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Autore: Alexandra e Mac    15/03/2013    6 recensioni
Chi è realmente Lady Sarah? E perché ha abbandonato l'unico uomo che le aveva fatto conoscere l'amore?
Come procede la storia tra Harm e Mac?
Per chi ha seguito con passione Giochi del Destino regaliamo (da brave STREGHE - o BEFANE!!!) il seguito della storia...
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Clayton Webb, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo VIII

Un Incontro



 

 

Residenza del Duca di Lyndham
Hyde Park, Londra

Aprile 1858 

 

Lo aveva sentito rincasare prima di quanto avrebbe immaginato. Dal rumore della porta sbattuta e dalla rapidità con cui era rientrato, aveva intuito che le cose non erano andate come sperava.

Per tutta la sera l’aveva osservato struggersi per lei. Lo conosceva bene, ormai, e sapeva che quello sguardo celava il profondo desiderio che il suo ragazzo nutriva per quella giovane donna.

Poteva capirlo: Lady Sarah Jane Montagu si era rivelata una piacevole e deliziosa sorpresa.

Le voci che erano girate a suo tempo su di lei, che l’avevano definita dapprima una mocciosa viziata e troppo ribelle per sottomettersi al volere del padre e poi un’avventuriera senza scrupoli, non le rendevano affatto giustizia. Ora che conosceva la storia in ogni suo dettaglio, dopo che Nick gliel’aveva raccontata, e, soprattutto, ora che l’aveva conosciuta di persona, l’anziano Duca di Lyndham poteva benissimo comprendere l’infatuazione che il nipote nutriva per la bellissima nobildonna.

“Infatuazione…”

Sua Grazia sorrise, divertito: se Nick lo avesse sentito definire a tal modo quello che provava per Lady Sarah, probabilmente lo avrebbe sfidato a duello!

Il ragazzo era davvero innamorato. Mai, prima di allora, lo aveva visto così coinvolto da una donna.

Nonostante Nicholas non abitasse in Inghilterra, tuttavia aveva compiuto gli studi più importanti ad Oxford su espresso desiderio di Sua Grazia, affinché potesse assimilare al meglio il suo quarto di sangue inglese e potesse essere, un giorno, suo degno erede tanto quanto lo sarebbe stato del titolo paterno.

Pensò con affetto al giovane fanciullo che aveva conosciuto ormai quasi vent’anni prima: quando lo aveva veduto per la prima volta parlava a stento l’inglese e preferiva cavalcare libero per i boschi e i campi che circondavano la residenza di famiglia; un ragazzo magro con gambe già allora lunghissime e occhi chiari, intensi, che mutavano colore all’improvviso e che spiccavano in un volto scarno, incorniciato da capelli scuri e ribelli. A quei tempi era più ossa che altro, ma già allora si poteva intuire l’uomo forte e vigoroso che un giorno sarebbe diventato.

Gli era stato presentato come il Duca, il prozio di cui lui sarebbe stato l’unico erede.

L’intelligenza vivace e il senso dell’umorismo del ragazzo lo avevano colpito fin dal primo momento, quando, divertito, aveva replicato al padre: “Non è troppo, per un solo ragazzo?”, riferendosi al fatto che, alla morte del prozio inglese e a quella del proprio genitore, egli avrebbe ereditato ben due titoli nobiliari.

Da quel primo incontro l’aveva rivisto soltanto tre anni dopo quando, terminate le scuole di base, era giunto in Inghilterra per compiere gli studi che avrebbero fatto di lui anche un perfetto Lord inglese.

Negli anni successivi, mentre studiava ad Oxford, Nicholas tornava in patria solo per le vacanze, ma ogni domenica la trascorreva con il suo prozio, per imparare a conoscerlo.

Andrew Thornton, abituato da anni a vivere solo, aveva temuto che il nipote avrebbe portato scompiglio nella sua ordinata vita da scapolo, e così era stato. Eppure l’anziano Duca non avrebbe scambiato quei momenti per nulla al mondo.

Quel giovane era stata la gioia della sua vecchiaia: lo aveva visto a poco a poco trasformarsi da un imberbe fanciullo in un ragazzo studioso e di modi eleganti, pur non affettati o effeminati, come capitava a molti rampolli di nobile famiglia. Oltre allo studio si era appassionato al teatro e a sport di vario genere, tra i quali la scherma e l’equitazione, fino a diventare l’uomo muscoloso e aitante, di una bellezza quasi irreale, soprattutto perché accompagnata da modi ineccepibili e da un’intelligenza acuta e vivace.

Per anni aveva visto donne di ogni età e di qualunque estrazione sociale, restare affascinate da quel giovane uomo forte e gentile, che le lusingava, le corteggiava, ma che restava sempre distaccato, senza mai farsi coinvolgere.

Sua Grazia sperava, un giorno, di vedere il ragazzo innamorato e poi felicemente sposato, con una fanciulla di ottima famiglia che gli avrebbe dato degli eredi ai quali tramandare il titolo e le proprietà. Sapeva che lo stesso desiderio lo avevano i suoi genitori, ma Nick, fino a quel momento, aveva deluso le aspettative di tutti.

Terminati gli studi, cinque anni prima egli era tornato a casa, con sommo dispiacere dell’anziano zio che aveva in mente di presentarlo in società; Nicholas invece aveva preferito arruolarsi per servire la sua patria, e non aveva voluto sentire ragioni: gli aveva detto che tutto ciò che doveva sapere per succedergli come Duca ormai lo conosceva e aveva intenzione di fare altro, in attesa della sua morte! Del resto, aveva sottolineato abbracciandolo con affetto prima di partire, il suo adorato prozio sarebbe vissuto ancora a lungo e lui non aveva intenzione di invecchiare senza fare nulla nell’attesa.

Poi, all’improvviso, nell’autunno precedente, era ricomparso, notevolmente cambiato, deciso a mettere in atto un suo piano e con una storia incredibile alle spalle. Aveva chiesto il suo aiuto, spiegandogli tutto quanto ed egli non era stato capace di dirgli di no.

Dopo aver conosciuto Lady Sarah, era ancora più contento di aver acconsentito ad aiutarlo.

La sera prima doveva essere accaduto davvero qualcosa di poco piacevole, per ridurlo in quello stato…

Guardò con affetto il nipote che dormiva sul divano, dove probabilmente si era steso dopo aver bevuto del cognac e aver fumato più di un sigaro: la giacca era buttata sulla spalliera di una sedia, le scarpe giacevano a terra, lontano l’una dall’altra, e il bicchiere vuoto era ancora stretto tra le sue dita.

 

 

 


Sala Interrogatori - Comando delle Forze Navali Americane
Grosvenor Square, Londra

Aprile 2005

Il giorno dopo la cena dal Primo Ministro, cui aveva partecipato anche Harm, si ritrovarono in un locale angusto per interrogare il Marine che aveva aperto il fuoco contro il convoglio inglese.

Harm e Mac si sedettero di fronte al prigioniero, un ragazzone grande e grosso che avrà avuto sì e no vent’anni, mandato in prima linea senza sapere il motivo della sua missione e con l’ordine di sparare a chiunque non si fosse fermato all’alt.

Quasi si fossero accordati prima, fu Mac a condurre l’interrogatorio, mentre Harm si limitò a prendere appunti, intervenendo di tanto in tanto.

“Caporale” esordì Mac con tono pacato e conciliante, “lei sa perché è rinchiuso in carcere?”

“ No Signora” rispose il ragazzo con pesante accento del Mississippi. “Ho solo obbedito ad un ordine.”

Mac scosse impercettibilmente il capo, ma continuò nelle domande preliminari: “Lei conosce le accuse che le sono state mosse?”.

“No Signora.”

La donna guardò il collega che le fece cenno di proseguire egualmente.

“Mi racconti la sua versione dei fatti.”

“Erano circa le 00.30” cominciò il Caporale, “e la strada che conduce all’aeroporto di Baghdad era semideserta, non avevamo fatto molti controlli, per lo più si trattava di iracheni che andavano per una qualche ragione all’aeroporto o nei dintorni. Tutti però sapevano della nostra presenza, infatti si fermavano non appena vedevano la camionetta appostata.”

“Era giorno, Caporale. Mi sembra ovvio che si fermassero. Vi vedevano” osservò Harm facendo la parte dell’avvocato del diavolo.

“Anche quando è calata la notte rallentavano prima di fermarsi del tutto, Signore. C’erano degli avvisi lungo la strada e la presenza del check point era segnalata” replicò il Caporale.

“Prosegua” lo invitò Mac.

“Ormai la strada era deserta, non passava più nessuno da un bel pezzo e noi… sì insomma, ci siamo rilassati un po’. Tutta quella tensione dopo un po’ fa saltare i nervi. Dobbiamo controllare da cima a fondo ogni veicolo che passa, perquisire sotto le ruote e anche gli occupanti. Donne e bambini compresi. Ogni volta che si avvicina anche solo una moto dobbiamo aspettarci che trasporti un terrorista imbottito di dinamite o tritolo” stava divagando.

“Si attenga ai fatti” lo ammonì gentilmente Mac.

“Certo Signora, scusi Signora.”

“Un ‘Signora’ è più che sufficiente Caporale” sorrise benevola. “Continui.”

“Insomma, ci stavamo rilassando un po’ e ad un tratto il Sergente Thomasson ha sentito un forte rombo che preveniva dal fondo della strada.”

“Che tipo di rombo?” chiese Mac.

“Come se una macchina fosse smarmittata. Ci siamo portati sulla strada e meno di un minuto dopo la jeep è piombata su di noi a tutta velocità. Viaggiava senza fari e sembrava in tutto e per tutto uno di quegli scassoni che usano gli iracheni. Abbiamo urlato al conducente di fermarsi, ma quello continuava ad andare avanti fino a che ci ha superati. Solo allora il Sergente ha dato l’ordine di sparare un colpo di avvertimento e poi di fare fuoco contro il mezzo.”

“Avete obbedito agli ordini?”

“Sì Signora.”

“In questo esatto ordine?” volle sapere Harm.

“Sì Signore in questo esatto ordine.”

“Chi ha fatto fuoco?”

“Io e il Caporale Tennison.”

“Per il momento può bastare Caporale, se avremo bisogno di altri dettagli le faremo altre domande” concluse Mac.

Harm si alzò e richiamò il secondino che aprì la porta e scortò il prigioniero fuori dalla sala, fino alle celle di detenzione del carcere militare poco lontano.

“Che ne pensi?” chiede Mac.

“Che quel ragazzo non sa nemmeno dove sia. Ha solo obbedito ad un ordine” le rispose Harm. “Dobbiamo saperne di più dagli inglesi e interrogare il Sergente Thomasson. Dove è?”

“Ristretto in carcere.”

Chiamarono la guardia e chiesero che fosse condotto loro il Sergente dei marines degli Stati Uniti Andreas Thomasson.

Lo interrogarono e le dichiarazioni che questi rilasciò si rivelano perfettamente in linea con quelle rilasciate dal Caporale Shriver.

Uscirono dal Palazzo che era ora di pranzo e Harm la invitò a mangiare qualcosa con lui.

“Ma di solito non pranzi con Belinda?” domandò Mac.

“Oggi ha da fare, comunque lo sa che ti avrei chiesto di pranzare con me” si premurò di precisare lui.

Mac scoppiò in una sonora risata:

“Questa è davvero buona Harm! Tu che informi qualcuno, una donna, dei tuoi spostamenti!”. Rise fino alle lacrime appoggiandosi allo stipite del portale del palazzo dell’Ambasciata americana.

“Sono cambiato per molti aspetti” borbottò infastidito lui.

“E si vede!” esclamò Mac ancora in preda alle risa.

“Allora accetti o no?” domandò spazientito.

“Va bene, se a Belinda non crea problemi” replicò lei soffocando un altro attacco di ilarità.

Uscirono definitivamente dal Palazzo e attraversarono la piazza, passando davanti all’Ambasciata italiana. Puntarono verso Hyde Park.

“Non ho ancora sentito il tuo cellulare squillare” buttò lì Harm con fare provocatorio. Non gli era andata giù la presa in giro di lei di poco prima.

“Forse perché a Washington è notte?” rispose ironica Mac.

“Non credo che Webb si faccia di questi problemi” osservò lui.

E aveva ragione. Clayton Webb non si faceva alcun tipo di problema. Infatti, a poca distanza da loro Patrick, l’uomo sul campo, li stava seguendo e nel frattempo relazionava proprio a Webb, sveglio nel cuore della notte.

“Stanno andando verso uno di quei bar aperti per uno spuntino” disse al cellulare.

“Come ti sembra la ragazza?”

“A suo agio. Parla, ride, scherza.”

A molte miglia di distanza, Webb sbatté un pugno sulla sua pregiata scrivania di tek.

“Continua a seguirla” ordinò mantenendo comunque la calma.

 

 

 

Casa di Lady Sarah Montagu
Brook Street, Londra

Aprile 1858 

 

Mancavano poco più di due ore all’appuntamento e Lady Sarah Montagu era irrequieta e nervosa. L’incontro era troppo importante per il suo futuro e l’ansia non contribuiva certo a farle passare il mal di testa che la tormentava dal mattino.

Aveva trascorso una notte agitata e insonne e l’alba l’aveva sorpresa ancora sveglia. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che ripensare alla conversazione avuta con Lord Thornton ma, soprattutto, alle sue mani e alle sue labbra su di sé.

Lo aveva respinto, era vero, ma quell’uomo, nonostante la sua maleducazione e il suo pessimo carattere, risvegliava in lei sensazioni sopite da tempo.

Non capiva proprio cosa in lui glielo faceva desiderare, poiché normalmente lo trovava antipatico e arrogante, eppure doveva ammettere, almeno con se stessa, di esserne fortemente attratta.

Come poteva? Lei era ancora innamorata di André.

André…

Chissà dov’era? Che cosa stava facendo?

Era rimasto in America? Oppure era tornato in Francia? Era vivo? Stava bene?

Magari, in quel preciso istante, era tra le braccia di una donna…

Al solo pensiero lo stomaco le si strinse in una morsa: non riusciva a pensarlo tra le braccia di una donna che non fosse lei.

Eppure era passato più di un anno e non poteva pensare che un uomo tanto passionale come André François D’Harmòn non trascorresse le sue notti con un’amante. E se si fosse sposato? Una fitta all’altezza del cuore le ricordò che, nonostante avesse creduto d’averlo lasciato sulla Medea, a quanto sembrava il suo muscolo cardiaco era ancora al proprio posto. O meglio, quel poco che ne restava…

André era sempre lì, in una parte di lei che era nascosta nel profondo. Ma André le aveva fatto conoscere, oltre all’amore, anche la passione e tutta la sensualità che non aveva mai creduto di possedere. E le carezze audaci di Lord Thornton avevano risvegliato quella sensualità.

Odiava quell’uomo ancora di più, proprio per questo.

Non voleva provare certe sensazioni. Non con lui. Non con un uomo che aveva capito essere come tutti gli altri; un uomo che, in cambio del proprio aiuto, voleva possederla, esattamente come tutti quelli che l’avevano avuta in cambio di informazioni.

Per un istante rivide su di sé le mani lascive di Von Webb e con quel ricordo tornarono prepotenti alla mente anche tutti gli istanti vissuti con André: il ballo in cui le aveva sussurrato che era bellissima, il bacio che le aveva rubato durante la loro cavalcata, il duello con le spade, quando ancora lui era all’oscuro che lei sapeva tirare di scherma e le aveva insegnato… quel pomeriggio, sola con lui a prendere il tè; l’altro bacio rubato durante la festa di Natale… i suoi occhi incupiti dal desiderio e le sue mani su di lei, mentre le medicava la ferita alla locanda… la loro prima notte d’amore e tutte quelle a seguire, fino al momento in cui si era volutamente privata dell’uomo meraviglioso che l’amava e che voleva trascorrere il resto della vita con lei…

Come poteva, ora, desiderare le carezze e i baci di un altro uomo, pur struggendosi ancora nel ricordo di André?

Non avrebbe mai acconsentito a sposarlo!

Fortunatamente il biglietto di Robert Taylor era arrivato giusto in tempo per evitarle di commettere l’errore peggiore della sua vita.

Il figlio del defunto socio di Cedric Hewitt l’aveva contattata con una proposta che, giunta a questo punto, considerava interessante: in cambio di denaro, parecchio denaro, le avrebbe consegnato prove e informazioni sulle attività del padre quando era in società con Hewitt.

Di lì ad un’ora l’avrebbe incontrato in campagna, appena fuori Londra.  Una zona isolata, troppo per i suoi gusti. Ma aveva accettato di andarci e di andarci sola come indicava il biglietto, poiché in gioco c’era il futuro della sua famiglia, quello per cui stava lottando da quasi dieci anni.

Sapeva che avrebbe potuto correre dei rischi, ma non aveva avuto scelta: si sarebbe fatta accompagnare dal cocchiere fino ad una locanda a poche miglia dal luogo dell’incontro e, mentre Wes si sarebbe fatto un bicchierino credendo che andasse a trovare un’amica nel paese vicino, lei avrebbe raggiunto a cavallo Robert Taylor.

Ma non avrebbe portato con sé il denaro: aveva in mente di lasciarlo in carrozza; se l’incontro fosse andato come sperava, avrebbe chiesto a Taylor di accompagnarla alla locanda e glielo avrebbe consegnato solo successivamente.

Tuttavia la prudenza non era mai troppa e prima di indossare il pesante mantello che l’avrebbe riparata dall’umidità della sera, s’infilò lo stiletto nella manica, facendo attenzione a nasconderlo bene con l’abito: sola sì, ma il messaggio non specificava “senza armi”!

Pochi secondi dopo Albert entrò ad avvisarla che la sua carrozza era pronta.  

 

 

Giardini di Hyde Park
Londra

Aprile 2005

Acquistarono due panini da un chiosco ambulante e si sedettero su una panchina al sole.

Il parco, un tempo parte della residenza reale, ora era aperto al pubblico e molta gente l’affollava, godendosi l'insperato tepore e la bella giornata.

“Da quando sei arrivata sembra che il sole non se ne voglia più andare via” disse Harm. “Dovresti restare.”

“Non credo che il mio futuro marito possa essere d’accordo con te” rispose Mac. “Londra non gli piace.”

“O non gli piaccio io?”

“Buona la seconda” rispose Mac addentando il sandwich.

“Sei felice?” chiese lui all’improvviso.

“Che domande! Certo che lo sono. La mia vita è completa adesso, anche se questo non ti riguarda.”

Ma perché gli stava dicendo tutte quelle cose? Non aveva forse deciso di mantenere un compassato atteggiamento professionale?

Terminò il “lauto” pranzo in preda a pensieri e sentimenti contrastanti.

“Sono contento per te, Marine” fu l’unico commento di Harm.

Tornarono a Grosvenor Square.


  
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