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Autore: ripple    13/03/2013    6 recensioni
Avete presente il mondo di Percy Jackson? Ok, certo che si.
Ora, vi ricordate come finisce la prima serie? Si? Bene, perché è da lì che tutto parte, per la precisione due anni dopo.
Immaginate che Percy abbia una sorella con una storia un po' strana e misteriosa. Sorella da parte di padre, ovviamente.
Vi potrebbe interessare? Dai, allora: leggete, leggete, e fatemi sentire la vostra voce! (vale a dire, recensite)
NON TENGO IN CONSIDERAZIONE LA SECONDA SERIE, E NON PROVATE A SPOILERARMI NIENTE, VISTO CHE ANCORA NON L'HO LETTA!
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Figlia di Poseidone ψ


Capitolo 4
E adesso una bella gita al Campo.

 

Strinsi tra le mani la tazza bollente di camomilla, soffiandoci sopra e lasciando che il caldo e piacevole vapore mi invadesse il viso.
Forse mi stavo finalmente rilassando.
– Così… adesso ho anche un fratello – Per parlare non alzai nemmeno la testa. Ero sicura che se l’avrei fatto sarei di nuovo scoppiata a piangere. Evidentemente la tensione non era passata come speravo.
– Be’, diciamo che sarei più un fratellastro, ma dopotutto non cambia più di tanto, giusto? Voglio dire… ci possiamo chiamare come ci pare, ma alla fine conta solo come ci sentiamo, quindi.... Ecco… – Mi fece sorridere per quel suo modo impacciato di parlare. Mi piaceva, e mi stava simpatico, al contrario di qualcun altro che si era dimostrato non avere un minimo di sensibilità.
Poi un dubbio fece capolino nei miei pensieri. – Ce ne sono anche altri? Di… – Capì al volo.
– Sì, o almeno… cioè, sì. Ma… no, a dire il vero, di semidei ci siamo solo… ecco, solo noi due. Poi però ci sono anche altri fratellastri di natura… un po’ diversa dalla nostra.
– Del tipo?
– Ehm, non so… ciclopi, per esempio – Devo essere impallidita o aver fatto un espressione strana, perché riprese subito il discorso. – Ma sono molto simpatici! Ce n’è uno in particolare, Tyson, l’ho conosciuto per la prima volta qualche anno fa, quando ero ancora un ragazzino. Lui sì che è un fratellastro-ciclope modello!
Risi per la stranissima situazione familiare in cui mi ritrovavo e per allentare la tensione.
– Parlami di te – Stavolta mi rivolsi a lui guardandolo in faccia.
– Veramente… devo dire che non mi piace molto parlare di me stesso.
– Devo dire che ci assomigliamo, da questo punto di vista. – Gli sorrisi. Che bello avere un fratellastro, anzi, fratello, che possa capirmi. Mi sentii davvero sollevata. Bevvi la prima sorsata di camomilla e subito me ne pentii.
Se magari avessi soffiato un altro po’ non sarebbe stato male.
Percy iniziò a ridere e in breve tempo ne fui contagiata anch’io. Poi, senza smettere di sorridermi, mi toccò un fianco con una leggerezza infinita, e mi sussurrò: – Che ne dici, ti va di tornare di là? Credo che Rick e Barbara ci stiano aspettando con ansia.
Oh, già. Me ne stavo per dimenticare.
Acconsentii piano col capo, ma prima dovevo togliermi un’altra curiosità: – Perché mi stavate cercando? E perché proprio adesso?
– Nulla di personale, stiamo solo cercando di chiamare a raccolta tutti i semidei sparsi per il mondo.
– Mondo? Tu di dove sei, scusa?
– Manhattan, perché?
– E come facciamo a capirci? Io so a malapena chiedere ‘come stai’ in inglese!
– Penny, noi mezzosangue non abbiamo bisogno di essere nati nello stesso posto e aver studiato e parlato la stessa lingua per capirci, ne abbiamo una tutta nostra, di lingua. – Lo guardai scettica. – Non so spiegartelo bene… È strano, ma è così.
Ci pensai su per un po’. – Okay, okay. Poi… un’altra cosa – In campo di curiosità io ero al primo posto nella classifica “Ottieni più informazioni possibili in meno tempo possibile”. Non riuscivo a contenermi, davvero. Le domande mi apparivano in testa e io, senza pensarci, le facevo uscire dalla bocca. Non so se questo sia un difetto o meno. Non credo. Spero di no. – Quanti anni hai? – Ecco, questo era solo uno sfizio che dovevo togliermi. Per sicurezza gli sorrisi, non si mai.
– Diciotto. – Ricambiò il sorriso.
Figo. Avevo un fratello maggiorenne.
Uscimmo dalla mia camera con le mie spalle avvolte da un suo braccio e io che reggevo e in contemporanea continuavo a soffiare sulla camomilla che non voleva sentir ragioni di abbassare la propria temperatura. Pazienza. Tanto non mi andava più.
Entrammo in cucina e appena mia madre ci vide, smise di tagliare le patate - faceva sempre così quando era nervosa - e mi venne in contro, abbracciandomi.
– Amore. Come ti senti? Stai meglio? – Non faceva che sorridermi, quindi, per paura che si preoccupasse ulteriormente, ricambiai l’affetto, mollando la tazza a Percy, che mi diede conferma del fatto che fosse ancora bollente.
– Sì, stai tranquilla, mamma. Ero solo un po’ scossa, ma ora è passato. Ti voglio bene. – Dopo le ultime tre parole mi strinse ancora più forte. – Ma’. Credo di poter respirare sott’acqua, ma alle tue strette soffocanti non so se resisto più di tanto.
Mia madre per tutta risposta si staccò da me e mi afferrò le braccia. – A proposito di respirare sott’acqua! Percy, credo proprio che tu debba portare al più presto la signorinella qui presente a fare una nuotatina. Tanto per… prendere confidenza con il suo elemento. – Mi fece l’occhiolino, ma questo non mi impedì di sbiancare totalmente. Se per ‘nuotatina’ intendeva scendere negli abissi più profondi del mare, allora avrei preferito cambiare nome, paese e far finta di non avere nessun super potere.
– Mamma – biascicai. – Sai benissimo che io non…
– Ne sarei davvero felice! La prima, vera immersione di Penelope Gray. Non sei eccitata? – Ah. Allora stavano così le cose. Non posso scappare un momento di casa che mia madre chiama il mio fratellastro per farmi calmare, e come se non bastasse gli rivela anche la mia più profonda paura. Anzi, chiamiamolo pure terrore.
– Forse sarebbe meglio se prima la portiamo al Campo, non dite? – Una voce, di cui conoscevo fin troppo bene il proprietario, mi fece prendere uno spavento, mandandomi a sbattere contro Percy, che quasi rovesciò l’infuso che aveva ancora in mano.
– Rick! Ma quando diavolo smetterai di apparire dal nulla? – sbottò Percy.
– Non sono io che appaio dal nulla, siete voi che non fate attenzione a quello che vi succede intorno. – replicò lui con nonchalance. – Tu, piuttosto – disse rivolgendosi a me. – Se ti azzardi a riscappare via in quel modo, ti giuro che ti fulmino viva. Non hai idea di quanto hai fatto preoccupare tua madre. E anche me, se proprio vuoi saperlo. Là fuori è ancora pieno di mostri che non vedono l’ora di incrociare una bella, appetitosa, ma soprattutto indifesa mezzosangue come te. Ma questo non riesci proprio a capirlo. L’unico modo che ci era rimasto per ritrovarti è stato chiamare Percy e chiedergli di venire subito qui dal Campo, che è in America, spiegandogli brevemente cosa fosse successo. Grazie a Zeus esiste una persona sulla faccia della Terra che riesce a capire o minimamente pensare come te.
Restammo in silenzio per un po’, io trattenendo a stento la rabbia.
– Hai finito la predica, Piccolo Tuono?
Non sembrò offendersi e non diede segno di scomporsi nell’udire quel soprannome che quella stessa mattina gli avevano affibbiato i nostri cari amici Lestrigoni.
– Sì, Testuggine di Mare. – Ah, no! Testuggine di mare, no!
Senti – Avevo intenzione di partire a raffica elencandogli tutti i difetti di lui che non sopportavo - come se avrebbe cambiato qualcosa - ma una figura che mi bloccò completamente la vista me lo impedì. Percy, per cortesia, spostati. Cercai di inviargli telepaticamente, mentre lo fissavo negli occhi.
Ma lui mi ignorò e disse: – Niente litigate, grazie.
– Non era una litigata – ribattei io. – Stavamo semplicemente discutendo animatamente.
Rick fece capolino da un fianco di Percy. – Tu, stavi discutendo animatamente. Io mi limitavo a guardarti mentre ti agitavi come una foca infestata dalle pulci.
Ora basta, pensai, ha oltrepassato il limite.
Il mio sguardo finì sul rubinetto della cucina. Perfetto.
Cercando di non dare nell’occhio, concentrai tutte le mie forze sull’acqua che si trovava nel tubo, e pensai di farle pressione, fino a farla schizzare fuori dalla sua prigione e di far finire il getto dritto in faccia ad una persona in particolare.
E ci sarei anche riuscita, se solo Percy non avesse colto la mia strana indifferenza alla provocazione di Rick. Infatti allungò una mano verso il lavabo, e in me che non si dica smise subito di tremare.
– Penny. – Mi guardò fisso negli occhi, ma non sembrava arrabbiato. Più un rimprovero da fratello maggiore a sorella minore. E pensando così, mi venne da ridere. In meno di tre secondi iniziò anche lui, mentre mia madre e Rick ci guardavano come se fossimo pazzi.
Credo proprio che non si siano accorti di niente.
 

***

 
– Okay. Quindi, ricapitolando: entriamo in acqua insieme, e poi, senza fretta, iniziamo a camminare lungo il fondale. E, sempre molto lentamente, andiamo a largo – Dire che ero tesa come una tavola da surf era dire niente. Dire che non vedevo l’ora di entrare in acqua è come dire che gli elefanti piacerebbe andare a cena con i topolini tutte le sere. Una presa per il culo. Cercai lo sguardo rassicurante di mio fratello, e non solo lo trovai, ma mi prese anche per mano. – Ecco, bravo. Tienimi per mano e non t’azzardare a lasciarmi, chiaro?
Lui mi sorrise a trentadue denti, facendomi l’occhiolino. – Cristallino. – Mi feci scappare una risata, perché con la faccia che aveva fatto sembrava davvero un bambino piccolo che portava la mamma a vedere la sua prima recita. Era il ragazzo più tenero del pianeta, a parer mio. E per farmi pensare una cosa del genere, o mi minacciavi con la pistola puntata sulla tempia, o dovevi essere proprio una grande persona.
Presi tanto coraggio e un bel respiro e misi il primo piede in acqua. Era tiepida. Okay, un problema in meno.
Ora il secondo.
– Sei proprio sicuro che non ci siano granchi, eh? O magari meduse... Sai, non ci tengo per nulla a finire elettrizzata da dei molluschi semitrasparenti e viscidi.
Mi stinse più forte la mano. – Penny, non c’è niente di cui preoccuparsi. Sei o non sei la figlia del dio del mare? Non dovresti avere così paura di due goccioline…
– Due goccioline??! Percy, ma ti rendi conto che ad ogni passo rischi di finire attanagliato, morso, elettrizzato o che so io da un mostro marino?! Il mare è la prigione delle paure più terrificante che esista! Piena di trappole e creature spaventose!
Alle mie parole Percy scoppiò in una fragorosa risata, senza preoccuparsi minimamente dello sguardo con cui stavo cercando di ucciderlo.
– Scusa. È che… Penny, ma guarda che stai veramente esagerando. Il mare è la cosa più bella che esista, e tu la stai trasformando in un terrore vivente. Come fa a non incantarti tutto questo? – Alzò un braccio, indicandomi l’orizzonte. Era davvero spettacolare. Le prime luci dell’alba si riflettevano sul pelo dell’acqua, che era perfettamente immobile.
– Ma Percy – inizia io con tono dolce. – Io amo il mare, da questo punto di vista. È quello che c’è sotto, che mi preoccupa!
– Allora è meglio se facciamo scomparire questa paura il più presto possibile… – Mi rivolse uno sguardo che inizialmente non seppi interpretare, ma quando finalmente lo capii, era troppo tardi. – Senza aspettare un secondo di più. – Appena finita la frase, fece scivolare un braccio dietro le mie ginocchia, e con l’altro mi resse sotto le ascelle. Così, mentre io urlavo in preda al terrore, Percy correva in acqua tenendomi in braccio.
Riaprii gli occhi solo quando fui certa di poter veramente respirare, ma non mi staccai neanche minimamente dall’abbraccio di Percy. Sarei rimasta così per altri dieci minuti, se non mi avesse mandato un messaggio telepaticamente. Evidentemente i figli di Poseidone sott’acqua posso fare queste cose.
– Pensa se ci vedesse Annabeth.
Sorrisi all’idea. – Ti spellerebbe vivo, immagino.
– Immagini bene.
– Comunque ricordami che devo ucciderti.
– Vedrò di fartelo scordare. – Mi staccò con dolcezza - quel ragazzo faceva tutto con dolcezza, pure lavarsi i denti - e poi indicò con un cenno della testa la direzione che avremmo dovuto prendere. Mi voltai e lo stomaco mi si strinse in una morsa. La luce un po’ oltrepassava la superficie del mare, ma non abbastanza da illuminare anche il fondo marino poco più in là.
Stavo per ritirarmi, ma un qualcosa dentro di me di molto potente me lo impedì. Improvvisamente mi sentii invadere il corpo dal caldo. Però non un caldo da tazza-di-camomilla-assassina, ma un caldo… di casa. Sì, è come se mi sentissi a casa, e al sicuro, nonostante la paura che, lo sentivo, dominava il mio cervello.
Guardai Percy, gli rivolsi il mio più bel sorriso coraggioso e annuii, decisa.
Era già un quarto d’ora che camminavamo sul fondale marino. Lui tranquillissimo, con il suo immancabile sorriso sulle labbra, ed io terrorizzata per qualsiasi movimento immaginario o appena accennato, ma decisa a non arrendermi di fronte alla mia stupida e insensata paura. Per distrarre la mia mente dal ipotizzare cosa ci sarebbe potuto essere intorno a me, anche solo a due centimetri di distanza, decisi di pensare al giorno prima, quando arrivai al Campo Mezzosangue.
 
 
Quello che avevo di fronte in quel momento era un centauro. Ed era alto. Molto più alto di me. Non che ci voglia tanto per superarmi in altezza, poi.
Mi porse la mano, presentandosi: – Molto piacere, io sono Chirone. – Perché quel nome non mi era novo? – Famoso soprattutto per aver allenato eroi come Achille, Enea, Eracle, Teseo… – Ah, ecco. – Ma passiamo ad altro. Tu devi essere Penelope Gray… figlia di Poseidone. – Rivolse un’occhiata e un mezzo sorriso a Percy, che  teneva una mano sulla mia spalla. – Sono davvero, immensamente grato di conoscerti, Penelope.
– Penny. Penelope mi ci chiamano soltanto se mi devono dire qualcosa di serio. Tu chiamami solo Penny, lo preferisco. Comunque grazie, anch’io sono molto felice di conoscerti, Chirone. – E gli rivolsi il miglior sorriso che riuscii a scovare e cercai di ignorare la metà del suo corpo che comprendeva un maestoso stallone bianco.
Chirone mi sorrise e mi accompagnò personalmente, insieme a Percy e Rick - mia madre non è potuta entrare per motivi che mi hanno spiegato poi -, a fare  il giro del Campo.
 
 
– Ahh! – Urlai con la mia super ‘subvoice’ appena collaudata. – Qualcosa mi ha toccato il piede, è sicuramente quellanimalechemordesottoaipiediechefatantomale. Percy, digli di non mordermi i piedi e di andarsene. – Passai alla comunicazione ‘telepatica’.
Mio fratello, sempre molto paziente, staccò la mia presa dal suo braccio e si piegò sulle ginocchia. Il tempo che passarono due secondi e mi accorsi che stava ridendo.
– Vuoi davvero vedere che cosa hai toccato con il piede? – Si rialzò e aprì il palmo della mano destra. Mi aspettavo una viscida alga, o che so io, ma quello che vidi mi fece capire che ero davvero un caso disperato, e che forse si erano sbagliati quando hanno detto che ero figlia di Poseidone. Non potevo esserlo veramente. Non dopo quell’evento.
Percy teneva in mano una conchiglia.
Lo guardai dritto negli occhi, come a dirgli “Non è possibile. Ti prego, ti scongiuro, dimmi che non è vero”. Abbassai lo sguardo e sentii il peso del mare crollare sulle mie spalle.
 
 
– Questa è casa mia. – Rick indicò la prima, grande capanna di non so quante. Mi ricordo che erano tante e che non riuscii a contarle. – O almeno, la mia casa quando sono qui al Campo. Il resto del tempo lo passo a Miami con mia madre, Jasmine Hermann. Sorrise, probabilmente ricordando qualche bel momento passato con lei.
Poi mi venne in mente una cosa. – E dov’è casa nostra? – chiesi rivolta palesemente a mio fratello.
Lui ne indicò una proprio accanto. Era bellissima. È strano, ma la prima parola che mi venne in mente guardandola fu “mare”. Non ricordo cosa mi fossi aspettata, ma sicuramente niente del genere. Quasi era un miraggio quella casa, perché dove vivevo io con mia madre non c’era mai stato niente di tutto quello che si trovava là.
Entrammo, Percy mi fece fare un rapido giro dell’appartamento, poi continuammo quello del Campo.
Girammo in lungo e in largo e visitai tutti i posti di quello splendido luogo, cercando di tenere a mente quante più informazioni con cui Chirone mi stava riempiendo la testa.
 
 
– Ehi – Percy mi abbracciò. – Non ti devi preoccupare per questo. Anche Talia, per esempio, soffre di vertigini, ed è figlia di Zeus! È normale avere delle paure. Se poi queste vanno contro i propositi per essere figli di un dio in particolare, non è certo colpa nostra. Dobbiamo semplicemente accettarle e lasciare che ci insegnino come si lotta con se stessi per diventare persone sempre migliori. Non vuoi più avere paura del mare? E allora non l’avrai più. Basta che ti impegni e che non ti arrendi davanti alle difficoltà.
Non so perché, ma mi diede abbastanza forza da sorridere e continuare questa piccola, grande ‘missione’.
 
– Percy! – Una voce soave ma allo stesso tempo affilata come un rasoio richiamò l’attenzione di mio fratello. Questo si girò di scatto e appena riconobbe la persona che l’aveva chiamato le corse incontro.
– Annabeth! – L’abbracciò in vita sollevandola dal terreno, per poi baciarla.
Durò solo pochi secondi, perché si resero conto di essere osservati.
Soprattutto le guance di Percy ne risentirono molto di quella situazione, dato che si dipinsero di rosa. Annabeth ritornò con i piedi a terra e fu allora che notò il nostro piccolo gruppo. Chirone stava sorridendo, Rick anche, ma poggiava il peso su una gamba sola e teneva le braccia incrociate, io invece un po’ guardavo loro e un po’ guardavo intorno a me. Devo dire che in campo di ‘romanticismo’ non sono proprio una bomba, e non mi sono mai sentita a mio agio.
Lei ci venne incontro, e subito si buttò tra le braccia di Chirone, che la strinse a se; passò poi a Rick, che la guardò da capo a piedi e gli disse: – Ancora con quello sfigato? Ma non ti stufi mai? – Non la prese a male, evidentemente ci era già abituata. Invece gli sussurrò un “ciao anche a te” e gli scompigliò i capelli.
Arrivò poi davanti a me. Va bene che non sono tutta questa altezza, ma gli arrivavo a malapena al mento. Cercai di non farci caso, e per fortuna lei non sembrò dargli peso. – Tu dovresti essere Penelope. – Mi rivolse un sorriso e mi guardò con i suoi due occhi grigi, come a volermi trapassare da parte a parte.
Mi sforzai di ricambiare e mantenni il suo sguardo. – Penny, ti prego. – Gli strinsi la mano. – Tu sei la fidanzata di mio fratello? – Avrei scommesso che sarebbe scoppiata a ridere - date le mie frasi molto intelligenti - ma rimase semplicemente a fissarmi, e giuro di aver visto i suoi occhi brillare.
– Eh già – Sospirò infine.
Che grandissima perspicacia. – Sapevo fin troppo bene a chi apparteneva quella voce, e in un nanosecondo riuscii a pensare a circa dieci modi in cui avrei potuto affogarlo o farlo zittire eternamente, quando una mano mi afferrò il polso.
– Che ne dite se adesso andiamo a pranzo? Ho un certo languorino. – Con la mano libera Percy  si toccò la pancia e iniziò a trascinarmi verso un grande capannone, che doveva essere la mensa. “Rick dovrebbe ringraziarlo” pensai “Gli ha appena salvato la pelle”.
 
 
Per quanto Percy si fosse impegnato a farmi tornare il sorriso, mi resi conto di quanto mi trovavo a disagio a stare in mezzo al vuoto, non poter vedere cosa e chi mi circondava, dove mettevo i piedi. L’unico appoggio che avevo era la mano di mio fratello, salda e confortante. Non andavo molto spesso al mare. Ma soprattutto, le poche volte che mi capitava di andarci non avevo la minima intenzione di andare così al largo.
Ovviamente non potevo neanche lontanamente immaginare che ero in grado di respirare sott’acqua.
Camminammo per molti minuti, ma ad una lentezza impressionante. Riuscivo a sentire i muscoli tesi della mano di Percy. Evidentemente lui non era abituato a rimanere così fermo per un tempo così prolungato, tantomeno in mare, quando poteva fare davvero quello che voleva.
– Scusami. – Mi bloccai sul posto. – Basta, non ce la faccio più. E neanche tu, non è vero? – Cercai di scorgere i suoi occhi verde mare in mezzo a quell’oscurità.
– Penny – Riuscì a trovare il mio viso, che incominciò ad accarezzare. – Lo sai che per essere la prima volta sei stata molto coraggiosa? Abbiamo camminato molto, e se adesso sei stanca non ti biasimo. Vuoi tornare quindi?
Tentennai. – Sì – risposi in fine. Poi mi apparve un sorriso poco convinto in viso. – Devi per forza portarti dietro quella stramaledettissima conchiglia?
– Direi di sì. – Mi avvolse la vita con un braccio e mi sussurrò all’orecchio: – Stavolta facciamo più in fretta, ti porto io.
In cinque minuti eravamo già ritornati a riva, lui completamente asciutto, io, ignare di questa possibilità di isolarsi dall’acqua, grondante d’acqua.
Rimediai al danno immediatamente. Poggiai le mie mani sullo stomaco e mi concentrai. Come accadde con Rick al Fontanone, anche quella volta attirai via l’acqua dai vestiti e da tutto il corpo, tornando così asciutta  e nuova di zecca.
Mio fratello mi sorrise e mi passò una mano tra i capelli. – E brava la mia sorellina che impara così in fretta l’arte del mestiere!
Almeno in questo me la cavavo.
Rivolsi un ultimo sguardo alla superficie del mare e mi avviai a fare colazione, con Percy dietro di me.
 
 
Prima che Percy mi fece girare totalmente, scorsi con la coda dell’occhio Annabeth che ci guardava con quei suoi occhi ora duri e severi. Assomigliavano a due lame di coltelli, pronti a infilzarti alla prima mossa falsa. E mi sentii in effetti come se mi avesse appena pugnalato.
Decisi di non rischiare oltre e mi staccai lentamente dalla mano che mi teneva ancora il polso.
Durante tutto il pasto, seduta al tavolo dei figli di Poseidone con solo la compagnia di mio fratello, sentii le due lame premermi sulla schiena.
 
 
– Dove ti eri cacciato? – Ci fulminò con lo sguardo.
Percy prese la sua mano e fece sfiorare i loro nasi. – La mia Annabeth gelosona – Sembrò contagiarla con il suo largo e sincero sorriso.
– Va bene, lasciamo stare. Tanto vinci sempre tu.
– Ehm, ragazzi? – Qua un occhiataccia da parte della bionda Arpia. – Scusate se vi interrompo, volevo solo chiedere una cosa a mio fratello – Sottolineai il più possibile l’espressione ‘mio fratello’, così da ridurre al minimo i futuri danni.
– Dimmi. – Mi si avvicinò.
– Ecco, intanto grazie per quello che hai appena fatto, mi ha fatto sbloccare un bel po’ – Mi scappò un piccolo sorriso. – E poi – Guardai Annabeth, Percy, poi Annabeth e di nuovo Percy, quando una mano sulla mia schiena mi fece sobbalzare. Non era quella del ragazzo di fronte a me.
– Ci penso io a lei, tu stai pure con Annabeth. – Gli fece un occhiolino e mi prese sottobraccio.
– Grazie amico. Be’, allora ci vediamo dopo, va bene? Ciao ragazzi!
Ci allontanammo, camminando fianco a fianco, in silenzio.
– Ieri ho pensato ad una cosa – Si fermò e mi inchiodò sul posto con quei duri occhi grigi che si ritrovava. Non erano proprio come quelli della figlia di Atena. Questi erano molto più scuri e decisamente meno taglienti.
– Davvero? – Apparvi molto più stupita di quanto pensassi.
Sorrise, mostrando appena i denti. – Seriamente – tornò a guardarmi, ma con più dolcezza. – Non sono sempre così esuberante e piantagrane come mi hai conosciuto… Ho solo avuto un brutto periodo ultimamente. Dei problemi, delle discussioni poco piacevoli.
Mi tornarono in mente le parole di un Lestrigone poco prima che venisse quasi fulminato: “Che c’è, hai litigato con il tuo paparino?”. – Con tuo padre? – Osai. – Hai litigato con tuo padre?
Distolse lo sguardo. – Sì.
– Per qualche motivo in particolare? – Stupida curiosità del cavolo.
– Sì.
– E posso sapere qual è o è un segreto di stato?
Corrugò la fronte, come se gli desse fastidio quel pensiero. – È che… mi da fastidio che mi dia degli ordini senza neanche spiegarmi il motivo per cui devo eseguirli. – disse tutto d’un fiato.
Sì, in questo potevo capirlo. – Tu almeno li esegui. Io odio che mi siano spartiti ordini, anche se il motivo è più che giusto. Ed odio eseguirli.
Piegò la testa di lato e mi scrutò meglio. – Sai, mi hanno raccontato di una volta in cui Poseidone ha detto a tuo fratello Percy che “il mare non ama essere limitato”. Ed è proprio vero! – Allungò una mano e mi scompigliò i capelli.
– Vorresti dire che ti ricordo il mare per questo?
– Non solo…
Lo fissai.
Si avvicinò pericolosamente al mio viso, tanto che stavo per tirargli uno schiaffo.
– Anche per gli occhi, ovviamente. – Mi scoccò un bacio nel mezzo della fronte.
Un calore che partì da quel punto si sparse per tutto il viso. – Perché lo hai fatto?!
Scoppiò in una fragorosa risata. – Per vederti arrossire. Mi diverte vederti così, visto che sei sempre scorbutica.
– Io non sono scorbutica! Sei tu che mi ci fai diventare!
Continuò a ridere, e, dopo che invano cercai di non farmi contagiare, mi lasciai andare anch’io a quel piacevole e liberatorio momento.






 
Notes;

Okay, ecco qui il quarto capitolo.
Vediamo, vediamo… Innanzi tutto mi sono divertita molto a scriverlo. Non che succeda qualcosa di così epico o importante, ma dovevo farlo per farvi conoscere la paura di Penny a proposito degli abissi e anche per farla integrare nel Campo. A proposito, quella paura è prima di tutto la mia, ed ho pensato bene di tramandarla alla protagonista di questa storia. Che genio che sono. Sì, proprio.
Comunque, può darsi che quando Percy e Penny erano alle prese con la suddetta paura, siano sembrati come due giovani innamorati, ma in realtà non è per niente così, volevo solo farli essere molto… legati, amici, complici.
Non so, prima che vi rovini l’idea che vi siete fatti su questo capitolo ditemi voi cosa ne pensate. E mi farebbe davvero tanto piacere se mi lasciaste una recensione, perché nel precedente capitolo me ne avete lasciate solo quattro, che sono poche in confronto a quelle che mi avete lasciato ancora prima. Ma non importa, perché sono moltissime invece al confronto di altre storie, e questo mi fa arrivare al settimo cielo. Anzi, fino al 600 piano dell’Empire State Building.
Vi ringrazio ancora perché continuare a seguire questa storia, e mi rendete così soddisfatta quando vedo che l’apprezzate e che me lo fate sapere!
Tanti, tanti, ma davvero tanti baci dalla vostra
Angie.
   
 
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