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Autore: Cornfield    15/03/2013    1 recensioni
"Da dove vieni?"
"Non lo so.."
"Non sai da dove vieni?!"
"Non so neanche chi sono."
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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2.

We're living in repetition.

Cercò di sforzare a dare un senso a quelle immagini che gli sfilavano una ad una nella mente, immagini sfuggenti, confuse.
Ora vedeva un tavolo.. o era un letto?
Stava ricordando, stava ricordando all’improvviso tutto. Dall’inizio.

 
Mi svegliavi di soprassalto in una pozza di sudore.
Guardai la sveglia. Erano le 7:04 di mattina.
Avevo di nuovo sognato lei, mentre la baciavo, sembrava cosi vero.
Ancora una volta.
Per la millesima volta.
Sospirai e mi misi la testa sotto il cuscino.
Ogni fottutissima notte vivevo nell’illusione. Speravo, credevo che nella mia immaginazione anche lei fosse innamorata di me, addormentandomi in quella beatitudine. Ma ogni mattina realizzavo che non era cosi.
Io ero un disastro, lei era un’opera d’arte per cosi dire.
Mi alzai dal letto contro voglia. Un altro giorno di scuola merdoso, un altro passo verso la schiavitù. Odiavo profondamente la scuola, la prigione. Mi sarei reso ancora una volta ridicolo davanti a Juliet, ero un clown. Odiavo soprattutto quel maiale del cazzo, ma tutti lo chiamavano Robert. Raramente avevo parlato con lui, ma non mi è mai piaciuto in ogni caso. Si credeva il salvatore dell’umanità, magari con la barba incolta e un aureola in testa.
La vita è bastarda e crudele. Lui era un bastardo.
Forse ero pazzo, forse meditavo vendetta nei confronti di una persona che a malapena conoscevo, forse eravamo tutti i pazzi. La vita è una pazzia, succedono cose pazze, in questo fottuto mondo.
Addentai l’ultimo pezzo di ciambella prima di uscire da casa con un sorriso falso stampato sulla faccia.
 
Guardai il mio orologio da polso. Ero in ritardo.
Corsi a perdifiato tra le strade di quella città.. Come si chiamava esattamente? Non avevo mai prestato attenzione al suo nome, ero soltanto un suo residente che voleva evadere in qualche modo, dalla prigione che si era creato lui stesso. La mia vita era cosi strana. Era basata solo sulla conquista di Juliet. Poi era sempre la solita monotonia. Tornavo a casa dalla scuola stanco della gente, mangiavo quasi sempre da solo, cagavo, non facevo i compiti, componevo canzoni. Forse l’unico momento in cui mi sentivo felice era quando impugnavo la mia chitarra. Ma ero certo che tutto ciò che suonavo era solo merda.
Mia madre tornava verso le 4 mattina, sempre ubriaca.
Non so chi sia il mio vero padre, forse una bottiglia di birra.
E poi? E poi basta.
Mi rintanavo nelle coperte, facevo i miei soliti filmini mentali e mi addormentavo.
Basta, niente di più. La monotonia mi stava uccidendo piano.
“Fred!”
“Mi dispiace tantissimo lo so sono in ritardo, scusa, non volevo! La sveglia non ha suonato, cioè si ha suonato però credo di non averla sentita, o forse si ma l’ho spenta subito. Ma io ora che ci penso non uso la sveglia per svegliarmi, lo faccio da solo. Tu usi la sveglia?” Farfugliai tutte quelle parole in pochi secondi, saltando qualche vocale.
“Ehy rilassati, non sei in ritardo! L’autobus non è ancora arrivato!”
Solo in quel momento mi ricordai che l’orologio andava avanti di quindici minuti.
Se fosse stata una persona normale a parlare avrei lasciato correre tutto ciò, facendo una sonora risata. Ma quella non era una persona normale, era Juliet. Quei suoi capelli castani, i suoi occhi penetranti dello stesso colore, con la pelle rosea, il volto gentile … Sudavo freddo. Coglione perché non riuscivi a dire niente?
In quel momento, salvandomi dall’imbarazzo momentaneo, arrivò Jordan, il mio migliore amico per cosi dire. Ma di solito non uscivo con nessuno, parlavo solo con me stesso.
Ci salutò con un cenno e noi ricambiammo.
“Avete sentito la novità?”
Io e Juliet negammo con la testa all’unisono.
“Robert ha picchiato uno della seconda H, per le solite cazzate credo”.
Appena Jordan pronunciò quel fatidico nome, feci una smorfia.
“Non ti sta molto simpatico quel tipo vero?” Continuò.
“A me non stanno mai simpatici i tipi che si atteggiano alle Gesù Cristo”
“Bhé dovrai cambiare idea su di lui, più che altro perché ci accompagnerà alla festa di domani sera, perciò non combinare casini, è l’unico che può darci un passaggio.”
“Atto di carità improvviso?” Fece Juliet quasi infastidita.
Io invece ero rimasto pietrificato alla parola “festa”. Non ero mai andato ad una festa, non sapevo neanche dell’esistenza di quella festa. Ero piombato all’improvviso in una strana inquietudine. Sono sempre stato un asociale di merda. E all’improvviso qualcuno mi invitata ad un suo party? Cercai di nascondere i miei dubbi, ma Jordan parve accorgersene.
“Stai progettando qualche piano nei confronti di Robert, Fred?”
“Di che festa parli?” Perché cazzo lo avevo detto? Dovevo imparare a trattenermi i pensieri nella mia fottuta testa. Juliet e Jordan fecero una risatina soffocata.
“Mio Dio amico, scusa se te lo dico, ma dove cazzo vivi? Se ne parla in tutta la scuola! La festa di Daisy, in un pub non lontano da qui.” Disse Jordan.
La mia espressione però era ancora visibilmente perplessa.
“Ci verrai vero?”
Oddio.
Ci andrò? Mi domandai da solo.
No. Era la mia prima festa. E a quanto pare tutta la scuola doveva andarci, e mettersi in ridicolo davanti a tutta la scuola non mi entusiasmava per niente.
Fred? Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Prima vuoi scappare dalla monotonia e alla minima occasione ti arrendi subito? Vuoi davvero mangiare per sempre patatine surgelate? Hai 17 anni, PUOI, DEVI divertirti!
“No, non credo”. Feci improvvisamente.
I due miei amici mi guardarono in cagnesco.
“Sei sempre stato pessimo con le battute”. Sussurrò Jordan quasi per auto convincersi. Ma mi conosceva troppo bene, sentiva l’odore della mia paura. Sospirò amaramente. Si avvicinò a me e mi prese per le spalle.
“Fred, quanti anni hai?”
“Diciassette e mezzo …”
“E non credi sia ora di farti una vita sociale?”
“Io ho una vita sociale.”
“Con i pupazzetti dei Pokemon? Per favore non mentirmi, ti conosco dalle elementari, conosco tutto di te, perfino la taglia dei tuoi jeans.”
“Lasciami stare Jordan, di certo non sarai tu a darmi lezioni di vita”.
“Tu la vita non la vivi.”
“Te ne fregherebbe qualcosa a te?”
Jordan mi lasciò improvvisamente. Juliet era silenziosa. Mi stavo completamente smerdando davanti a lei, e il peggio era che neanche i pupazzetti dei Pokemon mi facevano da compagnia.
“La vita è una supposizione e si sta esaurendo” Esordi il mio amico.
“Da quale citazione hai rubato ciò?”
“Sto solo cercando di farti capire che dovresti seriamente uscire. Uscire fuori, non parlare solo con noi due. Cogliere l’attimo. Sei troppo giovane per morire tra le mura della tua casa. Lasciati andare Fred, lasciati andare. E vivi, vivi la vita. Perché la stai seriamente sprecando. Perciò tu domani sera verrai a quella fottutissima festa per divertirti, è chiaro? Ora ti riformulo la domanda. Signor Edwin Fred Twoghit, lei il giorno 12/05/2012, verrà cortesemente alla festa della signorina Daisy Clambert?”
Il suo sguardo era freddo ed impenetrabile. Non sapevo cosa pensare.
L’autobus era arrivato, cosi decisi di squagliarmela prima di rispondere, ma Jordan mi prese per il polso, volendo ottenere una risposta.
La mia risposta era un no secco, ma prima di parlare guardai per un attimo Juliet, speranzosa di vedermi pronunciare un si trionfale.
“L’invito è accettato” Feci, come al solito, senza neanche volerlo.
 

  
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