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Autore: nephylim88    17/03/2013    0 recensioni
Quando si parla di case maledette acquistate, il nostro pensiero va immediatamente alla sorte dei poveretti che hanno acquistato gli edifici in questione. Ma come vivono la situazione quelli che vendono queste case? Ho voluto mettermi nei panni di un giovane agente immobiliare, che si ritrova a vendere una della case più famose di Venezia, almeno da questo punto di vista...
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fu due giorni dopo, il momento in cui mi accorsi che qualcosa non quadrava. Entrai nel mio ufficio. Mi ero appena seduto, pensando che forse avrei fatto meglio ad andare a procurarmi un caffè, quando entrò Cesare. Era alquanto agitato, non lo avevo mai visto così. Di solito, i miei titolari erano persone quasi fredde. Sicuramente avevano un temperamento scevro da emozioni. Quindi, fu una sorpresa per me, la vista di un Cesare Borgia scarmigliato che spalancava la porta come se dovesse scardinarla. “Giorgio, ho bisogno che ti occupi della vendita di una casa!”

Ecco una cosa che mi sembrava parecchio strana del mio lavoro: i miei titolari non vendevano mai le case direttamente. Se ne occupavano gli agenti che assumevano, e basta. L'unica cosa che importava è che le case venissero vendute, e considerato il target, erano anche abbastanza rilassati su questo. Almeno, credo che lo fossero. Dirò la verità, non sapevo proprio come reagivano se una casa non veniva venduta: non accadeva mai una simile evenienza. All'agenzia Borgia andava gente intenzionata a comprare. Punto e basta.

“D'accordo, ma... Mi scusi, Cesare, ma va tutto bene?” lo scrutai, preoccupato.

“Sì, certo! Sono solo un po' su di giri, oggi arriveranno mia sorella e la compagna di mio padre! È da tanto che non le vedo!”

“La compagna di suo padre? Vuole dire che non è sua madre?”

“No, mamma non la vediamo da parecchio tempo. E personalmente non ne sento poi così tanto la mancanza, se mi è concessa una piccola confidenza da uomo a uomo.”

Sollevai appena le sopracciglia, come a dire “Ah.”. A dire il vero, ero anche un po' a disagio.

“Allora” dissi alla fine “qual è la casa che devo vendere?”

 

“D'accordo, Genéviève, ci sentiamo più tardi!”. Chiusi la telefonata e rientrai in agenzia. Da una parte ero di ottimo umore. La vendita era andata benone. Sospettavo che il tipo a cui avevo venduto la casa fosse un po' scemo, l'avevo proposta a 5 milioni di euro, e lui aveva insistito per farmi un assegno da 7. E sì che gli stupidi non diventano milionari...

Dall'altra parte, ero preoccupato per Genéviève. Il suo umore era peggiorato di parecchio. Credevo che fosse per il lutto, in fondo, da quello che avevo capito, il marito era morto da poco. Decisi che quella sera l'avrei portata in un ristorantino nel ghetto ebraico. Le avrebbe fatto bene prendere un po' d'aria. In fondo, ca' Dario, per quanto bella, era decisamente opprimente!

“Oh, Giorgio!” la voce secca di Alessandro mi inchiodò lì dov'ero. Dirò la verità: Alessandro mi inquietava non poco. Quando ti parlava, aveva sempre l'aria di uno che non pensa quello che dice. E quando si presentava all'improvviso, nel suo completo Armani, o Cavalli, o Cheaccidentinesoio, prendevi dei fieri colpi!

“Signor Borgia...” feci spontaneamente un mezzo inchino. Altra cosa strana di quell'uomo: aveva un che di autorevole, che spingeva anche l'impiegato meno leccapiedi del mondo del lavoro a diventare servile.

“Come ti è andata, la vendita?”

“Bene, bene. Benissimo, anzi. Anche se è stata un po' bizzarra. Ha insistito per comprare la casa ad un prezzo più alto di quello da noi proposto.”

Alessandro rimase un attimo interdetto, poi scoppiò a ridere. “Sì, in effetti Cesare si era dimenticato che quello era il vecchio Cavanaugh! Ha fatto una scommessa con il suo socio di comprare per sei mesi solo oggetti con i prezzi col numero 7 davanti!”

Rimasi basito. Certo che quei ricconi potevano permettersi davvero di tutto! Comprese le scommesse cretine! Alessandro stava davanti a me e rideva con le lacrime agli occhi. 'Altro esempio di riccone strano...' pensai. Anche se, in termini economici, come ho già detto, non mi potevo certo lamentare, ed era comunque grazie a lui!

“Beh, dai, abbiamo già perso troppo tempo.” farfugliò, appena riprese fiato “coraggio, giovanotto. Sono arrivate mia figlia e la mia compagna. Vieni, che te le presento.”

Entrammo nella sala riunioni, dove Cesare stava bevendo del tè con due splendide donne. In sala riunioni ci sarò stato un paio di volte. Era ampia, con le pareti stracolme di affreschi e i soliti lampadari a gocce tipici di Venezia. In mezzo alla sala stava un ampio tavolo ovale in legno massiccio, con tutto attorno delle sedie imbottite. Ma solo quel giorno realizzai che era tutto lì. Voglio dire, in altre aziende, che io sappia, nelle sale riunioni ci sono computer e proiettori per le presentazioni. Ma nell'agenzia, l'unico pc che avevo visto era quello nel mio ufficio.

Appena mi videro, Cesare e le due donne si alzarono e mi sorrisero. Una era alta, bionda e pallida. Normalmente preferisco le brune, ma lei era comunque splendida. Venne verso di me allungando la mano. “Piacere, Lucrezia!”. Strinsi la mano e sorrisi. “Un'altra omonimia con la famiglia Borgia!” le dissi, quasi ridendo.

“Non ve l'hanno detto? Siamo loro discendenti. E a quanto pare i miei familiari vivono nel mito della nostra famiglia. E ci hanno affibbiato i nomi dei nostri antenati.”

“Ah!” mi limitai a dire.

Si fece avanti l'altra donna. “io sono Giulia! Molto piacere!”

Giulia era di una bellezza che apprezzavo di più. Aveva gli occhi castani e una carnagione meno delicata di quella di Lucrezia. Il suo viso aveva una sorta di luce magnetica che mi affascinava.

“Anche lei è una Borgia?”

“No, no. Il mio cognome è Farnese.”

Sollevai le sopracciglia, ma non dissi nulla. Il suo nome mi aveva acceso un piccolo allarme, ma non riuscivo a capire perché. Così lo misi da parte.

“Allora, Giorgio! Come si trova qui?”

Non feci nemmeno a tempo a rispondere “bene”, che Cesare praticamente mi travolse dicendo “è il nostro migliore agente!”

“Beh,” tentennai un po' “in realtà sono l'unico... almeno qui a Venezia...”

“Non fare il modesto, Giorgio! Fidati, nelle altre succursali non facciamo tanti soldi come li facciamo qui!”

Feci per rispondere che, in fondo, è la città di Venezia a richiamare così tanta clientela. Ma poi decisi di starmene zitto. In fondo, i complimenti mi facevano piacere...

Rimasi in silenzio per il resto del tempo che passammo in sala riunioni, ascoltando le loro chiacchiere e fissando le due donne. Passi i nomi della famiglia Borgia, ma perché quello di Giulia Farnese mi metteva addosso quell'ansia così opprimente?

  
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