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Autore: Maria_Black    14/03/2013    3 recensioni
Un nuovo personagio che sconvolgerà le vite dei protagonisti della Saga, prima ancora che tutto abbia inizio. Un nuovo personaggio che farà parte della vita dei Quileutes, che cambierà le carte in tavola, dando un finale diverso dalla Saga, dove non ci sono contentini per uno dei protagonisti principali. Dedicata a chi non è andata proprio tanto giù la storia dell'imprinting con Renesmee.
Dal prologo:
"Ah, dimenticavo!
Mi presento.
Piacere, Karen Clearwater"
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Leah Clearweater, Nuovo personaggio, Quileute, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
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30~ Solo ricordi



Non avevo mai notato come fossero disposti i tavoli nel cortile della nostra scuola. Ce ne erano tre sul lato che dava sulla strada, due verso il parcheggio e altri due verso il piccolo gruppo di alberi piantati in un aiuola. Ricordavo di essermi seduta su quello al centro dei tre sul lato della strada, quando passai la mia prima pausa con Jacob, Embry e Quil.
Jacob ed Embry. Chiusi gli occhi e li strinsi cercando di dimenticarmi di quell’immagine. Era così doloroso, ormai, guardare all’anno appena passato, in compagnia delle persone più belle che potessi mai immaginare di trovare qui. E pensare che, proprio a La Push, ero arrivata con la speranza di smettere di soffrire per le amicizie che già troppe volte mi ero lasciata alle spalle. E invece… Presi dalla tasca destra dei miei jeans il cellulare e andai dritta dritta alla rubrica. La scorsi. Jacob. Eccolo. Quante volte, nei giorni appena passati, mi ero trovata nella stessa situazione. Tentata di spingere quell’insignificante pulsante verde e avviare la chiamata. Ma ogni volta, dopo un sospiro, chiudevo il telefono di scatto, colta da un moto di rabbia verso qualcosa di ignoto. Ed era proprio quello che stavo per fare anche stavolta, quando qualcuno si avvicinò al mio banco. 
«Clearwater, ci può dare la risposta, cortesemente?»
Mi girai di scatto verso la voce della professoressa Bennet, spaventata e spaesata ritrovandomi a fare scena muta. Un sorriso quasi perfido si distese sul viso della donna,­ mentre Quil accanto a me mi guardava impotente. Probabilmente neanche lui stava seguendo la lezione di trigonometria.
«Cos’ha lì sotto, signorina Clearwater?»
Un gemito di stizza mi fuoriuscì dalle labbra mentre, con rassegnazione, mettevo sul banco il cellulare ancora aperto sulla schermata del contatto di Jacob.
«Non sa che i telefonini sono vietati in classe?» Domanda retorica, era ovvio che lo sapessi. «In presidenza, signorina Clearwater. Almeno imparerà che la prossima volta a lezione bisogna stare attenti e non a trafficare con il proprio cellulare.»
Le lanciai uno sguardo di fuoco, mentre, senza fare una piega, mi alzavo dal mio banco, prendevo libro e quaderno, aperti ovviamente alla pagina sbagliata, il mio piccolo astuccio, il cellulare, il giubbotto e attraversavo l’aula diretta in corridoio.
«Signorina Cleawater?» Mi richiamò la professoressa. Mi voltai verso di lei e la guardai interrogativa.
«Si faccia dire cosa abbiamo fatto. La prossima volta le controllo tutti gli esercizi assegnati.» Un ultimo sorriso perfido- sì, stavolta era decisamente perfido- e si voltò verso la classe, riprendendo la spiegazione da dove l’aveva interrotta.
Le lanciai un vaffanculo purtroppo solo mentale e poi uscii dall’aula, diretta in presidenza.
 
«Tu sei…?»
«Clearwater. Karen Clearwater.»
«Mmh…Eccoti. Karen Clearwater. Bene, sei arrivata solo un anno fa in questa scuola, esatto? » Piccolo cenno della testa per dargli conferma. «Come mai sei qui, Karen?»
La voce gentile del preside Ronald Peters, così recitava l’etichetta d’ottone sul lungo tavolo di legno, mi tranquillizzò e mi fece capire che non avrei subito grandi punizioni.
«La professoressa Bennet. Mi ha chiesto una cosa e non ho saputo rispondere perché stavo usando il mio cellulare.»
L’uomo di fronte a me, che poteva avere una cinquantina d’anni scarsi, mi squadrò a lungo con i suoi occhi scuri e poi mi sorrise, gentile.
« Questa è la prima volta che ti capita una cosa del genere, giusto?» Altro piccolo cenno di conferma. «Perciò per questa volta non avrai alcuna punizione, ma solo una comunicazione da far firmare ai tuoi tutori, ma che sia l’ultima volta che ti vedo seduta qui per una cosa del genere.»Siano ringraziati tutti gli spiriti dell’aldilà.
«Certo, preside Peters.»
«Bene, puoi andare.»
Mi alzai dalla sedia rossa e, veloce, mi defilai in corridoio, dove avrei dovuto trascorrere il resto dell’ora. Girovagai per un po’ finché non mi ritrovai di fronte all’aula vuota di letteratura inglese. Mi fermai sull’uscio della porta e fu impossibile fermare il fiume di ricordi che mi travolse.
 
«Black, può venire alla lavagna a spiegarci questo movimento letterario?»
«Certo, professore.» Sorriso smagliante che nasconde il suo vero stato d’animo. Non sa nulla di questa lezione, ieri abbiamo passato l’intero pomeriggio a casa di Quil.
«Allora… Questo movimento nasce nel… »Mi chiede aiuto con lo sguardo e io ridacchio, mentre do un’occhiata al libro aperto sul banco. “Ottocento” gli mimo con le labbra.
«Nel secolo dell’Ottocento in…Europa.»
«Sì, Black. E mi sa anche dire chi sono i maggiori esponenti?» Mi guarda disorientato. Credo che per lui, quello che ha detto il professore sia arabo. Scorro lo sguardo sulle pagine da studiare per oggi e trovo i nomi. Dio, sarà un’impresa farglielo capire. “William Worswort e Samuel Taylor Coleridge” sillabo con le labbra. Come pensavo, vedo i suoi occhi sgranarsi e non posso fare a meno di iniziare a ridacchiare. Riprovo, ma il risultato è comunque deludente.
«Sono…ehm… Walter Warsweet e Samuel Tiger Colleger?» Vedo la faccia del professore diventare di una tonalità molto vicina al rosso.
«Può ripetere, Black?» Jacob si rende subito conto di aver sbagliato.
«No, cioè, no….volevo dire…» Si rigira nella mia direzione, mentre mimo più lentamente i due nomi.
«Black? Allora, questi due nomi?» Provo ancora ma è inutile. È incapace di capire quello che gli sillabo. Ma nell’istante in cui il professore si volata verso Jacob, dando le spalle al resto della classe, Embry alza il suo quaderno e Jacob accenna un sorriso.
« William Worswort e Samuel Taylor Coleridge.»
Il professore lo fissa, poi si gira verso i banchi, giusto un istante dopo che Embry ha abbassato il quaderno sul banco.
«Bene, Black, può andare a posto. Volevo solo controllare che avesse ripassato la lezione precedente. Ma la prossima volta studi meglio.»
Jacob annuisce, poi a passo svelto torna al banco accanto al mio e si siede, mentre Embry si gira e gli fa un occhiolino, alzando il quaderno nella nostra direzione, dove vedo scritto con un pennarello nero a grandi lettera i nomi “WILLIAM WORSWORT” e“SAMUEL TAYLOR COLERIDGE”.
 
Chiusi gli occhi e chinai la testa. Era così difficile vivere con ricordi che spuntavano da ogni parte e in ogni momento.
Ricordi che facevano male perché erano e rimanevano solo ricordi.
Staccai a forza i piedi piantati nel pavimento e mi diressi verso l’esterno. Tecnicamente non avrei dovuto uscire dall’edificio ma, tecnicamente, il cortile faceva parte dell’edificio scolastico quindi… Quindi se mi beccavano tornavo in presidenza. Sarebbe stato un record per la sottoscritta: due volte dal preside, in una sola mattinata. Non ero mai andata in presidenza se non per via dei miei continui cambiamenti di scuola, andarci addirittura due volte in una sola giornata sarebbe stato passare da un estremo all’altro.
Scossi la testa. Quelli erano gli ultimi dei miei problemi.
Mi diressi veloce su uno dei tavoli in legno più lontani dalla scuola e mi sedetti su di esso, con i piedi appoggiati alla panchina. Mi strinsi il giubbotto addosso mentre una folata di vento mi sferzava i capelli in volto. Guardando in alto, mi resi conto che tutto era completamente coperto, il monotono grigiore che caratterizzava il cielo di La Push era presente all’appello anche quel giorno.
Quante cose erano cambiate in poco più di due mesi. Due mesi. Sono due mesi che non parlo con Embry. E meno di due settimane da quando ho parlato per l’ultima volta con Jacob.
Erano passati nove giorni, diciassette ore e trentaquattro minuti da quando avevo lasciato Jacob lì, su quella scogliera, e la situazione non era cambiata. Anzi, lo era, ma per diventare solo peggiore. Dio, Karen, ti sei ridotta a continuare addirittura i minuti. Hai veramente toccato il fondo.
Quil era venuto a casa mia lo stesso pomeriggio in cui avevo scoperto la new entry della setta di Sam. Mi ricordavo ancora di come i suoi passi pesanti per le scale fossero risuonati per tutta la casa, svelti e rapidi, e di come la porta si fosse aperta velocemente, mostrandomi un Quil con gli occhi sgranati e il viso sconvolto. Fu solo questione di fare due più due, che fa sempre e comunque quattro. Non ci vollero molti secondi, prima che entrambi ci rendessimo conto che tutti e due sapevamo tutto. Il modo in cui l’avevamo saputo era diverso, certo, ma entrambi sapevamo che Jacob si era unito alla setta di Sam Uley.
Passò un’auto fuori dal recinto in legno del cortile della scuola. La seguii con lo sguardo, la testa appoggiata alle mie mani, i gomiti sulle mie ginocchia.
Quil li aveva visti per caso, a qualche metro dalla casa di Paul Lahote, tutti insieme. Lui era appena andato a prendere un paio di cose al supermercato per conto della madre e aveva visto Jacob con Sam, Paul, Jared Cameron e Embry, mentre tornava a casa. Lui si era accorto di loro e loro si erano accorti di lui; lo avevano visto prima, visto che Quil mi aveva raccontato di averli trovati tutti girati nella sua direzione, come se stessero aspettando il suo arrivo.
Mi risvegliai dal fiume di ricordi al suono della campanella, segno della fine della quarta ora. Pausa pranzo.
Sospirai pesantemente, prima di alzarmi dal tavolo in legno e dirigermi veloce in mensa, dove mi misi in fila e presi solo una mela. Mi sedetti al solito tavolo, dove aspettai Quil, Jennifer, Cloe e John, alcuni ragazzi che avevano dei corsi in comune con noi. Arrivarono poco dopo e Quil mi chiese informazioni riguardo la mia esperienza in presidenza.
«Nulla di che, il preside Peters è un pezzo di pane. Ha detto che devo far firmare una comunicazione ai miei zii e che la devo riportare a scuola e basta.»
«Wow, è stato clemente!» La  sua riposta mi fece capire che lui doveva aver frequentato l’ufficio del preside già altre volte.
«Quil?» Bastò un’occhiata per fargli capire che doveva sputare il rospo.
«Ma niente, davvero… Solo un po’ di acqua e sapone per terra, accanto agli armadietti dei professori, ma nulla di importante, sul serio…»
Liberai una risata. Quil era e rimaneva sempre Quil.
«E come l’ha presa Peters?» Chiesi, tra le risate.
«Beh… diciamo che pulire i bagni  degli spogliatoi maschili »SiuSSè stata un’esperienzainteressante, ma che non voglio ripetere mai più!» Un’altra risata mi nacque spontanea, perché i racconti di Quil erano sempre i più esilaranti. «Non ti dico il caos che abbiamo fatto in quei bagni, poi! Embry si è dimenticato il tappo aperto di uno di quei detersivi e Jacob ha fatto cadere la bottiglia aperta e… è successo un casino.» Finì il suo racconto, con un sorriso triste e malinconico disegnato sulle labbra. Non lo dava a vedere, ma Embry e Jacob gli mancavano davvero tanto. Amici d’infanzia fin dalle materne, inseparabili e sempre uniti. Era giusto e lecito che gli mancassero. Ma Quil era sempre stato lo sbruffone, il pagliaccio della situazione e non era da lui farsi vedere triste, anche nei momenti peggiori. E quella situazione non era un’eccezione alla regola.
 
Stava arrivando il vero freddo invernale. Così dicevano tutti i telegiornali e le previsioni meteo, almeno. Secondo queste, infatti, quello che lo stato di Washington aveva subito fino ad allora era stata la premessa per una vera e propria bufera di neve e gelo.
«Buonasera a tutti!»
La voce di zio Harry mi fece distogliere lo sguardo dal televisore per puntarlo sulla sua figura. Finalmente era ritornato. Ultimamente passava quasi tutti i pomeriggi fuori, a casa di non sapevo bene chi, e tornava solo verso ora di cena, senza mai accennare a quello che avevo fatto per tutto il pomeriggio.
«Ciao zio!»
«Ciao Kar! Gli altri dove sono?»
«Zia Sue e Seth sono al supermercato, mentre Leah dovrebbe essere nella biblioteca della scuola per una ricerca.»
«Capito.» Appese il giaccone e si diresse in cucina, per poi tornare e sedersi accanto a me, in attesa di vedere la replica del telegiornale sportivo delle cinque. Gli feci compagnia, seduta accanto a lui. Stare con lui e distrarmi seguendo le ultime notizie sul baseball mi aiutavano a non pensare. Passò una mezz’oretta, poi tornarono prima Leah, carica di libri e quaderni, e poi zia Sue e Seth, con due buste della spesa piene di cibo e prodotti per la casa.
Dieci minuti dopo il rientro generale della famiglia Clearwater, zia Sue ci chiamò a raccolta tutti in cucina, per cenare.
«Seth, mi passi quella ciotola?»
«Sì, subito Kar!»
«Seth, attento!» Zio Harry non riuscì ad avvertirlo in tempo, però.
«Oh, no! Leah, tutto ok?» La faccia di Leah non prometteva nulla di buono.
«Non direi! Seth, mi hai bagnata tutta!»
«Scusa, non avevo visto la bottiglia d’acqua aperta!»
«Dovresti stare più attento!»
«Ragazzi, basta. Su, non è successo niente! Leah, va’ a cambiarti. Seth, prendi il mocio e togli l’acqua per terra.» Zia Sue cercò di risolvere il più velocemente possibile la situazione.
«Se sapevo che avrei scatenato tutto questo casino, non ti avrei chiesto di prendermi quella ciotola, Seth!»
«Ma davvero, non l’ho fatto apposta!»
«Ci mancherebbe!»
«Leah, a cambiarti, ho detto. E tu, Seth, muoviti, sai dove è lo straccio.»
Driiin.
Lo squillo del telefono interruppe quell’esilarante scena familiare. Ci mancava solo una chiamata.
«Harry, va’ tu per favore. Karen, tu va’ a cercare tuo cugino che non ritorna. Cosa ci sarà di così difficile nel trovare uno stupido mocio, io non lo capisco.»
«Certo, zia Sue, vado.»
«Casa Clearwater, chi parla?»
Mi diressi nello stanzino sul retro dove trovai Seth.
«Seth, allora?»
«Karen, ma…cos’è, esattamente, un mocio?»
Passò un secondo, prima che scoppiassi a ridere e prendessi il misterioso oggetto sconosciuto a mio cugino, tra i vari secchi.
«È questo, Seth, un mocio.»
«Ah, ok, capito.» Com’era possibile che alle volte Seth potesse sembrare così… bambino?
Continuando a ridere, glielo passai e lui, veloce, tornò in cucina, armato di mocio e pronto a sistemare il guaio che aveva combinato.
Con più calma mi avviai anch’io verso la cucina. Dopo aver chiuso la porta del piccolo sgabuzzino»»», attraversai il corridoio che spuntava in soggiorno. Stavo passando davanti alla stanza per gli ospiti, quando sentii zio Harry da dentro che parlava con qualcuno.
«Sì, sì… Domani va benissimo… Hai ragione, non si può andare avanti così… Sì, devono trovare un modo per farlo fuori…  Certo, Billy. E chiama solo Sam, ci penserà lui ad avvertire tutti gli altri…» Rise, mentre da dietro la porta io sgranavo sempre di più gli occhi. Billy? Sam? Poi abbassò il tono della voce, mentre continuava ridacchiare, anche se io dall’altro lato della porta riuscivo ancora a distinguere le parole.
«Sì, basterà un suo ululato e saranno tutti subito a disposizione.» Un ululato?! «In fondo è l’Alpha, devono sottostare a lui. A proposito di Alpha, Jacob che ha detto di questa storia?» Alpha? J-jacob? Cosa c’entra Jacob? « Quindi non ha cambiato idea… Prova a parlarci e fargli capire quanto sia giusto che sia lui il capobranco…» C-capobranco? Ma cosa…?« Tranquillo, che cambierà idea. Ora vado, Billy. Salutami Jacob… Sì, te la saluterò. Ciao, Billy, ciao.»
Frastornata, mi allontanai velocemente dalla porta socchiusa e tornai in fretta in cucina.
Il mio cervello era ancora sotto shock, incapace di produrre alcun pensiero ma, se c’era una cosa di cui ero certa, era che dovevo cercare il filo logico di quella conversazione perché lì, nascosta tra quelle frasi che a me apparivano senza senso, c’era la soluzione all’enigma sulla setta di Sam Uley.

~                                 ~                           ~                                  ~

Angolo Autrice  
Sì, sono ancora viva, sì, non sono scomparsa dalla faccia della Terra, sì, non mi hanno rapito gli alieni e ancora sì, non mi sono dimenticata di Run.
Scusate per l'enorme intervallo di tempo tra l'ultimo aggiornamento e questo, ma varie cose si sono messe in mezzo e stasera finalmente sono riuscita a postare.
Tornando al capitolo, che dir? Kar soffre per la lontanaza di Jake, e non è l'unica, ma poco dopo sente qualcosa che forse non doveva sentire.....cosa accadrà, ora? Rimarrà col dubbio o se lo farà passare? Agirà? Andrà da suo zio? Da Billy? Dallo stesso Sam? O forse da uno dei componenti della ''banda''?
Ehehehehe....lo scoprirete solo nella prossima puntata. xD
Ringrazio infinitamente Noemi per tutto, dal betaggio, ai consigli.
Ringrazio chiunque sia ancora qui a leggere questa storia e chi recensisce dicendomi la sua.
Un'ultima cosa prima di lasciarvi, però. Fatemi un favore, passate da qui e date una letta. Non ve ne pentirete, davvero. E' un Originale Romantica, si chiama Until.
Vi lascio, a prima possibile, spero.
Ciao ciao

Maria_Black

Scusate per l'enorm  
   
 
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