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Autore: gjorgia    17/03/2013    16 recensioni
Da una parte c'è Rebecca vittima di violenze e di un triste e doloroso passato, dall'altra c'è Harry ragazzo con ricordi devastanti.
Saranno disposti questi due ad aiutarsi nella ricerca della tanto attesa e desiderata felicità?
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Rebecca e ho diciassette anni.

La mia vita non è mai stata ecco..facile.

Non sono la tipica diciassettenne che va alle feste, si ubriaca e va con i ragazzi. Anzi, sono tutto il contrario.

Odio le feste. Le odio per la gente che ci va. Le odio perché vedere tutte quelle ragazze che si strusciano su gente a caso mi fa vergognare di essere una femmina. Le odio anche perché all'ultima festa in cui sono andata hanno cercato di violentarmi. Erano ubriachi, puzzavano di alchool. All'inizio mi parlavano, ballavano vicino a me, andavo a prendere da bere e loro mi seguivano..Poi hanno iniziato a toccarmi, lì, davanti a tutti. Nessuno faceva nulla, era normale per loro che una ragazza venisse toccata in quel modo ad una festa.

Non era normale per me. Mi facevano schifo. Cercavo di spingerli via da me, erano cinque o sei, non ricordo molto bene. Ero troppo piccola e indifesa per riuscire a farli andare via.

Più li spingevo e più la gente si divertiva a guardare quello spettacolino.

Pensavo che fossero solo ubriachi, degli idioti ubriachi.

Quando uno di loro mi strinse per il braccio e mi portò in giardino iniziai ad avere paura, continuava a dirmi “spogliati puledrina”, iniziai a correre ma mi trovai davanti un altro di loro con una bottiglia di vetro in mano. La gettò a terra e mi strinse per le spalle, “mi fai male!” gridai io. Anche gli altri si avvicinarono, mi circondarono più che altro.

Mi strapparono i vestiti, iniziai ad urlare. Alcuni ragazzi uscirono dalla casa dove c'era la festa, rimasero là immobili. Il ragazzo che prima mi stava stringendo per le spalle iniziò a dire agli altri di tenermi ferma, io cercavo di liberarmi da loro ma era impossibile,li supplicavo di smetterla, urlavo, altra gente veniva fuori, nessuno diceva nulla.

Ridevano, riprendevano con il cellulare, sentivo le ragazze che mi davano della troia. Ero troppo spaventata per rimanerci male.

Continuavo a dimenarmi mentre quel maiale ormai mi aveva tolto le mutande, “smettila!” urlavo io graffiandolo con le unghie, lui mi diede un pugno.

Per un attimo mi sentii stordita, non sentivo nulla, poi persi i sensi.

Quando mi svegliai mi ritrovai in un letto di ospedale.

Non ricordavo nulla, mia zia era lì che mi chiedeva come stessi, io le rispondevo che volevo sapere che cos'era successo, vedevo un sacco di lividi sulle braccia e sulle gambe, tagli, mi sentivo male, mi sentivo come se fossi andata sotto un autobus. Lei mi accarezzava i capelli e mi diceva -Niente Becca.- -Perché sono qui? Che cosa sono quelli?- - Fra poco andiamo a casa.-

Non sarei mai voluta tornare a casa dopo quella mattina, non avrei mai voluto accendere il computer, non avrei mai dovuto vedere i messaggi.

Nessuno parlava dell'ospedale, oh beh, uno sì in un certo senso, diceva “l'ambulanza non doveva venire a prenderti brutta troia. La polizia non doveva arrestarli. E' tutta colpa tua.” Non capivo. Non avevo nessuno di quei numeri, quei messaggi dicevano tutti la stessa cosa, “sei una puttana” “muori” “brucia all'inferno”. Aperto il computer vidi che tutti su facebook parlavano di quel sabato sera, sì, c'era una festa, me lo ricordo questo. Era la mia prima festa, ero felice di andarci, gente più grande, gente nuova.

Una volta online mi scrivettero venticinque persone:

“TROIA.”

Era così che mi chiamavano. Scoppiai a piangere. Sulla mia bacheca avevano condiviso un video con su scritto “dovevano ucciderti.”, già in lacrime decisi di guardarlo.Capii cos'erano quei lividi, in quel momento mi sentii umiliata, stavo male, ero incazzata e schifata per quelle persone, non tanto per quei maiali che mi hanno fatto del male, beh sì anche per loro, ma soprattutto per TUTTI GLI ALTRI che non hanno fatto nulla per impedire loro di farmi quelle cose. Loro insultavano me che a quindici anni sono stata picchiata a sangue perché dei bestioni ubriachi volevano cosa..come dicevano i messaggi..ah sì, volevano divertirsi. Ero andata a quella festa perché era il mio primo anno al liceo, ci andavano tutti. Non parlavo con nessuno a scuola, avevo paura delle persone, pensavo che quella sarebbe stata un'occasione per conoscere qualcuno. Mi sbagliavo. Ero destinata ad avere paura delle persone.

Cambiai scuola, l'avevo già fatto, ero abituata ormai. Bloccai tutte quelle persone. Riniziai a non parlare con nessuno.


 

***

 

“I pensieri mi ritornano nella mente e non se ne vanno, non cedono, devo dargli ascolto, non c’è via di scampo.
Probabilmente nessuno entrerà mai da quella porta, nessuno leggerà questa lettera, quello che rimarrà di me sarà un.. pensiero? Una voce che percorreva i corridoi di un edificio? O forse un grido, un grido d’aiuto, d’allarme che però nessuno ha mai voluto udire?
Questa è la poesia per cui mi avevate iniziato a chiamare..come? Non ricordo bene…DEPRESSA? ZITELLA? O forse STUPIDA IN CERCA DI ATTENZIONI? 
Ora ve la ripropongo e vi chiedo di leggerla e di capirla.. per favore.
 

lei si sveglia la mattina e si asciuga una lacrima

lei sorride

lei ride

lei scherza 
ma lei finge

lei sta male,

lei è sola.

lei ha paura

lei ha paura di deludere tutti

lei ha paura di conoscersi

lei è sempre sola.

lei non ce la fa più

lei è stanca  
lei è stanca di piangere

lei è stanca di urlare

lei è sempre più sola.

lei sta per crollare
 ma nessuno se ne accorge,

lei grida aiuto 
ma nessuno la sente lei è ancora sola.

lei è sparita

lei non c'è più

lei non ha più paura

lei non è più sola.

 


Se sei arrivato alla fine della mia poesia vuol dire che sono morta. No, non piangere, ora sto bene, sono felice.
 Oh.. aspetta.. quelle lacrime non sono lacrime di tristezza, no.. quelle sono lacrime di disperazione, quelle sono lacrime colme di sensi di colpa ma no, perché? Non mi sembra di aver accusato nessuno, probabilmente è  la tua mente che ti fa capire cose che purtroppo avresti dovuto capire prima. La solitudine molte volte è la prima cosa che ti fa impazzire, sai? Perché sono sola? Cosa ho fatto? Dove ho sbagliato? Forse sono io lo sbaglio? Sono un peso, una scocciatura, una persona da dimenticare?  La solitudine ti rode la mente. 
Ognuno di noi ha bisogno di qualcuno con cui parlare, con cui sfogarsi. C’è chi riesce a sfogarsi con un pianto, e c’è chi, invece, con un pianto riesce a fare andare momentaneamente via un po’ di dolore.
Lo ammetto, questo mio gesto è stato un po’ egoista ma perchè continuare a soffrire?  Per una volta voglio essere libera, non voglio più essere sola e tutto quello che mi rimaneva da fare…l’ho fatto.
Tutti sbagliano ma nessuno è mai disposto a perdonare, voi siete disposti a perdonare me ? Ora vi chiederete "perché noi dobbiamo perdonare lei? È il contrario, noi l’abbiamo fatta stare male, l’abbiamo portata al suicidio" e invece no, voi dovete perdonare me perché io vi ho già perdonati con la mia morte. “Chi s'abbandona al dolore senza resistenza o si uccide per evitarlo abbandona il campo di battaglia prima di aver vinto” disse un certo Napoleone, gli do ragione ma io non ho più ragioni per rimanere a combattere.
Perdonatemi e io avrò vinto la mia battaglia.
”

 

Si era appena suicidata una ragazza della mia città e su un articolo del giornale era uscita anche questa sua lettera, la professoressa d’italiano ce la fece leggere e ci chiese di scrivere su un foglio anonimo che cosa ne pensassimo.
Tutti si aspettavano una mia risposta dato che io avevo tentato di togliermi la vita un anno prima e in precedenza avevo parlato della mia ‘mancata esperienza’ con quella stessa ragazza della lettera..consegnai un foglio bianco.  Non penso sia carino fare considerazioni su qualcuno che non c’è più, non in quel modo e poi in una classe di trenta alunni un foglio bianco non avrebbe fatto la differenza.
Forse semplicemente non volevo parlare di quel preciso suicidio.. Ricordo le ultime parole che ci dicemmo io  e quella ragazza, Giulia, lei mi ringraziò perché l’avevo ascoltata e perché l’avevo aiutata e mi disse inoltre “ti prego sentiamoci qualche volta”. Mi aveva lasciato il suo numero e io la chiamai un paio di volte..poi smisi di risponderle.. Aveva bisogno di qualcuno e quel qualcuno potevo essere io. Sì, mi sentivo in colpa. Avrei potuto aiutarla una seconda volta. Sapevo come si era sentita, sono stata una stupida.Continuavo a sentire quelle parole ripetersi nella mia mente ''ti prego, sentiamoci'', quel ''ti prego'', la dovevo aiutare.


Scoppiai a piangere in classe e chiesi il permesso alla professoressa di uscire in cortile, lei acconsentì.
-Tutto bene?- mi domandò una voce maschile,un po’ roca, un tono basso.. mi girai ed era il ragazzo inglese, quello nuovo, Harry.
-Non dovresti essere in classe?- risposi io singhiozzando –Sono venuto a vedere come stai.- 
continuai a piangere e mi lasciai cadere sulle ginocchia. –va tutto bene-mi sussurrò lui facendomi alzare, fra le lacrime gli risposi – no, non va tutto bene. Avrei potuto aiutarla, l’avrei potuto fare.- -non è colpa tua. Aveva preso una decisione.-
-Tu non capisci..- -So cosa hai passato, mi hanno detto molte cose di te- – Tu non mi conosci, non sai nulla di me, di quello che ho passato, non ci siamo mai rivolti la parola da quando ti sei trasferito qui in Italia e pretendi di conoscermi?!-
non rispose e io non aggiunsi altro.

Mi fece cenno di sedermi sulla panchina del cortile, mi abbracciò di punto in bianco e rimase lì mentre io mi sfogavo. Al suono della campanella mi scusai con lui per avergli risposto male, -Tranquilla.Noi non ci siamo ancora presentati ufficialmente.- disse sorridendomi, -Piacere Harry.- mi asciugai le lacrime e sorrisi timidamente, -Io sono Rebecca...- e ci riconducemmo verso la classe. Davanti alla porta c’era Anna, lei un tempo era la mia migliore amica, non ci parlavamo da due mesi ormai, si era comportata male, aveva parlato male di me, aveva preso in giro mia madre, aveva parlato di cose personali, che solo lei conosceva e che avrebbe dovuto tenerele per sè.


-Ciao Harry.- gli disse con una voce squillante e divertita quando aveva perfettamente visto che io avevo il mascara colato e cercavo di non guardarla. “e lei era la mia migliore amica? Se nella mia vita ci fossero state solo numerose Anne, io sarei stata una delle tante Giulie.”
Lui le rispose con un sorrisino un po’ falso e mettendomi un braccio attorno al collo la salutò. Lei era verde dall'invidia e io ero rossa per l'imbarazzo. Harry pur essendo nella nostra scuola da sole due settimane aveva capito che tipo era Anna, la classica reginetta della scuola con un sacco di ragazzi ai piedi. Quella che si diverte nel vedere le ragazze non 'popolari' stare male.

Da quando Harry entrò per la prima volta nella mia classe accompagnato dalla preside capii che non era come tutti gli altri.

Lui era semplicemente se stesso quando invece gli altri erano quello che la massa voleva che fossero.

 

-Ci andiamo a prendere una pizza? Magari poi ti senti meglio.-
-ehm..ok..grazie.- risposi io
 balbettando.

 

Nel momento in cui uscii da scuola mi tirarono tre secchiate d’acqua da davanti, da destra e da sinitra e no, non erano i gavettoni di fine anno bensì qualche cattiveria organizzata da qualcuno.
A bagnarmi erano stati Luca e altri due “amici” o meglio scopamici di Anna, lei intanto era sotto un albero che se la rideva con delle ragazze che probabilmente non aveva nemmeno mai visto. Mi sentivo umiliata e arrabbiata, ero stufa di essere sempre la seconda dopo Anna, di non fare mai nulla, di starmene per conto mio sotto la sua ombra, dovevo fargliela pagare e quella era l’occasione giusta. Scoppiai a ridere e  in quel momento mi dimenticai di Giulia, dei miei pensieri, delle lacrime, della pizza, di tutto. Presi un secchio d’acqua che non mi avevano tirato e andai, sempre ridendo, verso Anna
-Rebecca non provarci, non ti azzardare a..-
-Troppo tardi stronza.- nel preciso instante in cui terminavo di dire quella parola, l’acqua l’aveva bagnata tutta e lei, quella che doveva sempre essere perfetta, correva via ricoprendomi di insulti.


Mentre gli altri si riprendevano dallo shock di aver visto la 'spalla' di Anna ribellarsi contro di lei, io tornai a casa.

Sul tavolo c'era un biglietto di mia zia, 


“Becca perdonami ma devo partire. Ho casini a lavoro e non so quando potrò tornare. So che ti sai arrangiare senza di me solo ti prego di non fare saltare in aria la casa. Ti voglio bene.”

Mi andai a cambiare e ad asciugare.

 

CAZZO! Harry! Oddio che stupida e adesso? 
Oh sì, dovrei avere da qualche parte il suo numero, trovato.

-Pronto? Harry..? Perdonami scusa, non volevo è che prima quegli stronzi, poi io ero tutta bagnata e-


-Ti sto aspettando fuori, sempre che tu abbia ancora fame.-


-Non credevo sapessi dove abito.- uscii di casa e lui era lì, ad aspettarmi.

-Hai anche la macchina? Wow.-

-Già.-


-Mi dovrei spaventare? Come fai a sapere dove abito? Mi stalkeri?-
-Forse un po’- disse lui con tono serio, per alcuni secondi rimasi immobile a fissarlo, poi aggiunse

-Sto scherzando, sulla lista dei numeri degli studenti della nostra classe c'è anche la via in cui vivono.-

-Che cosa stupida.-

-Andiamo?- mi chiese lui aprendomi lo sportello.

Sorrisi, mi sedetti e mise in moto la macchina.
“l'indirizzo l'ha preso da lì ma se non l'avessi chiamato sarebbe rimasto là fuori tutta la notte? Non capisco perché era lì fuori casa mia.”





 

  
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