Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
Segui la storia  |       
Autore: Mad dy ness Zalk909192    14/03/2013    1 recensioni
"...erano due, contro ogni previsione ragionevole."
!Warning!
-Alto tasso di mortalità, alto tasso di OC per esigenze di trama, ANGST A PALATE, senenizzazione in corso.-
Sarò schietta e diretta: E' una fic su una nuova generazione della Famiglia Vongola, un genere di fic che francamente non amo.
E' come è:
Un What if immenso, che si basa su questa domanda:
Supponendo che Tsunayoshi Sawada diventati Decimo... E se la Decima Famiglia non riuscisse a mantenere il proprio potere?
Genere: Angst, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Si chiamavano Claire e Lawrence Cooper, avevano i tratti tipici degli irlandesi, pelle ed occhi chiarissimi e capelli rossi, ma vivevano nelle campagne intorno ad Oxford. Hibari trattenne un’imprecazione al pensiero che i genitori, lei docente universitario e lui impiegato ai piani alti di una multinazionale sotto il controllo della Famiglia Mitillo, avrebbero cercato di smuovere mari e monti pur di riaverli. Potevano sognarselo. Nel momento in cui si fossero ritrovati, i sicari della Famiglia Mitillo sarebbero già stati pronti ad ucciderli tutti e quattro:
Anche se era stato rapido, non potevano non essersi resi conto che uno dei superstiti della Decima Famiglia  avesse fatto sparire due bambini senza un apparente motivo logico. Avrebbero fatto a ritroso le sue stesse ricerche e le notizie così rivelate avrebbero scatenato il panico tra le loro file, facendo così tornare in auge le rappresaglie violente a discapito dei superstiti del vecchio “regno” Vongola. O a discapito di quelli abbastanza stupidi da lasciarsi scoprire simpatizzanti alla Resistenza.
La Resistenza era, comunque, nata per quel momento, per creare diversivi tali da permettere all’Erede di prendere coscienza di sé e di rivendicare il proprio posto nella mafia una volta giunto il momento opportuno, riportando tutto a una situazione più giusta e meno inumana.
Li guardò di nuovo entrambi e si disgustò da quanto sembrassero deboli erbivori privi di spina dorsale, nonché di quanto lui avrebbe dovuto perderci tempo.
Odiava Dino per l promessa che era riuscito a strappargli, avrebbe dovuto non farsi invischiare in tutto quel caos. In più, paradossalmente, ora doveva restare lontano da Nanimori per poterla difendere, cosa che gli creava un senso d’irritazione persistente.
Si perse a guardare fuori dal finestrino della macchina su cui si trovavano.
Accanto a lui un tizio di Villa Vidal stava guidando impeccabile e compunto, all’apparenza immensamente preoccupato. Anche se era difficile stabilire se lo fosse per il dover fare da autista a lui o se terrorizzato all’idea di fare ritorno a qual luogo.
Gli venne quasi da ridere pensando a Villa Vidal, un luogo di terrore e sangue nascosto da una facciata letteralmente principesca.
Sarebbe stata una buona palestra di vita per i due erbivori.
 
 
 
 
 
Villa Vidal era una casa padronale di piccole dimensioni in cui una giovane coppia di sposi, con figlio, viveva e in cui amava organizzare strabilianti e provocatori balli e feste, riprendendo alla lontana le mode d’uso nei festini libertini di fine ‘700.
Un ambiente esclusivo.
Il signore e la signora Vidal erano conosciuti nel mondo intero per essere, sì eccessivi e sopra le righe, ma soprattutto per la loro bellezza e il loro buongusto, e per la loro smodata, quanto di dubbia provenienza, fortuna.
Viktor Vidal era il loro primogenito, di sei anni, e sebbene non avesse l’aria di svogliata leggerezza del padre o l’abbagliante e luminosa bellezza di entrambi i genitori, aveva preso senza dubbio l’innata eleganza di sua madre, la grazia perfetta nei movimenti e la compostezza che suo padre, sebbene Principe, non possedeva di natura.
Sua madre, Sua Grazia la Marchesa Marianne Costance Vidal, era però reclusa nei suoi appartamenti da qualche tempo, vittima di una malattia di cui non ci è dato sapere la diagnosi, e, per il dolore, suo marito il Principe aveva a malincuore abolito ogni comparsa pubblica per poter restare più vicino all’amatissima moglie e al piccolo Principino, sicuramente bisognoso della presenza paterna.
La notizia aveva lasciato delusi e depressi gli habitué della Villa, ma non aveva poi creato chissà quale scompiglio. Forse qualche casinò rimpianse uno dei suoi migliori giocatori, ma anche fosse stato, nessuno ne parlò.
Come per ogni cosa di questo mondo, comunque appaia, per sapere la verità basta scavare sapendo dove farlo:
Villa Vidal, in verità, non era altro che un enorme complesso di strutture indipendenti l’una all’altra che si nascondeva alla vista tra i boschi sul confine tra il Liechtenstein e la Svizzera;
La “Villa” era il covo del più strapagato sicario del mondo mafioso, l’ex guardiano della Tempesta dell’ormai smembrata Squadra Assassina Varia, Belphegor.
Se qualcuno avesse però l’orecchio ancor più fino e molta voglia di vederci chiaro, potrebbe scoprire anche altro, qualcosa di ancora più di nascosto e segreto: Villa Vidal era il cuore pulsante del movimento contro l’egemonia della Famiglia Mitillo, della Resistenza che faceva riferimento direttamente a Lambo Bovino.
Vero era che Belphegor fosse sposato e avesse un figlio di nome Viktor Vidal; era falso che la moglie fosse malata: La Marchesa era morta da qualche anno per mano del marito.
Qualcuno l’aveva definita una follia, cosa che in effetti era, altri un capriccio, ma solo i servi avvezzi all’aria malsana che si respirava in quel luogo sapevano, però, distinguere una disgrazia da un omicidio.
Era stato il caso, era stata una fatalità, un mero destino, un fatto che non poteva essere altro se non un brutto incidente.
Chi aveva ripulito il bagno dal sangue, l’ormai ex dama di compagnia di Marianne, di nome Carlotta, aveva riferito piangendo a tutta la servitù di come fosse ridotta la dolce padrona dopo essere passata sotto le lame del Principe, per poi concludere, con un singhiozzo; -Lo dicevo sempre, a Sua Grazia, di non entrare mai quando il Principe era intento a rasarsi il viso!- E la cosa si era conclusa così.
Se il barbiere personale del Principe non si fosse buscato quella brutta influenza intestinale, se la Marchesa non fosse entrata, se il Principe Belphegor stesso non si fosse tagliato, o anche solo non si fosse accorto del suo sangue… Insomma, era una fatalità vera e propria, non poteva essere colpa di nessuno, la morte di Marianne non poteva essere evitata in alcun modo, e la vita continuò.
Viktor, dal canto suo, era abituato a veder sparire nel nulla servi e domestici almeno ogni settimana, e sua madre… beh, gli mancava moltissimo, ma quello era un dolore che un pomeriggio passato a giocare a “nascondino-killer” con suo padre poteva fargli dimenticare per giorni.
Quando la macchina nera guidata da Hugo uscì dal Tunnel, tappa obbligata per raggiungere e lasciare il primo agglomerato di edifici oltre la villetta di facciata, Viktor fu il primo ad accorgersene e, delicato ma rapido, scesa dall’altalena ignorando Carlotta, ora retrocessa a sua cameriera a tempo pieno, per correre davanti all’auto in procinto di arrestare la sua corsa davanti all’edificio più grande.
-Hugo! Sei tornato!-
Si accorse di aver fatto qualcosa di sbagliato, o quantomeno inopportuno, quando vide che l’uomo portava una divisa da autista e conservava un’espressione preoccupata e concentrata.
-Non ora, Signorino.- Si affrettò quindi dalla parte opposta dell’auto e spalancò compunto la portiera del passeggero, addirittura inchinandosi appena; -Bentornato Signor Hibari.-
Viktor venne raggiunto da Carlotta in quel momento, la quale, evidentemente riconosciuto l’ospite inatteso, si affrettò ad inchinarsi con un volto molto sorpreso ed anche arrossato.
-Si.. Signor Hibari, cosa… cosa la porta fin qui?-
La voce le tremava appena, carica di ammirazione per quell’uomo che agli occhi di un bambino come Viktor aveva di interessante solo i lineamenti asiatici, non molto comuni.
Uscito dalla macchina in quel momento, Hibari non degnò di uno sguardo la donna e si volse con passo calmo alle portiere posteriori dell’auto e, una alla volta, le spalancò per caricarsi letteralmente in spalla due piccoli corpi, come fossero sacchi di sabbia.
“Altri cadaveri?” fu il pensiero di Viktor; “…o magari dormono? Sarebbe bello poter giocare con qualcuno di diverso da Jessica!”
Fissò l’insolito quadretto dell’uomo con i due sacchi dai capelli rossissimi.
A quella vista Carlotta sussultò lasciandosi scappare un piccolo urletto e, senza aggiungere altro, filò verso la scalinata che portava alla struttura principale, come se avesse qualcosa di molto importante da fare.
-Tu… la mia macchina. Ora.-
Hugo diventò bianco come un cadavere e dopo un rapidissimo inchino rientrò in macchina e si diresse di fretta verso i garage sotterranei del complesso.
Quel… quel tizio, anche se in un modo del tutto differente, somigliava spaventosamente a suo padre.
Non si rese conto di essere rimasto solo e che, dimenticando ogni buona educazione principesca, si era soffermato a fissare la scena che gli si parava di fronte.
-Erbivoro… Ti conviene tornare da dove sei venuto.-
Hibari l’aveva infatti notato e, stizzito e infastidito, non si era potuto esimere da quella velata minaccia, che traspariva prepotente dalle sue parole.
Viktor non si fece però intimidire. Ne aveva ricevute così tante, di minacce, vivendo in quella casa, che una così poco diretta non lo poteva spaventare.
Immobili uno di fronte all’altro non si mossero di un passo e non preferirono parola per almeno un minuto, finché Hibari non si mosse per posizionare nell’aiuola lì accanto i due sacchi di patate che si portava appresso, decidendo di dimenticare l’insolenza del bambino con l’indifferenza.
In più sentiva delle urla provenire sia dalla casa che dai garage. Che luogo orrendamente caotico.
La voce di Viktor lo distrasse dai suoi pensieri; -Sono due cadaveri?-
Candido ed innocente, Hibari gli concesse una risposta assottigliando gli occhi, studiandolo; -No.-
La risposta doveva evidentemente aver soddisfatto il Principino, che scattò istantaneamente verso una delle strutture laterali che si affacciavano su quel giardinetto inglese, sparendo oltre la prima porta in pochissimi attimi.
Hibari aveva visto raramente tanta velocità e accortezza nei movimenti, in un bambino così piccolo.
Sbadigliò, decretando così il suo sostanziale disinteresse, e continuò ad attendere il suo fuoristrada.
Evidentemente, dopo due anni di assenza e senza mai comunicare in quella sede notizie dei suoi spostamenti, pareva che tutti l’avessero dimenticato e si fossero limitati ad accatastare in malo modo, dimenticati, i suoi averi.
Con l’età adulta, però, era diventato paziente e decise di concedere ancora due minuti per la preparazione dei veicolo, prima di mordere ogni domestico a morte. Lui lo voleva lucido.
Come aveva supposto, il suo ritorno aveva lasciato tutti basiti ed impreparati, e l’assenza di Belphegor non aveva aiutato a mantenere l’ordine. Aveva domestici vivaci, quando lui e le sue lame mortali non erano nei paraggi.
Ogni tipo di salamelecco gli fu rivolto ed ogni invito ad accomodarsi nel salotto di casa fu prontamente rifiutato di malagrazia.
Il Defender giunse davanti a lui guidato da Hugo con due ulteriori minuti di ritardo, e appena riuscì a depositarvi dentro i due bambini che si portava dietro e a sedersi al posto di guida, sigillò le portiere e si preparò a quindici minuti di sentieri sterrati che l’avrebbero portato all’edificio più lontano ed isolato. 
Casa? Non esattamente. 
Più un luogo di ricerca e sviluppo dislocato dalla sua organizzazione a Nanimori, un surrogato di rifugio o di ritiro quando il soggiorno in Italia si faceva sempre più pesante, noioso e… lungo.
Era stanco, il viaggio era stato lungo e con i due pesi morti per nulla piacevole.
Non fece che issarsi sotto braccio i due gemelli, che di questo si trattava, buttarli in due letti in due stanze polverose del cottage per poi togliersi giacca, camicia e cravatta entrando nella sua stanza. Chiuse a chiave la porta e si buttò nel letto.
Non si accorse che era l’unica stanza perfettamente pulita ed in ordine, lui non faceva caso a questo genere di cose.
Si addormentò nelle lenzuola che profumavano ancora di fresco e fino a che qualcosa non l’avrebbe svegliato avrebbe dormito come un sasso.
A tutto il resto, ovvero i due bambini ancora drogati che dormivano da dieci ore, avrebbe pensato… in un altro momento.
 
 
 
 
 
Solitamente Claire Cooper si svegliava con le urla di sua madre, esasperata dal loro perenne svegliarsi all’ultimo secondo prima di andare a scuola.
A poco valevano i suoi primi richiami non violenti, a cui sia lei che il fratello solitamente rispondevano con grugniti e che, puntualmente, venivano ignorati.
Al che si alzava frastornata e faceva a gara col fratello per chi avesse potuto per primo occupare il bagno, mentre al piano di sotto sua madre continuava a borbottare inviperita.
Solitamente vinceva Lawrence, e lei andava sbuffando verso la cucina per mangiare di corsa qualcosa. Beh, solitamente lui usciva di casa affamato e pettinato, lei a pancia piena e coi capelli in disordine.
Quella mattina, invece, qualcosa era diverso.
Non si ricordava di preciso cos’avesse fatto la sera prima, ma si rese conto presto che quello non poteva essere il suo letto e che stava dormendo sopra ad un copriletto spesso e senza cuscino.
Si svegliò mettendosi seduta di scatto e ad occhi e bocca palancati si guardò attorno.
Quella non era casa sua.
Dov’era finita? Che era successo?
Dov’era Lawrence?
Non c’era, osservò guardandosi attorno frenetica. Non poteva non essere con lei, facevano sempre tutto insieme!
Passò qualche secondo a guardarsi attorno, molto perplessa e un po’ intimorita.
L’arredamento trasudava stantio, la polvere era onnipresente, dalla finestra si intravedeva un bosco fitto e la stanza puzzava di chiuso.
-Law…- la voce le uscì tremolante. Si stava facendo prendere dal panico.
-Law! Lawrence! Dove sei?!-
Da lontano le rispose la voce del fratello; -Ancora cinque minuti…-
Era soffocata e scomposta, ma sufficiente a rassicurare un po’ la bambina.
Non era da sola, non era senza Law, era già qualcosa. 
Subito dopo, un urlo squarciò il silenzio innaturale in cui si trovava;
-Aaaah! DOVE DIAVOLO SONO?!-
Ecco, quello furbo se n’era accorto.
Si alzò un po’ tremante dal letto e barcollando, come se non avesse dormito affatto e avesse ancora sonno, andò verso la porta della camera, che non era stata chiusa.
Fece appena in tempo ad uscire nel corridoio che alla sua sinistra un fulmine rosso le urtò la spalla.
Tale fulmine arrestò la sua corsa e la guardò col labbro inferiore tra i denti, una sguardo da cane bastonato e il terrore negli occhi chiari.
La sua fotocopia, perché la differenza di sesso non aveva toccato i loro lineamenti, almeno non ancora, si mise a piangere dopo aver biascicato un “Cla”. In quell’attimo si abbracciarono trovandosi a terra a piangere in preda al panico vero e proprio.
-Cla, Cla! Ho guardato fuori dalla finestra e… e… e siamo in un bosco!- singhiozzava; -Lo so! Dov’è la mamma?-
-Mamma! MAMMA!-
Non fu la loro madre ad aprire una delle porte cinque porte che davano sul corridoio, non aveva i capelli castani, ma neri, non era una donna e non era felice di vederli.
-Voi due… se non la piantate di fare chiasso vi morderò a morte.-
Frase pronunciata in una lingua che non capirono affatto.
Si misero a gridare terrorizzati stringendosi forte, senza capire assolutamente nulla di ciò che gli stava succedendo.
Loro volevano solo vedere i loro genitori e tornare a casa!
 
Hibari, svegliato dalle urla e dal pianto isterico, aveva capito con orrore che doveva alzarsi e fare in modo che non cercassero di scappare andando a finire tra le fauci di un orso.
Se uno dei due non fosse stato l’Erede si sarebbe limitato ad accompagnarli il più vicino possibile all’orso in questione.
Appena sveglio non si accorse di parlare in giapponese e quando il pianto si trasformò in urla disperate, rettificò in un inglese impeccabile; -Se non la piantate vi mordo a morte!-
In risposta giunse il silenzio.
Con soddisfazione passò oltre i due gemelli, che si erano congelati sul posto, per andare verso la cucina sperando di trovare qualche cosa da mettere sotto i denti.
Hibird, da sopra la sua testa, cinguettò qualcosa e si alzò in volo andando davanti agli occhi sbarrati ed increduli dei due. 
Se Claire non se ne accorse fu solo perché stava ancora fissando la schiena di quell’uomo che li aveva liquidati con una dose di terrore e lo classificò come “persona pericolosa”, Law rimase a bocca aperta due volte nel vedere un pulcino volare e posarsi sulla sua spalla.
Scattò con un urletto contro la parete, e Hibird, sbalzato via dal suo appoggio, girovagò sopra la sua testa continuando a cinguettargli nelle orecchie.
Ad ognuno il proprio problema.
Si guardarono in faccia, Lawrence e Claire, e rimasero fermi dove si trovavano cercando di asciugarsi le lacrime, ma senza troppo successo. Qualche singhiozzo scappava. Era assurdo, era terribile, chi era quel mostro?
Sì, perché era un mostro di sicuro!
-Voi due erbivori, venite di qui.-
Si guardarono di nuovo; “Erbivori?”, si alzarono e si presero per mano, incamminandosi lentamente per il corridoio.
Almeno era inglese, la lingua che stava parlando quel tipo, e non una strana lingua mai sentita.
In fondo al corridoio trovarono una stanza molto ampia, divisa in due da un arco, a sinistra un’ampia cucina e a destra un salotto, tutto minimalista e spoglio.
Lawrence singhiozzò e per poco anche Claire non lo seguì a ruota, ma vennero interrotti da un’altra frase dell’uomo che vestito con un paio di pantaloni e una camicia abbottonata malamente sorseggiava qualcosa da una tazza, squadrandoli dall’alto al basso.
Hibari pensava, ragionava velocemente. Doveva convincerli che erano lì per qualche motivo e quel motivo doveva essere tanto valido da non dar loro idee strane come il voler scappare. Non voleva assolutamente anche quella seccatura.
Poi li guardò in faccia, ancora con il moccio al naso e i denti da latte. 
Dalla paura non si sarebbero avvicinati al bosco nemmeno sotto tortura.
-Da oggi vivrete qui. Il bosco è pieno di orsi e lupi, non vi conviene tentare di scappare. Ora andate nelle vostre stanze e aspettate che io vi chiami. Le finestre sono chiuse, tutte, potete muovervi per la casa ma vi chiuderò dentro a chiave. Se quando torno ho visto che avete tentato di scappare vi morderò a morte.-
Hibari appoggiò la tazza al tavolo, li scavalcò letteralmente mentre passava per la porta della stanza, andò a vestirsi, chiuse la porta sul retro a chiave, si chiuse alle spalle la porta principale in fondo al corridoio e sparì mentre i due bambini si guardavano smarriti negli occhi, ancora con l’uccellino giallo che svolazzava per la stanza cantando… cantando?
Strabuzzarono gli occhi, e distraendosi riuscirono a calmarsi appena.
-Credi… credi che ci farà del male?-
Claire non seppe che rispondere al fratello e si limitò a fissare Hibird, che tranquillo svolazzava e cantava cose di cui non afferrava il significato.
Ma cantava sul serio?
-Non lo so… Ma credo sia meglio fare come dice…-
Strinse forse la mano di Lawrence in cerca di conforto e dopo poco, quando il fuoristrada di Hibari sparì oltre la prima macchia d’alberi, continuò a guardasi attorno cercando di capire cose fosse successo.
-Dici che siamo stati rapiti?-
La voce di Lawrence e le sue parole la fecero sobbalzare ad occhi sgranati, ma ancora non disse una parola.
-Papà ci verrà a prendere, vero?-
Anche a questo non poteva e non sapeva rispondere.
L’unica cosa che potevano fare era aspettare.
Ispezionarono la casa, un cottage di montagna in pietra e legno, trovando libero accesso alla stanza in cui aveva dormito Claire, due bagni e alla grande stanza in cui si trovavano quando Hibari se n‘era andato. Era grandissima e divisa in due da un‘arcata decorativa: da una parte cucina dall‘altra salotto. Le altre stanze, due in tutto, erano chiuse a chiave e memori del tono dell’uomo misterioso non si azzardarono nemmeno a tentare due volte l’ingresso.
Finestre e porte serrate, imposte però spalancate. 
Piagnucolarono un po’ seduti sul divano finché presi dallo sfinimento non si addormentarono, uno ridosso all’altro. Avevano pianto, si erano sfogati, si sentivano persi e soli… Lawrence, addormentandosi, pensò che fosse tutto un sogno e che al suo risveglio si sarebbe trovato nella sua stanza, con sua madre che urlava di scendere per la colazione.
Sì, doveva essere così.
 
 
 
 
 
-Due? Cosa vuol dire due? Che diavolo significa?-
-Significa che erano in due, sono due gemelli, entrambi eredi di Giotto. Fine.-
I due uomini si stava guardando di sottecchi in una stanza buia nel complesso più interno di Villa Vidal.
-Quindi?-
Lancia accavallò le gambe prendendo in mano il suo bicchiere di vino rosso. Da quel momento in poi che aveva intenzione di fare Hibari?
-Quindi sono costretto dalle circostanze a continuare la mia ultima missione in questo mondo di merda. Devo solo addestrarli entrambi.-
Lancia rischiò di soffocarsi col vino.
-Prego?-
Hibari si voltò verso di lui dopo essere stato voltato verso la finestra per quell’ultima battuta.
-Resterò qui finché non saranno in grado di combattere e non me ne potrò tornare in Giappone.-
Lancia lo fissò in tralice. Hibari che addestrava qualcuno?
-Hai intenzione di tenerli al Cottage con te?-
A Hibari venne un moto di disgusto improvviso. Non ci aveva pensato.
-Se non posso farne a meno sì.-
Lancia si alzò dalla poltrona e si diresse verso la sua scrivania, aprì un cassetto e strappò un foglio di carta da un blocco, ci scrisse qualcosa e, sempre sotto l’occhio indagatore di Hibari, glielo tese; -Fa’ vedere questo a Hugo. Avrai bisogno di una ristrutturazione del Cottage.-
Hibari resistette ai conati di vomito e gli prese dalle mani il foglio con sgarbo.
Uscì senza dire una parola dalla stanza.
Gli erbivori in casa e pure un obbligo di ristrutturazione del suo Cottage.
Odiò Dino con tutte le sue forze, si fece scrocchiare il collo e rimase per un attimo seduto al posto di guida del Defender.
Aveva voglia di qualcuno da pestare a sangue. 
Mi se in moto e tornò verso la residenza principale e non di facciata.
Era già passata un’ora da quando aveva lasciato i marmocchi da soli.
-Chissenefrega.- Fu la sua risposta a voce alta a quel pensiero.
Avesse potuto, sarebbe andato da Dino a reclamare la sua dose di sangue e violenza.
 
 
 
Questo fu il loro primo benvenuto a casa. La loro nuova casa.
Villa Vidal era ormai diventata una loro necessità, anche se ancora non lo sapevano, e nulla potevano fare per cambiare le cose, ormai in mano a qualcosa di terribilmente grande, che trascendeva la stessa mafia.
Era il loro destino, e presto se ne sarebbero accorti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Grazie della lettura!
Ebbene, ringrazio Lushia per la recensione e per tutto il sostegno su skype!
Per il resto… Enjoy the moment.
Tra non molto, informo già da ora, ci sarà uno stacco temporale brusco e prepotente, non posso sopportare l’idea di continuare a parlare di marmocchi e ho così tante cose da dire che se mi metto a trascrivere a questo ritmo pure la loro infanzia non mi basterà una vita per concludere.
Se mai troverò un’idea accettabile per una conclusione accettabile.
Sono emozionata dai miei stessi personaggi, non devo essere molto sana.
Qui si vede Viktor, viene citata Jessica e si vede Lancia. Inoltre anche Hugo e Carlotta avranno una funzione più o meno importante, anche se magari non di spicco. Di sicuro presto comparirà Belphegor.
Ah. In tal proposito…
La cosiddetta “Famiglia Vidal”, o meglio chi ne è rimasto, è una branca di manicomio presa e trapiantata sulle Alpi.
Pace.
Beh… vedremo [perché non lo so manco io] come si evolverà tutto questo andando avanti!
A presto!
[…si spera…]
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn / Vai alla pagina dell'autore: Mad dy ness Zalk909192