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Autore: Doila483    15/03/2013    1 recensioni
Alex, una ragazzina di quindici anni, con un sogno, che condivideva col resto del mondo.
Il suo sogno aveva un nome: Justin Bieber. Il suo idolo. Nonostante non l'avesse mai incontrato, mai visto, credeva nel Never Say Never. Sapeva che sarebbe arrivato il suo momento... e non si sbagliava.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Erano le sette e quaranta quando Alex si svegliò.
Quella volta non fu svegliata da una carezza di sua madre o da qualche raggio di sole che filtrava prepotentemente tra le persiane. Fu svegliata dalla voce del suo idolo.
Alex adorò subito l'idea di potersi svegliare con la voce di Justin. Era forse la cosa più bella che potesse fare. Era letteralmente catturata da quella voce, ne rimaneva sempre ammaliata, come se fosse sempre la prima volta. Per lei, ogni momento passato ad ascoltare la voce di Justin, era sempre il primo. Sapeva quelle canzoni a memoria; quelle parole, quei testi.. erano quasi preghiere. Conosceva ogni singola sfumatura della sua voce, ma ogni volta che l'ascoltava si stupiva sempre per quanto fosse bella. Eppure avrebbe dovuto farci l'abitudine, vero? Ma no, ancora non era abituata. Per lei Justin era ogni volta una gran bella scoperta.
'Legarmi a lui è stata la cosa più bella e giusta che potessi fare' continuava a pensare.
Sapeva che non aveva scelto lei d'innamorarsi della sua voce, e di qualsiasi altra cosa potesse appartenere al suo idolo. Sapeva che era successo e basta. E l'idea che fu proprio il suo cuore a scegliere Justin, e non due orecchie, le faceva un bene incredibile all'anima.
Sentiva che non era solo piacere ascoltare la sua musica; era qualcosa di profondo, che veniva da dentro, dal profondo del suo cuore, e che non c'era niente di più vero che il suo amore per il suo cantante preferito.
Poteva dire che era tutto estremamente puro, e che ciò che la legava a lui non era musica ma molto di più.
Ma chi mai l'avrebbe capita?
La sua migliore amica, Sonny, trovava che Justin fosse talentuoso e carino. Ma non l'avrebbe mai capita per certe cose... Alex lo sapeva.
Sonny la sosteneva, cercava di tirarle su il morale quando lei era giù, cercava di spingerla ad andare avanti e credere nei suoi sogni... ma non aveva un idolo. Alex sapeva che Sonny non l'avrebbe mai capita. Sonny non aveva la benché minima idea di cosa significasse tutto ciò che provava e viveva Alex. Non lo sapeva. E per quanto Alex si fosse sforzata nel spiegarlo, Sonny non avrebbe capito comunque perché erano emozioni che non aveva mai provato.
Tra tutti questi pensieri, Alex si affrettava a lavarsi, vestirsi e raggiungere l'autobus, che l'avrebbe accompagnata all'infe- a scuola.
Già, la scuola. La scuola era qualcosa che doveva davvero chiamarsi inferno, almeno per Alex.
Nulla a che vedere con le materie o i professori. Non poteva lamentarsi dei suoi voti, affatto, e aveva una buona condotta; inoltre i suoi professori erano davvero simpatici, ma seri quando era necessario. Rendevano le lezioni più leggere e le materie più semplici. Alex non si era mai lamentata dei suoi professori.
Ciò che rendeva la scuola un inferno era la massa di studenti che la squadrava da capo a piedi, tra corridoi e aule.
Non tutti potevano ben comprendere la sua passione (ormai più di una semplice passione) per Justin Bieber.
Già, ancora una volta lui.
Chi la guardava quasi le sputava addosso. Lei non si vergognava nell'indossare qualcosa che ritraesse lui. Lei ne andava fiera, e se gli altri non apprezzavano, beh fatti loro.
Non aveva abbastanza soldi per comprarsi delle felpe con sopra l'immagine o il nome del suo idolo, ma sua madre aveva preso due-tre maglie dal suo armadio e si era fatta fare un favore da un'amica. Quando Alex ricevette quel bel pensiero fu davvero entusiasta e non ci pensò due volte a indossarle a scuola.
Ogni giorno attraversava i corridoi con gli occhi di altri studenti puntati addosso, si sentiva quasi andare a fuoco per tutte le occhiatacce. Il disagio non era svanito del tutto, ma si era detta che era meglio farci l'abitudine, perché lei di certo non avrebbe smesso di seguire il suo idolo per qualche ignorante a scuola. Anche se 'qualche' equivaleva all'intero edificio, più o meno.
Possibile che a Los Angeles, nella sua scuola, non ci fosse qualche fan? Se lo chiedeva sempre, e non trovava mai una risposta. Anzi, una risposta in realtà ce l'aveva, ma preferiva ignorarla: a quanto pare era possibile, lei era l'unica Belieber.
Arrivò a scuola, ignorando da gran professionista gli sguardi poco promettenti degli studenti attorno a lei.
Anche quel giorno indossava una felpa con sopra l'immagine di un Justin impegnato a mettere il cuore nel canto. Era davvero fiera di avere una maglia così, mai l'avrebbe scambiata o buttata, ne era sicura.
« Biberon è gay. » si sentì Alex alle spalle.
Non seppe perché, ma si girò. A lei non importava sapere da chi arrivassero certe cagate, erano due anni ormai che ignorava quelle frasette e quegli sguardi. Si girò per istinto, ecco, anche perché non aveva bisogno di girarsi per capire chi fosse stato a pronunciare quelle parole.
Quando lo vide si fermò e lo guardò.
Aaron Meyer. Il tipico bulletto che gironzolava per i corridoi guardando ogni ragazza e deridendo ogni sfigato. Anche se poi per Alex gli sfigati non esistevano e non capiva certi atteggiamenti.
« Non è chiamandolo gay che diventi intelligente. » ribattè Alex, riprendendo a camminare normalmente. 
Non aveva assolutamente bisogno di rispondere, anche perché le parole di Aaron non la toccarono minimamente. Innanzitutto era abituata. E poi non le importava della sessualità del suo idolo. Gay, etero.. restava la sua salvezza, anche se era legata a lui anche in un altro modo.
In quel momento però si sentì di dovergli sbattere in faccia la verità, e cioè che chiamare una persona gay non ti rende assolutamente intelligente. Anzi, ti rende ignorante. 
Si sentì anche un po' orgogliosa nell'aver pronunciato quelle parole.
Era il minimo per il suo angelo.
« Scusa? » chiese lui incredulo.
Davvero quella ragazzina si era permessa di rispondergli?
Alex conosceva i comportamenti di quel ragazzo, in due anni aveva capito che tipo fosse, anche se le erano bastati i primi giorni di scuola. Ma rimase comunque stupita dal suo gesto. « Hai sentito. » ribattè decisa.
« Sì, ho sentito. Nonostante il fastidioso rumore che fa quel frocio che ami tanto quando canta -se quello è cantare- le mie orecchie stanno bene. »
Temeraria, Alex lo fronteggiò e continuò « Fastidioso rumore? Ma allora hai sentito le sue canzoni. Cos'è, ascolti Justin Bieber? » disse inarcando un sopracciglio.
Aaron, visibilmente infastidito, tacque. 
Non riusciva a trovare un modo per ribattere, qualcosa che mettesse in imbarazzo lei, non lui; che la facesse scoppiare a piangere, che la facesse sentire male sotto gli sguardi derisori dei compagni. Ma non trovò nulla e tacque.
Lei lo guardò ancora negli occhi, fino a quando lui non la superò, dandole una forte spallata. A quel punto Alex si girò e notò che tutti la stavano guardando. 
Si aggiustò lo zaino in spalla, e prese a camminare verso l'aula.
Non sapeva dire come sarebbe stata quella giornata, ma sperò potesse andare tutto bene. Le cose che rendevano bella la giornata scolastica erano il pensiero di Justin e la presenza di Sonny.
 
Suonò la campanella.
Alex tirò un lungo sospiro di sollievo. Erano le quattro, e le lezioni erano finalmente finite. Il test di matematica era andato bene, almeno secondo lei era tutto okay, poiché non aveva incontrato difficoltà, almeno non tante come temeva.
Sua madre sarebbe stata ancora una volta fiera di lei. E anche lei era fiera di se stessa.
Okay, ancora non aveva la certezza di essere andata bene. Insomma il voto ancora non l'aveva visto, aveva consegnato da poco il test, ma lei aveva un buon presentimento.
Un piccolo sorriso sincerò si dipinse sul suo viso pallido.
Alex aveva una carnagione davvero chiara... e le piaceva.
In fondo in fondo, Alex si piaceva.
Non che non trovasse imperfezioni, ma cose come i suoi occhi, i suoi capelli, eccetera, le piacevano.
Il colore dei suoi occhi era lo stesso del cielo. Ma non un cielo triste, o un cielo nero della notte. Un cielo.. come lo disegnano i bambini su un foglio di carta. Celeste, limpido, senza nuvole. Così erano i suoi occhi, di un celeste acceso e incredibilmente bello.
I suoi capelli erano lunghi e mossi, color biondo scuro. Quelli le piacevano davvero, da quand'era piccola. Anche se si era chiesta più volte come sarebbe stata coi capelli neri, perché pensava che i capelli scuri con una pelle bianca e diafana come la sua, con quegli occhi color ghiaccio, dessero tutt'altro effetto. Ciò la spingeva a credere che, magari, l'avrebbero resa un'altra ragazza, una ragazza più bella.
Ma alla fine comunque non si era fatta tinte, i suoi capelli in fondo le piacevano così com'erano. Non era una di quelle ragazze che si perfezionavano sempre.
Lei era abbastanza semplice e ne andava anche fiera, si sentiva diversa dalle altre.
Mentre camminava, Alex trovò un foglio sulla porta del suo bar preferito. Si scorse leggermente, giusto per capire cosa ci fosse scritto. Sgranò di poco gli occhi.
'Cercasi ragazza per bancone'
Alex si sentì felice in un certo senso: cercava lavoro da un paio di mesi, e quella le sembrò una gran bella occasione da non perdere, insomma era anche il suo bar preferito! Conosceva il posto, il proprietario, e aveva visto più volte cosa si facesse al bancone.
Preferì non buttarsi subito, avrebbe chiesto prima a sua madre. Sapeva che lei non era del tutto propensa, ma preferiva chiedere, magari avrebbe detto sì. L'avrebbe convinta, ne era sicura.
Tra un pensiero e l'altro, Alex tornò a casa. Voleva anche parlarne con Sonny.
Quel giorno Sonny non era andata a scuola e Alex credeva fosse per il test di matematica.. comunque non aveva certezze. Scrollò le spalle. Gliel'avrebbe chiesto nel pomeriggio magari.
 
Arrivò davanti alla sua casetta e suonò il campanello -malridotto anch'esso-.
Storse il naso nel vedere che la sua casa era diversa da quella del vicinato. La sua era più piccola, più brutta. Non aveva un giardino verde, curato, come gli altri. Non aveva niente di bello né fuori né dentro. Però si disse che aveva il calore della mamma, della loro piccola famiglia, a rendere viva quella casa, e non importava il pensiero degli altri. E poi ormai c'aveva fatto l'abitudine. Dopotutto...non erano queste le cose più importanti nella vita, anche se un po' di soldi in più ci volevano.
Eccome se ci volevano...
« Com'è andata? » disse Mila appena aprì la porta, con un sorriso fiducioso.
« Bene... credo. » rispose Alex abbracciando sua madre. Poi riprese a parlare: « Cos'hai cucinato oggi? »
« Nulla di che, tesoro. Per ora non abbiamo molto a casa... Domani devono pagarmi a lavoro, appena prendo i miei soldi faccio la spesa. »
« Okay. Senti, mamma.. » cominciò Alex « Ti devo dire una cosa.. »
« Dimmi. » disse Mila finendo di apparecchiare la tavola.
« ..Al Cafe Americano cercano una ragazza che stia dietro il bancone.. » disse, mentre lesse sul volto della madre l'espressione di chi aveva già capito tutto. « So che non sei molto d'accordo perché ho solo quindici anni, però.. » continuò lasciando la frase in sospeso.
« Non lo so, Alex.. E poi non è che tu abbia molta esperienza. Non hai mai lavorato, non hai mai servito nessuno. »
« Però sono brava in matematica, saprei gestire i soldi; saprei pulire il bancone, i bicchieri, eccetera! E poi non ho mai servito nessuno, è vero, ma c'è sempre una prima volta, altrimenti non imparerò mai. E poi cosa c'è difficile nel servire qualcuno? »
Mila ci pensò su. Non era molto propensa, è vero, ma non era neanche del tutto contraria. Era confusa, non sapeva cosa dirle, ma credeva fosse presto. E se avesse combinato qualche guaio?
..D'un tratto si disse che doveva dar più fiducia a sua figlia e assentì col capo.
« Va bene, va bene. » disse, per poi continuare: « Non che io sia del tutto d'accordo, ma se vuoi provare a lavorare, cominciare a cavartela da sola, va bene, provaci. »
Alex si illuminò. Sorrise raggiante e abbracciò la mamma, quasi con fare protettivo.
« Così non avremo più tanti problemi. » disse Alex. Ci teneva ad aiutare sua madre, quella situazione faceva male a entrambe.
« Non dire sciocchezze. Non voglio che tu spenda un solo soldo di quelli che guadagnerai per aiutare me nelle faccende economiche, okay? Piuttosto.. magari potremo andare a vedere Justin questa volta.. no? Che dici? » disse Mila, sorridendo alla figlia e accarezzandole i capelli, conoscendo già la risposta.
D'un tratto il viso di Alex cambiò. Si irrigidì, il sorriso sparì e sgranò di poco gli occhi. 
« ..A vedere Justin.. » ripetè Alex incredula.
Mila sorrise e azzardò una domanda: « Certo. Vuoi vederlo, no? » ...una domanda retorica, s'intende.
Alex alzò quasi meccanicamente lo sguardo sulla madre.
'Se voglio vederlo? Se voglio vederlo?!' si chiese seriamente Alex.
Poi vide lo sguardo della madre, e capì che sapeva già la risposta, ma parlò comunque, dando voce ai suoi pensieri: « Mamma, ma ce la fai? Certo che voglio! » disse sentendo il cuore battere velocemente.
Quando si trattava di Justin tutto dentro di lei cambiava.
Se in un qualsiasi momento si parlava di una qualsiasi cosa e poi si passava subito all'argomento Justin Bieber, Alex cambiava completamente, come in quel momento.
Lei non se ne accorse, ma si era irrigidita, e il suo cuore aveva perso un battito -oh, di questo se n'era accorta eccome-.
Quel ragazzo aveva un gran bel potere su Alex, la rendeva impotente, era ingrado di sopraffarla con un solo sguardo, e lei non sapeva assolutamente spiegarselo.
All'improvvisò immagino d'avere quei tanto bramati biglietti in mano.
I biglietti che le permettevano di essere felice, di vedere il suo idolo, il suo cuore; due pezzi di carta per gli altri, oro per lei.
Immaginò di trovarsi all'arena, ma la sua mente immaginò il Madison Square Garden. Forse perché era ciò che aveva più presente; forse perché l'aveva visto tante volte. Immaginò di trovarsi all'entrata, immaginò tante file accanto a se, di ragazzi che, come lei, attendevano l'apertura dei cancelli.
Immaginò di vedere Justin ballare su quel palco, che mette il cuore in ogni singolo gesto e in ogni singola parola.
'Dio, quando balla...' pensò Alex ammaliata.
In pochi secondi si ritrovò sommersa da un mare di sogni.
« ...Devo presentarmi subito al Cafe Americano. »
 
« No dico, ti rendi conto? » disse Alex facendo avanti e indietro con il telefono in mano.
Dall'altra parte, Sonny rise. « Sì, me ne rendo conto, ma tu dovresti darti una calmata. » rispose divertita.
Alex sospirò cercando di calmarsi. Chiuso gli occhi e si tirò il ciuffo, che pendeva sugli occhi, indietro. 
Davvero doveva darsi una calmata? C'avrebbe anche provato ma non sapeva come fare.
« Okay, io potrei anche calmarmi, ma non posso se penso che ho finalmente un lavoro. Sai questo che significa? »
« Sì, Alex, me l'avrai detto minimo cinque volte! » Sonny era alquanto divertita nel sentire la sua migliore amica in quelle condizioni. Sapeva cosa significasse quella bella conquista. Finalmente l'avrebbe vista felice.
« E te lo dirò altre mille e più volte! Io non voglio illudermi, ma cavolo il problema erano solo i soldi. Tutti i soldi che avevamo servivano per pagare le bollette. Ora con questo lavoro io ho i miei soldi, avrò il mio stipendio. Posso realizzare anch'io il mio sogno, adesso. »
Alex aveva lo sguardo disperso nel vuoto, con la mano ancora sulla testa, e la bocca semiaperta. Ne parlava al telefono con la sua migliore amica, ma ancora non realizzava di avere un lavoro. Ciò non sarebbe senz'altro stato la causa del suo sorriso in altre circostanze, ma in quel momento lo era eccome: era il primo passo. Il suo primo passo verso Justin Bieber.
« Alex, non si tratta di illusione qui. Si tratta di un sogno e tanta tanta speranza. Si tratta di volerci credere. Non è illusione. Se hai paura di illuderti non sognerai mai. »
Alex sorrise. Sì, Sonny aveva ragione.
Si ricordò perché Sonny fosse la sua migliore amica: sapeva sempre cosa dire.
La faceva sorridere, la aiutava, la sosteneva, c'era sempre, la faceva ridere, erano sorelle.
Non che ci fosse bisogno di ricordare il motivo della loro grande amicizia, ma ecco, in occasioni come quelle, Alex se ne rendeva sempre più conto e sorrideva.
« Grazie, Sonny. Davvero, ti ringrazio, mi ascolti sempre, chissà che seccatura deve essere per te. » disse ridendo leggermente.
« Ma non dire eresie! Mi fa piacere sentirti felice! Te lo meriti. »
« Grazie, davvero. Ora devo chiudere.. sai, per le bollette.. » ammise in imbarazzo « ..e poi devo studiare. Ci vediamo domani a scuola, okay? »
« Okay, tranquilla. A domani, Alex. Never say never! »
Alex sfoderò un gran sorriso, uno di quelli che sfodera soltanto quando vede il suo idolo.
« Never say never.. A domani! » click.
Alex lanciò il telefono sul suo letto morbido. Stette in piedi per pochi secondi, poi si girò verso i poster del suo idolo, guardandolo, e sentendo le farfalle divorarle lo stomaco.
Nella sua testa c'era il caos. Quello vero.
'Questo è il mio momento. Lo so, me lo sento. Questa volta riesco a vederti' pensava. 'Questo lavoro mi sarà d'aiuto. Avrò i miei soldi, il mio stipendio. E stavolta non sarai irraggiungibile. Ho la costante paura di illudermi, ma Sonny ha ragione, se parto con la paura di illudermi non realizzerò i miei sogni, perché non sarò in grado di sognare e crederci. Questa volta voglio crederci, voglio farcela. E ce la farò, amore mio. Lo prometto.'
Il suo sguardo era ancora lì, su quel viso che ormai conosceva a memoria.
Lo guardava attentamente come se fosse la prima volta che lo vedeva. Gli occhi partirono dai capelli e arrivarono al collo. Lì finiva il poster.
Lo sguardò passò sui lineamenti delicati del cantante. Le sopracciglia, gli occhi color.. color.. color Justin Bieber. 
Non c'era nessun colore che potesse essere adatto al colore degli occhi del suo cantante preferito. Quello era un colore particolare, unico, e ce l'aveva solo Justin.
Le guance di Alex si colorarono leggermente di rosso. Si passò le mani sulle guance e constatò che erano bollenti: l'incredibile effetto che Justin aveva su di lei.
Più volte si era detta 'no, è una coincidenza. magari è perché ho caldo; magari è perché non sto bene.' ma da un po' di tempo a quella parte Alex si era resa conto che effettivamente il calore che si concentrava sul suo viso era dovuto al pensiero di quel ragazzo.
Com'è che faceva quella canzone...? Oh sì. 
'I'm in love with the thought of you'.
  
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