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Autore: Carmen Black    17/03/2013    4 recensioni
Paul, dopo l'ennesimo litigio con un membro del suo stesso branco, si allontana, ritrovandosi sulla spiaggia. E' lì, che immerso nelle sue riflessioni, intravede una sagoma da lontano. " Un pazzo suicida ", lo definisce.
Ma più la sagoma si avvicina, più i suoi contorni prendono forma e lui viene sorpreso da un evento che cambierà irrimediabilmente la sua vita. Per Sempre.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Paul Lahote, Rachel Black
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun libro/film
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Rachel

 
 
Avevo una nuova normalità, se così si poteva chiamare. In effetti era tutto fuorché normalità quella che avevo scoperto a La Push.
Con gli occhi chiusi da chissà quanto tempo, contai per l’ennesima volta fino a dieci e quando finii ripartii da capo.
Paul mi aveva convinto ad andare con lui e Jacob nel bosco dietro casa. Diceva che finché non vedevo il lupo, non avrei realizzato e avrei minimizzato qualcosa su cui non si poteva assolutamente minimizzare.
Quando ero uscita dalla mia stanza, avevo trovato Jacob stravaccato sul divano a mangiare una mela e non mi aveva degnato neppure di uno sguardo, però aveva parlato. «Il lupo più forte sono io», e poi si era messo a bisticciare con Paul, sembravano due bambini.
Ora ero rimasta da sola in casa e guardavo le venature del legno della porta. Non è che l’idea di vedere delle persone, tra cui il mio fratellino e il ragazzo che mi piaceva da morire, trasformarsi in dei lupi, mi attirasse più di tanto. Sarebbe potuto essere qualcosa di fatale per la mia sanità mentale.
Mi strofinai i palmi sulla felpa di Paul che ancora indossavo e poi uscii fuori.
Per fortuna non pioveva però il tempo non era dei migliori. Avanzai un passo dietro l’altro col fiato sempre più corto. E se Paul mi avesse preso in giro e non appena li avessi raggiunti mi sarebbero scoppiati a ridere in faccia? Lo avrei ucciso!
Una piccola vocina nella mia testa mi derise: ti piacerebbe che fosse uno scherzo, eh?
Ok, era vero, Paul mi aveva detto la verità. Maledizione, tremavo! E quei due rimbambiti mi avevano lasciato da sola, come se ciò a cui loro erano abituati dovesse essere normalità anche per me!
Girai l’angolo della casa e mi diressi verso la boscaglia dietro al garage dove Jacob trascorreva la maggior parte del suo tempo.
Sentii delle risate riecheggiare fra gli alberi, un vociare confuso che si mescolava al fruscio delle foglie.
«Vieni Rachel, siamo qui!», esclamò la voce di Paul.
Deglutii e li raggiunsi, si trovavano in una piccola radura circolare, mi sembrava tanto un ring di combattimento.
Imbarazzata sollevai una mano e li salutai seppur non li vedessi da soli tre minuti.
«Ci sono anche io!», esclamò Embry. Lo cercai con lo sguardo e lo vidi seduto su un ramo a dieci metri di altezza e d’istinto mi poggiai una mano sul cuore.
«Scendi di lì, sei forse impazzito!», gli urlai contro talmente forte che alcuni uccelli disturbarti volarono via in tutta fretta.
«Cavolo», mormorò Paul con la bocca piegata all’ingiù e una mano sul fianco. «Questo sì che era un urlo, ha superato persino Leah».
«Ecco», s’intromise Jacob mentre si spogliava. «Ora sapete perché sono traumatizzato, è colpa sua».
Vidi Paul farmi un sorriso compassionevole e poi anche lui iniziò a togliersi i vestiti, mentre Embry continuava a rimanere appollaiato su quel ramo come un gufo.
Ridacchiavano e parlavano fra di loro a volte facevano dei semplici gesti e sembrava che si capissero. Erano legati, lo capivo persino io che era la prima volta che li vedevo insieme a quel modo. Per un attimo pensai che i loro litigi a casa fossero una messa in scena, ora erano così complici.
«Perché vi state spogliando?», chiesi sgomenta.
«Hai mai visto un lupo con dei calzoncini di jeans?», disse Jacob divertito.
«Sì», mugugnai indignata. «Al circo».
Embry rischiò di cadere dal ramo e Jake e Paul sbarrarono gli occhi meravigliai, però stavolta me la lasciarono passare, non replicando.
«Allora sei pronta, piccola?», chiese Paul impaziente.
«No».
Jacob sbuffò. «Oh Rachel quanto la fai lunga!».
Respirai a fondo per un po’ con loro di fronte a me, in attesa che mi decidessi a dire quel maledetto sì.
«Sono pronta», mormorai mettendomi le mani sul gli occhi. «Oh mio Dio! No, non sono pronta!».
Sentii sbuffi generali di impazienza, certo la facevano facile, beati loro.
«Adesso», dissi più sicura.
Passò qualche secondo e poi sentii uno strano rumore come di stoffa di jeans che si strappa e poi più niente.
«Oh Dio parlatemi!», urlai disperata.
«Ma i lupi non parlano!», protestò Embry dalla sua postazione.
«Non vi voglio guardare, ho paura!».
Ancora silenzio e qualche verso strano non identificabile.
Mugolai disperata e poi mi feci forza, che poteva essere di così mostruoso? Quelli erano mio fratello e Paul, non mi avrebbero fatto del male.
Sbirciai tra due dita, pian piano, vedendo solo pelo e niente più: color argento scuro e rossiccio. Poi vidi degli occhi e anche… «Zanne!».
Certo, erano lupi, ovvio che avessero le zanne.
Lentamente tolsi le mani dai miei occhi sentendo un leggero velo di sudore che mi appiccicava i capelli sulla nuca. La debole luce che si infiltrava tra i rami dagli alberi illuminava di riflessi il folto pelo delle straordinarie creature che avevo davanti ai miei occhi.
Jacob aveva il pelo più lungo di Paul ed era un po’ più grande. Come li distinsi proprio non lo capii, ma pur essendo sottoforma animale, continuavamo a mantenere qualcosa delle loro caratteristiche umane.
«Jaky», sussurrai stupita. Era bellissimo, ma non glielo dissi, il suo ego era già troppo spropositato. Lui in risposta al mio richiamo leccò l’aria… mah.
Poi guardai il mio Paul, riconoscevo quello strano luccichio nei suoi occhi neri, ecco perché mi avevano attirato e stranito spesse volte.
Si era acquattato sul terreno umido, così un passo dopo l’altro mi avvicinai stupita, era di una grandezza straordinaria.
Mi chinai dinanzi a lui e gli accarezzai il muso, lui rimase immobile a fissarmi negli occhi.
«Non ho paura», lo rassicurai. «Beh, quello di prima era solo nervosismo», sorrisi e lui sbuffò dalle narici.
Com’era possibile che il loro corpo si trasformasse in un animale, era così difficile anche solo da immaginare. Persino ora che ce l’avevo davanti, sembrava una cosa da effetti speciali da oscar e invece era la realtà.
Le nostre leggende erano vere e forse il motivo per cui ci obbligavano a studiarle era perché c’era la seria possibilità che ci trovassimo dinanzi all’accaduto e in qualche modo dovevamo essere pronti ad affrontarlo.
«Ora torna tu, oggi di lupi ne ho avuto abbastanza».
Paul si sollevò e trotterellò fino ad alcuni cespugli e scomparve dietro di essi e lo stesso fece Jacob.
Tornarono dopo qualche istante intenti ad allacciarsi i calzoncini. Embry dal suo ramo fece uno strano verso.
«Richiami i coyote?», gli chiesi interessata.
Mi arrivarono altri sguardi pieni di sdegno e stavolta non ebbi la forza di replicare, probabilmente avevo detto un’altra baggianata.
«Vi aspettiamo in spiaggia», disse Jacob mentre Embry si affiancava a lui. «Non tardate, abbiamo la sfida a calcio e Paul è nella mia squadra», continuò Jacob guardandomi.
Loro andarono via e Paul mi sollevò finché la mia testa non sorpassò la sua e mi diede un bacio con lo schiocco.
«Allora, che cosa ne pensi?».
«Potrei metterti un guinzaglio e portarti in giro con me. Sai, adesso i cani sono ammessi dappertutto».
Paul abbassò le palpebre e trattenne un lungo respiro. «Senti Rachel, la pianti con queste battute? Sembri Rosalie, la zia di Nessie, l’imprinting di Jake».
«Emh… non credo di aver capito».
Mi rimise giù e mi accarezzò il mento incatenando i suoi occhi ai miei. Quando lo faceva mi sentivo inerme, credo che qualsiasi cosa mi avesse chiesto, avrei detto di sì.
«Ci tengo alla mia reputazione di lupo».
Sorrisi saltandogli al collo. «Scusa, non ti prenderò più in giro!».
Non appena finii la frase, Paul mi afferrò la mano e mi trascinò  fuori dal bosco e poi prese il sentiero che portava in spiaggia. In lontananza riuscivo già a vedere i ragazzi che giocavano a calcio e alcune ragazze sedute sulla sabbia li osservavano.
«Non ci credo che mi metti da parte per una partita da calcio. Dopo tutto ciò che mi hai raccontato poi…».
«Si tratta di una sfida, chi perde deve andare di ronda per una settimana di fila e sai che cosa significa?».
«No», grugnii.
«Che per una settimana di fila dovrai passare le notti senza di me e anche i giorni, perché sarò impegnato a dormire. Vuoi questo?».
Non feci in tempo a rispondere che mi baciò. «Certo che non lo vuoi, lo so. Ora vai a spettegolare con le ragazze, ti divertirai».
Mi lasciò lì impalata e raggiunse i suoi amici e mi ritrovai a grattarmi una guancia. Mi aveva stregato.
In altre circostanze gli avrei tenuto il muso perché volevo trascorrere il tempo con lui a parlare di quel segreto che mi aveva appena svelato. Ero certa che ci fosse ancora tanto da scoprire. E invece lo avevo già perdonato.
«Vieni Rachel!», fu Kim a chiamarmi, era seduta vicina ad Emily. Le raggiunsi sorprendendomi di vedere Leah in campo con i ragazzi che sbraitava come una forsennata e loro la stavano pure a sentire intimiditi.
«Ciao», le salutai sedendomi in mezzo a loro.
«Ciao!», risposero all’unisono. «Allora, raccontaci!», dissero eccitate.
«Raccontarvi cosa?», chiesi spaesata.
«Sappiamo che Paul ti ha raccontato tutto… beh com’è stato?».
Mi sentii offesa. Paul andava a spiattellare in giro i fatti nostri, non era carino, davvero no.
«Come fate a saperlo?».
«Oh», Emily agitò le mani. «Non pensare male, il fatto è che il branco si legge nella mente, quindi ogni giorno è un gossip continuo».
Mi cascò la mandibola, Paul quel particolare non me l’aveva detto. Si leggevano nella mente? Quindi sapevano tutto ciò che Paul pensava e anche ciò che ricordava… Mio fratello e tutti gli altri sapevano che avevamo fatto sesso su un tavolo?
«La sua reazione è normale», sussurrò Kim verso Emily. «Almeno non è svenuta come me».
«Se ti stai vergognando o stai pensando a tutte le cose che il branco potrebbe sapere su di voi… ci farai l’abitudine mia cara», Emily mi diede una pacca confortevole sulla spalla. «Io ci convivo da anni ormai. Per lo meno adesso i ragazzi sono un po’ cresciuti, pensa a quando erano adolescenti con gli ormoni a mille. Era un litigio continuo a causa di fantasie su sorelle o ragazze altrui».
No, no, no! Decisamente sconveniente! Che vergogna…
Affondai col viso nelle mani, a momenti avrei preso fuoco, poi inevitabilmente guardai i ragazzi in campo.
Paul all’istante, come se percepisse il mio sguardo, si girò verso di me e mi sorrise con dolcezza, un sorriso che comprendeva anche gli occhi, limpido e sincero. Quel gesto bastò a farmi dimenticare il resto. Non era poi così importante… chi se ne importava. Se le altre erano sopravvissute a quella violazione di privacy involontaria, ce l’avrei fatta anche io.
«Che… che cosa provate?», chiesi alle mie amiche. «Che cosa sentite quando li guardate, quando vi sono accanto?».
Respiri sognanti riempirono l’aria, anche io ne emisi uno, del tutto contro la mia volontà.
Fu Kim che iniziò a parlare, però la sua voce si confuse col rumore del mare e il verso dei gabbiani, diventando un brusio indistinto.
Risposi io stessa alla mia domanda. La mia voce rimbombò all’interno della mia testa, producendo anche un debole eco.
Paul ha un effetto totalizzante su di me e sono felice senza riserve, solo quando mi è accanto.
Non esce mai dai miei pensieri, credo che ci sia persino durante i sogni. Riesco a leggere il suo sguardo e a interpretare le sue espressioni, seppur siano pochi giorni che l’abbia ritrovato.
Sono viva quando mi tocca e anche se suona ridicolmente stupido, ho trovato il mio posto nel mondo. Paul è tutto.
«Adesso cosa conti di fare, Rachel?», mi chiese Emily strappandomi ai miei pensieri.
«In che senso?».
«Voglio dire… tu non vivi qui, vai al College, cosa intendi fare?».
Non ci avevo ancora pensato, ora la faccenda si complicava. Mi mancavano solo due esami per prendere la laurea e non avevo nessuna intenzione di rinunciarci. Ero tornata a La Push per una breve vacanza chiarificatrice e basta. Lì non c’era futuro per me, un posto piccolo con poche possibilità di lavoro e di crescita. Non c’era un futuro prima di ritrovare Paul. Ora era tutto diverso. Vedevo possibilità anche nelle pozzanghere.
Mi massaggiai le tempie. «Ho intenzione di terminare gli studi. Darei un dispiacere a me stessa e a mio padre se mollassi proprio ora che sono alla fine. Sarà questione di qualche mese».
Qualche mese. Il solo pensiero mi fece chiudere lo stomaco in una morsa. Non potevo stare lontano da Paul, non ci sarei riuscita e avrei sofferto parecchio. Già sentivo la sua mancanza pizzicarmi sotto pelle.
Che parole avrei usato per dirgli che sarei andata via?
E lui si sarebbe arrabbiato?
La partita di calcio finì e Paul venne a sedersi vicino a me poggiando la testa sulle mie gambe. Si era appena spintonato con Leah e lui aveva avuto la peggio.
Gli accarezzai la guancia con un sorriso, ma lui divenne improvvisamente serio.
«Che succede?».
«Niente…».
«Non dire niente. Che succede?».
Sbuffai facendo roteare gli occhi. Non potevo avere più un segreto, Okay, avrei fatto l’abitudine anche su quello.
«Dobbiamo parlare», sussurrai.
«Di cosa?», chiese un po’ brusco.
«Andiamo…».
Mi sollevai dalla sabbia spolverandomi i jeans e gli presi la mano. Salutammo distrattamente gli altri, ma non fecero caso al nostro allontanamento, erano troppo intenti a giocare fra di loro o a scambiarsi qualche effusione.
Ripercorremmo il sentiero fino al villaggio, finché Paul non si fermò impaziente con le mani sui fianchi.
«Allora Rachel, che succede?».
«Io, insomma… tu lo sai che devo tornare al College».
Paul assottigliò le labbra. «Certo che lo so», rispose sorprendendomi.
«Dopodomani riparto».
Lui annuì ancora col volto disteso. Non aveva niente da ridire? Com’era possibile?
Nello stesso istante in cui mi feci quella domanda, mi diedi automaticamente la risposta.
Non era lui il problema… ero io. Ero soltanto io che non volevo lasciarlo, non volevo andare via da La Push.
«Ah Ok», dissi infine stropicciando l’orlo della felpa. Mi sentivo un tantino patetica.
«Pensavi che ti avessi trattenuto?», chiese avvicinandosi un po’ a me.
Ovvio che sì. Hai detto che non puoi stare senza di me.
«No. Volevo solo ricordartelo».
«Sì, come no», replicò.
«Sì, perché hai detto di avere l’imprinting con me. E quanto pare è qualcosa di serio e quindi… forse, dicendoti che andavo via per un paio di mesi, pensavo che avessi avuto qualche tipo di problema».
Paul trattenne un sorriso e poi mi abbracciò stretta baciandomi fra i capelli.
«Infatti ci sarebbero non pochi problemi se tu ti allontanassi da me per così tanto tempo. Credo che impazzirei. Però hai quasi finito il College, non posso obbligarti a rimanere qui».
Poggiai la fronte sul suo petto e gli circondai la vita in un abbraccio.
«E allora come faremo?».
«Semplice. Se Maometto non va alla montagna… è la montagna che va da Maometto. Si dice così?», chiese pensieroso.
«Che cosa vorresti fare?», dissi a voce stridula.
«Mia piccola Rachel, è ovvio. Verrò con te al College!».
Fu come prendere il cielo con un dito, la felicità m’invase come corrente elettrica. Seppure avessi fatto lavorare la mente a più non posso, quella possibilità non mi aveva mai sfiorato. Ed era fattibile certo.
Ero così felice che non badai nemmeno alle parole che sussurrò fra sé e sé. «Ci sono un sacco di ragazze al College».
Era sempre il solito, però era Paul. Ed era mio.


Angolino Autrice

Ciao e buona domenica! Credo di aver annunciato la fine della storia qualche capitolo fa, però poi ho allungato un po'. Questo è ufficialmente l'ultimo capitolo prima dell'epilogo. E' stata una storia breve ma intensa e l'ho amata. Grazie ad Alessandra che mi ha chiesto di scrivere su questa coppia, non l'avevo mai fatto prima e ho imparato ad amarli.
Spero che il capitolo vi piaccia <3  Al prossimo e ultimo capitolo.
Baci <3

  
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