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Autore: Nivees    14/03/2013    3 recensioni
{ Dieci storie tratte dalle canzoni più belle dei Kagamine | Len/Rin ♥ }
Ogni volta che Rin non riesce a dormire la notte, corre sempre nel lettone di Len il quale, finché la sorella non chiude gli occhi, le sussurra una dolce favola della buona notte, stringendola a sé.
First night ~ «C'era una volta...» ...una bambola. [Dolls]
Second night ~ «C'era una volta...» ...una principessa. [Sword of Drossel]
Third night ~ «C'era una volta...» ...una parola. [Hello Again]
Fourth night ~ «C'era una volta...» ...un robot. [Kokoro]
Fifth night ~ «C'era una volta...» ...un prigioniero. [Paper plane]
Sixth night ~ «C'era una volta...» ...un sogno. [Dreamy Dance Party]
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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Non passerà molto tra la pubblicazione dei vari capitoli, dato che sono già terminati. Per questo mi ritroverete spesso in questo fandom - nonostante la fic non piaccia, yee! (?) Ma non importa, pubblico giusto per quelle poche anime che hanno messo questa raccolta tra le seguite e quelli che l'hanno visualizzata.
Bene, siamo arrivati alla seconda notte. Noterete che il racconto di Len è narrato in un modo leggermente diverso da quello scorso, giusto perché si basa appunto da come si sente Len in quel momento preciso. La prima notte era stanco, e la storia era corta e poco accurata, ma era tutto calcolato perché Len era stanco!
Saranno un po' tutte un po' diverse l'una dall'altra, quindi non preoccupatevi.
Well well, godetevi con tanto love questi due piccioncini e la seconda storia, e se magari volete lasciare qualche commentino ne sarei molto lieta!




 

La dolce favola della buona notte

Second night ~ Sword of Drossel

 

 

Chiuse gli occhi e si portò due dita sulla fronte, quasi esasperato, chiedendosi perché Rin si trovasse anche quella sera nel suo letto con un mega sorriso che le partiva da un orecchio e le arrivava all'altro. Avvolta nel suo pigiamone giallo con delle arance disegnate sopra – ma quanto poteva essere carina anche a quel modo? – lo fissava in attesa di qualcosa, e Len proprio non riusciva a capire cosa volesse.
«Ieri» gli venne in aiuto lei, incrociando le braccia al petto, «La storia non mi è piaciuta. Era corta, la narravi con un tono strascicato e ti sei addormentato proprio sul più bello!».
Len alzò un sopracciglio a quelle parole: a malapena riusciva a ricordare cosa avesse fatto la sera – o notte, veramente non ricordava – prima, né tantomeno cosa avesse detto o raccontato. Era vero che le aveva esposto la prima storiella che gli era venuta in mente, non arrivando a narrarle nemmeno i particolari, ma durante il racconto Rin sembrava piuttosto presa... almeno, questo prima che lui cadesse addormentato.
«E con ciò?» chiese allora, confuso.
«Con ciò pretendo che anche questa sera tu mi debba raccontare una storia. Una più bella, più lunga e che abbia una fine, possibilmente!» lei ampliò il sorriso, come ad incoraggiarlo – o ad impaurirlo, «Tanto hai dormito fino a tardi oggi, giusto? Non sei stanco, vero onii-chan?».
Sconfitto come ogni volta che anche solo tentava di andare contro Rin, Len si stiracchiò e si lasciò trascinare sul letto dalla biondina tutta contenta, che subito lo abbracciò e restò in attesa della sua storia.
«Dato che quella di ieri non ti è piaciuta» le fece il verso, «Dimmi tu cosa vuoi che ti racconti, così almeno non ti lamenti» optò per quella soluzione, stringendo il suo corpicino un po' di più a sé senza nemmeno rendersene conto.
«Voglio che mi racconti di una principessa. Ma non voglio le classiche fiabe che la mamma ci raccontava quando eravamo bambini, voglio che sia una storia che non ho mai sentito prima d'ora».
Len si grattò la testa, «Vuoi un po' troppo, Rin...».
«Ti prego, Len Len» e dopo avergli fatto persino gli occhi dolci, Len non poté non cederle – ancora una volta.
Fu così, che anche quella sera iniziò a narrare: «C'era una volta...».

... una principessa. Era una dolce fanciulla che amava il suo paese e che avrebbe dato persino la vita per il bene del suo popolo; era bella e di regale portamento, chiunque a palazzo la guardava affascinato ogni volta che la incontrava.
«Rin».
Era quello il suo nome e colui che lo pronunciò fu il giovane principe suo fratello, che in quel preciso momento le stava porgendo una mano per invitarla a fare un giro tra i roseti nel giardino del palazzo, e lei non rifiutò affatto quell'invito: accettò quella mano con un sorriso e insieme a lui si recò ad osservare quelle rose aprirsi al sole primaverile.
Rin adorava suo fratello Len. Era merito suo se lei era cresciuta perfettamente come una principessa doveva essere, amante della propria patria, giusta e leale. Suo fratello era così, e lei voleva essere come lui, alla sua altezza. Voleva meritare di essere al suo fianco, quando lui sarebbe diventato re.
«Rin» la chiamò di nuovo il principe, guardandola con un sorriso nascente sul viso, «Ho un regalo per te» annunciò, con tono solenne mentre la mano non occupata a tenerle cavallerescamente il braccio affondava in una delle tasche del suo mantello scuro.
Rin arrossì e incuriosita guardò con insistenza la mano del fratello finché non riuscì a scorgere cosa vi celasse. «Ma... ma quella è la tua spilla, Len!» la indicò con un sottile dito, stupita quando Len fece il gesto di cedergli quell'oggetto che gli era tanto caro.
Quella spilla che la loro defunta madre regalò al futuro re significava molto per Len, proprio per quel motivo. Rin non poteva essere più incredula a quel punto, e una parte di sé non riuscì a non pensare che ciò voleva dire che sarebbe successo qualcosa a breve e non per forza era una cosa bella.
Cercò di non pensarci, accettando in automatico quel regalo quando Len glielo appoggiò nel palmo della mano.
«Vorrei che la tenessi tu, Rin» mormorò gentilmente il ragazzo, chiudendole la mano attorno alla spilla, «Nostra madre me lo cedette poco prima di morire; non avrò lo stesso destino – spero – ma mi piacerebbe che questo gesto significhi per te ciò che significa per me».
«Stai per partire, Len?» chiese lei, in un fil di voce.
Il fratello annuì, «Partirò domani. Ma non devi preoccuparti, tornerò presto» le carezzò una guancia, dicendo quelle parole, «E se ti sentirai sola, tieni stretta a te questa spilla e sarà come avermi accanto».
Rin abbassò gli occhi, cercando di trattenere le lacrime. Non voleva separarsi dal fratello, nemmeno se fosse stata questione di pochi giorni perché Len era tutto ciò che aveva e il solo pensare di allontanarsi da lui la terrorizzava. Ma cercò di essere forte, proprio come lui le aveva insegnato: una principessa non abbassava mai la guardia per così poco, e men che meno si faceva vedere in quello stato quasi pietoso.
«V–Va bene» la sua voce tremò appena, ma riuscì a tenere comunque un tono fermo, prendendo coraggio, «Lo farò. Solo... Promettimi che tornerai presto».
Len sorrise e le baciò la fronte con dolcezza, mormorando un «Tornerò presto» prima di lasciarla da sola in quel roseto dove lei restò fino a sera, stringendo al petto quella spilla.

Il giorno dopo, scoprì l'orrenda verità che celava il comportamento di suo fratello.
Len non stava affatto partendo, ma non aveva nemmeno intenzione di restare. Aveva deciso di abbandonare il suo paese, il suo popolo, lei. Aveva dato le spalle a quella gente che avrebbe dovuto aiutare una volta che sarebbe divenuto un re, invece aveva lasciato la sua patria – che rimase a quel punto senza un futuro re.
Rin non credette subito a ciò che le fu detto: non credette che suo fratello, proprio lui, avesse potuto fare una cosa simile. Corse in lungo e in largo per il palazzo nella sua ricerca, perché voleva vederlo e convincere quelle persone che si sbagliavano, e che Len non aveva fatto nulla del genere. Eppure, una volta arrivata nella lunga scalinata davanti al portone, quando lo vide non era affatto come si era immaginata.
Len non la guardò. Era avvolto nel suo mantello nero, e aveva uno sguardo freddo come la pioggia che cadeva violentemente quel giorno e impenetrabile mentre varcava la soglia del portone. Non ebbe nemmeno il coraggio di chiamare a voce alta il suo nome, per fermarlo prima che fosse troppo tardi, né andargli incontro e bloccarlo tra le sue braccia. Si limitò solo ad osservare la sua figura rimpicciolirsi sempre di più, sempre più lontana, finché non fu più visibile.
Rimase immobile in cima alle scale, stringendo i pugni così forte che le unghie si conficcarono nel palmo della mano. Poi gridò, lasciandosi andare ad un pianto disperato, poco adatto ad una principessa del suo calibro – e in quel preciso momento, quella stessa spilla che le aveva regalato suo fratello appena il pomeriggio prima s'illuminò, ma il suo cuore era troppo dolorante per poterci fare caso.
«Len» mormorò tra iracondi singhiozzi, mentre attorno a lei accadeva il putiferio per quell'abbandono improvviso da parte del re, e l'agitazione data dal fatto che adesso il paese era rimasto senza un sovrano. L'incoronazione sarebbe dovuta avvenire al suo ritorno da quel finto viaggio con cui l'aveva mentito il giorno prima, ma arrivati a quel punto non ci sarebbe stata nessuna festa e nessun ragazzo da chiamare ʽmaestàʼ. «Silenzio!» tuonò la principessa tra le lacrime, attirando inevitabilemente l'attenzione – e chiunque si accorse dei suoi occhi rossi dal pianto e dalla rabbia, «Diversamente da colui che non ho più il coraggio di chiamare mio fratello, io non ho abbandonato il mio popolo! Io resterò al vostro fianco fino alla fine, permettetemi dunque di divenire io la vostra regina!» annunciò con tono solenne.
E poco importò che in quel momento la futura regina stesse piangendo, la servitù e i ministri presenti a quel discorso non poterono fare a meno di esultare un «Lunga vita alla regina!» programmando la sua stessa incoronazione il più presto possibile.
I festeggiamenti durarono ben poco per Rin, però. Si ritirò subito nelle sue stanze, non aveva affatto voglia di restare in quella confusione un momento di più; preferì restare sola nel suo dolore e nel suo odio pensando che l'unica persona che le era rimasta a quel mondo, il suo adorato fratello, colui che aveva ammirato con tutto il cuore alla fine si era rivelato come un vigliacco, tanto da abbandonare tutto.
Lo odiò, lo odiò come non aveva mai odiato in vita sua. Nella mente della futura regina si susseguirono i vari momenti di felicità che aveva passato insieme al suo adorato – adorato? – fratello, da quando erano due bambini fino a che la sventura non si era abbattuta su di loro. Lo odiò fin dal profondo, tanto che nella sua mente non c'era altro se non quel sentimento tanto orribile.
E fu così che la giovane regina impazzì.

La sua, più che pazzia, era vera e propria ossessione. Era ossessionata da quello che aveva fatto quella persona, arrivando persino a sognarla durante la notte in dolorosi incubi, che non facevano altro che farle tornare nella sua mente quelle immagini che tanto voleva dimenticare, quello sguardo freddo e la sua figura regale che si allontanava sempre di più.
Da quel giorno in poi, comunque, Rin non venne mai meno al suo voto: fu una regina rispettabile, buona e generosa, pronta a qualsiasi cosa pur di far del bene al suo popolo, nonostante nel suo cuore albergava un odio incontrollabile. Ciò che era successo non la lasciò affatto indifferente, perché era sì una regina degna di nota, ma non sembrava più la stessa persona che era stata un tempo. I suoi occhi cerulei non sorridevano più, non osava più andare a passeggiare tra i roseti – quelle abitudini le ricordavano troppo quella persona, e non andava bene per la sua salute mentale.
Non venne mai meno ai suoi doveri di regina però. Fu proprio per questo motivo se, quel giorno, Rin si ritrovò al cospetto proprio di
lui. Si era mossa personalmente verso quella terra straniera per stipulare un patto di alleanza in prossimità dell'avvicinarsi della guerra. Come suo preciso dovere di regina, doveva permettere innanzitutto la sicurezza del suo popolo, e niente era meglio che fare un'alleanza con uno dei paesi confinanti più forti.
Non si sarebbe mai aspettata di ritrovarsi davanti quella stessa figura che mesi addietro aveva rivolto le spalle a lei e al suo paese. Al solo vedere il suo volto – che tanto le somigliava – le fiamme dell'odio arsero dentro di lei, e la spilla che continuava ad indossare – per qualche oscuro motivo, non riusciva a separarsene nonostante le ricordasse troppo quella persona – s'illuminò.
Lui non disse nulla, la fissò immobile mente le lacrime – di rabbia? Di odio? – iniziarono a sgorgarle dagli occhi.
«Tu» sibilò, perdendo il controllo di se stessa, «Il traditore della mia gente, colui che ha tradito
me».
Suo fratello rimase comunque in silenzio persino dopo quelle parole, ma il suo sguardo non era affatto come quello di mesi prima, freddo e indifferente. Bensì la guardò addolorato, impietosito quasi. Ciò però non attirò l'attenzione della ragazza, che controllata dal suo odio urlò, brandendo la spada che usava portarsi dietro per ogni evenienza, quando lasciava la sua adorata patria.
Non vide affatto quando lui allargò le braccia, come ad accoglierla in un abbraccio; non si accorse del suo sorriso un po' triste che gli nacque sul volto: la spada trapassò da parte a parte il suo petto e macchiò di rosso le sue vesti e le sue mani. Nello stesso istante, Len spezzo il legame che legava quella spilla, rompendola e lanciandola lontano, prima di darle un bacio sulla fronte e giacere immobile tra le sue braccia.
«A–Ah» tremò Rin, lasciando la presa sulla spada e rendendosi conto di ciò che aveva fatto, «Len?» lo chiamò, prendendogli il volto tra le mani e sporcandolo con il suo stesso sangue, ma il fratello non diede cenno di vita.
Rin non era una ragazza stupida. Si rese ben presto conto di cosa era successo, cosa lei aveva fatto e quale erano state le conseguenze.
Si rese conto che quella spilla aveva raccolto dentro di sé tutto l'odio verso quel paese che lei – non vedendo cosa celasse dietro quel falso splendore – aveva amato, ma che invece era solo un'utopia da cui sia sua madre prima di morire che suo fratello volevano scappare, e che avevano provato a portare via anche lei. Ma lei era stata debole, fin troppo, lasciandosi controllare da quell'odio invece che usarlo come arma contro il male intorno a lei.
Aveva brandito la sua spada per uccidere, e lei non aveva mai osato fare del male nemmeno ad una mosca. E cosa ancora più grave, aveva ferito e inevitabilmente ucciso il suo adorato fratello Len – e ormai era troppo tardi per tutto, troppo tardi per rimediare ai suoi sbagli e troppo tardi per...


... «Basta!».
Len si fermò a metà frase proprio come la sera prima, ma stavolta non si era addormentato e non era comunque colpa sua. Rin lo aveva interrotto innervosita, prima di avvolgersi tra le coperte e formare una specie di bozzolo accanto a lui.
Confuso, il ragazzo provò a toccarla e a scuoterla, «Oi, che è successo? Che ho fatto?» chiese, non riuscendo veramente ad afferrare cosa non andasse in quello che aveva fatto – questa volta sarebbe arrivato alla fine, in più era la storia che trattava di una principessa ed era più che sicuro che Rin non la conosceva affatto!
«C–C'è che racconti sempre stupide storie, b–baka Len!» si lamentò, con voce ovattata dalla coperta che ancora la ricopriva, «Sei proprio scemo a raccontare una storia... del genere! Una sorella che... che ammazza suo fratello! Scemo Len!» inveì ancora contro di lui, senza abbandonare il suo morbido rifugio.
Finalmente Len capì, e quando la comprensione si fece largo dentro di sé inevitabilmente sorrise proprio come uno scemo, abbracciando quel fagottino che tanto amava, «È solo una storia, Rin!».
Era adorabile, la sua sorellina. Gli voleva bene a tal punto che non sopportava nemmeno di sentire una storia con un tale significato, sentendosi troppo presa? A quel pensiero, strinse di più la presa, mentre Rin mugugnò qualcosa senza però spingerlo via – come molto probabilmente voleva fare, dato che era molto irritata.
«Prometto che domani ti racconterò un'altra storia senza fratelli degeneri nel mezzo, a patto che adesso tu ti metta in modo un po' più composto e la smetti di lagnarti. Ci stai?».
Sentendo quelle parole, Rin piano piano uscì dal suo nascodiglio e annuì, «Se questo è il patto, allora va bene».
Len alzò gli occhi al cielo, «Ora dormi».
«Avrò gli incubi».
«Non avrai gli incubi!».
«Uhm» mugugnò un altro po', prima di accoccolarsi al suo petto, «Forse no, se dormo qui con te».
Il biondo fece un finto gesto irritato – non era affatto dispiaciuto per quello, per niente. Anzi, ne era contento! «Adesso dormi, rompiscatole».
«Buona notte, baka Len!» ridacchiò lei, dandogli un bacio sulla guancia e chiudendo gli occhi.
E anche la seconda notte era passata. Adesso, Len doveva prepararsi – almeno mentalmente – alla terza.

  
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