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Autore: Smeralda Elesar    13/03/2013    3 recensioni
Questa fiction è una What-if incentrata sul personaggio dell'Ispettore Javert subito dopo la sua decisione di lasciare libero Jean Valjean, dopo che questi gli aveva salvato la vita alle barricate. Ne "les Miserables" il Libro Secondo della parte quinta si conclude con il suicidio dell'Ispettore di polizia, questa fiction è un ipotetico terzo libro in cui si racconta cosa avrebbe fatto Javert se le sue riflessioni non lo avessero spinto a gettarsi dal Ponte Notre Dame.
Dal testo-
Quando Valjean aveva detto “perdono” quella parola aveva vibrato dentro di lui in tutta la sua luce.
Proprio come quando una gelida lastra di vetro investita da un getto di acqua bollente si spacca in mille pezzi, così quella parte dell’animo di Javert che ancora resisteva al cambiamento, quella che era ancora severa e sorda alla pietà, a contatto con il calore umano di quella parola, si spezzò di schianto ed egli crollò su se stesso gemendo :-Ah! Sono un miserabile!-:
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Javert, Jean Valjean
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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V

Un Ispettore di polizia sull’attenti

 

Ci sono due categorie umane che sono accomunate, a volte, da una stessa condizione: la condizione è quella di risvegliarsi improvvisamente dopo ore senza avere il minimo ricordo di quel che si è fatto in quel lasso di tempo o di come ci si sia addormentati, e le categorie umane sono quella degli ubriachi e quella delle persone fortemente provate da un tormento; entrambi questi tipi, seppure per motivi diversi, agiscono come in sonno finché il sonno vero non ne ha pietà e scende su di loro a raccoglierli con braccia compassionevoli.

Posto che Javert non era ubriaco, doveva appartenere per forza alla seconda categoria, e quando si risvegliò si ritrovò nella stessa situazione della sera prima: in maniche di camicia, in un letto che non era il suo, in una camera che non era la sua. Solo la luce del sole che filtrava dalle persiane indicava che era passato del tempo e che la notte intera era ormai trascorsa per lasciare il posto ad un nuovo giorno.

Javert lasciò andare un gran sospiro.

Da quanto tempo era a letto? Non lo sapeva. Come ci era arrivato? Lo ignorava.

Della nottata trascorsa gli restava solo un’impressione vaga, che date le circostanze era affatto strana e quanto mai fuori luogo: era una sensazione come di sollievo.

Gli pareva di respirare più liberamente dopo che… si fermò interdetto.

Dopo cosa? L’ultima cosa che ricordava chiaramente era di essersi accasciato a terra e di aver levato il lamento “sono un miserabile” come un’estrema confessione di colpa, ma dopo? Perché, nonostante la disperazione che ricordava di aver provato, adesso si sentiva il petto come liberato di un gran peso?

Certo, solo un uomo poteva avere la risposta, Jean Valjean.

A quel pensiero provò uno strano sobbalzo dietro lo sterno, che lo incuriosì e gli fece formulare in maniera confusa questo pensiero “Toh, guarda un po’! Dentro di me c’è qualcosa di vivo, qualcosa che palpita e trema… che sarà mai?”

Si portò una mano aperta sul petto e per la prima volta in vita sua prestò attenzione al suo cuore che batteva.

Che strana cosa, scoprire di avere un cuore!

Restò un po’ a contemplare quel miracolo, poi però ricordò a chi era che doveva essere riconoscente se aveva ancora la possibilità di viverlo e si alzò di scattò.

Si rivestì in fretta, si ravviò i capelli ed uscì dalla stanza.

La casa in Rue de l’Homme-Armé era molto più modesta di quella in Rue Plumet, che già non era un’abitazione di lusso, e si articolava tutta su un piano anzi che su due.

Javert si trovò in un corridoio che continuava tutto alla sua destra, lo imboccò deciso e, alla prima svolta, rischiò di sbattere addosso proprio a Valjean.

 

:-Ah, Ispettore, siete voi! Come state? Non vi sarete alzato senza prima di esservi ripreso del tutto, spero-:

 

C’era, nel tono di Valjean, un misto di preoccupazione e di bonario rimprovero.

 

:-Non dovete preoccuparvi per me, adesso sto bene. Ma… che ore sono? Mi sembra di aver dormito per dei giorni!-:

 

:-Oh, no, non giorni, Javert, solo ore. Sono passate da un po’ le nove del mattino. Io e mia figlia abbiamo appena finito di fare colazione, volete mangiare anche voi qualcosa? Prego, da questa parte-:

 

Senza spettare una vera risposta Valjean fece strada e Javert lo seguì docile, con uno strano sentimento di fiducia.

Arrivati sulla soglia della stanza da pranzo Valjean si fermò e bussò discretamente alla porta prima di fare un passo dentro.

 

:-Cosette, bambina mia, c’è una persona che devo presentarti-:

 

L’Ispettore trasalì. Cosette! La bambina scomparsa da Montfermeil, la figlia adottiva di Valjean, che aveva rischiato la sua vita per risparmiarle un dolore.

Entrò nella sala un po’ in imbarazzo, combattuto tra l’obbedire all’istinto del poliziotto di osservarla con fare indagatore e l’obbedire alla convenzione sociale che impone ad un uomo di mantenere più distanza possibile tra se ed una donna appena conosciuta.

 

:-Ispettore, questa è mia figlia Cosette. Cosette, questi è l’Ispettore capo Javert -:

 

La ragazza si era già alzata da tavola, e poiché era stata presentata per prima, fece per prima un grazioso inchino dicendo :-Sono onorata di fare la vostra conoscenza-:

 

L’Ispettore si inchinò a sua volta con rispetto, una mano dietro la schiena e l’altra al petto.

 

:-L’onore è mio, Mademoiselle-:

 

Cosette si rivolse a Valjean.

 

:-Papà…-: iniziò, poi, ricordandosi che erano in presenza di un estraneo, si corresse :-Padre, adesso vorrei ritirarmi in camera mia, se permettete-:

 

:-Ma certo, tesoro, vai pure-:

 

Le disse Valjean con affetto.

Lei fece un timido sorriso, si inchinò di nuovo ad entrambi ed uscì dalla stanza.

Javert era senza parole. Dunque era quella Cosette! Figlia di una prostituta ed allevata da un ladro, la bambina che aveva creduta rapita trascinata in chissà quale sordido bassofondo era in realtà una composta signorina borghese, dai modi garbati e dall’educazione impeccabile.

Non appena Cosette si fu ritirata, Javert si voltò verso Valjean con un’aria infinitamente contrita.

 

:-Perdonatemi, Monsieur Valjean. Io devo delle scuse a vostra figlia, vogliategliele porgere voi da parte mia dopo che sarò uscito da casa vostra-:

 

Valjean lo guardò sconcertato.

 

:-Delle scuse? A Cosette? Ma l’avete a malapena vista!-:

 

:-Sì, è vero, ma la disprezzavo ingiustamente per le sue origini. Come disprezzavo ingiustamente sua madre. Come disprezzavo ingiustamente voi-:

 

Si fermò ad occhi bassi aspettando una reazione.

In verità pareva che aspettasse il permesso di Valjean anche solo per tirare il fiato.

 

:-Accetto le vostre scuse nome di mia figlia. E vi ringrazio per essere stato sincero, non ve ne farò una colpa per aver pensato male dal momento che vi siete accorto del vostro errore ed avete voluto farne ammenda. Sapete, Javert, credo che voi siate ancora troppo severo con voi stesso. Adesso volete sedere?-:

 

Javert sedette a tavola, e dall’altro lato sedette Valjean.

 

:-Prego, Ispettore, servitevi. Mi scuserete se non mangio anche io,  ma, come credo di avervi già detto, ho fatto colazione prima. Spero che non vi dispiaccia se nel frattempo leggo il giornale-:

 

Javert sentiva che non avrebbe potuto toccare neanche una briciola di quel pane.

L’uomo più anziano aveva cominciato a sfogliare le pagine in un tranquillo silenzio, a Javert invece quel silenzio pesava sul cuore, lo sentiva premere, opprimerlo, togliergli il fiato.

 

:-Siete libero-:

 

Disse in fretta, spezzando il silenzio come un sasso infrange una vetrata.

Valjean alzò la testa, negli occhi un’espressione indefinibile di sorpresa e di gioia.

 

:-Io sono… avete detto che sono…-:

 

Ansimò incredulo.

Javert annuì. Per l’ultima volta stava impersonando la Legge, quello era il suo ultimo atto da poliziotto nei confronti di Valjean.

La mano si era aperta, stavolta per sua volontà, ed aveva lasciato andare il condannato che aveva stretto tanto a lungo.

 

:-Siete libero, Monsieur Valjean. Io non posso… ah, e va bene, diciamolo pure! Io non voglio arrestarvi!-:

 

Dall’altro lato del tavolo pareva che Valjean trattenesse il fiato.

 

:-Quindi non tornerò in cella… non tornerò ai lavori forzati… Grazie, Ispettore-:

 

Javert si schermì da quei ringraziamenti che non sentiva di meritare.

 

:-Non mi dovete ringraziare. Sarei una bestia se vi arrestassi, e non solo perché vi devo la vita, ma anche perché…-:

 

Si interruppe. La frase avrebbe dovuto continuare con “siete un santo”, ma non si sentì di andare avanti.

 

:-Ma non avrete dei guai per questo? Se lasciate andare un ricercato sarete considerato mio complice. Pensateci bene, Ispettore…-:

 

:-Ci ho già pensato. Io sono l’unico a sapere chi siete veramente, e se io manterrò il segreto nessun altro avrà mai motivo di cercare Jean Valjean. E poi, se mai doveste essere riconosciuto, c’è a vostro favore un mio rapporto a Monsieur Gisquet in cui gli ho spiegato come mi avete salvato la vita. Vi farà ottenere, se non la grazia, almeno molte attenuanti. Inoltre vi prego di non chiamarmi Ispettore. È un titolo che non mi appartiene più-:

 

Javert aveva parlato con un tono definitivo, come se stesse dettando le sue ultime volontà.

In effetti, dopo la sua decisione di non denunciare Valjean non si sentiva di restare nella polizia, soprattutto non con un grado elevato, ma allora che fare della sua vita?

Mentre si poneva questa domanda i suoi occhi divennero opachi e spenti, come se stessero guardando di nuovo le acque torbide sotto al ponte Notre Dame.

Era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse che Valjean lo stava chiamando.

 

:-Javert!-:

 

Quel tono improvvisamente imperioso lo fece trasalire.

Si voltò e Valjean era in piedi accanto a lui, con un’espressione così severa che provò in petto un brivido di timore.

Si alzò anche lui ma non riuscì a sostenere lo sguardo dell’altro, che sembrava leggere fino in fondo alla sua anima.

 

:-Javert, non starete pensando di togliervi la vita per lasciare andare me? È così, non è vero?-:

 

L’ormai ex ispettore di polizia ebbe un sussulto.

Come aveva fatto quell’uomo a scoprire una cosa che lui aveva pensato solo per un istante?

Rimase in silenzio a testa bassa, in un atteggiamento di colpevole ammissione, e allora Valjean lo scosse quasi con violenza.

 

:-E allora ascoltate, Javert! Io vi ho salvato la vita e adesso voglio una ricompensa per questo!-:

 

:-Ditemi cosa volete-:

 

Rispose piano.

Valjean lo lasciò andare e riprese a parlare.

 

:-Voglio da voi una promessa, Javert. Giurate che, quali che siano le difficoltà che la sorte vi metterà davanti, voi non penserete mai più di togliervi la vita. Questa notte quando vi siete ferito ho davvero avuto paura, e se Dio non voglia vi fosse successo qualcosa di peggio me ne sarei sentito responsabile come se vi avessi ucciso io stesso. Pensateci bene, Javert, la vita è la sola cosa che noi davvero possediamo, e per quanto a volte sembri dura, addirittura insostenibile, c’è sempre la possibilità che un giorno possa cambiare. Ho la vostra parola che non proverete mai più a farvi del male?-:

 

Valjean lo scrutava con gravità e con una certa dose di preoccupazione, e Javert per un attimo provò qualcosa di simile alla vergogna sotto quello sguardo, mista ad un sentimento di devozione quasi religiosa per quell’uomo che faceva di tutto per salvarlo da se stesso.

Si sentì attraversare da una scossa che gli fece drizzare la schiena, rialzare la fronte e gli riaccese gli occhi di una luce nuova.

Riprese il portamento marziale che lo aveva sempre accompagnato e, a testa alta e sguardo fiero, fece la sua promessa.

 

:-Monsieur Valjean, voi volete che io viva? Sta bene. Giuro che conserverò con cura la vita che voi mi avete restituito per due volte e che la vivrò con tutta la dignità che mi sarà possibile-:

 

Aveva pronunciato il suo giuramento con una solennità militare e con l’intenzione di rispettarlo come un ordine impartitogli dal Padreterno in persona.

In effetti era avvenuto uno strano mutamento nell’animo inflessibile dell’Ispettore.

Egli era dotato per carattere di una lealtà feroce, e poiché questa già dalla sera prima era rimasta orfana della sua divinità, la Legge, adesso cercava disperatamente qualcosa di superiore a cui consacrarsi, altrimenti avrebbe perso il suo senso di esistere.

Javert faceva parte di quella specie di uomini che, un po’ per indole, un po’ per abitudine, hanno bisogno, per così dire, di un altare presso cui inginocchiarsi, e quell’altare lui lo aveva trovato nella maestà morale di Jean Valjean.

Era come l’ago di una bussola attirato per lungo tempo verso un falso Nord da un pezzo di ferro, e che ora, tolto l’inganno, ritrovava improvvisamente la giusta direzione verso cui orientarsi.

 

 

Cantuccio dell’Autore

 

Sono d’obbligo dei ringraziamenti!

A chi ha messo la storia nelle preferite o nelle seguite e a chi ha recensito.

Grazie per aver avuto la pazienza di sopportare lo stile retorico ed i contenuti drammatici della letteratura romantica non solo sui banchi di scuola!

Questo è il penultimo capitolo, anzi a proposito di capitoli ho bisogno che mi aiutiate a risolvere un mistero: nel terzo capitolo ci sono 28 visualizzazioni, mentre nel quarto ce ne sono 36, quindi otto di più. Quello che mi chiedo io è come può essere che in un capitolo che sta dopo ci sono più visualizzazioni che in quello che viene prima.

Mistero della fede…?

 

                                                        Makoto

 

 

 

   
 
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