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Autore: Norine    18/03/2013    1 recensioni
La lotta per la sopravvivenza di una bambina orfana nella Russia zarista. Una lotta contro il gelo, contro il vento e contro la morte che si consumerà in una splendida San Pietroburgo, all'oscuro di tutto.
Una lotta contro l'indifferenza della gente, contro la cattiveria umana.
Una lotta persa.
Forse...
Genere: Poesia, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
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Nataliya brancolava nella neve, lungo le strade deserte della città assopita.
Dove andava Nataliya a quell'ora tarda della notte? Dove portava i piedi induriti dai geloni e gli occhi color del mare? In che parte della città?
San Pietroburgo guardava indifferente la sua avanzata, indignata... Che era mai che tale plebaglia si aggirasse per le sue vie dorate?
Che era mai che Nataliya figlia di nessuno, che Nataliya figlia del Natale si accucciasse miseranda alla casa dei conti?

È così che corre la gloria del mondo...
 

Nataliya si tirò i lembi del cappotto logoro sino alle guance, sperando di proteggersi dal freddo e dalla bufera invernale, la figlia di Gennaio. Ma il vento notturno poteva di più dei suoi miseri sforzi, poteva di più di quel poco di lana sgualcita che si teneva addosso.
 

Taglia!
Taglia la faccia! È il vento di Gennaio. Come puoi sperare di sfuggirgli, come osi pensare di sfuggirgli, tu prole di nessuno, Nataliya figlia del Natale?

 
Eri arrogante, arrogante, invero. Lo diceva la religiosa dell'orfanotrofio.
 

Non meriti nulla!

 
Non meritavi nulla Nataliya, figlia del Natale, e la tua storia era segnata che ancora non potevi parlare. È così che ragiona il mondo: da che si nasce, esistono gli eletti e i maledetti, i nobili e gli accattoni. E tu eri una di quelli, Nataliya, una di quelli.
In giro per le strade deserte, senza meta, giorno dopo giorno, alla ricerca di un nuovo padrone da cui farti sfruttare; e le notti passate davanti ad un fiammifero fino all'estremo consumarsi della piccola fiamma. Un effimero bagliore nei tuoi occhi color del mare. Il buio.
Avevi il buio negli occhi, Nataliya, Nataliya figlia del Natale. Ed era per la colpa della tua sciagurata mamma e del tuo povero babbo, d'esser nati accattoni e d'averti fatta accattona.
 

Da un melo non nasce un pero

 
Diceva la donna nella stanza prima di spegnere la luce e di lasciarvi alle vostre paure. Ed è per questo che te ne eri andata dall'orfanotrofio.
Lo sapevi che il vento era così freddo, Nataliya? Sapevi che le strade erano così desolate durante la notte?
Immagino di sì.
Un accattone figlio di accattoni, una Nataliya prole di nessuno, lo sa. Sa come brucia il gelo sulle guance e sa come cadono le dita dalle mani.
 

Ne hai già perse tre, non è vero? Una dopo l'altra, cadono le dita, abbandonano il tuo corpo cadendo rigide nella neve. E hai le mani di una morta, figlia del Natale.
San Pietroburgo costruisce la tua tomba.

 
Nataliya figlia del Natale scrutò la strada larga illuminata dagli austeri lampioni; non sarebbe durata a lungo: era senza un riparo e la notte era semplicemente troppo fredda per poter essere passata nel vicolo.
 

Cammina ancora, Nataliya di nessuno. Se Dio lo vuole, ti salverà. Ma dubito che verrà da te. No, non ci verrà affatto! Perchè il figlio dello Zar è ammalato e se Rasputin non lo curerà qualcuno dovrà pur farlo!
Non sia mai che l'impero resti senza una guida ora che la guerra imperversa.

 
Si avvicinò ad una cancellata di ferro battuto alla moda dei francesi. Grossi fiori parevano essere stati forgiati nel duro metallo e in quel momento brillavano d'una luce siderale e pura con il paesaggio candido e la notte chiara della tempesta che ne nutrivano il prezioso bagliore.
 

Cling, clang. Cadono d'un clangore d'argento i candelotti di ghiaccio,
è la tua corsa contro il tempo, Nataliya figlia di nessuno.
Pensi di potercela fare?
La vita è un soffio,la notte è un brivido.

 
E Nataliya si gettò contro la ringhiera d'argento, gridando.
 

“Per l'amore di Dio! Pietà! Pietà! Per l'amore di Dio!”

 
Uscì la serva dalla casa antica, la lanterna in mano, pronta a scacciare chi avesse fatto rumore. E la vide. Vide Nataliya figlia del peccato. La vide disperata sulla sua barricata, le mani mutilate dentro la terra del padrone.
 

Oltraggio! Oltraggio! Le terre del padrone appestate dalla rogna di quella villana! Sia mai! Sia mai! All'armi! All'armi! Liberate i cani! All'armi! Via la proletaria della terra del padrone!

 
Ed ecco i cani a ringhiarle addosso e la porta richiudersi con un tonfo nel silenzio generale. E Nataliya riprese la sua lenta corsa contro il tempo severo, in quel Gennaio impietoso di San Pietroburgo. La figlia del padrone la guardava dalla finestra scuotendo la testa dolcemente. I riccioli morbidi color delle fragole dondolavano sinuosi lungo il suo collo bianco e nobile.
 

Si muove come un topo, un topo della fogna.
Un essere viscido, un verme, una carogna.
Torna nei bassifondi se devi crepare,
qui non troverai mai nulla da mangiare;
Per quelli come te non c'è possibilità
non voler turbare la mia serenità.
Vattene in silenzio, non osar fiatare
se all'Inferno per sempre non vorrai bruciare.

 
Corse stremata, contrada dopo contrada, mentre il gelo le saliva lungo le vene rendendole sempre più dure sempre più dure.
 

Corri! Corri, Nataliya, figlia del peccato!
Corri, ma non puoi scappare alla tua punizione.
Rea, sei nata povera, rea! E ora la paghi;
la paghi! Dio ti odia.

 
Iniziò ad ansimare, il fiato sempre più corto, l'aria sempre più dura, più irrespirabile nel naso e nella gola.

Sembra fatta di spilli!

 
La città cambiava ad ogni passo che faceva, mostrando gradualmente la sua faccia più vera oltre le cornici dorate, tornando alla polvere, alle mura diroccate e ai vetri rotti.
Corse alla porta di un edificio. Provò ad aprirla, niente.
 

Resti fuori, Nataliya figlia del Natale,
domani non vedrai il giorno ritornare.
Il gelo è il tuo nemico perché gela le fonti
E porta via con sé chi dorme sotto ai ponti.

 
Corse di nuovo. Stare immobili era come morire, il moto era respiro: l’unico modo per dimostrare alla propria solitudine di esistere ancora, di avere da salvare una vita.
La Neva era vicina, la sentiva fluire silente sotto il ghiaccio dell’Inverno, sentiva la sua energia nascosta pulsare come fosse stata sangue, nelle vene, d’estate.
Le vene che sentiva sempre più fredde, sempre più fredde.
 

È la fine?

 
Si chiedeva stanca di camminare, stanca di correre incontro alla Neva gelata. La fine di quanto non sia mai esistito su questa terra? La fine di quello che si impone e di quello che soccombe?
 

È la fine!

 
La Neva apparve statica ai suoi occhi disperati, totalmente indifferente al suo dolore, al lamento della sua carne martoriata, alla sua fame, e ai suoi desideri. Al suo desiderio di vivere. Di vivere quando la morte già le freddava le punta delle dita rimaste con il suo alito infernale.
Scese i gradini che portavano sotto al ponte su cui aveva dormito per molte notti negli anni. In quei suoi primi e ultimi anni di vita che si concludevano allora, in quella notte di Gennaio, ai piedi della Neva ghiacciata.
Pianse.
Le lacrime subito cristallizzate le adornavano le ciglia di una materia cristallina: il frutto del suo dolore, l’ultimo.
 

Sale, sale, sale lungo le membra
La mano artigliata,
Niente è quello che sembra,
Ad una vita spezzata.

 
Si gettò contro il muro grigio di uno dei piloni di sostegno, raccogliendosi le ginocchia al petto seduta per terra, sulla neve.

Piangi, piangi, non c’è nulla da fare
Al destino nessuno sa mai come scampare.

 
Ed ecco che i piedi non le dolevano più, e il freddo spiro della morte si sollevava lungo le vene blu al di sotto della sua pelle candida.
Attimo dopo attimo, il suo corpo si impesantiva, rigido nella sua ultima maschera, quella d’un cadavere sotto ad un ponte sopra la Neva.
E gli occhi azzurri, privati della vitalità del mare, osservano l’ultima luce derivata del candore dei fiocchi, le labbra si aprono dolcemente, il respiro vola, così come l’anima verso il Cielo dei beati.
 

Muore a dieci anni, sulle rive gelate del fiume Neva
La bambina che nel fango e nella miseria viveva
Non muore come i ricchi, come muoiono gli imperatori
Muore come chi troppo dell’Inverno ha patito i rigori
Muore a dieci anni in questo Gennaio strano
Muore come molti, in un sacrificio vano
Va come gli spiriti che l’hanno dominata
Vola con le ali che non l’hanno mai salvata
Prego Dio Gesù che abbia un po’ d’amore
Per un’anima che ha sempre vissuto nel terrore
Prego la Beata e Immacolata Concezione
Di concedere a Nataliya la Sua benedizione
Spero silenziosa mentre la neve cade ancora
Che Nataliya Nessuno riposi nella Sua dimora
Sono passati mesi da quel Gennaio strano
Ecco il mio racconto, spero non sia vano
È finita adesso la guerra contro il mondo
I nobili si agitano in un modo furibondo
Nataliya Nessuno giace ancora insepolta
Ma nel seno di Dio è già stata accolta
I ricchi si vantavano d’averla fatta crepare
Dimenticando sempre che era figlia del Natale.
 



 

 La storia di una Nataliya come tante, senza intenzioni guerresche o altro. E' interessante leggere la storia dal punto di vista dei Romanov, ma credo che sia più giusto, nonostante la loro triste morte, dare ascolto anche alle povere Nataliye figlie di Nessuno.
  
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