Capitolo 4 – Explosive
evening!
Test
d’inglese.
Naruto era una schiappa in inglese!
Sasuke, invece, era l’indiscusso genio che riusciva a
beccarsi tutte “A” dal
primo all’ultimo giorno di scuola. Fortuna, per
l’Uzumaki, avercelo come amico.
Nemmeno quarantacinque minuti dopo l’inizio del test,
l’Uchiha aveva già
concluso e si apprestava a consegnare. Un’ora e quindici
minuti per riuscire a
covare qualcosa dalla testa vuota e poi Naruto avrebbe dovuto beccarsi
l’ennesima “F” alla sua lunga lista di
voti.
Il più grande, dal canto suo, sapeva di dover fare qualcosa
prima che quella
testa quadra ne combinasse un’altra delle sue e, se non
voleva che perdesse
l’anno e trascorressero anche il successivo insieme,
l’ultimo peraltro, doveva
darci dentro.
«Mei-sama», appellò la docente
alzandosi, il busto eretto e la solita
imperscrutabile espressione fissa sul volto, «posso andare al
bagno?»
«Certo, Sasuke, va’ pure», rispose lei,
non mancando di fare gli occhi dolci al
suo studente modello, l’alunno prediletto.
«Arigatou gozaimasu», il moro la
ringraziò accennando ad un inchino, poi si
avviò fuori dall’aula, lanciando rapidamente un
foglietto ripiegato al biondo.
«Tranquillo, dobe, ti salverò il culo anche questa
volta. Tieni il telefono a
portata di mano senza farti sgamare!»
Entrato
nell’isolato bagno dei ragazzi, l’Uchiha si mise
nel punto cieco della sala e
prese a scrivere le risposte ai quesiti di letteratura straniera al
proprio
compagno, cercando di variare le parole usate sostituendole con quelle
meno
ricercate che conosceva; così magari la professoressa
avrebbe pensato che,
ahimè, almeno una volta nella vita, Naruto si stava
impegnando in qualcosa.
«È più difficile scrivere cose semplici
per quel dobe dei miei stivali, che
sostenere un esame di livello C2», realizzò, dopo
dieci minuti di continuo
scrivere e, infine, dopo aver premuto il tasto d’invio,
decise di sciacquarsi
il volto; poteva anche rimanere sino alla fine del test, sicuramente,
il
problema era che si annoiava a morte.
Sciabordandosi il viso, si rese conto di essere davvero felice per la
prima
volta dopo nove anni interi nascosto nella penombra di una falsa gioia.
E
doveva tutto alla pazienza infinita del fratello, e perché
no anche alla
solarità dell’uragano biondo che si era scelto
come compagno. Non si erano mai
trovati a parlare del proprio passato, anche se qualche volta era
capitato che,
melanconicamente, Naruto si trovasse a fissare delle foto dei genitori,
dimenticandosi totalmente della presenza di Sasuke in casa propria. Ma
parlare
di ciò che fa male è una cosa troppo intima ed
entrambi concordavano su quel
punto; ragion per la quale avrebbero lasciato passare tutto il tempo
necessario
prima di concedersi una confessione tale.
«Ci ritroviamo, finalmente, Uchiha Sasuke», di
nuovo quella voce e di nuovo il diciassettenne sobbalzò
udendola così all’improvviso. Possibile che quel
tizio
adorasse apparire nei momenti meno opportuni e soprattutto mentre era
distratto?
Si voltò verso quell’uomo e di nuovo la figura
autoritaria, tuta nera, stemma
del clan Uchiha e armatura rossastra fasciavano il corpo di Madara, i
capelli
del medesimo colore e della stessa lunghezza dell’ultima, e
d’altronde anche
della prima volta che l’aveva visto. Possibile che non si
cambiasse mai?
Sembrava immutato, nonostante fossero trascorsi tre mesi da allora.
Sarà che
una volta diventati uomini, non si sarebbe più cambiati?
Eppure Itachi cambiava
a vista d’occhio, giorno dopo giorno era sempre
più mascolino, la sua bellezza
sfigurava quella del minore che non riusciva a far altro se non bearsi
di
cotanta magnificenza e abbracciarlo e baciarlo e desiderare di poter
urlare al
mondo che sì, quel ragazzo era suo; suo cosa?, avrebbero
chiesto. Suo fratello,
suo amato, suo “ragazzo”?, suo punto di
riferimento, o semplicemente tutto, per
quanto potesse sembrare scontato?
«Che ci fai qui, Madara? Non dovresti stare nascosto
nell’ombra e soprattutto
alla larga da Konoha? Sei un ricercato oppure ho capito male?»
«Cos’è la vita senza un po’ di
pazzia?», ghignò sadicamente,
«D’altronde, sono
diventato uomo libero da quando ho mandato a quel paese la
giurisdizione di questi
ipocriti di Konoha».
«Cosa ti hanno fatto?», o forse avrebbe dovuto
chiedere cosa LUI avesse fatto a
Konoha, per indurre i tre Kage ad esiliarlo?
«Sas’ke!», strillò Naruto,
abbracciando il moro, «Mi hai salvato la vita,
grazie!»
Stranito, il più grande abbracciò il compagno,
fissando Madara che ghignava
vittorioso.
«Naruto, tu non vedi niente?», sibilò
sorpreso.
«C’è qualcosa che dovrei
vedere’ttebayo?»
«Guardati le spalle, Sasuke».
Cosa voleva dire?!
Il mondo parve scomparire, il buio sembrò risucchiare via
l’Uchiha ed isolarlo
da tutto il resto, la paura impossessarsi di lui.
«…uke!»
Solo.
«’ke!»
Naruto…
«…ka!»
Itachi!
«Teme!», imprecò il biondo,
«mi hai fatto prendere uno spavento!»
«Cosa…?»
L’Uzumaki spalancò gli occhi.
«Mi sei praticamente svenuto tra le braccia per qualche
secondo, mentre mi
abbracciavi e dicevi: “Ma tu non vedi
niente?”… Si può sapere che ti
è preso e
cos’avrei dovuto vedere?!»
«Nulla, mi girava la testa e non ci ho capito
nulla», si rialzò a fatica,
barcollando lievemente e trovando subito la mano bronzea del biondino a
supportarlo, pur di non farlo finire col sedere per terra.
«Grazie», mormorò, imbarazzato da quel
tocco. Da quando si era lasciato andare
con Itachi, aveva evitato ogni contatto possibile con il biondo, a
parte un
battito di cinque, lo scombinarsi i capelli o affogarlo a mare durante
l’estate; per il resto zero. Aveva la sensazione che avrebbe
potuto infastidire
il maggiore, anche se quest’ultimo non lasciava trapelare
nulla dalle
espressioni e si comportava come al solito: frequentava Sakura
più assiduamente
di quanto Sasuke volesse, ma ogni volta gli assicurava che tra loro non
c’era
altro che una semplice amicizia e che aveva chiarito la situazione,
anche se
non spiegò cosa intendesse con
“chiarito”; il loro rapporto andava a gonfie
vele e alla fine non si era modificato più di tanto, al
massimo i due si erano
avvicinati più di prima ed erano più uniti che
mai. Rimanevano sempre Itachi e
Sasuke, con la sola differenza che si amavano non solo fraternamente,
ma anche
passionalmente, col corpo, col cuore, con l’anima, con tutti
se stessi.
Insomma, il più piccolo degli Uchiha sapeva che non ci
sarebbe stato niente di
male nel riavvicinarsi a Naruto come amico, ma una parte di lui lo
induceva a
pensare che fosse meglio stargli lontano; aveva la netta sensazione che
sarebbero potuti saltarsi addosso a vicenda e il pensiero di Itachi si
sarebbe
dileguato nel nulla, non consentendogli di pensare con
lucidità e compiere atti
di cui si sarebbe poi pentito. Il fratello aveva chiarito che ormai
Sasuke
apparteneva solo a sé e il minore sentiva che
l’altro avesse capito che la
stessa cosa valeva per lui; anche se non aveva avuto il coraggio di
dirlo.
Quelle parole erano davvero troppo per lui,
specialmente dopo le
confessioni piccanti ed imbarazzanti fatte quella notte.
«Sas’ke, posso farti una domanda?»,
Naruto lo colse alla sprovvista e fu per
questa ragione che, con pacatezza, il moro gli fece un cenno
d’assenso col
capo, stringendo la presa delle loro mani e cercando di riprendere
fiato.
«Sono passati mesi ormai da quella
notte, ma non ne abbiamo più parlato. Forse questo non
è il momento più adatto
per discuterne, ma io ci terrei che tu mi dicessi qualcosa a riguardo;
qualunque cosa», rivelò con un bisbiglio
l’Uzumaki, portando la mano libera sul
fianco del compagno e attirandolo a sé; gli posò
un bacio sulla fronte e lo
abbracciò nuovamente, stringendo al proprio petto il capo
corvino e
accarezzando la nuca eburnea e scarna. Fu proprio in quel momento che
notò
qualcosa di insolito per la pelle pallida del compagno: sul lato destro
vi era
un segno rosso – violaceo, nascosto grazie ai capelli, che si
erano allungati,
e al colletto della camicia.
«Naruto», incominciò Sasuke,
«io…»
«Ci ho ripensato, teme, non dire niente»,
annunciò staccando i loro corpi,
grattandosi il capo dorato come al solito e sorridendo incoraggiante,
convinto
che l’altro non percepisse il senso di disagio che si era
appropriato di sé e
quanto forte fosse la stretta di quella morsa ferrea al proprio
stomaco, «non
mi devi alcuna spiegazione. Scusa… Io torno in classe e
faresti bene a fare lo
stesso, altrimenti Mei-sama si preoccuperà e ti
verrà a cercare… e magari
violenterà, dattebayo!».
«Ma cosa ti salta in mente, dobe!», la risata
cristallina dell’uragano biondo
risuonò per il bagno e per il corridoio
dell’Accademia, sparendo e zittendosi
non appena il più piccolo tra i due si era allontanato dai
bagni.
Sasuke sospirò: «Che gli sarà
preso?»
«Itachi, sono a casa!», si annunciò, non
appena un’altra giornata scolastica
giunse al termine. Si liberò delle scarpe, provando un senso
di libertà e
scricchiolando le dita dei piedi, sgranchendosi le ossa di tutto il
corpo,
schiena, braccia, gambe e collo.
«Bentornato, Sasuke», lo salutò il
maggiore, avvicinandosi a lui e sbucando
dalla cucina, «com’è andata
oggi?», si premurò di domandare, come faceva ogni
sera.
«Bene…», rispose poco convinto il
giovane, «te all’università?»
«Bene», pronunciò con decisione il
nii-san, «torno a cucinare, raggiungimi
quando sei pronto».
Annuendo, il diciassettenne si apprestò a raggiungere la sua
camera, varcando
la soglia e gettandosi a capofitto sul letto, annusando il profumo di
lavanda
emanato dalle lenzuola pulite, sostituite quella mattina stessa prima
di andare
a scuola e di cui non si era potuto beare, poi prese a spogliarsi con
estrema
lentezza.
«Forse potrei…», sghignazzò
l’Uchiha, indossando solo i pantaloni della tuta e
scendendo al piano inferiore a torso nudo. Era una sorta di complessa
provocazione al fratello, che aveva colpito fulminea i pochi neuroni
disponibili di sera del ragazzo.
«Non hai freddo così, Sasuke?», aveva
chiesto Itachi vedendolo camminare
tranquillo per la cucina, prendere il suo posto e accendere
distrattamente la
tv, mentre sorseggiava del succo d’arancia.
«No», aveva sentenziato, ridendo sotto i baffi e
nascondendo l’espressione
soddisfatta e mezza corrucciata, in un vago tentativo di sviare il
percorso di
pensieri del maggiore, nella tazza scura.
«Come vuoi», si era arreso il fratello.
Trascorse una mezz’ora, il religioso silenzio stroncato dalle
voci stridule di
alcune concorrenti di un reality show musicale. Quando il fratello
aveva posato
sul tavolo la cena, il minore aveva prestato poca attenzione, chinato
il capo e
si era morsicato il labbro inferiore. Avrebbe dovuto parlare al
fratello di
Madara? Improvvisamente tutte le ulteriori intenzioni che aveva per la
conclusione di quella serata gli parvero superflue e quasi inutili, un
ripiego
per non pensare a quell’assillante sensazione di pesantezza
che aveva arcuato
il proprio animo.
«C’è qualcosa che vuoi dirmi,
otouto?»
Eh, certo, il minore non aspettava altro che essere incitato dalla voce
magnetica del nii-san.
«In effetti sì», bisbigliò,
«ma non saprei…»
«Ti ascolto», Sasuke non ricordava una volta in cui
aveva saputo resistere, se
non quel vano tentativo la notte del suo compleanno… ma che
problemi aveva?
«Conosci un certo… Madara Uchiha?»
Il fratello s’immobilizzò, le bacchette in bilico
tra le sue dita, la bocca
chiusa e lo sguardo fisso sul cibo.
«Sì, otouto. Perché me lo
chiedi?», Itachi sperò davvero che i suoi
presentimenti fossero errati, che il fratellino avesse curiosato in
giro per
casa marinando la scuola una di quelle mattine e si fosse infiltrato
nel
passaggio sotterraneo di villa Uchiha, scovando vecchi libri con la
storia di
famiglia e beccando proprio la pagina di Madara.
«Forse ti sembrerà strano, ma io l’ho
visto».
Proprio come temeva.
«Quando?», inutile chiedere il luogo: era risaputo
che Madara non varcasse due
volte la stessa soglia, che non sostasse per più di un paio
di minuti in un
posto e svanisse nel nulla, lasciando un’evanescente scia di
menzogne ed
illusioni.
«Beh, l’ho incontrato per la prima volta il giorno
prima del mio compleanno,
mentre ero nelle docce», Itachi sospirò.
«Otouto, sono passati mesi, perché non me
l’hai detto prima?», poi ripeté nella
propria mente le parole pronunziate dal suo otouto. «Aspetta,
hai detto “la
prima volta”? Quindi significa che l’hai
rivisto».
«Esatto», assentì Sasuke,
«oggi a scuola, mentre ero in bagno».
Avrebbe potuto fargli del male. Ha avuto
due occasioni e non gli ha torto un capello. Che maledette intenzioni
ha quel
criminale?
«Cosa ti ha detto, Sasuke?»
«In spiaggia si era presentato a me come Madara Uchiha, poi
è stato… strano»,
tentò di spiegare. «Vedevo le
sue labbra muoversi e sono certo che stesse parlando, ma non riuscivo
ad udire
le sue parole. Sorrideva di tanto in tanto e le uniche parole scorte
dal suo
labiale sono state “Uchiha” e
“assassino”».
«Oggi?», lo incitò monocorde il
maggiore, cercando di sembrare a suo agio e
posando le bacchette nel piatto.
«Che da quando ha lasciato Konoha è un
uomo libero e di guardarmi le spalle»,
disse, «ma la cosa che mi ha lasciato perplesso non
è questa».
«Cos’altro è successo?»
«Ecco, vedi, gli avevo chiesto cos’era successo per
avercela così tanto con
Konoha e in quel momento è entrato Naruto. Il fatto bizzarro
è che lui non lo vedeva,
eppure era davanti a noi!
E dopo avermi detto di guardarmi le spalle, Madara è
scomparso e a quanto pare
sono svenuto per qualche secondo», spiegò,
gesticolando a causa dell’ansia che
s’impossessava di lui e mordicchiandosi le labbra.
«Itachi, che significa? Chi
è Madara Uchiha?»
«È un criminale, otouto, è un assassino
spietato che fu esiliato da Konoha
molto tempo fa».
«Ha ucciso qualcuno qui?»
«Sì», assentì il maggiore.
«E gli Hokage non potevano semplicemente arrestarlo invece di
lasciarlo in
libertà?», domandò, come se fosse la
cosa più sensata da fare.
«Lo pensarono, ma Madara è un
po’… diverso
dagli altri assassini. È l’essere più
spietato che possa esistere e non basta
la prigione a fermarlo».
«Perché non ucciderlo, allora?»
«Nemmeno questo è possibile».
«Per quale ragione? Non dirmi che ha la forza di Hulk e
l’immortalità dei
vampiri, per piacere!»
«È più complicato di così,
otouto, ma non c’è nulla di cui tu debba
preoccuparti», lo rinfrancò Itachi, allungando un
braccio per scombinargli i
capelli e sorridendogli incoraggiante, «ora mangiamo, okay?
Dopo verrà a
trovarmi un amico».
«Un amico?»
«Deidara, ricordi il biondo con la fissa per i fuochi
d’artificio ed ogni tipo
di esplosivi?», sorrise il maggiore, grato alla
volontà dell’altro di cambiare
discorso.
«Come dimenticarlo!»
Dopo
cena,
i due fratelli si erano appollaiati sul divano e avevano trascorso il
tempo
scambiandosi delle tenere coccole. Alla fine, sgamato come al solito da
Itachi,
Sasuke aveva dovuto confessare di volerlo
“provocare” rimanendo senza
maglietta, dopo che il fratello l’ebbe bloccato sotto il peso
del proprio
corpo, facendogli il solletico e poi baciandolo e provocandolo a modo
suo.
«Basta chiedere, otouto; e ciò che vuoi ti
sarà dato», aveva assentito
vittorioso, prima di ristendersi supino sul divano e attendere che il
fratello
tornasse da lui, accoccolandosi al suo petto e giocherellando con le
dita,
disegnando simboli immaginari o gli ideogrammi dei propri nomi.
Verso le otto e trenta circa, una chioma lunga e bionda si era
affacciata dalla
porta di casa Uchiha, invitandosi di propria spontanea
volontà ad entrare e non
sospettando nemmeno minimamente che all’interno
dell’abitazione i due fratelli
potessero essere beccati per caso in atteggiamenti compromettenti.
«Itachi-senpai!», aveva urlato, fiondandosi tra le
braccia del maggiore degli
Uchiha e mordendogli una guancia, «Ne è passato di
tempo!»
«Ti trovo bene, Deidara», aveva risposto Itachi,
scombinandogli la folta
zazzera bionda, «Sasori?»
«Eh, Sasori…», il biondo
sbuffò e si sedette a gambe incrociate sul parquet,
limitandosi ad un’alzata di sopracciglia; dal canto suo, il
ventiduenne rise e
annuì divertito.
Sasuke sentiva qualcosa di strano. Era come se qualcosa gli stesse
solleticando
la pelle, eppure quando si era grattato non c’era nulla fuori
posto, né aveva
sfiorato in alcun modo il divano. Voltatosi di colpo, aveva scrutato
per bene
dietro di sé, ma non aveva intravisto nemmeno un movimento,
un minimo
spostamento d’aria che lo facesse sembrare meno matto di
quanto non credette
fosse sul serio.
«Tu credi nei fantasmi… Sasuke?», il
giovane Uchiha si voltò di scatto,
gli occhi spalancati e la bocca
socchiusa, verso Deidara che si era avvicinato pericolosamente a lui;
di scatto
indietreggiò e bloccò la propria schiena al
divano.
«BU!»
«AHHHH!», urlò il minore degli Uchiha,
scatenando le risate a stento soffocate
dei presenti.
«Stronzi!», sbraitò, poi una chioma
rossa apparve dal pavimento, una scrollata
di spalla e un sorriso appena accennato, gli occhi color cioccolato
malinconici, la pelle chiara.
«Io sono Sasori, è un piacere conoscerti,
Sasuke».
Il minore, di scatto, si alzò dal divano e
fulminò Itachi con lo sguardo, che
ancora se la rideva, mentre Deidara era steso, quasi morto stecchito
per le
risate.
«Nii-san!», sbraitò e poi, irritato
dalla risata isterica del biondo, strepitò:
«Ti faccio ridere io adesso, bastardo!»
Itachi e Sasori iniziarono a ciarlare del più e del meno,
con la massima
tranquillità, mentre Deidara scherniva Sasuke e
quest’ultimo lo rincorreva; ad
un certo punto, stanco della corsa, finse di tornare dal fratello, che
notò
ogni suo movimento ma tacque.
«Ti sei stancato! HA! Ho vinto!»
«Un paio di palle!», e così dicendo, il
minore degli Uchiha gli lanciò due
shuriken; di poco, il giovane dai capelli dorati e lunghi li
scansò e mostrò il
medio al piccolo.
«Guarda che Itachi ha insegnato anche a me ad usarli! E poi
non conosci il mio
ragazzo», indicò con un cenno del capo il rossino,
«è una bomba! Esplosivo non
solo a letto, ma anche…»
«AH! Non sento! Non mi interessano i dettagli!»
«L’astinenza dagli esplosivi gli fa un
po’ male, scusatelo», dichiarò Sasori,
scrutando incuriosito il fratello di Itachi e il ventiduenne stesso.
«Comunque
siete due gocce d’acqua».
«Che intendi con “astinenza dagli
esplosivi”?», chiese il moro dai capelli
lunghi.
«Ah! Voleva che impiegassi il mio tempo con
“l’arte che resta nel tempo”, sai
com’è, Sasori non concorda con la mia definizione
di arte», il compagno annuì, «e
allora mi sono messo a scrivere!»
Silenzio.
«Scrivere, uhm?»
«Sì», annunciò fiero.
«E cosa scrivi?»
«Sto acquisendo una discreta dimestichezza nello scrivere
poesie!», ridacchiò, «Vuoi
sentirne una?»
Sasori scosse il capo in direzione di Sasuke, speranzoso.
«Credi davvero che a qualcuno interessi delle tue stupide
“poesie”?», lo derise
Sasuke, fintamente schifato. «Ma che
diavolo…?!»
Ignorandolo, Deidara afferrò una sedia e ci salì
sopra, sciolse i capelli e
abbassò la testa, li mosse con celerità e poi si
rialzò; sistemò il ciuffo alla
sua sinistra e, schiarendosi la voce, cominciò a poetare.
«Oh tu mia esplosiva argilla
che m’impastocchi le mani;
oh, argilla che al sole brilla
senza di te non vedo il domani.
Oh se mi piace costruire dardi
d’argilla bianchi e belli duri
co’ste rime mi mangio pure Leopardi!
Tu, mia fedele compagna di vita
so che non mi faresti mai del male,
ma semmai mi portassi via le dita
ti farei mangiare da un animale.
Una buona idea è anche il mare
e sai la ragione?
Perché lì ti potrei affogare!»
Silenzio.
Solo silenzio.
«PERCHÉ?!
SASORI, SPIEGAMI PERCHÉ!»,
urlò Sasuke.
«Sasuke, calmati…»
«Ah, calmarmi un corno! È la vergogna della
letteratura, delle persone, degli
uomini e dei gay! Fanculo!»
«Ma chi ti credi di essere, neh, bimbetto!»
«Ma prima di “poetare”, almeno informati
su com’è formato un sonetto!»
«Lo so! Due quartine e due terzine!»
«E tu hai rispettato questa regola?!»
«Certo! Devo per caso ripetertela?»
«NO!», urlarono i tre all’unisono, poi
Sasuke battendosi un palmo sulla fronte,
si avvicinò a Deidara nel vano tentativo di tenere la calma.
«Deidara, quartina, quartina, terzina, terzina: ecco
com’è composto un sonetto.
E la tua poesia, se così possiamo definirla, è
incredibilmente squallida e
insensata!»
«Ma come osi!», il biondo frugò nelle
tasche e poi strepitò sulla sedia, «Voglio
la mia argilla! Ti farò esplodere, bastardello!»
«Mi sfidi conoscendo il nome degli Uchiha? Scoprirai a tue
spese cosa vuol dire
questo nome!», Sasuke provò a correre verso
Deidara per stenderlo, ma Itachi lo
bloccò.
«Basta, otouto».
«Ma… nii-san!»
Il fratellone scosse la stessa sorridendo e il minore annuì,
lasciando che il
più grande prendesse la sua mano e lo portasse al suo
fianco, seduto sul
divano, come prima che quel biondo poeta, artista o quel che era, da
strapazzo
rovinasse la quiete di villa Uchiha.
La serata trascorse tra l’ilarità generale, dei
battibecchi tra Sasuke e
Deidara e chiacchierate tranquille, finché non giunse
l’ora che i due ragazzi
se ne andassero. Li salutarono con un sorriso e uno sbuffo sprezzante
tra i due
litiganti; poi, rimasti soli, Itachi e Sasuke andarono a letto.
«Dormiamo, otouto?»
«Io avevo altre idee…»
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NB:
Ho cercato di rendere il capitolo un po’
più “soft”, giusto perché i
drammi
dal capitolo cinque in poi si susseguiranno fino alla fine…
Inoltre ci tenevo a dare un po’ di spazio a Sasori e Deidara,
una coppia che
shippo u_u e mi piacciono troppo, per cui non ho potuto farne a meno! E
ridicolizzare il nostro artista esplosivo era una cosa che sognavo di
fare da
un sacco xD Quindi non potevo proprio non approfittarne! Ovviamente la
composizione del “sonetto” in maniera errata e lo
squallore posto in esso è del
tutto voluto e non è scandito dalla mia ignoranza in
materia!
Pian piano comunque si vengono a scoprire determinate cose su Madara,
ma tutti
i chiarimenti ci saranno poi!
Note dell'autrice:
Hello! Posto alle due di notte
il capitolo perché domani sarò assente per tutta
la giornata e non avrò assolutamente tempo di
farlo. "Domani", pf, più tardi, diciamo così.
Comunque è 17 e non volevo tardare. Almeno quando ho le
storie complete vorrei essere puntuale ç_ç
Posterò il prossimo capitolo il giorno 22.
Ringrazio tutte le persone che seguono, preferiscono e recensiscono la
storia.
Bacioni, Giacos.