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Autore: FALLEN99    16/03/2013    3 recensioni
Ginevra è una 14enne grigia e chiusa in se stessa, che deve affrontare per la prima volta l'inferno chiamato: Liceo Scentifico.
I suoi genitori non l'aiutano, la sua sicurezza vacilla, e alcuni avvenimenti sovrannaturali cambiano la sua vita. Tipo l'improvvisa comparsa di Stefano, un bellissimo ragazzo che sembra conoscere Ginevra da secoli. Ma tutto non è mai ciò che sembra, ogni cosa ha un prezzo, anche il più seducente dei ragazzi, e Ginevra capirà di essere caduta in una rete mortale troppo tardi.
Può davvero l'amore vincere una maledizione che dura da millenni?
Dal capitolo XVII:
" Il ragazzo la strinse a sé più forte, ormai ogni distanza fra loro era annullata dalla forte attrazione che li legava come catene indistruttibili. Ora tutto per Ginevra era perfetto, ogni cosa aveva perso importanza, e l’unica cosa che contava erano loro due. Ginevra e Stefano. Stefano e Ginevra.
Gli amanti dannati che nemmeno il tempo aveva saputo dividere. "
Un AMORE
impossibile
Una GUERRA
violenta e sanguinosa
Una MALEDIZIONE
che sta per essere spezzata
Solo un amore impossibile può essere eterno; e solo il sangue può tenerlo vivo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Poison saga'
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A Sara, l'unica che mi fa provare emozioni vere davanti allo schermo di un pc.
L'unica con cui posso parlare di tutto.
Ti voglio bene.




XXII

 

Ora sapeva cos’era la felicità, l’aveva assaporata finché aveva potuto. Finché le sue labbra non si erano staccate da quelle di Stefano, provocandole una nostalgia che nemmeno l’oscurità poteva placare. Si guardò spensierata allo specchio, tutta la felicità che credeva aver perso dopo la rivelazione del professore aveva deciso di non abbandonarla. Anzi, Lui aveva deciso di non abbandonarla. Ginevra si toccò i fianchi, le sembrava di sentire ancora il calore di Stefano su di essi. Chiuse per un attimo gli occhi, rivivendo i ricordi vividissimi del giorno prima. E, stranamente, nessuna voce le venne a far visita. Davanti ai suoi occhi vedeva scorrere le lettere infuocate che Stefano aveva fatto comparire in cielo. Le si strinse il cuore, lui l’amava. E non le importava quali segreti si nascondessero dietro i suoi occhi; l’amore andava oltre quello. Avrebbe imparato a conoscerlo, senza fretta. Perché quando era con lui un attimo si trasformava in un’eternità, ogni gesto era rallentato dalla forte attrazione che vincolava i loro corpi come catene indistruttibili. Le catene dell’amore.                
Ginevra si legò i capelli in una coda, mentre esaminava con sguardo critico l’abbigliamento che aveva deciso di indossare. Una maglia a righe grigie e viola e dei leggins neri, che lasciavano trasparire la muscolatura delle gambe. Si infilò il cappotto in fretta e furia, non vedeva l’ora di arrivare da Micaela. Di raccontarle tutto, fin nei minimi dettagli. Aveva la certezza che l’amica non avrebbe reagito come sempre, che avrebbe condiviso la sua felicità. Nessun dubbio le offuscava la mente, solo buoni propositi e una visuale diversa della vita. Ora tutto era diverso, lei era diversa. Aveva finalmente qualcosa di sicuro, di certo.
E la ragazza timida e introversa stava via via lasciando posto ad una donna sicura di sé e forte.
Uscì dalla sua camera saltellando, la coda di cavallo che seguiva ogni suo movimento come un’ombra. Susanna passava di lì in quel momento, i suoi occhi cremisi incontrarono quelli della sorella, stranamente allegri.
«Ehi, Ginni! Dove vai?» chiese curiosa leccando avidamente il suo leccalecca alla fragola. «Da Micaela. » rispose la sorella serafica. La bambina la guardò curiosa inclinando la testa verso destra. Dopodiché sfoderò i suoi occhioni da cucciolo, che faceva sempre quando doveva ottenere qualcosa.
«Mi porti con te? Ti preego!» disse sfoderando due iridi insolitamente lucide.
«No, Susi, mi spiace. Non posso.» rispose mentre vedeva la delusione appropriarsi del viso della bambina.
«Ma ti prometto che domani ti porto alle giostre, va bene?» aggiunse in fretta. La bambina si accese come se le avessero proiettato sul viso un fascio di luce. «Quando viene domani?» chiese impaziente. Voleva andare alle giostre, e subito!
«Dopo oggi» Ginevra le sorrise chinandosi verso di lei.  le scompigliò i ricci nerissimi, mentre la bambina cercava di opporsi. «Allora domani andiamo alle giostre! Ma lo devi promettere, va bene?» Susanna le porse il mignolo. «Okay.» intrecciò il suo mignolo con quello della sorella. Si stupì a pensare quanto fosse infantile e profondo quel gesto allo stesso tempo. «Io, Ginevra Colombo, prometto di andare con la mia piccola pulce alle giostre domani.» disse con una mano sul cuore.
La bambina la guardò arricciando il naso. «Non chiamarmi pulce!» esclamò offesa. «Okay, pulce» le rispose Ginevra correndo via e ridacchiando.
La bambina la guardò arrabbiata per qualche secondo prima di ritornare a cucciare il leccalecca.
Ginevra entrò nel salotto gridando «ciao!». Il padre, seduto sulla poltrona dove passava i fine settimana, sollevò la testa frastornato.
«Non fare questo baccano! Dannazione!» gridò, gli occhi rossi per la troppa birra e il poco sonno. Si alzò dalla sedia e a grandi passi si diresse minaccioso verso Ginevra, che lo guardava con il sorriso stampato sul viso.
«E non guardarmi con quegli occhi da ebete, altrimenti…» ma non riuscì a terminare la frase che la ragazza gli schioccò un bacio sulla guancia, sentendo sulle labbra il contatto con la barba incolta dell’uomo. Alessandra, che stava lavando i piatti, si incantò a guardare quella scena di familiarità che per tanto tempo aveva desiderato vedere. Era la prima volta che Ginevra dava a suo marito un bacio sulla guancia, la prima volta che gli mostrava un segno d’affetto. Smise di lavare la pirofila che teneva in mano, arrestando il movimento circolare che intraprendeva meccanicamente con la spugna. assaporò quella scena, dal prima all’ultimo istante. Si diede un pizzicotto, ma no, non era un sogno. Sui suoi occhi segnati dal dolore comparve una scia di felicità, quella che quel giorno sembrava animare ogni gesto della figlia.
«G-Ginevra, cos’hai fatto?» chiese frastornato Gianni.
La ragazza guardò il padre negli occhi castani, che lasciavano trasparire solo una scia dello stesso blu dei suoi occhi. In quel momento lo perdonò per tutto ciò che aveva fatto, non contava più nulla. Ora ammetteva di avere quel legame con lui che mai e poi mai avrebbe ammesso di avere fino a due giorni prima.
«Nulla, papi, ti ho solo mostrato un briciolo dell’affetto che provo per te.» rispose allontanandosi dall’uomo e dirigendosi verso la madre. La strinse in un abbracciò affettuoso, caldo, che lasciava trasparire tutto ciò che non riusciva a dirle a parole. Si avvicinò con le labbra all’orecchio destro della madre, facendosi strada attraverso la sua vaporosa capigliatura biondo cenere.
Indugiò qualche istante, ciò che le stava per dire era troppo difficile. Troppo vero che aveva paura di dirlo.
Alessandra rimase interdetta. Da quanto Ginevra non l’abbracciava? E da quanto non erano più una famiglia?
«Ti…» Ginevra si fece forza. «Ti voglio bene.» quelle tre semplici parole colpirono Alessandra come proiettili infuocati. Come il ricordo lontano di un affetto che nel tempo Ginevra aveva via via seppellito nei suoi confronti. Una lacrima rigò il viso della donna.
«Anch’io, tesoro.» rispose Alessandra sentendo che un tassello del suo cuore si ricomponeva.
Ginevra distolse l’abbraccio e la guardò negli occhi che per tanto tempo aveva odiato. Aprì la bocca per dire qualcos’altro, ma si fermò con il respiro in gola. Non le veniva in mente nulla, dopotutto era la prima volta che diceva alla madre qualcosa di affettuoso.
«Sh, tesoro, va bene così» le sorrise Alessandra. Ginevra ricambiò il sorriso e uscì di casa. Le All Star della ragazza saltellarono per il prato appena fuori dalla casa.
Si era data appuntamento con Micaela al parco, e doveva sbrigarsi.
***
Rebecca si alzò lentamente dalla poltrona, appoggiando delicatamente la tazza di tè sulla sedia al suo fianco. Si issò sui braccioli della poltrona e camminò verso la grande porta finestra. Una forte inquietudine l’avvolgeva da ormai due giorni, e troppi brutti presentimenti assalivano la sua mente. Incrociò le braccia; gli occhi che scrutavano Milano come quelli di un’aquila saggia e sapiente. Una folata di vento penetrò attraverso le tende rigorosamente bianche del soggiorno, portando il freddo vento d’inverno nell’appartamento.
Un brivido assalì la donna; il momento stava per venire. Non poteva più aspettare o fare finta di niente; Ginevra doveva sapere. E non le andava che fosse stato Edoardo a rivelarle ogni cosa; lui non la conosceva come la conosceva lei. lui non sapeva quali erano i suoi drammi, le sue paure…si sciolse lo chignon e lasciò i capelli argentei liberi di volteggiare al vento. Una sensazione di libertà la pervase, e l’immagine di Pietro apparve nel vetro della portafinestra. La donna protese un braccio verso l’uomo biondo e atletico che stava sul vetro, accarezzando il suoi freddo riflesso che la fissava con occhi impenetrabili.
I ricordi del loro amore le riaffiorarono alla mente; immagini più limpide dell’acqua che scorreva indisturbata nei navigli. Si ricordò delle sue labbra rosee a pochi centimetri dalle sue, i suoi occhi freddi e quasi bianchi, che solo lei poteva decifrare. Il loro primo bacio era avvenuto in una serra, solo le rose e le orchidee bianche a fare da spettatori al loro amore sacro e destinato a durare per sempre. Lui le aveva sussurrato il suo nome in un modo così mieloso a cui, anche con tutto il suo autocontrollo, non avrebbe potuto resistere. Erano diventati una cosa sola, le loro labbra e i loro visi immortalati dai petali bianchi dei fiori. Da quel giorno la sua vita era cambiata; per sempre. Aveva scoperto che nulla era mai ciò che sembrava, e che l’amore passa attraverso vie inconsuete e inimmaginabili.
  Il riflesso di Pietro si mosse sulla porta finestra, le vesti candide che seguivano ogni suo movimento come una scia di purezza inviolata. L’uomo mosse impercettibilmente le labbra; un sussurro percettibile solo alle orecchie della moglie.
«Il visibile cela l’invisibile» Rebecca sobbalzò, aggrappandosi per la paura alle tende bianche. Chiuse gli occhi, cercando di fare appello a tutta la calma che aveva. Ma non riuscì, quando si trattava di quelle questioni non riusciva ad averne nonostante l’età. Lui, il marito morto da quasi quindici anni, le aveva sussurrato qualcosa. E sapeva che non era possibile, non dopo che l’aveva visto morire per mano loro. Si convinse ad aprire gli occhi, e, come sospettava, l’immagine del marito era sparita.
Folate di vento impazzite smossero le tende a cui si era aggrappata, costringendola a mollare la presa. Cadde all’indietro, gli arti paralizzati dalla paura. Riuscì ad aggrapparsi al bracciolo della sua poltrona di pelle bianca, arrestando la sua caduta mortale. Rivolse uno sguardo preoccupato verso la finestra, ma le tende erano immobili. Un rumore assordante invase la stanza, ed una piuma bianca andò a conficcarsi sul giornale che Rebecca aveva poggiato sul tavolino accanto alla poltrona. La piuma si era fermata su un articolo in prima pagina; il titolo scritto a caratteri cubitali :
 ‘Vandali hanno distrutto il parco della città, segni di incendio e testimonianze di urla disumane e fiamme violacee.’ Rebecca si eresse in piedi, la paura che avanzava ad ogni sua mossa. Prese tremante il giornale e osservò le immagini del parco della città dove viveva Ginevra. Era distrutto; i giochi a pezzi e  l’erba bruciata. Ma la cosa che le mise più terrore fu l’ombra tetra di una piuma acuminata e affilata.
«Demoni…» sussurrò mentre una colomba bianca solcava il cielo di Milano.
***
Le All Star di Ginevra calpestavano l’asfalto velocemente, avanzando veloci e precise. Negli occhi della ragazza una gioia che nessuno le aveva mai visto addosso. Nella sua mente vagavano solo pensieri positivi, immagini ricche di allegria che rappresentavano due ragazzi baciarsi al chiaro di luna. Lei e Stefano.
Girò l’angolo saltellando, la coda di cavallo che sventolava nell’aria come una bandiera di pace. Tutto andava per il verso giusto, e finalmente per davvero. Non c’erano rivelazioni all’orizzonte. Non c’erano più misteri, più mezzi termini da decifrare. E anche se sapeva di essere la chiave per arrivare a Lucifero, non le importava. In quel momento la sua umanità aveva preso il sopravvento su di Lui. Esisteva solo Ginevra, la quasi quindicenne che fantasticava sulla vita e su cosa riservasse per lei. Perché nulla poteva più turbare la sua felicità; se lo sentiva.
Affrettò la sua camminata, non voleva arrivare in ritardo da Micaela. Le macchine sembravano essere state esiliate dalla città, le strade erano deserte; solo i raggi del sole le popolavano, rendendo l’atmosfera ancor più allegra di quanto non fosse Ginevra.
I raggi solari facevano capolino fra le nubi plumbee, come a squarciare quella cortina di dolore e oscurità che per troppo tempo aveva assoggettato il cielo e la vita di Ginevra. La sua incertezza stava svanendo come polvere nell’aria. Perché la verità era una sola; lei era felice. E lo sarebbe stata per sempre, se fosse stata assieme a Lui.
Stefano prese il sopravvento sui suoi pensieri. Il loro era vero amore. Perché con nessun  altro provava quelle sensazioni.
Il marciapiede lasciò posto ad una distesa d’erba verde, le sfumature dorate del sole che coloravano il manto verdeggiante come pennellate di un quadro antico che il tempo non aveva violato. Avanzò decisa nel giardino pubblico, i cespugli che si muovevano per i piccoli spifferi di aria gelida. Mancava poco al parco, doveva solo attraversare i giardini pubblici e il ponte della città.
I suoi passi venivano attutiti dall’erba che ricopriva il suolo, come per non violare il silenzio innaturale che serpeggiava quel pomeriggio di fine inverno.
Ma non erano solo i suoi passi a essere ridotti ad un fruscio.
***
Il ragazzo osservava la sua preda all’ombra di un abete. La snervante attesa a cui era stato sottoposto cominciava a dare i suoi frutti. La ragazza era arrivata, e con lei il momento di agire.
Il momento di far capire chi era il vero motore della missione; l’unico che meritasse veramente l’appoggio della Corte Infernale. Per troppo tempo era stato declassato e privato dei suoi poteri al fine di donarli a chi, seconda la Corte Infernale, era il più adatto per svolgere la missione. Così aveva agito di conseguenza. Aveva riacquistato i suoi poteri in un altro modo; l’unico modo possibile per un demone di basso livello come lui.
Si leccò le labbra scarlatte, la sua preda stava per ricevere la sua visita. Non vedeva l’ora di sentire le sue urla colme di terrore e il sapore metallico del suo sangue. Ma, soprattutto, non vedeva l’ora di smascherare Stefano davanti a Lucifero. Assaporava già la punizione che il suo padrone gli avrebbe inferto, ed immaginava il dolore che avrebbe provato Stefano quando sarebbe venuto a sapere della morte di Ginevra per mano sua.
Un fruscio impercettibile gli fece notare la presenza di Ginevra a pochi centimetri da lui. Alzò gli occhi vitrei, vedendola passare al fianco dell’albero dove si era appostato.
***
Ginevra sfiorò con la manica della giacca la corteccia scura di un abete; ed una sensazione di oppressione le risalì la schiena. Scosse la testa per espellerla dalla sua mente, ma qualcosa la tratteneva al suo interno. Un effimero filamento oscuro, che cercava di captare qualsiasi presenza demoniaca. E, a quanto pare, ne aveva captata una.
Era forte; molto forte, e la sua aura di Potere cresceva rapidamente, avvolgendo il corpo della ragazza nelle sue brame oscure.
Lucifero si risvegliò al sentire la Sua presenza, ed i suoi occhi rossi apparirono intimidatori nella mente di Ginevra. La ragazza arrestò il suo cammino, fermandosi con il respiro mozzato in gola. Il suo piede era sospeso in aria, pronto a compiere il prossimo passo. Ma non poteva riuscirci, una forza più forte glielo impediva.
“Ti sono mancato?” chiese la voce rauca di Lucifero.
Ginevra sentì molteplici brividi assalirla.
“No…non tu! Non di nuovo!” gridò Ginevra nella sua mente. Non poteva farsi sentire proprio ora che tutto stava andando per il verso giusto; ora che per la prima volta si era sentita viva.
“Credevi che me ne fossi andato?” chiese Lucifero divertito. Ginevra non rispose, oppressa dalla forza dei suoi occhi rossi e sinistri. Allora il demone scoppiò in una risata sadica a divertita; che rimbombò nella mente della ragazza così velocemente e violentemente da farle venire il capogiro. “Sei solo una stupida bambina che crede che qualche bacio e una patetica amica bastino per sconfiggere tutto il male del mondo. Credevi forse che ti avrei lasciato il lusso di vivere felice? Beh, se lo pensavi ti sbagliavi. Ho solo contribuito ad allungare le tue illusioni, a lasciarti una piccola tregua per poi colpirti di nuovo quando saresti stata più vulnerabile.” La voce roca le fece girare la testa. Barcollò per qualche metro, gli occhi socchiusi per il forte dolore alla nuca. Si aggrappò alla corteccia dell’abete con foga, quasi quest’ultimo potesse aiutarla, oltre che a rialzarsi, a sconfiggerLo. Sentiva la corteccia penetrargli nelle unghie che rigavano come pugnali la corteccia dell’albero, lasciando segni simili a quelli del graffio di una tigre. Prima che si accasciasse al suolo sentì due mani freddissime cingerle la vita e riportarla in piedi.
Davanti a lei, vestito solo con dei pantaloni pelle neri, stava Karl. I suoi occhi grigi la trapassavano come proiettili infuocati, facendole aumentare le vertigini. Ma quando stava per ricadere a terra lui la sorresse; avvicinando il corpo di lei al suo.
Ginevra sentiva il contatto con Karl come violente scosse elettriche. Non erano quelle che provava con Stefano, erano diverse. Più ambigue, più profonde e oscure. E la cosa non le piaceva.
«K-Karl…che mi sta succedendo…» chiese in un momento di massima lucidità.
«Si sta solo avvicinando il tempo della tua ora, Ginevra.» le sussurrò Karl con un mezzo sorriso. Poi le mani del ragazzo presero a deformarsi, allungandosi e ritraendosi come distorte da una cortina di nebbia. I suoi occhi un tempo grigi si colorarono di sfumature rosse e violacee, che andarono a riempire tutte le iridi con la loro cromaticità opalescente. La sua bocca rosea si trasformò in un ghigno sadico, e i suoi capelli castani presero ad allungarsi a dismisura. Si stava trasformando. La forza del suo mutamento sbalzò Ginevra indietro, facendola cadere rovinosamente a terra. Violente raffiche di vento le facevano ondeggiare i capelli corvini come un turbinio di corvi impazziti. Le labbra le si seccarono e negli occhi si poteva intuire la vera paura, che si stava aprendo un varco nelle iridi della ragazza. Una sensazione di terrore le invase le membra, mentre prendeva a sbattere freneticamente i denti. Si sentiva come una foglia sbalzata dal vento, non più padrone di se stessa.
Cercò di rialzarsi, ma una frustata d’aria gelida la fece ricadere a terra.
Lacrime di dolore cominciarono a rigarle il viso; come aveva potuto fidarsi di Karl?
Il ragazzo, intanto, stava finendo la sua metamorfosi. Due corna ricurve e nere come la pece gli perforarono la nuca, spuntando maestose dalla massa sempre più violacea e lunga che stavano diventando i capelli del ragazzo. I suoi occhi ora erano un vortice impazzito, da dove Ginevra poteva scorgere il Male. Quello vero, quello che era sicura che non avrebbe mai incontrato prima della morte. Quello che per nemmeno un secondo aveva attribuito a Karl. Lui era sempre stato una sorta di svago, un modo per sfuggire ai problemi della sua quotidianità sempre più piena di intrighi ambigui e crudeli. Lui era il suo biglietto per un’altra realtà; quella fatta di sogni e aspettative sulla vita, che purtroppo non era coerente con la realtà vera.
La risata di Karl squarciò l’aria sempre più forte, e artigli acuminati gli comparvero su mani e piedi.
Nei suoi occhi un bagliore sadico e presuntuoso, di chi crede di avere già la vittoria in pugno. I suoi pettorali perfetti assunsero un colore rossastro, come stava via via assumendo il resto del corpo. L’unica cosa che Ginevra poteva ancora percepire di umano erano i pantaloni in pelle, che sembravano essersi adattati alla sua nuova forma. Alla sua vera forma.
Il demone la trafisse con gli occhi, avvicinandosi sempre più al corpo cadaverico di Ginevra. voleva aspettare di starle a pochi metri per mostrarle l’ultima parte della sua trasformazione.
Ginevra, con la poca forza che le restava, indietreggiò sull’erba  secca, che sembrava essere succube di fiamme invisibili ma letali che facevano scomparire ogni traccia di vita. la ragazza alzò gli occhi al cielo, vedendo nubi accumularsi con le loro sfumature opalescenti e coprire ogni fonte luce rimasta. Coprire anche l’ultima delle sue speranze di sopravvivere.
Karl avanzava beffardo verso il suo corpo quasi esanime, scrutando malizioso il suo corpo distrutto dal suo Potere demoniaco. Le si accovacciò accanto, le braccia pronte a scalfirle la pelle diafana.
Quando lei incrociò il suo sguardo fu come ricevere una pugnalata al cuore.
Lui, il ragazzo con cui aveva creduto di essere accettata, che la stava per aggredire. O ancore peggio. Uccidere.
«Cosa…cosa sei?» gli chiese in un soffio; le raffiche di vento che creavano come una barriera fra i loro corpi.
«Ci sono diversi modi per definirmi» disse lui facendo vibrare sensualmente la lingua nera. «Angelo nero, diavolo, angelo delle tenebre, spirito della morte.» si schiarì la voce disumana. «Ma quello che mi rappresenta veramente è solo uno» sorrise sadico, pensando al terrore che doveva provare la ragazza in quel momento.
Ginevra aprì la bocca, ma gli occhi maligni di lui gliela fecero richiudere all’istante.
«Demone.» quella parole fece breccia nella mente della ragazza come una lama affilata e incandescente. Qualcosa si risvegliò in lei; la consapevolezza che aveva sempre cercato di ignorare quella parola, di sminuirne il significato e di credere che la sua natura umana fosse scollegata con essa. Per troppo tempo aveva rinnegato se stessa, per troppo aveva finto di essere normale.
«Stefano…» quella parole uscì dalle sue labbra involontariamente; un suono troppo flebile persino per le orecchie acutissime del demone che aveva davanti. Sapeva che il ragazzo era strettamente collegato a tutta quella storia assurda, e aveva la certezza che non fosse l’unico. Micaela ed Edoardo le nascondevano qualcosa.
«M-ma…perché vuoi me?» chiese in tono febbrile, cerando di prendere tempo.
«Non fare la finta tonta, so che conosci cos’hai di speciale. So che sai chi hai dentro di te. Quindi non cercare di prendere tempo, piccola ragazzina. Tanto la tua fine è vicina.» scattò in piedi con un movimento rapidissimo, provocando uno spostamento d’aria che fece sbattere Ginevra sulla corteccia dell’abete. Due ali nere comparvero dalle sue scapole.
Ora si era trasformato completamente.
Ginevra gridò al cielo, la sua voce disperata riecheggiava come un ultimo lamento prima che la falce della morte le piombasse addosso. Karl la guardava divertito, assaporando quei momenti di assoluto terrore che finalmente poteva incutere senza problemi.
«P-perché?» un debole richiamo da parte di Ginevra lo fece rinvenire. Le piombò addosso velocissimo, gli artigli pronti a penetrarle la pelle pura e inviolata.
La accostò le labbra scarlatte all’orecchio, voleva che quelle parole la segnassero per sempre così da farle capire chi era veramente Stefano, il ragazzo dannato per cui aveva dato la vita ben più di una volta.
«Perché ti sei innamorata di un demone…»
Parole dure, aspre, vere. Perché la verità fa male, è come una sberla in pieno viso che ti ricorda di non sognare o di non farti fantasie inutili. La verità è unica, incombente. Dolorosa.
Le immagini di Karl e di Stefano si sovrapponevano nella mente di Ginevra, loro erano la stessa cosa.
Due creature dannate; in costante ricerca di potere e vittime da dissanguare. Lui era cattivo. Nulla poteva cambiarlo. Si sentì infinitamente stupida. Come aveva potuto credere nel loro amore? Come aveva potuto anche solo pensare di aver costruito qualcosa di reale e duraturo nella sua vita?
Lacrime di tristezza le sagnarono il viso già sconvolto, aumentando ulteriormente le brutte sensazione che dominavano il suo corpo. I suoi occhi neri le comparvero all’improvviso nella mente, riempendola completamente.
Sembravano spesse ragnatele nere, affusolate ed appiccicose,  tenevano in ostaggio una figura bianca. Aveva ali e becco stretti in quella ragnatela, che sembrava volergliele strappare. La figura emise un grido strozzato, cercando di dibattere ali. Ma non ci riuscì.
Ginevra realizzò solo allora che l’animale era una colomba, pura e indifesa. Una strana sensazione prese possesso del suo corpo, facendola tremare. Riuscì solo pochi minuti dopo a capire cos’era la sensazione: Paura. Lei aveva paura di Stefano. Era realtà che aveva sempre negato; che aveva relegato in fondo alla sua mente per non pensarci.
Lui era sbagliato per lei; e sentiva che in passato l’aveva fatta soffrire di un dolore che va oltre il pianto ed il tempo. Non sapeva chi era, da dove venisse, e come mai sapesse così tante cose di lei che anche lei stessa ignorava. Lui era l’ignoto, la paura, la linea netta fra libero e proibito. Lui era il male, proprio come le aveva detto Micaela.
«Ora capisci quale razza di persona è il tuo amato? Ora capisci cos’è la tua vita? capisci che sei avvolta dalla tua nascita da una continua menzogna? Il male fa parte di te, Ginevra.» le premette il dito indice sul cuore. Per un attimo Karl provò pietà verso di lei; verso la povera ed indifesa “Chiave degli angeli”; l’ipocrisia di quella stirpe celeste, che aveva relegato in un’anima innocente il Male, quello che da secoli loro stessi cercavano di annientare.
Il demone si eresse in piedi, scrutando la sua vittima dall’alto.
Era così bella…troppo pura per essere la dimora del suo padrone.
Si riscosse a quei pensieri troppo celesti per la sua stirpe, focalizzando il suo obbiettivo. La doveva uccidere.
Ginevra lo guardava implorante di pietà, le membra troppo stanche anche solo per muoversi minimamente.
Karl alzò il braccio destro al cielo, evocando tutto il suo Potere a raccolta. Fiamme cremisi e scarlatte presero ad avvolgerlo nelle loro brame iridescenti, facendolo sembrare ancor più disumano di ciò che già era.
«T-ti prego…» sussurrò Ginevra; il dolore della rivelazione che le cresceva velocemente nel petto.
Lui la guardò un’ultima volta. No; non poteva arrendersi proprio ora.
«Mi…» disse quasi commosso. «Mi dispiace…»
Un rombo assordante riempì l’aria. Onde sempre crescenti di fiamme riempirono il cielo, riversandosi sopra Ginevra come catene indistruttibili. La ragazza fu colpita dall’attacco, provando dolore dappertutto. Sentiva Lucifero scalciare per uscire, la sua potenza maligna che stava, dopo quattordici anni, riuscendo a liberarsi. Di nuovo. Come aveva già fatto altre volte; come avrebbe continuato a fare se non fosse stato abbastanza forte da sopravvivere anche fuori dal corpo di Ginevra.
La ragazza venne centrata da una catena fiammeggiante, che le trafisse il fianco e la sollevo al cielo. La sua esile figura fu scagliata violentemente a terra, dominata dalla catena che agiva come il filo di un burattinaio impazzito. Karl.
Il demone osservava la scena impassibile, chiedendosi se era proprio necessario provocare così tanto dolore per liberare il suo maestro.
Intanto la vita di Ginevra era sul lastrico. Anche un semplice soffio avrebbe potuto spezzare il flebile legame che aveva con la vita terrena. Luce e oscurità si intervallavano alla sua visuale, come emblemi delle due parti opposte che reclamavano la sua vita.
Un grido distrutto uscì dalle sue labbra, squarciando l’aria.
Dentro di sé aveva la consapevolezza che la sua vita stava per finire.
E, forse, non si sbagliava.





Hola! eccomi qui in perfetto orario, spero ne sarete felici! XD
Vi è piaicuto il capitolo? o è stato troppo violento e cruento?
Finalmente Ginevra cpaisc eche Stefano e KArl sono demoni. questo le impedirà di amare Stefano?
E Micaela e il professore? dove sn finiti?
Ginevra morirà? E Lucifero riuscirà a scappare dal suo corpo?
il prossimo capitolo nn so se lo posterò in orario, ma cercherò di farlo! questo era troppo lungo?
critiche costruttive sn ben accette, e vi avverto che amnca poco per la fine della storia.
vi invito a leggere due storie che credo siano fantastiche:
Angel.
 e l'ultima( che è mia)
§ Come Spuma Di Mare §
Bene, e ora che ho finito di fare pubblciità posso salutarvi.
ps. vi piace la nuova copertina?
 


 
 


   
 
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