Capitolo VIII
Un Incontro
Residenza del
Duca di Lyndham
Hyde Park, Londra
Lo aveva
sentito rincasare prima di quanto
avrebbe immaginato. Dal rumore della porta sbattuta e dalla rapidità
con cui
era rientrato, aveva intuito che le cose non erano andate come sperava.
Per tutta la
sera l’aveva osservato struggersi
per lei. Lo conosceva bene, ormai, e sapeva che quello sguardo celava
il
profondo desiderio che il suo ragazzo nutriva per quella giovane donna.
Poteva
capirlo: Lady Sarah Jane Montagu si era
rivelata una piacevole e deliziosa sorpresa.
Le voci che
erano girate a suo tempo su di lei,
che l’avevano definita dapprima una mocciosa viziata e troppo ribelle
per
sottomettersi al volere del padre e poi un’avventuriera senza scrupoli,
non le
rendevano affatto giustizia. Ora che conosceva la storia in ogni suo
dettaglio,
dopo che Nick gliel’aveva raccontata, e, soprattutto, ora che l’aveva
conosciuta di persona, l’anziano Duca di Lyndham poteva benissimo
comprendere
l’infatuazione che il nipote nutriva per la bellissima nobildonna.
“Infatuazione…”
Sua Grazia
sorrise, divertito: se Nick lo
avesse sentito definire a tal modo quello che provava per Lady Sarah,
probabilmente lo avrebbe sfidato a duello!
Il ragazzo
era davvero innamorato. Mai, prima
di allora, lo aveva visto così coinvolto da una donna.
Nonostante
Nicholas non abitasse in
Inghilterra, tuttavia aveva compiuto gli studi più importanti ad Oxford
su
espresso desiderio di Sua Grazia, affinché potesse assimilare al meglio
il suo quarto
di sangue inglese e potesse essere, un giorno, suo degno erede tanto
quanto lo
sarebbe stato del titolo paterno.
Pensò con
affetto al giovane fanciullo che
aveva conosciuto ormai quasi vent’anni prima: quando lo aveva veduto
per la
prima volta parlava a stento l’inglese e preferiva cavalcare libero per
i
boschi e i campi che circondavano la residenza di famiglia; un ragazzo
magro
con gambe già allora lunghissime e occhi chiari, intensi, che mutavano
colore all’improvviso
e che spiccavano in un volto scarno, incorniciato da capelli scuri e
ribelli. A
quei tempi era più ossa che altro, ma già allora si poteva intuire
l’uomo forte
e vigoroso che un giorno sarebbe diventato.
Gli era stato
presentato come il Duca, il
prozio di cui lui sarebbe stato l’unico erede.
L’intelligenza
vivace e il senso dell’umorismo
del ragazzo lo avevano colpito fin dal primo momento, quando,
divertito, aveva
replicato al padre: “Non
è troppo, per un solo ragazzo?”, riferendosi al fatto
che, alla morte del prozio inglese e a quella del proprio genitore,
egli
avrebbe ereditato ben due titoli nobiliari.
Da quel primo
incontro l’aveva rivisto soltanto
tre anni dopo quando, terminate le scuole di base, era giunto in
Inghilterra
per compiere gli studi che avrebbero fatto di lui anche un perfetto
Lord
inglese.
Negli anni
successivi, mentre studiava ad Oxford,
Nicholas tornava in patria solo per le vacanze, ma ogni domenica la
trascorreva
con il suo prozio, per imparare a conoscerlo.
Andrew
Thornton, abituato da anni a vivere
solo, aveva temuto che il nipote avrebbe portato scompiglio nella sua
ordinata
vita da scapolo, e così era stato. Eppure l’anziano Duca non avrebbe
scambiato
quei momenti per nulla al mondo.
Quel giovane
era stata la gioia della sua
vecchiaia: lo aveva visto a poco a poco trasformarsi da un imberbe
fanciullo in
un ragazzo studioso e di modi eleganti, pur non affettati o effeminati,
come
capitava a molti rampolli di nobile famiglia. Oltre allo studio si era
appassionato al teatro e a sport di vario genere, tra i quali la
scherma e
l’equitazione, fino a diventare l’uomo muscoloso e aitante, di una
bellezza
quasi irreale, soprattutto perché accompagnata da modi ineccepibili e
da
un’intelligenza acuta e vivace.
Per anni
aveva visto donne di ogni età e di
qualunque estrazione sociale, restare affascinate da quel giovane uomo
forte e
gentile, che le lusingava, le corteggiava, ma che restava sempre
distaccato,
senza mai farsi coinvolgere.
Sua Grazia
sperava, un giorno, di vedere il
ragazzo innamorato e poi felicemente sposato, con una fanciulla di
ottima
famiglia che gli avrebbe dato degli eredi ai quali tramandare il titolo
e le
proprietà. Sapeva che lo stesso desiderio lo avevano i suoi genitori,
ma Nick,
fino a quel momento, aveva deluso le aspettative di tutti.
Terminati gli
studi, cinque anni prima egli era
tornato a casa, con sommo dispiacere dell’anziano zio che aveva in
mente di
presentarlo in società; Nicholas invece aveva preferito arruolarsi per
servire
la sua patria, e non aveva voluto sentire ragioni: gli aveva detto che
tutto
ciò che doveva sapere per succedergli come Duca ormai lo conosceva e
aveva
intenzione di fare altro, in attesa della sua morte! Del resto, aveva
sottolineato abbracciandolo con affetto prima di partire, il suo
adorato prozio
sarebbe vissuto ancora a lungo e lui non aveva intenzione di
invecchiare senza
fare nulla nell’attesa.
Poi,
all’improvviso, nell’autunno precedente,
era ricomparso, notevolmente cambiato, deciso a mettere in atto un suo
piano e
con una storia incredibile alle spalle. Aveva chiesto il suo aiuto,
spiegandogli tutto quanto ed egli non era stato capace di dirgli di no.
Dopo aver
conosciuto Lady Sarah, era ancora più
contento di aver acconsentito ad aiutarlo.
La sera prima
doveva essere accaduto davvero
qualcosa di poco piacevole, per ridurlo in quello stato…
Guardò con affetto il nipote che
dormiva sul
divano, dove probabilmente si era steso dopo aver bevuto del cognac e
aver
fumato più di un sigaro: la giacca era buttata sulla spalliera di una
sedia, le
scarpe giacevano a terra, lontano l’una dall’altra, e il bicchiere
vuoto era
ancora stretto tra le sue dita.
Sala
Interrogatori - Comando delle Forze Navali Americane
Grosvenor Square, Londra
Il giorno
dopo la cena dal Primo Ministro, cui aveva
partecipato anche Harm, si ritrovarono in un locale angusto per
interrogare il
Marine che aveva aperto il fuoco contro il convoglio inglese.
Harm e Mac si
sedettero di fronte al prigioniero, un
ragazzone grande e grosso che avrà avuto sì e no vent’anni, mandato in
prima
linea senza sapere il motivo della sua missione e con l’ordine di
sparare a
chiunque non si fosse fermato all’alt.
Quasi si
fossero accordati prima, fu Mac a condurre
l’interrogatorio, mentre Harm si limitò a prendere appunti,
intervenendo di
tanto in tanto.
“Caporale”
esordì Mac con tono pacato e conciliante, “lei
sa perché è rinchiuso in carcere?”
“ No Signora”
rispose il ragazzo con pesante accento del
Mississippi. “Ho solo obbedito ad un ordine.”
Mac scosse
impercettibilmente il capo, ma continuò nelle
domande preliminari: “Lei conosce le accuse che le sono state mosse?”.
“No Signora.”
La donna
guardò il collega che le fece cenno di proseguire
egualmente.
“Mi racconti
la sua versione dei fatti.”
“Erano circa
le
“Era giorno,
Caporale. Mi sembra ovvio che si fermassero.
Vi vedevano” osservò Harm facendo la parte dell’avvocato del diavolo.
“Anche quando
è calata la notte rallentavano prima di
fermarsi del tutto, Signore. C’erano degli avvisi lungo la strada e la
presenza
del check point era segnalata” replicò il Caporale.
“Prosegua” lo
invitò Mac.
“Ormai la
strada era deserta, non passava più nessuno da
un bel pezzo e noi… sì insomma, ci siamo rilassati un po’. Tutta quella
tensione dopo un po’ fa saltare i nervi. Dobbiamo controllare da cima a
fondo
ogni veicolo che passa, perquisire sotto le ruote e anche gli
occupanti. Donne
e bambini compresi. Ogni volta che si avvicina anche solo una moto
dobbiamo
aspettarci che trasporti un terrorista imbottito di dinamite o tritolo”
stava
divagando.
“Si attenga
ai fatti” lo ammonì gentilmente Mac.
“Certo
Signora, scusi Signora.”
“Un ‘Signora’
è più che sufficiente Caporale” sorrise
benevola. “Continui.”
“Insomma, ci
stavamo rilassando un po’ e ad un tratto il
Sergente Thomasson ha sentito un forte rombo che preveniva dal fondo
della
strada.”
“Che tipo di
rombo?” chiese Mac.
“Come se una
macchina fosse smarmittata. Ci siamo portati
sulla strada e meno di un minuto dopo la jeep è piombata su di noi a
tutta
velocità. Viaggiava senza fari e sembrava in tutto e per tutto uno di
quegli
scassoni che usano gli iracheni. Abbiamo urlato al conducente di
fermarsi, ma
quello continuava ad andare avanti fino a che ci ha superati. Solo
allora il
Sergente ha dato l’ordine di sparare un colpo di avvertimento e poi di
fare
fuoco contro il mezzo.”
“Avete
obbedito agli ordini?”
“Sì Signora.”
“In questo
esatto ordine?” volle sapere Harm.
“Sì Signore
in questo esatto ordine.”
“Chi ha fatto
fuoco?”
“Io e il
Caporale Tennison.”
“Per il
momento può bastare Caporale, se avremo bisogno di
altri dettagli le faremo altre domande” concluse Mac.
Harm si alzò
e richiamò il secondino che aprì la porta e
scortò il prigioniero fuori dalla sala, fino alle celle di detenzione
del
carcere militare poco lontano.
“Che ne
pensi?” chiede Mac.
“Che quel
ragazzo non sa nemmeno dove sia. Ha solo
obbedito ad un ordine” le rispose Harm. “Dobbiamo saperne di più dagli
inglesi
e interrogare il Sergente Thomasson. Dove è?”
“Ristretto in
carcere.”
Chiamarono la
guardia e chiesero che fosse condotto loro
il Sergente dei marines degli Stati Uniti Andreas Thomasson.
Lo
interrogarono e le dichiarazioni che questi rilasciò si
rivelano perfettamente in linea con quelle rilasciate dal Caporale
Shriver.
Uscirono dal
Palazzo che era ora di pranzo e Harm la
invitò a mangiare qualcosa con lui.
“Ma di solito
non pranzi con Belinda?” domandò Mac.
“Oggi ha da
fare, comunque lo sa che ti avrei chiesto di
pranzare con me” si premurò di precisare lui.
Mac scoppiò
in una sonora risata:
“Questa è
davvero buona Harm! Tu che informi qualcuno, una
donna, dei tuoi spostamenti!”. Rise fino alle lacrime appoggiandosi
allo
stipite del portale del palazzo dell’Ambasciata americana.
“Sono
cambiato per molti aspetti” borbottò infastidito
lui.
“E si vede!”
esclamò Mac ancora in preda alle risa.
“Allora
accetti o no?” domandò spazientito.
“Va bene, se
a Belinda non crea problemi” replicò lei
soffocando un altro attacco di ilarità.
Uscirono
definitivamente dal Palazzo e attraversarono la
piazza, passando davanti all’Ambasciata italiana. Puntarono verso Hyde
Park.
“Non ho
ancora sentito il tuo cellulare squillare” buttò
lì Harm con fare provocatorio. Non gli era andata giù la presa in giro
di lei
di poco prima.
“Forse perché
a Washington è notte?” rispose ironica Mac.
“Non credo
che Webb si faccia di questi problemi” osservò
lui.
E aveva
ragione. Clayton Webb non si faceva alcun tipo di
problema. Infatti, a poca distanza da loro Patrick, l’uomo sul campo,
li stava
seguendo e nel frattempo relazionava proprio a Webb, sveglio nel cuore
della
notte.
“Stanno
andando verso uno di quei bar aperti per uno
spuntino” disse al cellulare.
“Come ti
sembra la ragazza?”
“A suo agio.
Parla, ride, scherza.”
A molte
miglia di distanza, Webb sbatté un pugno sulla sua
pregiata scrivania di tek.
“Continua a
seguirla” ordinò mantenendo comunque la calma.
Casa di Lady
Sarah Montagu
Brook Street, Londra
Mancavano
poco più di due ore all’appuntamento
e Lady Sarah Montagu era irrequieta e nervosa. L’incontro era troppo
importante
per il suo futuro e l’ansia non contribuiva certo a farle passare il
mal di
testa che la tormentava dal mattino.
Aveva
trascorso una notte agitata e insonne e
l’alba l’aveva sorpresa ancora sveglia. Per tutto il tempo non aveva
fatto
altro che ripensare alla conversazione avuta con Lord Thornton ma,
soprattutto,
alle sue mani e alle sue labbra su di sé.
Lo aveva
respinto, era vero, ma quell’uomo,
nonostante la sua maleducazione e il suo pessimo carattere, risvegliava
in lei
sensazioni sopite da tempo.
Non capiva
proprio cosa in lui glielo faceva
desiderare, poiché normalmente lo trovava antipatico e arrogante,
eppure doveva
ammettere, almeno con se stessa, di esserne fortemente attratta.
Come poteva?
Lei era ancora innamorata di
André.
André…
Chissà
dov’era? Che cosa stava facendo?
Era rimasto
in America? Oppure era tornato in
Francia? Era vivo? Stava bene?
Magari, in
quel preciso istante, era tra le
braccia di una donna…
Al solo
pensiero lo stomaco le si strinse in
una morsa: non riusciva a pensarlo tra le braccia di una donna che non
fosse
lei.
Eppure era
passato più di un anno e non poteva
pensare che un uomo tanto passionale come André François D’Harmòn non
trascorresse le sue notti con un’amante. E se si fosse sposato? Una
fitta
all’altezza del cuore le ricordò che, nonostante avesse creduto
d’averlo
lasciato sulla Medea, a quanto sembrava il suo muscolo cardiaco era
ancora al proprio
posto. O meglio, quel poco che ne restava…
André era
sempre lì, in una parte di lei che
era nascosta nel profondo. Ma André le aveva fatto conoscere, oltre
all’amore,
anche la passione e tutta la sensualità che non aveva mai creduto di
possedere.
E le carezze audaci di Lord Thornton avevano risvegliato quella
sensualità.
Odiava
quell’uomo ancora di più, proprio per
questo.
Non voleva
provare certe sensazioni. Non con
lui. Non con un uomo che aveva capito essere come tutti gli altri; un
uomo che,
in cambio del proprio aiuto, voleva possederla, esattamente come tutti
quelli
che l’avevano avuta in cambio di informazioni.
Per un
istante rivide su di sé le mani lascive
di Von Webb e con quel ricordo tornarono prepotenti alla mente anche
tutti gli
istanti vissuti con André: il ballo in cui le aveva sussurrato che era
bellissima, il bacio che le aveva rubato durante la loro cavalcata, il
duello
con le spade, quando ancora lui era all’oscuro che lei sapeva tirare di
scherma
e le aveva insegnato… quel pomeriggio, sola con lui a prendere il tè;
l’altro
bacio rubato durante la festa di Natale… i suoi occhi incupiti dal
desiderio e
le sue mani su di lei, mentre le medicava la ferita alla locanda… la
loro prima
notte d’amore e tutte quelle a seguire, fino al momento in cui si era
volutamente privata dell’uomo meraviglioso che l’amava e che voleva
trascorrere
il resto della vita con lei…
Come poteva,
ora, desiderare le carezze e i
baci di un altro uomo, pur struggendosi ancora nel ricordo di André?
Non avrebbe
mai acconsentito a sposarlo!
Fortunatamente
il biglietto di Robert Taylor
era arrivato giusto in tempo per evitarle di commettere l’errore
peggiore della
sua vita.
Il figlio del
defunto socio di Cedric Hewitt
l’aveva contattata con una proposta che, giunta a questo punto,
considerava
interessante: in cambio di denaro, parecchio denaro, le avrebbe
consegnato
prove e informazioni sulle attività del padre quando era in società con
Hewitt.
Di lì ad
un’ora l’avrebbe incontrato in campagna,
appena fuori Londra. Una
zona isolata,
troppo per i suoi gusti. Ma aveva accettato di andarci e di andarci
sola come
indicava il biglietto, poiché in gioco c’era il futuro della sua
famiglia,
quello per cui stava lottando da quasi dieci anni.
Sapeva che
avrebbe potuto correre dei rischi,
ma non aveva avuto scelta: si sarebbe fatta accompagnare dal cocchiere
fino ad
una locanda a poche miglia dal luogo dell’incontro e, mentre Wes si
sarebbe
fatto un bicchierino credendo che andasse a trovare un’amica nel paese
vicino,
lei avrebbe raggiunto a cavallo Robert Taylor.
Ma non
avrebbe portato con sé il denaro: aveva
in mente di lasciarlo in carrozza; se l’incontro fosse andato come
sperava,
avrebbe chiesto a Taylor di accompagnarla alla locanda e glielo avrebbe
consegnato solo successivamente.
Tuttavia la
prudenza non era mai troppa e prima
di indossare il pesante mantello che l’avrebbe riparata dall’umidità
della sera,
s’infilò lo stiletto nella manica, facendo attenzione a nasconderlo
bene con
l’abito: sola sì, ma il messaggio non specificava “senza armi”!
Pochi secondi
dopo Albert entrò ad avvisarla
che la sua carrozza era pronta.
Giardini di
Hyde Park
Londra
Acquistarono
due panini da un chiosco ambulante e si
sedettero su una panchina al sole.
Il parco, un
tempo parte della residenza reale, ora era
aperto al pubblico e molta gente l’affollava, godendosi l'insperato
tepore e la
bella giornata.
“Da quando
sei arrivata sembra che il sole non se ne
voglia più andare via” disse Harm. “Dovresti restare.”
“Non credo
che il mio futuro marito possa essere d’accordo
con te” rispose Mac. “Londra non gli piace.”
“O non gli
piaccio io?”
“Buona la
seconda” rispose Mac addentando il sandwich.
“Sei felice?”
chiese lui all’improvviso.
“Che domande!
Certo che lo sono. La mia vita è completa
adesso, anche se questo non ti riguarda.”
Ma perché gli
stava dicendo tutte quelle cose? Non aveva
forse deciso di mantenere un compassato atteggiamento professionale?
Terminò il
“lauto” pranzo in preda a pensieri e sentimenti
contrastanti.
“Sono
contento per te, Marine” fu l’unico commento di
Harm.
Tornarono a
Grosvenor Square.