Era agosto.
La città si
inchinava alla notte, profonda e sincera.
La brezza serale correva tra
le foglie, creando fruscii morti.
Anche la luna sembrava sul punto di spegnersi, lasciandomi
solo a fissare il viale.
Mi sembrava che tutto fosse
stato cancellato : i sogni, i desideri, le speranze.
Era rimasto un vile
contenitore senz’ anima al centro di un destino privo
di significato.
Non ero ne
vivo ne morto. Perché proprio a me? Perché proprio io
dovevo subire questa ingiusta tortura?
Non trovai mai la risposta.
Ero come un sacco da box che incassa i colpi senza poter reagire. Come una bambola a cui puoi staccare le gambe per gioco.
Potevo solo sperare nella
morte, ma la morte mi rubava solo il 90% della vita, lasciandomi soffrire come
mai nessuno aveva sofferto.
Ora, come ogni
notte di luna piena, lui appare rendendomi incapace di distogliere gli occhi,
per non vedere il sangue che cola dalle vene, incapace di tapparmi le orecchie
per non sentire gli ultimi urli straziati di un uomo, incapace di chiudermi il
naso, per non sentire ancora una volta l’odore della carne umana putrefatta.
E io non potevo fare niente, solo
osservarlo impotente mentre divorava gli uomini che non superavano il test per
vivere sulla terra. Infiniti spiriti che provano ad accedere
a una vita che in realtà è un’ immensa tortura. Quando uno spirito supera il
test si impossessa della vita dell’ uomo da lui
scelto. Avrei tanto voluto che uno di quegli spiriti si impossessasse
di me e mi liberasse da quella tortura, ma mai nessuno riusciva a uccidere il
falciatore.