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Autore: Janasel    14/03/2013    0 recensioni
Voglio raccontare le mietiture dei tributi che non sono mai state raccontate. Dei tributi conosciuti. Johanna, Annie, Cato, Finnick, Mags, Cecilia, Clove, Enobaria. Tutti loro e anche di più.
Genere: Drammatico, Guerra, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annie Cresta, Cato, Favoriti, Finnick Odair
Note: Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Annie Cresta


Mani soffici mi accarezzano i capelli. Sù e giù sulla mia testa. Mi calmano il respiro e l'ansia che sento salire dentro di me. Sono che quando apro gli occhi, non c'è nessuno accanto a me. Il freddo letto dell'istituto dove sono cresciuta mi accoglie come ogni mattina. Le mie compagne o dormono o fanno finta di farlo. Nessuna ha molta voglia di alzarsi oggi.Farlo significherebbe ammettere che il giorno della Mietitura è cominciato.
Mi alzo e indosso la prima cosa che trovo. Scappo in riva al mare. Solo lì mi sento al sicuro. Se solo potessero crescermi le pinne scapperei via insieme a tutti quei pesci. Pesci liberi, almeno finchè non incontrano le nostre reti.
Scapperei da questo distretto, dove si siamo un po' più ricchi, ma solo quelli che hanno una famiglia. Scapperei dall'istituto, dove nessuno mi ha davvero mai amata; dove non ho amiche, perchè si deve lottare tra di noi anche per un piccolo tozzo di pane. I soldi che guadagniamo quando siamo obbligate a lavorare vanno direttamente alla direttrice dell'istituto. Ci hanno mantenuto tutta la vita, dice, dobbiamo darle qualcosa in cambio. Anche se dovrebbe essere Capitol City a pagare la vita di chi è senza famiglia. Ma manca poco... tra un paio d'anni potrò finalmente uscire da questo incubo. Mi verrà assegnata una casa e potrò vivere per conto mio. Le lotte per il pane dovrò farle da sola. Cammino sulla spiaggia a piedi nudi, nonostante il freddo, e guardo il sole nascere. Alzando gli occhi sul bagnasciuga vedo altre impronte; altre anime inquiete come la mia che cercano il confortante silenzio delle onde.
Osservo il mare finchè il rifesso del sole inizia a ferirmi gli occhi.
Non ho paura di morire, non l'ho mai avuta, forse perchè non ho mai avuto una vita degna di essere vissuta. Ma ho paura degli orrori dell'arena. Ho paura di morire di freddo, di infezioni o ancora peggio, disidratata. Perchè non puoi togliere l'acqua a chi ha imparato prima a nuotare che a camminare. A volte siamo fortunati perchè i più ricchi del distretto spesso allenano i loro figli a diventare Favoriti e qualche anno c'è chi si offre. D'altra parte però, noi dell'istituto, siamo obbligate a prendere le tessere se vogliamo cibo extra quando dobbiamo lavorare, in modo da non svenire dalla fatica. Quando il sole è quasi alto nel cielo mi obbligo a tornare indietro, in quel posto che non potrò mai chiamare casa ma che è l'unica abitazione che conosco. I miei genitori morirono entrambi annegati in un giorno di pesca al largo. Due mesi all'anno, in inverno, quando le balene si avvicinano di più alla costa, i pescatori più esperti escono al largo, in modo da procurare ossa, olio e grasso per Capitol City. Quel giorno una tempesta rovesciò la loro barca. Il mare restituì i corpi irriconoscibili solo in primavera. Ma ero troppo piccola per ricordare.
Essendo arrivata tardi, trovo l'acqua ormai fredda e sporcata da tutte le ragazze lavatesi prima di me. Almeno il vestito che trovo ad aspettarmi è pulito ed è solo mio. Una delle poche cose che mi hanno lasciato tenere di mia madre sono proprio i vestiti, così l'istituto non avrebbe dovuto comprarne altri per me. Ma comunque per tutta l'infanzia e per i giorni di scuola sono obbligata ad indossare vestiti smessi da molte altre prima di me.
Riesco ad avere un attimo davanti allo specchio tutto per me. L'abito verde acqua mette in risalto i miei occhi dallo stesso colore e i capelli lunghi e castani sono ben pettinati e fluenti. Come tutto intorno a me, profumo di acqua di mare.
Dopo un pasto non molto diverso da quello degli altri giorni, finalmente ci fanno andare alla piazza, ben ordinate in fila indiana, dalle più piccole alle più grandi.
Mi sistemo al mio posto, tra le mie compagne. Questa è l'unica volta, una all'anno, in cui ci teniamo per mano, in cui sentiamo il bisogno l'una dell'altra. E infondo è l'istinto di sopravvivenza ad allontanarci l'una dall'altra. è questo che il governo di Panem vuole. Ma infondo è l'unica famiglia che ho.
Dopo il solito discorso sui giorni bui ecco che la donna proveniente da Capitol si alza. Questo è il suo secondo anno. Rispetto alla precendente lei è quasi "normale". I capelli sono solo tinti di bianco, non porta parrucche, e la pelle non è tatuata in ogni dove. Si chiama Ania.
"Benvenuti, giovani donne e giovani uomini. Felici 70esimi Hunger Games, e possa la fortuna sempre essere a vostro favore. Come ogni anno, iniziamo dalle ragazze."
Si dirige, così sicura nei suoi tacchi alti, verso la boccia contenente 10 volte il mio nome e quello di tutte le ragazze strette intorno a me.
La mano entra nella boccia. Ti prego fa che non sia io. La mano penetra a fondo tra i biglietti. Fa che non sia una delle mie compagne. La mano mescola i biglietti. Ti prego, fa che non sia una delle bambine spaventate là davanti. La mano estrae il biglietto.
Non ho più la forza per pregare.
Ania cammina verso il microfono con il biglietto in mano. Lo apre lentamente. Le sue labbra formano un nome. Non riesco a sentirne il suono. Sento solo molti sospiri di sollievo e una mia compagna di stanza che mi abbraccia.
Perchè il nome che le sue labbra formavano era il mio: Annie Cresta.
Non ho paura di morire. Non ho paura di morire.
Raddrizzo la testa e vado verso il palco. Non ho paura di morire. Lo ripeto molte volte a me stessa.
Salendo sul palco guardo la mia mentore neglio occhi. Mags. Ha gli occhi lucidi, come ogni anno. è molto vecchia, chissà quante ne ha viste di ragazze come me.
"Ci sono volontarie?" Chiede la voce strana di Ania. Per un attimo guardo la folla speranzosa, ma è solo un attimo. Toccherà a me entrare nell'arena.
Segue il nome del ragazzo. Lo conosco, abbiamo la stessa età, lavoriamo insieme a volte. è un tipo a posto. Buono. Ci guardiamo negli occhi e, per un secondo, ci diamo coraggio a vicenda. Ma sono altri occhi, subito alla sua sinistra, ad attirare la mia attenzione.
Segue la lettura del trattato e l'ascolto dell'inno. E io non riesco a togliermi dalla mente le immagini di quei due pozzo profondi. Gli occhi di Finnick Odair.
Non posso vincere. Ma nella prossima settimana imprimerò il ricordi di quegl'occhi nella mia mente e li porterò con me nell'arena. Forse morirò con almeno un ricordo felice.
   
 
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