.
Grazie per
aver avuto la pazienza di sopportare lo stile retorico ed i contenuti drammatici
della letteratura romantica non solo sui banchi di scuola!
Questo è il
penultimo capitolo, anzi a proposito di capitoli ho bisogno che mi aiutiate a
risolvere un mistero: nel terzo capitolo ci sono 28 visualizzazioni, mentre nel
quarto ce ne sono 36, quindi otto di più. Quello che mi chiedo io è come può
essere che in un capitolo che sta dopo ci sono più visualizzazioni che in
quello che viene prima.
Mistero
della fede…?
Makoto