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Autore: coldcoffee89    16/03/2013    6 recensioni
Credete nel destino? Quante volte avete pensato che una cosa via sia successa solo perché era già scritta?
Il destino esiste. Gioca con le vite delle persone, le unisce e le separa, le fa innamorare e le fa soffrire. Il destino non ti dirà cosa fare, ti darà una spinta e traccerà la tua strada ma sarai tu a doverla seguire.
Questa volta il destino ha deciso di giocare con le vite di due giovani ragazze che s'incrociano ogni giorno senza sapere quanto legate siano le loro esistenze, quanto simili siano le loro esperienze.
Sam, bloccata in una condizione che non le piace più, ha bisogno di ritrovare sè stessa. Charlie, invece, ha bisogno di tornare a vivere. E sarà il destino a dare loro una mano conducendole verso una strada che mai avrebbero pensato di percorrere.
Ad affiancarle in questo percorso saranno i loro amici di infanzia, cinque semplici ragazzi le cui strade si intrecceranno indissolubilmente con quelle delle due ragazze più di quanto già non lo siano.
**STORIA INTERROTTA**
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Nameless


A un certo punto devi prendere una decisione.
I confini non tengono fuori gli altri, servono solo a soffocarti.
La vita è un problema e noi siamo fatti così, quindi puoi sprecare la tua vita a tracciare confini
oppure puoi decidere di vivere superandoli.
Ma ci sono dei confini che è decisamente troppo pericoloso varcare.
Però una cosa la so, se sei pronto a correre il rischio la vita dall’altra parte è spettacolare.


Meredith Grey - Grey's Anatomy





- Zayn!! - gridò Charlie affacciando la testa dalla porta del bagno. I lunghi capelli castani le ricadevano sulle spalle totalmente bagnati fino quasi a sembrare neri - Sai dov’è il phon? -.
Il suo amico sbucò dalla sua stanza, quella proprio a fianco al bagno, e sorrise alla ragazza scuotendo la testa - Prova in camera di Harry. Sarà sicuramente lì -
Charlie si diresse verso la stanza di Harry, scuotendo la testa e domandandosi perché quel ragazzo fosse così disordinato. Trovare i suoi boxer sporchi in bagno era quasi all’ordine del giorno e non mancava momento in cui non trovava qualche calzino vagante lungo il corridoio. La permanenza in America aveva fatto di lui un mostro.
Quando la ragazza aprì la porta, la stanza era nella più totale oscurità. Le tende erano state chiuse e dalle finestre, coperte da spesse persiane, non entrava neanche un filo di luce, rendendo praticamente impossibile a Charlie trovare il phon.
Sbuffò pesantemente mentre si muoveva a tentoni in quella stanza completamente buia.
- Harry? - bisbigliò - Harry, svegliati -.
Dalle pesanti coltri Charlie poté sentire solo un mugugno soffocato, segno che Harry non aveva ancora intenzione di svegliarsi - Harry - chiamò ancora ferma ai piedi del letto.
Dalle labbra di Harry fuoriuscì un altro piccolo lamento e poi percepì un leggero movimento tra le lenzuola, ma il ragazzo sembrava non dare altri segni di vita. Decisa più che mai a recuperare il phon per asciugare i suoi lunghi capelli, mosse passi incerti verso la finestra, tirando via le tende per poi dedicarsi ad aprire le persiane. La fioca luce di un sole invernale illuminò improvvisamente la stanza costringendo Harry a coprirsi la faccia con le coperte - Lasciami dormire! - protestò con voce roca e impastata dal sonno.
- Il phon è qui? -
- Che vuoi da me? - piagnucolò ancora il ragazzo, girandosi dall’altro per darle le spalle.
- Dai, Harry, dov’è il phon? -
- È qui -.
Charlie aggirò il letto per raggiungere il punto che il ragazzo le indicava e trovò il phon poggiato per terra davanti il suo comodino. Si chinò per poterlo staccare dalla corrente ma Harry le strinse la mano attorno al braccio fermando ogni suo movimento - Vieni qui - farfugliò fissandola coi suoi grandi occhi verdi, ancora leggermente socchiusi. La tirò sul letto, facendole spazio tra le coperte e la strinse tra le braccia.
- Harry, che ti prende? -.
Il ragazzo non le rispose e poggiò la testa contro la ragazza, strusciando il viso contro il suo collo - Ho bisogno di coccole… - il respiro di Harry le solleticò la pelle provocando in lei una piccola risata.
- Le coccole? Da quando Harry Styles, latin lover per eccellenza, il sogno erotico di ogni infermiera, ha bisogno di coccole? - lo prese in giro mentre affondava le dita affusolate tra i soffici ricci di Harry, cosa che Charlie adorava sempre fare quando aveva bisogno anche lei di rilassarsi.
Il ragazzo alzò il suo sguardo su di lei, piegando le labbra in un tenue sorriso che fece affiorare le sue dolci fossette ai lati della bocca - Da sempre - borbottò, affondando poi il viso nell’incavo del collo di Charlie mentre i capelli bagnati gli pizzicavano la pelle - E mi manca passare del tempo con te - ammise.
La ragazza sorrise, poggiando le labbra sulla fronte di Harry in un leggero bacio - Manca anche a me -.
Prima era tutto più semplice, quando tutti e tre frequentavano solo la scuola. Passavano ogni istante insieme anche per poter trascorrere un semplice pomeriggio ad oziare, sdraiati sul divano con un film che scorreva sullo schermo della tv. Poi la scuola era finita e la vita li aveva divisi. Lei aveva cominciato a frequentare Oliver, senza però trascurare i suoi due più cari amici, ed Harry aveva deciso di andare a New York. Erano rimasti lei e Zayn, e quando Oliver era morto, Charlie aveva sentito più che mai la mancanza del riccio. Per fortuna Harry era sempre stato un amico devoto e il grande affetto che nutriva nei confronti di Charlie lo aveva spinto ad essere sempre presente per lei nonostante si trovasse dall’altro capo del mondo. Ogni giorno le aveva dato appuntamento per una videochiamata, solo per vederla e per assicurarsi che fosse ancora lì, tra di loro. Quante volte era stato sul punto di tornare al solo scopo di alleviare il suo senso di colpa per averla lasciata da sola durante quel brutto periodo ma Zayn lo aveva subito persuaso dal fare quella sciocchezza.
- Devi pensare alla tua carriera adesso. A Charlie ci penso io - e poi lo aveva assicurato in tutti i modi possibili, promettendogli che lo avrebbe aggiornato ogni giorno con e-mail e messaggi. Neanche la distanza era riuscita a dividere quei tre ragazzi che si consideravano ormai una piccola famiglia. Ma da quando si erano trasferiti sotto lo stesso tetto, era diventato sempre più difficile passare del tempo insieme a causa dei loro impegni di lavoro, e sembravano soffrirne tutti. Charlie abbassò lo sguardo su Harry, inchiodando i suoi occhi grigi su quelli del suo amico che giocherellava con la stoffa della leggera canottiera di Charlie, stringendola tra l’indice e il pollice.
- Che hai, Harry? - gli chiese continuando a stringere tra le dita i morbidi capelli del ragazzo poiché in quello sguardo sempre allegro e vivace qualcosa non andava.
- Nulla, è solo che il lavoro mi distrugge -
- Sei sicuro? Non è che questa tua voglia di coccole abbia a che fare con una brunetta dagli occhi verdi? - insinuò Charlie accoccolandosi meglio tra le braccia di Harry.
- Ma… -
- Oh avanti Harry, quando sei a casa non fai altro che parlare di Sam, di come si stia riprendendo e di come ti abbia trascinato a fare una corsa con la sedia a rotelle - la ragazza piegò le labbra in un mezzo sorriso mentre aspettava che il suo amico confessasse qualcosa.
- Oggi esce - ammise, infatti, una manciata di secondi dopo, abbassando lo sguardo sulle dita di Charlie che gli accarezzavano il braccio - E non avrò più la possibilità di vederla ogni giorno. Tornerà a casa con Louis … -.
La ragazza trasalì quando Harry pronunciò quel nome. Sam sarebbe tornata a casa con Louis ma niente in quella relazione sarebbe stato sincero. Charlie si mordicchiò il labbro mentre alla mente le tornò quello che Louis le aveva confessato quando si erano incontrati in ospedale, quando le aveva detto che aveva tradito Sam e che prima dell’incidente l’aveva lasciata. In quel momento si chiese se i due sarebbero rimasti insieme o se Louis, nonostante la condizione travagliata di Sam, avrebbe chiuso la questione che era rimasta in sospeso con l’incidente della sua ragazza. Non voleva ammetterlo a sé stessa, ma in fondo era curiosa di saperlo.
- La rivedrai, non ti preoccupare - mormorò poi, liberandosi dalla stretta di Harry. Si mise seduta sul letto e afferrò il phon prima di voltarsi a guardare il suo amico - Stasera viene mia nonna a cena, fai in modo di esserci perché ha un estremo bisogno di vederti -
- Non vedo l’ora di rivederla - affermò il ragazzo con un sorriso - Però ora chiudi le tende, voglio dormire ancora un altro po’ -.
Charlie fece come Harry le aveva chiesto e poi uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle. Un’ora dopo la ragazza si ritrovò a camminare per le fredde strade di Londra senza una meta ben precisa. Si strinse nel suo cappotto grigio e si diresse a grandi passi verso la fermata della metro più vicina. Come sempre salì sull’ultimo vagone del treno in arrivo e prese posto su uno dei sediolini di plastica, accavallando le lunghe gambe fasciate da spessi collant neri. I suoi occhi grigi si guardarono attorno, leggermente curiosi si posavano sulle poche persone che, annoiati, si lasciavano trasportare dal movimento del treno. Era sabato e per fortuna il piccolo vagone non era affollato come al solito, fatto che le permise di godersi al meglio il breve viaggio fino a Covent Garden.
Quando tornò in superficie l’aria gelida le sferzò il viso che si tinse immediatamente di rosso. Affondò le labbra contro la morbida lana della sciarpa azzurra che Zayn le aveva regalato per Natale e si incamminò verso Jubilee Market, cuore pulsante di Covent Garden.
Non aveva una meta ben precisa ma quando venne avvolta dalla folla allegra del mercato i suoi piedi la condussero lentamente verso la piccola caffetteria che aveva scoperto qualche settimana prima. Si trovò così a dover attraversare Jubilee Market con passi lenti e tranquilli mentre con la mano destra rovistava nella grande borsa grigia in cerca del pacchetto di sigarette. Quando le sue dita si strinsero attorno all’oggetto in questione lo tirò fuori e con gesti veloci prese una sigaretta che portò subito alle labbra. Fermò un passante poiché non aveva voglia di cercare anche l’accendino tra l’ammasso di roba che teneva in borsa, e per fortuna l’uomo che fermò riuscì ad accontentarla accendendole la sigaretta. Le sorrise dopo che Charlie mormorò un “Grazie” a fior di labbra e poi venne inghiottito dai turisti e dai londinesi che si godevano quel sereno sabato mattina. Lei continuò per la sua strada prendendo una boccata di fumo che poi buttò di nuovo fuori. I suoi occhi grigi si alzarono per un attimo al cielo, nell’aria si poteva già respirare la neve che di lì a poco sarebbe scesa in morbidi fiocchi ricoprendo ancora una volta Londra con un bianco manto soffice. Tutto sembrava essere più bello con la neve.
Fu proprio in quel momento che lo sentì: malinconiche note di pianoforte si susseguivano, si rincorrevano nell’aria invernale creando una triste melodia che si insinuò nella sua mente. Gli occhi di Charlie si accesero di intensa curiosità quando cercò la fonte di quella musica che stava cominciando ad attirarla nella sua morsa costringendola a voltarsi svariate volte per trovare il punto da cui proveniva. Non fu per niente difficile individuare una piccola folla di gente circondare qualcosa che in quel momento le era praticamente impossibile vedere. Le note di quella straziante melodia sembrarono accarezzarla quando cominciò a muovere passi decisi verso il ridotto pubblico. Prese ancora una boccata di fumo dalla sigaretta e si fece largo tra le persone che le impedivano di vedere chi stesse suonando quella musica. Quando riuscì finalmente a superare le due file di gente un piccolo lamento uscì dalle sue labbra socchiuse mentre liberavano del fumo. Louis era seduto dietro una pianola, gli occhi azzurri erano chiusi e le sue dita continuavano a muoversi sui tasti bianchi del suo strumento. Sembrava essere immerso in un’altra realtà, come se quelle persone non esistessero e lui fosse completamente solo, in un mondo estremamente lontano.
Poi, improvvisamente, Louis aprì gli occhi come se avesse avvertito la sua presenza e li sgranò per la sorpresa di trovarla lì. Un lieve e impercettibile sorriso solcò le sue labbra e Charlie non poté fare a meno di farsi inghiottire da quello sguardo blu, talmente intenso da sembrare un profondo oceano di segreti.
Le dita del ragazzo premettero sull’ultima nota che culminò poi in un tuonante applauso di apprezzamento che circondò Charlie. Lei restò ferma, inchiodata al suolo, mentre la folla si disperdeva senza prima aver lasciato qualche moneta dentro un cappello capovolto posto davanti la pianola.
Lo fissò ringraziare i suoi spettatori con piccoli sorrisi e inchini, le persone non smettevano di fare i complimenti per come aveva suonato e Charlie si accorse solo in quel momento di tenere ancora tra le dita la sigaretta ormai consumata per metà. La gettò per terra e poi si voltò pronta ad andarsene ma due mani si posarono attorno alle sue braccia - Ciao, ragazza senza nome - la voce di Louis era chiusa in un sussurro ma per la ragazza fu facile percepire nel suo tono una leggera nota di allegria.
Charlie arrestò il suo passo e si mosse lentamente per fronteggiare Louis. Gli occhi blu di Louis la inghiottirono un’altra volta mentre si assottigliavano per fare spazio ad un’espressione sorridente.
- Ciao… ragazzo della metro - borbottò poi, corrugando la fronte.
- Ti va di andarci a sedere da qualche parte? -
- Io veramente … -.
La ragazza scosse la testa abbassando lo sguardo. Solo un pazzo poteva pensare di potersi insinuare nella sua vita, una vita piena di crepe, come un puzzle i cui pezzi per completarlo sono stati smarriti. Eppure a Louis non sembrava interessare, era fin troppo testardo per mollare di fronte a quei deboli no. Adorava le sfide e quella ragazza ne era un esempio vivente. Se Charlie avesse fatto un passo indietro, lui l’avrebbe fatto in avanti, nella sua direzione.
- Dai, Charlie, ti sto chiedendo solo un caffè - Louis insisté di nuovo, accentuando il suo sguardo blu - Solo un’ora del tuo tempo -.
Charlie posò i suoi occhi grigi in quelli del ragazzo e poi lanciò una fugace occhiata alle dita di Louis strette attorno alle sue braccia. Annuì in silenzio prima di pronunciare un debole - Va bene -.
L’espressione di Louis si aprì in un sorriso, quasi non credeva di essere riuscito a convincerla - Dammi il tempo di prendere le mie cose, ok? Non ti muovere -.
Dopo aver sistemato la pianola nella sua custodia e dopo essere sparito in un piccolo negozio di musica per restituire l’amplificatore al proprietario che era anche un suo amico, ritornò da lei contando i soldi che aveva racimolato quella mattina.
- Perché suoni per strada? - fu la prima domanda di Charlie quando affondò nella comoda poltrona rossa della caffetteria in cui erano entrati.
Gli occhi di Louis studiarono la scritta “Carpe Diem” sulla parete opposta a lui prima di riportare il suo sguardo su Charlie che lo osservava con aria curiosa benché cercasse in tutti i modi di nasconderlo.
- Perché non avrebbe senso suonare chiusi in una stanza quando hai la possibilità di condividere la musica col resto del mondo - spiegò Louis stringendosi nelle spalle - Trovo più soddisfazione nel vedere l’espressione estasiata della gente mentre mi ascolta suonare, che restare nel salotto di casa mia -
- Sei molto bravo - sussurrò Charlie giocherellando con le pagine del menù.
- Grazie - Louis sorrise ancora - E tu che ci facevi a Covent Garden di sabato mattina? - si sporse in avanti, poggiando i gomiti sul tavolino di legno e la guardò in attesa di una risposta.
- Stavo venendo qui - ammise la ragazza con un appena accennato sorriso - Ci vengo spesso -.
Una cameriera dai lunghi capelli biondi si avvicinò loro portando tra le mani un vassoio. Subito dopo posò due tazze fumanti sul tavolino - una cioccolata calda per Louis e un caffè nero per Charlie - e si congedò con un sorriso, lasciando che continuassero la loro conversazione.
- Conosci da molto questo posto? - le domandò Louis, affondando il cucchiaino nella panna.
Charlie scosse la testa - L’ho scoperto per caso un paio di settimane fa -.
Il ragazzo la osservò in silenzio mentre lei portava la tazza alle labbra soffiando leggermente contro la porcellana della tazza bianca. I suoi occhi grigi erano bassi come se avesse paura di incontrare quelli di Louis, come se non volesse fare scoprire ciò che si nascondeva dietro quello sguardo spento e stanco. Ma a Louis quel particolare piacque ancora di più, Charlie non si rendeva conto di quanto potesse essere affascinante l’aura di mistero che l’avvolgeva e che continuava a spingere Louis verso di lei. Lui era sempre più intenzionato a svelare i segreti che si celavano dietro i suoi occhi belli e strazianti.
- Da quanto tempo suoni il piano? -
- Da troppo tempo ormai - rispose il ragazzo con un sorriso - A volte penso di suonarlo da sempre -
- Anche mia nonna suona il piano. Adoravo ascoltarla per ore e ore. Mi sedevo sul tappeto di casa sua e la guardavo. Mi ha anche insegnato qualcosa -
- Davvero? -
- Sì, ma sono pessima e ormai non ricordo più nulla - Charlie scosse la testa e si abbandonò contro lo schienale della poltrona. Fuori, intanto, aveva cominciato a nevicare e la gente non faceva altro che entrare nella caffetteria per cercare riparo dal freddo.
Parlarono ancora, o meglio Louis parlò cercando di spingerla a rivelare qualcosa in più su di lei. Riuscì anche a farla sorridere quando se ne uscì con qualche battuta delle sue e per un attimo intravide qualcosa di più, una luce diversa in quella espressione che lei cercava sempre di mantenere dura e distante.
- Io devo andare - Charlie poggiò la tazza sul tavolino e si allungò per prendere il cappotto.
- Anche io. Devo andare a prendere Sam - spiegò Louis piegando le labbra in un sorriso stanco.
Si alzarono entrambi nello stesso momento ma Charlie urtò involontariamente la sua borsa che si capovolse rovesciando il suo contenuto sul pavimento.
Louis si chinò subito per raccogliere dei fogli svolazzanti e glieli avrebbe dati se i suoi occhi non fossero stati attirati dalle parole “Ragazza senza nome” scritte con la calligrafia lineare ed elegante di Charlie - L’hai scritto tu? - le chiese continuando ad afferrare frasi e parole sparse su quel foglio bianco.
- Sì - Charlie gli prese il foglio tra le mani - Ma è personale - mormorò a denti stretti.
- Tu scrivi? - indagò ancora Louis.
La ragazza si chinò per terra raccogliendo le sue cose per infilarle con movimenti bruschi nella sua borsa. Si era proprio dimenticata di aver portato con sé il racconto che aveva scritto la notte prima quando non era riuscita a chiudere occhio. Aveva dato vita ad un breve racconto incentrato su due persone i cui incontri avvenivano solamente nel vagone di un treno e lì sedevano insieme condividendo gioie e dolori, paure ed emozioni fino a quando le fermate della metropolitana non li costringevano a dividersi di nuovo con la promessa che si sarebbero incontrati il giorno seguente. Ma mai si erano detti i loro nomi, per questo lo aveva intitolato “Ragazza senza nome”.
E adesso era imbarazzata e spaesata perché lui lo aveva letto, aveva intravisto il titolo e non era stato difficile riconoscere punti in comune con il loro primo incontro avvenuto proprio in metropolitana. Lo aveva scritto senza pensarci, senza realmente associarlo a Louis. Eppure solo in quel momento si rese conto che era stato proprio lui ad averle ispirato ogni singola parola.
- Charlie, va tutto bene - le sussurrò abbassandosi di fronte a lei - Guardami - le strinse le dita attorno al polso e la costrinse ad alzare lo sguardo su di lui - Vorrei leggerlo se non ti dispiace - continuò poi con un tono dolce e leggero.
Lei scosse la testa e si liberò dalla stretta di Louis - Ti ho detto che è personale -.
La ragazza si alzò recuperando il giaccone dallo schienale della poltrona pronta ad erigere di nuovo il muro che Louis era riuscito a scalfire in più punti durante quella loro piccola chiacchierata.
- Adesso devo andare - Charlie indossò il cappotto e uscì dalla caffetteria a passo spedito senza più voltarsi.


Infilò un paio di jeans blu un po’ a fatica ma cercando sempre di non darlo a vedere. Da quando si era svegliata, Samantha aveva fatto un'intensa terapia di riabilitazione che era durata per tutta la settimana in cui era rimasta in osservazione. Adesso poteva finalmente uscire da quell'ospedale con le sue gambe, anche se non era ancora del tutto al top della forma.
- Vuoi una mano Sam? - le chiese Jenny, un'infermiera dai capelli ricci e biondi e dal viso cosparso di lentiggini.
- Ho fatto - rispose infilandosi un maglioncino bianco piuttosto lungo. Si allungò sul letto per afferrare la collana con il ciondolo a forma di chiave che aveva appoggiato sul comodino prima di iniziare e prepararsi e se la infilò subito, rigirandosela poi fra le mani con aria assente.
Era contenta di lasciare l'ospedale ma allo stesso tempo non lo era.
Da quel momento in poi sarebbe dovuta uscire da quella sorta di mondo parallelo che si era creata in quei pochi giorni, mondo in cui poteva essere chiunque, in cui poteva passare il tempo semplicemente ascoltando i racconti del signor Winston o parlando con Harry. Da quel momento in poi avrebbe dovuto affrontare la realtà e tornare ad essere Samantha Harris, una ragazza a lei completamente sconosciuta.
Non aveva idea di cosa aspettarsi, aveva solo paura di non essere all'altezza, di aver perduto per sempre quella ragazza. Aveva paura di deludere tutti. La sua famiglia, i suoi amici, Louis. Ogni giorno, da quando aveva visto per la prima volta Louis al suo risveglio, si era chiesta cosa provasse quel ragazzo vedendo la sua fidanzata miracolosamente viva e non poterla baciare perché lei si sentiva a disagio, perché a lei sembrava solo un estraneo, una persona qualunque. Strinse gli occhi tentando di scacciare quel pensiero e solo quando li riaprì facendo vagare il suo sguardo all'interno della stanza si accorse di essere rimasta sola. Un borsone era poggiato contro la parete accanto alla porta. Circa un'ora mancava al suo ritorno a casa, qualunque essa fosse.
Samantha si alzò e buttò la testa all'ingiù per ravvivare i suoi lunghi capelli castani, poi uscì da quella camera con l'intenzione di raggiungere il signor Winston in cardiologia, non avrebbe mai potuto lasciare quel posto senza prima passare a salutare quel meraviglioso uomo che aveva allietato le sue noiose giornate in ospedale. Ma dopo appena una decina di passi qualcosa attirò la sua attenzione e si fermò all'istante tendendo le orecchie.
- Dove posso trovare Harry? - sentì chiedere ad una voce femminile.
Sam si voltò curiosa e vide un'infermiera scuotere la testa e poi andare via lasciando spazio alla sua visuale per intercettare la ragazza che aveva sentito parlare. Aveva i capelli scuri e gli occhi di un grigio chiaro, quasi glaciale.
- Stai cercando Harry Styles? - avanzò verso quella ragazza che non si era ancora accorta di lei ma che stava sbuffando guardandosi intorno. La sua mano destra, che teneva stretta quello che a Sam sembrò un cellulare, dondolava avanti e indietro con fare impaziente. Quando avvertì la sua voce la ragazza scattò verso di lei e parve assumere, per un solo istante, un'espressione sorpresa prima di tornare seria e pacata.
- Sì -
- Io sono Sam - sorrise e allungò una mano che venne stretta con titubanza dalla misteriosa ragazza che cercava Harry.
- Charlie - disse la ragazza meccanicamente - So chi sei, lavoriamo insieme -
Sam si morse il labbro inferiore e abbassò la testa, era la seconda volta che le capitava una cosa del genere e non era affatto piacevole, piuttosto frustrante invece.
- Scusa, io.. -
- Lo so, non preoccuparti - la interruppe Charlie e quando Sam sollevò il viso notò che le stava sorridendo – Tanto ci saremo scambiate in tutto giusto un paio di parole - aggiunse facendo scomparire quel sorriso per poi guardarsi attorno impaziente.
Sam la osservò per qualche istante e trovò irritante il fatto di non riuscire a capirla subito; di solito, o almeno da che si era svegliata, riusciva a comprendere le persone con una sola occhiata. Invece lei, Charlie, era criptica e così pacata e impassibile che non riusciva neanche a trovare una delle sue storie per lei. Poi però fece caso ai suoi movimenti nervosi, ai suoi sguardi quasi impauriti quando vedeva passare un medico, o una barella o semplicemente un paziente, e capì che qualcosa lì, in quel momento, la metteva a disagio.
- Harry ora sta facendo il suo giro ma tra poco dovrebbe passare in camera mia per salutarmi quindi puoi aspettare se vuoi – azzardò incontrando i suoi occhi grigi che dettero già una risposta prima che parlasse.
- No, devo andare – si affrettò a dire e subito allungò verso di lei la mano che stringeva un cellulare non troppo nuovo – Puoi darglielo? L'ha dimenticato a casa questa mattina -
La ragazza annuì afferrandolo per poi riporlo nella tasca destra dei suoi jeans mentre i suoi pensieri si spostarono irrimediabilmente alle ultime parole della ragazza.
- Sei la sua ragazza? - chiese dando voce ad un pensiero che sarebbe dovuto rimanere tale. Si sorprese della sua insolenza, quella non era certo una domanda da fare così ad una perfetta sconosciuta e così aprì la bocca per scusarsi ma Charlie fu più veloce.
- No - disse semplicemente e poi cominciò ad indietreggiare - A presto, Sam -
Charlie si voltò solo dopo averle sorriso un'altra volta e poi la lasciò in mezzo al corridoio con qualcosa a cui pensare.
Ma solo mezz'ora dopo si ritrovò seduta sul letto della sua camera con suo padre da un lato che le stringeva una mano e Louis dall'altra che le lanciava ogni tanto qualche occhiata fugace.
- Io credo che debba riprendere con la sua quotidianità, in questo modo potremmo aiutare il processo di recupero della memoria -
- Quindi c'è possibilità che recuperi la memoria -.
Christopher Harris guardò speranzoso il dottore, stringendo la mano di sua figlia come se potesse sfuggirle da un momento all'altro. Aveva paura di perderla e aveva paura anche solamente di pensare di aver perso la bambina che era dentro di lei, quella bambina che aveva cresciuto e che aveva amato come niente al mondo.
- Non ho detto questo - rispose il dottor Scott evitando di incrociare lo sguardo di supplica di un padre e quello frustrato di una ragazza che sembrava aver perso sé stessa.
Louis invece guardava in basso già di suo, osservandosi con interesse i piedi a penzoloni e decidendo se fosse il caso di cercare un contatto con Sam. Il dottore aveva chiaramente spiegato che la ragazza sarebbe dovuta tornare alla vita di tutti i giorni, a casa insieme a lui, ma non aveva la minima idea di cosa pensasse lei. E se non volesse? E se lo rifiutasse? O peggio, se lei imparasse a fidarsi di lui per poi scoprire la verità sulla sera del suo incidente?
- Io invece penso che sia meglio portarla nella casa in cui è cresciuta -.
Alle parole del signore Harris, Louis lanciò un'occhiata alla ragazza immobile. Lei non sapeva davvero a cosa pensare, per Sam una cosa valeva l'altra in quel momento e non avrebbe mai potuto prendere una decisione in base ai suoi sentimenti. Quelle parole, l'insistenza di suo padre, le mettevano solo agitazione e tutto ciò non sfuggì a Louis che si fece coraggio e appoggiò la mano sinistra sulla gamba destra della ragazza.
Lei sussultò e Louis non volle indugiare oltre. Sollevò la mano di appena un paio di centimetri ma con sua grande sorpresa la sentì tornare sui suoi passi, di nuovo sulla sua gamba, le dita intrecciate a quelle della ragazza. Alzò il viso verso di lei e puntò gli occhi azzurri sul suo profilo perfetto eppure innaturalmente contratto e spigoloso. Abbassò lo sguardo e vide il suo petto coperto da un maglioncino bianco alzarsi in un respiro profondo e nervoso. Louis sapeva, anche senza il piccolo avviso datogli da quei gesti per lui estremamente famigliari, che lei si sentiva a disagio per tutta quella situazione.
- Signor Harris, mi creda, è meglio così - disse il dottore all'ennesimo tentativo del padre della paziente di convincerlo a lasciargli portare Sam a casa - Mi dia retta, io lo dico solo per il bene della ragazza -.
A quel punto la ragazza, senza neanche accorgersene, strinse forte la mano di Louis e s'intromise in quello scambio di parole che la vedeva protagonista indiscussa - Basta -.
Si voltò a guardare Louis che mosse la testa in segno d'incoraggiamento, come se avesse capito cosa provasse in quel momento. Forse la conosceva davvero così profondamente.
- Papà - pronunciò quella parola con una leggera titubanza, ma proseguì incrociando gli occhi castani dell'uomo accanto a sé - Mi dispiace ma è meglio seguire i consigli del dottore. Io voglio riacquistare la memoria, per favore lasciami provare - lo supplicò.
Come si sa un padre alla fine accontenta sempre la propria figlia e dopo un lungo e profondo respiro egli annuì. Era davvero una fortuna che sua moglie non l'avesse accompagnato in ospedale quel giorno, la conversazione di certo non sarebbe stata così breve e civile.
Il saluto fu affettuoso da una parte e invece un po’ forzato dall'altra ma alla fine il signor Harris lasciò con un mezzo sorriso la stanza insieme al dottore, mentre la ragazza rimase in piedi davanti alla porta ancora per qualche secondo.
- Sei pronta? - le chiese Louis avvicinandosi cauto. Lei si voltò accennando un sorriso ma scosse la testa lievemente quando si ricordò che non aveva ancora salutato Harry.
- Possiamo aspettare un altro poco? Devo salutare Harry -.
Louis annuì e si sedette sul letto trascinandola delicatamente accanto a sé, facendo scivolare la sua mano dal polso alle dita affusolate della ragazza. Pochi istanti dopo la vide sfiorare il suo palmo e giocherellare con le sue dita con lo sguardo fisso su un punto indefinito del pavimento bianco piastrellato.
- Mi dispiace -.
Louis corrugò la fronte e la fissò perplesso mentre era passata a disegnare, con i suoi soliti gesti delicati, dei ghirigori sulla pelle della sua mano. - Per cosa? -
- Per aver perso la memoria, per tutto -
Il ragazzo aprì la bocca per parlare ma lei si voltò per incrociare i suoi occhi e lo zittì con un gesto della mano.
- Non dev'essere il massimo avere me come ragazza in questo momento.. -
- Sam io lo capisco, insomma non ho alcuna pretesa. A me interessa solo che tu sia viva, solo questo-.
Gli occhi verdi della ragazza si soffermarono su quelli cristallini di Louis mentre sulle sue labbra carnose si faceva spazio un sorriso timido. Era contenta che Louis, almeno per adesso non si sentisse frenato o oppresso da quella situazione, e ciò la liberò di un considerevole peso sul petto.
Samantha si sistemò meglio sul letto, sollevando una gamba e incrociandola sotto l'altra - Da quanto tempo stiamo insieme? - gli chiese poi, voleva sapere tutto e voleva provare davvero a ricordare tutto ciò che aveva perso a causa di quell'incidente.
- Sei anni -
- Sei anni? - ripeté la ragazza sgranando un po’ gli occhi – E' tanto tempo.. -
Il ragazzo annuì e lei si fece un pò più vicina – E come ci siamo conosciuti? -
- Tu mi sei praticamente venuta addosso con il tuo carrello nel supermercato - raccontò facendo incurvare le sue labbra sottili in un sorriso - E hai fatto cadere una piccola montagna di biscotti al cioccolato in offerta -.
La ragazza si portò le mani alla bocca con stupore mentre Louis si trattenne dallo scoppiare a ridere al ricordo di Sam in preda al panico che sputava scuse senza sosta al responsabile del reparto.
- E poi? -
- E poi mi hai rivelato che eri venuta contro il mio carrello di proposito perché volevi trovare una scusa per parlarmi ma non pensavi di creare tutto quel trambusto. Allora io ho comprato un pacco di quei biscotti al cioccolato e siamo andati a mangiarli insieme su un panchina fuori dal supermercato -
Entrambi risero di quel racconto come se fosse la prima volta, Sam perché non lo ricordava e Louis perché non rideva con lei in quel modo da tantissimo tempo.
- Insomma sono un disastro -
- No, cioè a volte - rispose Louis sistemandole dietro l'orecchio una ciocca di capelli castani - Più che altro eri un po’ pazza e cercavi di trascinarmi nelle tue follie - aggiunse con un sorriso.
- E ci riuscivo? -
- A volte -
- Bè questo non è cambiato -
Curioso Louis sollevò un sopracciglio – Cosa hai combinato? -
- Ho costretto Harry a spingermi per i corridoi sulla sedia a rotelle.. correndo – mormorò mordicchiandosi il labbro inferiore.
Il ragazzo scoppiò a ridere e fu sorpreso dal sentirla parlare in quel modo, sembrava completamente diversa dall'ultima volta che ci aveva parlato prima dell'incidente. Certo, quella era una situazione particolare ma era vero che non avevano una conversazione civile da mesi e non sentire l'ostilità nella sua voce lo fece sentire stranamente felice ma anche in colpa, in colpa per il fatto che le avesse mentito prima dell'incidente e che le stesse mentendo ancora adesso.
- E poi cosa è successo? -
- Bè poi siamo cresciuti – disse il ragazzo con una nota amara nella voce – E siamo cambiati -
- Ehi -.
Una voce interruppe quello scambio di sguardi e li fece voltare entrambi. Harry con la sua divisa verdina avanzò verso di loro sorridendo e Sam lasciò andare la mano di Louis per alzarsi da letto e abbracciarlo di slancio.
- Scusa, sono in ritardo, pensavo di non trovarti più -
- Ti ho aspettato - soffiò la ragazza nell'incavo fra il suo collo e la sua spalla.
Harry sorrise e poggiò le mani sui suoi fianchi, ma oltre la ragazza vide lo sguardo di Louis indugiare sulle sue dita così le spostò immediatamente sulla schiena della ragazza e mormorò un "Ciao Louis" che lui ricambiò con un sorriso e un cenno della testa.
- Ho paura -.
Quelle parole attirarono nuovamente l'attenzione di Harry su quella ragazza che si era stretta a lui in un abbraccio che sembrava chiedergli aiuto.
- Di cosa? - sussurrò Harry in risposta voltando la testa verso l'orecchio della ragazza.
- Ho paura di lasciare questo posto, ho paura che non mi piaccia la mia vita -.
Noncurante della presenza di Louis che osservava la scena in silenzio, Harry le accarezzò la testa dolcemente e tentò di rassicurarla - Ti piacerà. E comunque se hai bisogno sai dove trovarmi -.
La sentì annuire contro il suo petto e poi si scostò accennando un sorriso - Grazie, Styles - gli disse per poi scoccargli un rumoroso bacio sulla guancia.
Louis la raggiunse afferrandola per le spalle e prima di accompagnarla fuori diede ad Harry un amichevole colpetto sulla spalla - Ci vediamo -.
Harry sospirò e li guardò uscire, ma prima di scomparire completamente dalla sua visuale vide Sam voltarsi un'ultima volta verso di lui.


Sdraiata sul suo letto, sfiorò con le dita quei fogli sparsi tra le lenzuola, soffermandosi sui punti in cui la penna aveva marcato di più la pagina bianca, su cui Charlie aveva fatto più pressione lasciandovi un piccolo e leggero solco. Era su quelle pagine che la ragazza riversava tutte le sue emozioni, quelle che continuava a non mostrare al resto del mondo, era scrivendo che dava vita ai suoi pensieri più nascosti.
La musica, quella stessa melodia che Louis aveva suonato quella mattina, stava risuonando all’interno della piccola stanza di Charlie. Il ragazzo le aveva rivelato che era la colonna sonora di un film e le aveva anche detto il titolo della splendida melodia, così lei non aveva fatto altro che ascoltarla per tutto il giorno.
Con la testa affondata sul cuscino, i suoi occhi grigi si soffermarono sul tetto bianco e la sua mente si trovò a viaggiare fino a quella stessa mattina, quando aveva incontrato Louis, quando si era resa conto di aver pensato a lui nello scrivere quel racconto della metro solo quando il ragazzo aveva posato i suoi occhi azzurri su quei fogli. Non si era accorta di aver pensato al loro primo incontro quando la sua mente aveva dato vita a quella storia e forse, dentro di sé, sapeva di aver bisogno di qualcuno con cui poter parlare, con cui poter sfogarsi, proprio come la protagonista di “Ragazza senza nome” che incontrava quel misterioso uomo sul vagone di un treno. Inconsciamente aveva associato tutto a Louis perché forse, nel profondo, aveva sperato che lui fosse quella persona. Era stato il primo ad infischiarsi della gabbia che si era costruita attorno e aveva continuato a cercare di insinuarsi nella sua vita senza sembrare intimidito dal comportamento chiuso e introverso di Charlie. Lui sembrava volerci provare per davvero.
Si alzò dal letto e raccolse i pochi fogli ripiegandoli con cura prima di posarli all’interno del cassetto della scrivania, aggiungendoli agli altri racconti che da poco aveva messo su carta, e nel vederli Charlie storse le labbra in un sorriso. Era soddisfatta, sì, perché era ancora capace di mettere in ordine i pensieri confusi che si ammassavano nella sua mente per dare vita a quei brevi racconti di amori sofferti e vissuti che sempre si concludevano con un lieto fine. Lei sperava davvero che tutti potessero vivere un lieto fine, e soprattutto lo sperava per lei.
Richiuse il cassetto con gentilezza e ripensò alle innumerevoli volte in cui Zayn aveva cercato di convincerla a scegliere i più belli e mandarli ad una casa editrice. Ma lei scuoteva sempre la testa perché li considerava qualcosa di personale, un piccolo pezzo di sé stessa, e non era pronta a condividerlo col mondo.
In quel momento sentì il campanello risuonare nell’appartamento.
- Vado io! -.
La voce gioiosa di Harry e i suoi passi pesanti che rimbombarono lungo il corridoio strapparono un sorriso a Charlie che uscì dalla sua stanza pronta per accogliere sua nonna.
- Pearl! Sei sempre una gioia per gli occhi! - il riccio abbracciò l’anziana signora con vigore.
Zayn li raggiunse subito dopo dalla sua stanza e allungò un braccio per circondare le spalle di Charlie mentre osservavano il loro amico strapazzare Pearl - Harold! - sospirò la donna separandosi da lui solo per posargli le mani sulle spalle e squadrarlo per bene - Ma guardati! Non ti vedo da quanto? Da un anno? E diventi sempre più bello! Ah, come vorrei tornare giovane -
- Pearl, è sempre un piacere - Zayn si mosse verso la donna che abbracciò anche il moro con estremo vigore. - Anche per me, Zayn, anche per me - mormorò.
Charlie trattenne un sorriso ripensando a cosa sua nonna le avesse detto durante la cena di Natale in merito al suo migliore amico.
- Va bene, nonna, adesso smettila di adulare questi due -
- Hai ragione, abbiamo ancora tutta la serata - affermò Pearl avvicinandosi alla nipote per stringerla tra le braccia - Sei splendida -
- Grazie, anche tu - Charlie inspirò il profumo alla lavanda di sua nonna, un profumo che le ricordava sempre la sua infanzia e le estati trascorse nella casa al mare.
Si ritrovarono in cucina nel giro di pochi minuti per preparare insieme la cena mentre nonna Pearl sedeva al tavolo e osservava i tre giovani darsi da fare affinché la serata fosse perfetta.
- No, Charlie, devi tagliare le carote così - Harry le prese il coltello dalle mani e le mostrò come fare sotto lo sguardo scettico della ragazza.
- Harold, so come tagliare le carote, dai! - lo scansò con un leggero colpo di fianco per poi rivolgergli un sorriso.
- Piantatela voi due - li rimproverò, invece Zayn, che fungeva sempre da paciere tra quei due che non facevano altro che bisticciare per le cose più futili - Devi scusarli, Pearl, ma quando si mettono in cucina devono marcare in qualche modo il territorio -.
La donna scoppiò a ridere mentre sorseggiava il suo vino rosso - Posso aiutarvi, se volete! -
- No! - Harry si voltò verso Pearl - Volevo cucinare solo io per te, ma la tua dolce nipotina non me lo ha permesso e poi sappiamo benissimo che non sai cucinare, Charlie -
- Oh, ma sentilo! - Charlie agitò il coltello vicino al viso di Harry ridacchiando lievemente - Solo perché ti consideri uno chef di fama mondiale non significa che nessuno debba cucinare insieme a te -
Zayn scoppiò a ridere togliendo poi il coltello dalle mani di Charlie - Va bene, tesoro, adesso questo lo mettiamo via. Sappiamo quanto sei sbadata in cucina, finiresti con accoltellare Harry senza volerlo -
- Ci si mette anche l’altro adesso -.
La ragazza mise su un finto broncio e andò a sedersi accanto a sua nonna che se la rideva sotto i baffi - Lascia cucinare gli uomini, Charlotte. Sarà divertente - e le porse un bicchiere di vino che lei rifiutò scuotendo la testa.
- Sì, lasciamoli cucinare - le labbra di Charlie si piegarono in un sorriso in direzione dei suoi amici che ora le davano le spalle, impegnati a finire di preparare la cena.
Per un attimo riuscì a dimenticare tutto, i suoi pensieri e le sue ansie. Adesso era coi suoi amici e con sua nonna, le persone più importanti della sua vita, ed erano quelli i momenti in cui poteva affermare di essere serena, felice.
- Perché non prendi la macchina fotografica, piccola? - le propose il moro poco dopo - È la prima volta che siamo tutti e tre insieme da quando viviamo qui e c’è anche Pearl. Questo momento è da immortalare -
- Hai ragione -.
La ragazza lasciò un bacio sulla guancia di sua nonna e andò in camera di Zayn. Trovò la macchina fotografica sulla sua scrivania piena di fogli sparsi sui quali spiccavano i numerosi schizzi del nuovo fumetto che il suo amico avrebbe pubblicato.
Quando raggiunse la cucina scattò subito una foto ad Harry e Zayn intenti a lanciarsi pezzi di carote, riempiendo la piccola stanza con le loro risate.
- E poi sarei io quella che non sa cucinare! - mormorò la ragazza scuotendo la testa.
- Su, mettetevi vicini - esordì Pearl rubandole la macchina fotografica dalle mani - Vi faccio una foto -.
Charlie andò a posizionarsi in mezzo ai suoi due amici sorridendo felice come non era mai stata per troppo tempo. Sentì il braccio di Harry avvolgerle le spalle mentre Zayn le posava una mano sul fianco lasciandole un piccolo bacio sulla tempia. Pearl li immortalò in quel modo, contenti e sorridenti.
- Siete splendidi! - commentò studiando la foto appena scattata - Dovete farla stampare -.
La cena fu pronta nel giro di mezz’ora e si sedettero tutti attorno al tavolo mentre Harry raccontava ad una Pearl curiosa e interessata la sua esperienza statunitense e di come aveva fatto conquiste grazie al suo accento britannico. Questo però gli costò diverse prese in giro da Zayn e Charlie che lo imitarono nel suo modo di parlare lento e tranquillo.
- Secondo me le ragazze hanno accettato di venire a letto con te solo perché volevano farti stare zitto - commentò Zayn ridendo.
- Spiritoso -
- Su, Harold, in realtà sappiamo il vero motivo delle tue numerose conquiste. Le ragazze poi hanno voluto sapere che shampoo usi per rendere i tuoi ricci così morbidi e soffici, dì la verità! - intervenne Charlie, allungando una mano verso i capelli di Harry.
Il ragazzo le diede un piccolo schiaffo sulla mano costringendola ad allontanarsi mentre fissava i suoi occhi verdi su quelli grigi di Charlie in uno sguardo pieno di significato - Smettila tu -
- Oh, Harry, lasciali perdere. Io ti credo - la nonna di Charlie rise - Sai che si divertono sempre a prenderti in giro -
- Ah, Pearl, se non ci fossi tu! -.
Dopo la cena i ragazzi si spostarono in salotto per vedere la fine di una partita, lasciando le due donne in cucina ancora sedute al tavolo per chiacchierare un po’ e all’inevitabile lavaggio di piatti per Charlie.
- Ti vedo diversa oggi - mormorò Pearl osservando sua nipote con il suo solito sguardo attento e indagatore.
- Sono sempre la stessa - Charlie scosse la testa mentre cominciava a sparecchiare - E poi è stata una serata piacevole, sono…contenta -.
Quelle parole risuonarono strane perfino a lei, non le diceva da troppo tempo, forse aveva addirittura dimenticato quando le avesse dette l’ultima volta. Ma ora, dopo tutti questi mesi, poteva dirlo con sincerità, si sentiva tranquilla, serena e contenta. Era sicura che il giorno dopo si sarebbe di nuovo chiusa in sé stessa, avrebbe di nuovo messo su la sua aria indifferente e la sua mente si sarebbe di nuovo affollata di pensieri e angosce. Ma per quella sera aveva deciso di accantonare tutto e di godersi una piacevole serata in compagnia delle persone che amava di più.
- Sì, ed è bellissimo vederti così - commentò Pearl posando l’acqua e il vino in frigo - Però non è solo questo. Ti è successo qualcosa ultimamente? -.
Charlie rivolse un’occhiata perplessa a sua nonna chiedendosi come quella donna riuscisse a capire cosa stesse accadendo nella vita di sua nipote semplicemente guardandola. La ragazza scosse la testa e posò i piatti dentro il lavandino che aveva riempito d’acqua, dandole così le spalle - In questi ultimi mesi ho sempre respinto qualsiasi persona che cercasse di avvicinarmi - borbottò - Non volevo avere niente a che fare con nessuno, volevo stare sola, solo che questo non sembra importare ad una persona. A lui non interessa, e quando lo incontro fa di tutto per conoscermi, per entrare nella mia vita -
- E questa cosa ti fa piacere? - indagò Pearl che aveva ascoltato sua nipote per tutto il tempo senza interromperla.
Charlie alzò lo sguardo sulla donna che era ora accanto a lei e scosse la testa - Non lo so, non mi succede da molto tempo, sono sempre stata attenta a non farmi coinvolgere da nuove amicizie e nuovi rapporti, le uniche persone con cui sto sono Zayn, Harry e Amelia. E ora che mi sta succedendo qualcosa di nuovo, qualcosa che forse potrebbe farmi del bene, non so come reagire. Mi sento impreparata a tutto -
- Tesoro, devi andare avanti, non potrai vivere per sempre col costante pensiero di Oliver. Devi lasciarti andare. Devi provare ad accogliere le persone nella tua vita. E se questo ragazzo di cui parli è quello che ha visto Amelia qualche giorno fa… bè, sembra davvero carino! -
- Te l’ha detto? -
- Sì - Pearl annuì ridendo - Sembrava così emozionata all’idea -
- E io che pensavo fossi una specie di sensitiva quando mi hai detto che ho un’aria diversa oggi - sbottò la ragazza sorridendo appena - Comunque non è come credi. Lui non è libero e si trova in una situazione terribile. Di certo non intendo incasinargliela ulteriormente -
- Ma se lui continuasse a cercare di abbattere il tuo muro? Lo lasceresti fare? -.
In quel momento Zayn entrò in cucina per prendere due birre dal frigo interrompendo così la conversazione tra le due donne. Charlie ringraziò mentalmente il suo amico per essere entrato proprio in quell’istante perché non avrebbe saputo rispondere alla domanda di sua nonna. Insomma, non sapeva neanche lei come reagire alle continue insistenze di Louis, così preferì tornare a lavare i piatti e lasciare cadere la questione.
Poco dopo, quando il taxi di Pearl arrivò, i tre ragazzi la salutarono sulla porta ripromettendosi di organizzare al più presto un’altra cena insieme, ma Pearl ci tenne a precisare che sarebbe stata lei a cucinare per loro la prossima volta. E quando avanzò verso sua nipote per abbracciarla le sorrise, accarezzandole dolcemente i capelli - Riparleremo presto, Charlotte - le sussurrò.
E Charlie sapeva che quella era una promessa, sua nonna era una donna piuttosto testarda e non avrebbe permesso a sua nipote di sfuggire a quella conversazione.
- Va bene - rispose la ragazza e la salutò un’ultima volta prima di chiudere la porta dell’appartamento.


Le gambe di Sam erano rannicchiate contro il suo petto e il suo mento era posato sulle ginocchia. La schiena era appoggiata alla spalliera del letto matrimoniale della camera da letto che prima dell'incidente condivideva con il suo ragazzo e lo sguardo perso nel vuoto rispecchiava esattamente quello che sentiva dentro di sé, o meglio che non sentiva. Non ricordava assolutamente nulla e per questo motivo si sentiva a disagio in quella stanza che non aveva alcunché di famigliare.
L'armadio era pieno di vestiti che non le piacevano, le pareti di foto che non sembravano appartenerle anche se in alcune si poteva distinguere una ragazza che assomigliava in tutto e per tutto a lei ma che non ricordava di essere stata.
Una volta a testa Louis, Liam e Niall avevano bussato alla sua porta e non udendo risposta erano entrati a vedere come stesse ma Samantha non si era neanche preoccupata di accennare un sorriso o di fingersi tranquilla, aveva detto loro di lasciarla sola e fortunatamente nessuno dei tre aveva insistito troppo per rimanere.
Era incredibile come il suo umore si fosse trasformato varcando la soglia di quella casa. Era già nero perché non aveva ancora accettato il fatto di non ricordare nulla della sua vita passata e perché era stato difficile lasciare l'ospedale, l'unico luogo dove era riuscita a crearsi dei ricordi, ma la piccola e lieve speranza che era nata dentro di lei al pensiero che la vista di quell'appartamento avrebbe potuto farle tornare alla mente qualche pezzo della sua vita era svanita non appena vi aveva messo piede.
La cucina le era sconosciuta e lo stesso valeva per alcuni post-it lasciati sul frigorifero e scritti di suo pugno con una calligrafia arrotondata e un po’ pasticciata. Uno diceva "Niall hai di nuovo finito i miei biscotti al cioccolato? Quando torno ti disintegro. Un bacio" e Sam aveva immediatamente immaginato che si trattasse degli stessi biscotti che le avevano fatto incontrare Louis. Molti messaggi erano per Liam e da quelle parole su carta si poteva notare benissimo quanto affetto provasse per lui e quanta complicità ci fosse; per Louis, invece, c'era un grande "Ti amo" seguito da un "Non ti ci abituare troppo".
Allungò le gambe sul letto, stiracchiando anche le braccia poiché aveva tenuto per troppo tempo quella posizione non troppo comoda, ed infine il brontolio del suo stomaco la costrinse ad alzarsi.
Aprì la porta piano e si guardò attorno per poi raggiungere la cucina a piedi scalzi sperando che non ci fosse nessuno ed invece tutti e tre i suoi coinquilini erano seduti sul divano, stretti come sardine, mentre sgomitavano e sbraitavano contro il televisore che trasmetteva una partita di calcio.
In punta di piedi si avvicinò al frigorifero e lo aprì sperando di trovare qualcosa di pronto da poter mettere subito sotto i denti per rintanarsi di nuovo in camera sua ma lo scricchiolio della porta dell'elettrodomestico annunciò la sua presenza facendo voltare tre teste nella sua direzione.
- Sam! - esclamò Liam con un enorme sorriso, era già tanto se aveva imparato il suo nome e quello del biondino con tutti quelli che aveva dovuto memorizzare da quando si era svegliata.
Il ragazzo saltò immediatamente giù dal divano e la raggiunse in un attimo, sembrava così felice di vederla lì in quel momento. Sam accennò un sorriso che forse assomigliò più ad una smorfia ma a Liam bastò per ampliare il suo.
- Hai fame? Ti preparo qualcosa – disse affiancandola davanti al frigorifero e immergendoci la testa per poi venire fuori qualche istante dopo con una scatola di uova, del formaggio e del prosciutto - Ti faccio quella frittata che ti piace tanto -
- Non.. non c'è bisogno -
Il ragazzo iniziò a rompere e sbattere le uova senza badare alla reazione della ragazza. - Fidati. Tu l'adori! - disse mentre lei iniziò a sfregarsi le mani con nervosismo.
Louis la stava fissando dal divano, aveva notato i suoi gesti nervosi come quello di passarsi una mano fra i capelli o di mordersi il labbro inferiore.
- Davvero, lascia stare -
- Di solito te la faccio sempre io perché tu non la sai girare - continuò Liam gettando le uova sbattute insieme a del prosciutto e a del formaggio tagliati a dadini dentro una padella - Con la frittata sei un disastro! -.
Il ragazzo lasciò la padella sul fuoco e si voltò a prendere un piatto e delle posate senza notare l'espressione di totale disagio della ragazza, tanto che continuò a raccontare vari aneddoti.
- Liam, smettila -.
Anche Louis si era alzato e li aveva raggiunti rimanendo al di là del bancone, cercando disperatamente lo sguardo dell'amico che era troppo felice anche per accorgersi di quello.
- E quando volevi farla girare per aria facendola saltare sulla padella? E' finita sopra il soff.. -
- Basta! -
Un tonfo sul tavolo e il silenzio calò.
Persino Niall, che fino a quel momento aveva seguito la partita completamente assorto, si voltò a guardare la ragazza con la bocca che aveva assunto la forma di una "o".
- Non so di cosa tu stia parlando! Non so nulla, chiaro? Non sono quella ragazza! - urlò e poi senza indugiare oltre si fiondò in camera sua, indossò le scarpe e un cappotto preso dall'armadio e si fiondò fuori di casa infilando il cellulare nella tasca.
Per le scale sentì la voce di Louis risuonare con un’eco, poi i suoi passi veloci. Fortunatamente aveva un po’ di vantaggio così aprì il portone di scatto e si ritrovò in mezzo alla strada. Non aveva molto tempo a disposizione e prese una direzione a caso, svoltando subito un angolo e poi un altro. Si accorse di aver seminato Louis solo quando sentì il suo cellulare vibrare nella tasca del cappotto. Lo lasciò squillare a vuoto e si strinse nel cappotto per una ventata di aria gelida, era buio ma sollevando lo sguardo verso il cielo la ragazza poté scorgere comunque delle grandi nubi cariche di pioggia che si avvicinavano velocemente.
Samantha camminò per un po’, non riuscendo a riconoscere nessuno dei negozi chiusi o dei locali notturni stracolmi di giovani pronti a divertirsi. L'aria e la solitudine non la fecero sentire meglio come aveva sperato ma non voleva tornare in quella casa, non in quel momento, non dopo aver fatto quella stupida scenata. Se n'era pentita ma al tempo stesso sapeva che non avrebbe potuto fermare quella reazione poiché si sentiva ancora in quel modo, si sarebbe sentita così chissà per quanto tempo ancora. Nervosa, inadeguata, non la persona che loro volevano ma qualcuno che non conosceva neppure lei. Sentiva solo di non avere alcun legame con niente di quello che la circondava e con nessuno in quella casa.
Sollevò il viso all'insù e una leggera pioggerellina le bagnò le guance. A quel punto attraversò la strada e salì su di un autobus che si era appena fermato per lasciare dei passeggeri e accoglierne di nuovi. Non aveva soldi con sé perciò filò dritta fra gli ultimi posti e una volta seduta si guardò attorno. Il classico autobus di colore rosso era quasi vuoto, i passeggeri erano sparsi sui seggiolini di plastica, tutti soli, tranne una giovane coppietta. Lui teneva il braccio attorno alle spalle della ragazza e lei giocherellava con le sue dita. Poteva vedere solo le loro teste ma immaginò facilmente le loro espressioni: la ragazza sorrideva sentendosi protetta fra le braccia del ragazzo che amava, il sorriso di lui invece era diverso, un po' falso e in realtà preoccupato. Immaginò per i due giovani innamorati una storia travagliata e in pochi secondi Samantha scordò tutte le sue preoccupazioni perdendosi nell'ipotetica vita fuori dal tempo che aveva costruito per loro. Il ragazzo che si chiamava Thomas era un giovane di nobili origini con la grande responsabilità di seguire le orme del suo distinto padre. Lei era Annabelle ed era la figlia di una delle domestiche della grande tenuta della famiglia di Thomas; la madre, compiuti sedici anni, l'aveva portata a lavorare con sé e lì aveva conosciuto Thomas.
Sam accennò un sorriso pensando a come potevano essersi incontrati, magari alla ragazza era stato assegnato il compito di sistemare la camera di Thomas e aprendo la porta aveva trovato il giovane rampollo con indosso solo i suoi indumenti intimi ed era arrossita di colpo.
Ora i due stavano scappando dal padre di Thomas, ma mentre lei era felice, lui era preoccupato per aver solo procurato dei problemi ad Annabelle e a sua madre.
L'autobus si fermò di colpo.
- La corsa è finita – annunciò l'autista guardando Sam stretta nel suo cappotto nero. Si guardò attorno e solo allora si accorse di essere rimasta sola. Uscì dall'autobus e fu grata del fatto che la pioggia avesse smesso di cadere giù, ora raramente qualche goccia si abbatteva leggera su di lei.
Si sollevò sopra la testa il cappuccio della felpa che indossava sotto il cappotto e avanzò lentamente cercando di capire dove si trovasse. Non ci mise molto a rendersi conto che quello davanti a lei era il Millennium Bridge che si ergeva, completamente in acciaio, sopra il Tamigi. Lo conosceva ma non ricordava di esserci mai passata, sapeva solo della sua esistenza senza un perché.
Fece qualche passo per trovarcisi sopra, era lunghissimo e non aveva intenzione di attraversarlo tutto ma solo di guardare l'acqua che scorreva sotto i suoi piedi. E così fece. Si sporse dalla ringhiera gelida a contatto con la sua pelle e puntò i suoi occhi sotto di sé. Come erano spariti così i suoi pensieri tornarono all'attacco.
Il suo cellulare tornò a vibrare e la realtà le ripiombò nuovamente sulle spalle, troppo pesante perché potesse reggerla. Si mise in punta di piedi e si sporse di più. Il vento le sferzò il viso ma più fastidiosa era la sensazione che aveva di non appartenere a nulla. Di non avere un posto in quella città, in quel mondo.
Il vuoto della sua mente aveva aperto un vuoto anche nel suo cuore?
- Signorina che sta facendo? -
Samantha riaprì gli occhi che non si era neanche accorta di aver chiuso e si ritrovò a fissare di nuovo il Tamigi, il corpo per metà oltre quella ringhiera d'acciaio.
Si staccò da essa, le mani erano gelate e il cuore aveva preso a batterle forte.
Quella domanda le rimbombò ancora una volta nella testa e poi un'altra ancora prima che lei riuscisse a trovare una risposta. C'era una persona che era la prova che nel suo cuore non c'era solo il vuoto, c'era una persona fra tutti quei volti a lei sconosciuti che le dava un senso di famigliarità dal primo momento in cui aveva incrociato i suoi occhi, una persona di cui possedeva dei ricordi che la facevano sorridere.
- Si sente bene? -
Si voltò verso l'uomo sulla cinquantina che le si stava avvicinando cauto ed annuì, poi dalla tasca del cappotto tirò fuori il cellulare e cercò freneticamente il numero di Harry, ignorando le venti chiamate non risposte e i dodici sms.
"Il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile.." le disse una voce registrata. Riprovò ancora una volta e poi alzò lo sguardo notando solo allora che l'uomo era ancora fermo davanti a lei. La osservava curioso e preoccupato.
I suoi vestiti erano un po’ logori, nascosti appena da un cappotto un po’ troppo consumato. Era da poco passata la mezzanotte e Sam pensò che se si trovava ancora in giro in quelle condizioni probabilmente era perché non aveva una casa.
- Può.. può accompagnarmi in un posto? - chiese timidamente all'uomo accennando un sorriso. Quello annuì subito e, dopo avergli indicato la via che Harry le aveva memorizzato sul cellulare, le fece cenno di seguirlo.
Nessuno dei due sapeva perché si era fidato dell'altro ma durante il tragitto verso la fermata di un autobus che l'avrebbe portata da Harry, quell'uomo le raccontò della sua vita e di come si era ritrovato a vivere per strada. Prima faceva l'artista, era uno scultore, ma quando la moglie l'aveva lasciato portando con sé i loro figli aveva iniziato a bere e ad indebitarsi, non trovando più ispirazione nel suo lavoro fino a che non si era ritrovato senza un impiego e senza una casa.
- Quello che mi manca di più sono i miei figli –
- Da quanto tempo non li vede? -
- Circa cinque anni.. - disse l'uomo mettendo una mano nella tasca logora e tirando fuori una foto un po’ stropicciata – Ora Jessica ha diciotto anni e Lucas ha circa la tua età -
Samantha sorrise amaramente guardando la foto e ascoltando un pensiero che le era appena affiorato nella mente: era meglio vivere in quel modo ma avere dei bei ricordi a cui aggrapparsi per sorridere o avere tante cose materiali ma non uno straccio di memoria?
Probabilmente era meglio la sua vita e lei si stava lamentando inutilmente come una bambina viziata, senza però poterne fare a meno.
L'uomo, che aveva detto di chiamarsi Richard, si bloccò proprio davanti alla fermata dell'autobus – Arriverà tra pochi minuti -
- Grazie mille, non so davvero come ringraziarla, non ho neanche del denaro con me.. -
Richard scosse la testa e sorrise – Non preoccuparti Samantha, è stato un piacere incontrarti -. Le tese una mano ma lei prima di stringerla si sfiorò i braccialetti che aveva al polso. Un ciondolo d'argento a forma di lucchetto penzolava avanti e indietro ma lei si sfilò un braccialetto di oro bianco. Quello d'argento era troppo prezioso per qualche motivo sconosciuto, anche se il materiale valeva certamente molto meno.
- Tieni - disse allungando la mano per afferrare quella dell'uomo - Prendilo. So che non è molto ma potresti cominciare a riscattarti -
Richard spalancò gli occhi quando vide la ragazza posare il braccialetto nella sua mano, era incredulo poiché nessuno era mai stato così gentile con lui da quando aveva perso tutto. Scosse ancora una volta la testa ma Samantha gli chiuse delicatamente le dita intorno al piccolo gioiello che gli stava donando.
L'autobus si fermò davanti a loro spalancando le sue porte e la ragazza si affrettò a salire sugli scalini - Compra i tuoi attrezzi e torna a scolpire -.
L'uomo annuì e la salutò finché l'autobus non svoltò a sinistra facendolo sparire dalla sua visuale. A quel punto fu di nuovo sola con i suoi pensieri che non facevano altro che vorticare attorno a Louis, alla sua famiglia e a tutti coloro che non aspettavano altro che tutto tornasse alla normalità quando lei, invece, non sapeva neanche cosa fosse e una parte di lei non voleva neanche saperlo. Quel pomeriggio aveva lasciato Harry con la paura che non le piacesse la sua vita ed ora stava già scappando da essa.
Quando l'autobus la lasciò a destinazione cercò di seguire le istruzioni di Richard anche se l'incessante pioggia che aveva iniziato a venire giù pesantemente non l'aiutava affatto. Era difficile vedere persino ad un palmo del suo naso e camminò a vuoto per chissà quanto tempo prima che decidesse di fermarsi su degli scalini, completamente bagnata da pioggia e lacrime.
Si maledì per ciò che aveva fatto, scappare senza una destinazione per poi alla fine dover chiamare Louis o Liam o Niall per essere soccorsa come una stupida ragazzina.
Si rannicchiò sull'ultimo gradino cercando di prendere meno pioggia possibile, la testa sulle ginocchia e il corpo scosso da singhiozzi e da brividi di freddo.
Non voleva tornare in quella casa e non voleva nemmeno andare quella dei suoi genitori.
Non mi sarei mai dovuta svegliare, pensò.
- Sam? -
La ragazza sollevò il viso e sbatté le palpebre più volte per mettere a fuoco il viso della ragazza davanti a sé. Aveva i capelli biondissimi e due grandi occhi di un azzurro acceso. Non l'aveva mai vista o almeno non la ricordava.
- Oddio Sam, sei proprio tu! -.
La tirò per un braccio facendola alzare in piedi per poi trascinarla all'interno del portone che aprì velocemente con un paio di chiavi.
- Dio, sei fradicia! Forza, vieni -
Samantha si lasciò trascinare su per le scale da quella ragazza che le lanciava continuamente occhiate preoccupate, forse perché l'aveva trovata tutta bagnata davanti casa sua o forse perché non aveva ancora detto una parola.
Si fermò solo quando la bionda inchiodò i piedi davanti alla porta in legno massiccio di un appartamento, le andò letteralmente a sbattere contro scusandosi poi in un mormorio appena accennato. La ragazza dai grandi occhi azzurri, di cui non conosceva neppure il nome, sorrise semplicemente e poi premette con forza ed insistenza l'indice sul campanello. Doveva essere molto tardi e il suo intento era evidentemente quello di svegliare gli abitanti di quell'appartamento. Per lei? Cosa c'entrava lei in tutto ciò?
Solo allora si rese conto della facilità con cui aveva seguito in quel palazzo la ragazza sconosciuta, senza indugiare, proprio come aveva fatto quando si era lasciata accompagnare da Richard.
La porta fu aperta appena qualche secondo dopo e un bel ragazzo dagli occhi scuri, profondi e magnetici si affacciò sulla porta.
- Guarda chi ho trovato davanti casa - disse la bionda scansandosi affinché il ragazzo potesse vederla, stretta nel suo cappotto e con i capelli bagnati appiccicati alla fronte.
Gli occhi del ragazzo si spalancarono immediatamente e un sospirò lasciò le sue labbra carnose.
- Che fine avevi fatto Sam? Ti stanno cercando tutti! Anche noi stavamo per uscire -
La ragazza abbassò lo sguardo per un attimo, sentendosi leggermente in imbarazzo. Non sapevano che aveva perso la memoria? Perché continuavano a parlarle come se lei li conoscesse?
Si sentì peggio di come quando qualche ora prima si trovava a casa, almeno i suoi coinquilini poteva dire di averli conosciuti in ospedale mentre queste persone non sapeva neanche da dove fossero venute fuori.
I suoi brevi pensieri furono però interrotti dallo stridio di una sedia spostata sul pavimento, seguito da un tonfo e dal rumore di alcuni passi veloci. Un istante dopo con una mezza scivolata comparve una testa riccioluta e degli occhi verdi la guardarono con stupore e sollievo.
- Sam che ci.. -
Lei non gli diede neanche il tempo di parlare che si buttò su di lui, stringendo le braccia attorno al suo bacino e affondando la testa sulla sua maglietta all'altezza del petto.
Non riusciva neanche a credere che alla fine lo avesse trovato, che perse le speranze si fosse fermata proprio davanti casa sua, era incredibile. Ma questo pensiero non le risparmiò i singhiozzi e nemmeno alcune lacrime salate sulle guance. Il ragazzo che già la stava stringendo, accarezzandole lentamente la schiena con gesti dolci e confortanti, appoggiò una mano sotto il suo mento e le fece alzare la testa verso di lui.
- Ehi.. - mormorò - Cosa è successo? Perché sei scappata? -
Sam si scostò un poco e si guardò attorno. Tutti la stavano osservando in silenzio aspettando con impazienza che parlasse, come se stessero guardando un film e quella fosse la scena madre.
Da quella che doveva essere la cucina era spuntata persino la ragazza dagli occhi di ghiaccio che aveva incontrato in ospedale quello stesso giorno, e con le braccia incrociate al petto la stava fissando curiosa, diversamente dagli altri due, spostando lo sguardo da lei ad Harry più volte.
Il ragazzo non ci mise molto a capire che lei non avrebbe parlato, non davanti a tutti loro, così la prese per mano e alzò lo sguardo sui suoi amici.
- Zayn, chiama Louis e digli che è qui e che sta bene - disse al ragazzo dagli occhi profondi e dai capelli scuri che annuì immediatamente, poi iniziò a trascinarla in fondo al corridoio ma si fermò di colpo.
- Charlie puoi portami un asciugamano? -.
Delicatamente poi le sfilò il cappotto completamente bagnato e andò ad appenderlo su di un attaccapanni quasi vuoto. Solo allora Sam si guardò un po’ attorno, notando che l'arredamento pareva un miscuglio di stili ma in cui si poteva notare un tocco femminile. Il salotto si trovava proprio all'entrata mentre da un corridoio stretto e un po' spoglio si potevano notare diverse porte. Preso l'asciugamano Harry la condusse verso la penultima, lasciata semi aperta e da cui proveniva una luce fioca. La spinse delicatamente all'interno della stanza e lo sentì a stento chiudere la porta dietro di sé troppo presa ad osservare quella che doveva essere la sua camera. Non era eccessivamente grande e il fatto che fosse piena di cose probabilmente la faceva sembrare più piccola. Al centro troneggiava un letto ad una piazza e mezzo e sopra di esso una grande bandiera degli Stati Uniti. Samantha vi si avvicinò notando subito una decina di foto attaccate con un po' di nastro adesivo sulla stoffa bianca rossa e blu. Foto di città notturne, illuminate, di grandi monumenti e grattacieli, foto di Harry e di amici che lei certamente non conosceva. Era irrimediabilmente attratta da quegli sprazzi di vita, in particolare dall'angolazione che chi scattava la foto aveva voluto dargli, dalla luminosità e dai soggetti scelti. Ce n'era una della Statua della Libertà che la colpì particolarmente per la sua semplicità.
- Questa è bella. L'hai scattata tu? - chiese al ragazzo voltandosi verso di lui e notandolo immobile, intento a fissarla con l'asciugamano stretto tra le dita.
Lui scosse la testa mettendo fine a quell'immobilità e subito un piccolo sorriso gli incurvò le labbra facendo spuntare sulla guancia sinistra l'accenno di una fossetta.
- L'ha fatta un mio amico, io sono negato - ammise e in men che non si dica Sam si ritrovò l'asciugamano bianco e profumato di bucato sulla testa. Harry lo sfregò con delicatezza sui capelli della ragazza cercando di asciugarli almeno quanto bastava per non farle prendere un raffreddore e poi, tolto l'asciugamano, osservò la sua chioma scombinata cercando di trattenere un sorriso.
- Hai finito di.. - Sam fu interrotta da uno starnuto improvviso, sintomo che ormai era troppo tardi per evitare una valanga di fazzoletti nei giorni a seguire. - Fantastico -
Harry scosse la testa rassegnato, muovendo i ricci, e si avvicinò alla sua cassettiera tirando fuori una felpa grigia. - Tieni – disse lanciandogliela – Mettila o ti toccherà di nuovo stare a letto -
- Va bene signor infermiere -.
Senza attendere oltre Sam si voltò, dando le spalle al ragazzo, e si sfilò la sua felpa umida mostrando la schiena nuda e chiara, coperta solo dai lunghi capelli castani. Si osservò per un istante prima di voltarsi nuovamente, la felpa di Harry le arrivava quasi a metà gamba e dovette arrotolarsi le maniche sugli avambracci.
- Allora? -
Sam si sedette sul letto e con l'asciugamano si sfregò un po’ gli occhi, immaginando che fossero arrossati e contornati di nero a causa della matita sbavata. Doveva sembrare orrenda conciata in quel modo.
- Allora io non sono scappata - rispose alla domanda di Harry che la stava fissando in piedi al centro della stanza - Ho ventidue anni e faccio quello che voglio, sono solo uscita -
- Sai cosa intendo - ribatté il ragazzo decidendo di avanzare verso di lei per poi sedersi a pochi centimetri di distanza, al bordo del letto.
Lei invece sbuffò e sospirò, e non per la vicinanza di Harry che al contrario le faceva sentire una piacevole sensazione di calore, ma perché sentì di nuovo gli occhi bruciarle al pensiero di quella situazione. Le ci volle parecchia forza di volontà per ricacciare quelle lacrime imminenti.
- Non voglio stare lì - mormorò con un groppo alla gola - Mi sento a disagio, non mi piace -
- Ci hai passato poche ore Sam, non puoi dire che non ti piace -
- Non.. non lo so.. -
Purtroppo non riuscì più a trattenerle e una lacrima abbandonò i suoi occhi verdi rigandole il viso ancora una volta. Sam tirò su con il naso e abbassò la testa respirando a fondo ed espirando rumorosamente cercando di non scoppiare nuovamente in un pianto come quello di poco prima, quando si era abbandonata sulle scale di quel palazzo.
- Perché sei venuta qui? - le chiese Harry afferrandole la mano per darle una sorta di conforto o sicurezza. E lei alzò il viso verso di lui, incrociando i suoi occhi, verde più scuro e intenso contro un verde più chiaro e cristallino.
- Perché sei l'unica persona che mi sembra famigliare, che mi sembra di conoscere – confessò senza imbarazzo, in fondo era così. Tutti gli altri erano dei perfetti sconosciuti per lei e nonostante conoscesse Harry solo da una settimana aveva sempre quell'impressione di stare con lui da sempre, quella complicità era l'unico appiglio che aveva in quel mondo a lei così confuso e sconosciuto.
Harry a quel punto la tirò a sé per abbracciarla e lei si abbandonò a qualche singhiozzo contro il suo petto - Non so chi sono, cosa dovrei fare di questa vita? Da dove dovrei cominciare? Non so come fare a tornare la ragazza che ero prima e comunque non so neanche se mi piacerebbe esserlo.. -
- Lo so che sembra tutto nero adesso - disse allora Harry accarezzandole lentamente i capelli - Ma prendi la parte positiva di tutta questa storia: ora puoi essere chi vuoi, non devi sforzarti di ritrovare quella ragazza perché le persone che ti vogliono bene ti accetteranno per quello che sarai -
- Posso essere chi voglio.. - ripeté sottovoce più a sé stessa che ad Harry che aveva preso a guardarla sciogliendo l'abbraccio ma continuando ad accarezzarle i capelli per infonderle tranquillità. - Posso rimanere qui? -
- Certo -
Qualche istante dopo Sam risalì il letto a gattoni e poggiò la testa sul cuscino, poi una morbida e calda coperta in pile si posò su di lei.
- Rimani qui però - sussurrò, ed Harry che aveva appena raggiunto la porta per uscire e lasciarla riposare tornò indietro senza dire nulla e si sdraiò accanto a lei.
Sussultò impercettibilmente quando Sam si accoccolò contro il suo corpo circondandolo con un braccio.










Scusatescusatescusatescusatescusate. Lo sappiamo, è passato un mese dall'ultimo aggiornamento e siamo mortificate! Ma abbiamo avuto un pò di casini, cose da fare, dovevamo rivedere delle cose della storia.. insomma non abbiamo potuto fare prima. Ma il capitolo è lunghissimo (forse troppo ahahah) e speriamo di esserci fatte perdonare in questo modo xD o forse ci odiate di più perché ci avete messo un secolo a leggerlo? ahaha Comunque speriamo che non l'abbiate abbandonato e soprattutto che vi sia piaciuto. E' stato un capitolo un po' difficile: Sam si trova in una sorta di limbo, non sa cosa fare di questa vita, ha paura di non esserne all'altezza o che non le piaccia e certamente il fatto di non ricordare assolutamente nulla è un macigno su di lei. E l'unica persona che le dà un senso di famigliarità è il nostro Harry. Charlie invece è stata "scoperta" in qualche modo da Louis e di conseguenza da se stessa; neanche lei si aspettava di abbassare così le sue difese e non si era certo resa conto che il racconto che stava scrivendo era ispirato proprio al suo incontro con Louis. Nonna Pearl (ma quanto è favolosa quella donna?) cerca anche di farla parlare ma Zayn le interrompe proprio sul più bello! Mannaggia a te Malik u.u Bé, speriamo anche di non aver perso le nostre care lettrici dopo questa lunga attesa! Fateci sapere cosa ne pensate, ci teniamo tantissimo anche perché non è ancora tutto chiaro nella nostra testa e i vostri pareri potrebbero aiutarci! Alla prossima ;D
Fra e Vale.

  
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