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Autore: Trick    18/03/2013    7 recensioni
"«Dimmi qualcosa in gaelico» propose improvvisamente lei.
Remus arrangiò un mezzo sorriso imbarazzato e ci pensò su qualche secondo. Quando parlò, la sua voce era poco più alta di un sussurro.
«Tá brón orm».
«Cosa significa?».
«Perdonami».
"
Prima classificata al contest Paddy's Day indetto da Ferao.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alastor Moody, Fenrir Greyback, Nimphadora Tonks, Nuovo personaggio, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Note di Trick - e stavolta non vedo il motivo di fare troppo bla-bla.
E invece sì, fregati.
1) Il Kilbeggan è una marca di whisky irlandese. Io non l'ho mai bavuto, ma a giudicare dalle lodi che riceve sulweb è quasi un suicidio assistito.
2) Secondo il Lexicon, patria di improbabili riferimenti potteriani, da qualche parte esiste sul serio un tizio di nome Argus Pyrites al servizio di Lord V. che indossava un paio di guanti bianchi. Una mezzapippa dandy, insomma. La nota del Lexicon aggiunge pure che no, non è un personaggio Canon, ma in una prima versione della Pietra Filosofale viene menzionato come l'autore di Alchemy, Ancient Art and Science. A volte mi chiedo se quelli del Lexicon abbiano una vita. Comunque, per quanto non abbia capito chi diavolo sia Argus Pyrites, l'ho rapito per i miei sporchi fini narrativi.
3) La traduzione italiana di termini come Muggleborn, Halfblood e Mudblood fa pena. La Salani non ha afferrato il concetto e ha fatto un gran minestrone. Io ho usato i termini Nato Babbano, Mezzosangue e Sanguesporco, sennò qua aggiungiamo pure le patate arrosto. Insomma, Mezzosangue non è considerata un'offesa in sè, facciamocene una ragione.



*
Santi di cartastraccia

Capitolo Due
San Pietro – Fui l'unico a rinnegare



Gesù gli disse: «In verità ti dico, proprio tu, oggi, in questa stessa notte,
prima che il gallo canti due volte mi rinnegherai tre volte».
Marco, 14, 30


Il bugigattolo in cui Remus abitava non era nemmeno lontanamente paragonabile a una casa. Era una stanza misera e umida, con la carta da parati resa verdognola dalla muffa e il linoleum del pavimento macchiato da decenni di suole di scarpe. Puzzava di freddo e di roba vecchia, le tende delle uniche due finestre erano piene di buchi di tarme, il letto stava in un angolo e una malridotta cucinetta a gas stava dall'altro. In mezzo c'erano solo un vecchio tavolino traballante, una sedia dalla paglia sfilacciata e decine di pile di libri pericolanti.
Quando il campanello suonò la prima volta, Remus non si mosse. Rimase seduto a terra, con la schiena appoggiata al bordo duro del materasso e il capo piegato all'indietro. A pochi centimetri dal suo piede, giacevano una bottiglia di Kilbeggan e un libro dalle pagine ingiallite. C'erano un paio di gocce di whisky ambrate sulla copertina logora.
Il trillo assordante del campanello risuonò di nuovo. Si udì una serie di feroci colpi alla porta, la voce tonante di Alastor Moody che imprecava, ancora il campanello, e poi la porta venne spalancata con violenza. Moody zoppicò nella stanza ed emise un roco borbottio sarcastico.
«Complimenti, Lupin. Questa porta è proprio quello che definisco “un ostacolo insormontabile”».
Le dita di Remus si strinsero attorno al collo freddo della bottiglia. Le sue labbra si piegarono appena in una smorfia sofferente.
«Abbiamo vinto la guerra» sbuffò. Sollevò il volto verso il mago più anziano e inarcò un sopracciglio. «I Mangiamorte non sono più appostati dietro la mia cassetta delle lettere. Fra l'altro, Moody... hai visto se mi è arrivata la bolletta della luce?».
Di reietti e disperati, Alastor Moody ne aveva visti tanti.
Era stato uno dei pochi sopravvissuti alla guerra contro Gellert Grindelwald e quel massacro di giovani maghi dominava ancora i suoi incubi. I compagni che avevano fatto ritorno a casa insieme a lui avevano conservato il suo stesso sguardo alienato, gli stessi nervi tesi, la stessa lingua pungente. Era il fiato della morte che era rimasto loro appiccicato addosso: eccola, la medaglia d'oro al valore. E poi era arrivato Lord Voldemort e si era preso i migliori di loro che erano resistiti. E Remus Lupin... Remus Lupin alla fine era sopravvissuto. Alastor se l'era aspettato.
Fra i giovani membri dell'Ordine della Fenice, Remus era sicuramente il più gracile. Era alto e dritto come un fuso, con i capelli biondicci arruffati fino alle spalle, le clavicole sporgenti e un velo di barba con cui cercava di sentirsi uomo. Nonostante il malsano pallore e le pesanti ombre scure sul volto, il suo sguardo era vispo e attento. Ed era cauto – più cauto di quanto non avrebbero mai potuto essere i suoi amici. Era una qualità che Moody aveva imparato ad apprezzare solo nel corso degli anni, fin quando non aveva lasciato l'audacia agli eroi caduti e si era accontentato della cautela dei sopravvissuti.
Dell'astuto ragazzino a cui Moody aveva insegnato a combattere non era rimasto che uno spettro sbiadito accovacciato ai piedi di un letto disfatto. Quello davanti a lui era probabilmente il ragazzo dall'aspetto più morto che avesse mai visto.
Remus giocherellava con la bottiglia, fissandone concentrato il contenuto che vi ondeggiava all'interno. Moody infilò le mani nelle tasche e gli rivolse un'occhiata critica.
«Se non ti rialzi in fretta, non ti rialzerai più».
«Le mie condoglianze».
«Non fare l'idiota, ragazzo». Afferrò la sedia, la ruotò di fronte a Remus e vi si lasciò cadere con solenne stanchezza. Alastor Moody apparve d'un tratto in tutta la durezza dei suoi anni. «Non sono venuto per darti una pacca sulla spalla. Nella mia vita ne ho ricevute tante, e ti giuro che mi ha fatto meno male perdere la gamba».
Una luce pericolosamente ferina attraversò gli occhi di Remus. Piantò i denti nel labbro inferiore e storse il naso con incredibile sdegno. La mano rigidamente serrata attorno al collo della bottiglia ebbe un tremito.
«Perché diavolo sei venuto?».
Il viso di Moody venne deformato da un orrendo sorriso rassegnato. Le cicatrici che gli solcavano la pelle come una raccapricciante ragnatela si storsero in sottili linee chiare. Non era il sorriso di un uomo: era il sorriso di una maschera di carne.
«Per ricordarti che sei vivo. Ero sicuro te ne saresti dimenticato. Eppure sei ancora qua, ragazzo. Mi hai fatto vedere che sai combattere come un uomo. Adesso rialzati come un uomo».
Remus non rispose. I suoi occhi non lasciarono per un solo istante i contorni distorti del volto del vecchio Auror. Poi si mosse con improvvisa rapidità, sbatté a terra la bottiglia, afferrò il libro e lo aprì con un gesto nervoso a una pagina segnata con una piega nell'angolo superiore. Il ragazzo si umettò le labbra con un'espressione di diabolica malizia e tese il piccolo volume davanti a sé. Moody riconobbe solo in quel momento la sagoma sbiadita di una croce impressa sulla copertina di pelle.
«“Beati i poveri, perché di essi è il regno dei Cieli”» sputò sdegnato Remus. «“Beati gli afflitti, perché saranno consolati”».
Moody abbassò le palpebre e soffocò un rauco borbottio stanco nella gola. Si passò una mano sul viso e scosse il capo.
«Lupin, piantala».
Ma il ragazzo non diede segno di averlo sentito. Riafferrò la bottiglia e si alzò in piedi con aria instabile, rovesciando qualche goccia di whisky sul pavimento. Reggeva la Bibbia con baldanzosa teatralità.
Ventun anni” pensò Moody con dolore. “Due in meno di quanti non ne avessi io quando ho vinto la mia prima guerra”.
«“Beati i miti perché erediteranno la terra”» continuò con enfasi crescente Remus. «“Beati gli affamati e gli assettati di giustizia, perché saranno saziati”».
Portò alle labbra la bottiglia e ne scolò un lungo sorso. Poi sollevò lo sguardo dalla Bibbia e scoccò a Moody un'occhiata tagliente. Emise uno sbuffo nauseato e gettò a terra il libro. Le vecchie pagine sibilarono l'una con l'altra mentre si ripiegavano. Remus iniziò a muoversi nella stanza come un lacero leone in gabbia. Moody non riuscì a contenere lo stupore nel sentirlo continuare a memoria quella recita fastidiosa.
«“Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”. Tu sei mai stato misericordioso, Moody?».
«Lupin...».
Lui continuò a ignorarlo. Bevve con più foga, bevve come se non desiderasse che strozzarsi con quel whisky irlandese da due soldi e calciò brutale una pila di libri. Moody non si scompose. Remus continuò a marciare con aria invasata. I suoi occhi erano arrossati dal pianto e dalla mancanza di riposo, luccicavano di lacrime di furia e dolore che non era più in grado di trattenere. Ormai la sua voce non era che un sibilo rabbioso – e sul suo viso era comparso il fantasma del lupo che tanto disperatamente cercava di soffocare.
«“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”. Credi che Peter veda Dio, ora? Dimmi, Moody... credi lo veda?». Un altro sorso di whisky, un altro sputo di parole. «“Beato chi opera per la pace, perché sarà chiamato figlio di Dio”».
«Tutta questa recita te li riporterà indietro?».
Remus parve calmarsi. Si bloccò di colpo in mezzo alla stanza, deglutì a fatica, agitò la testa e si morse le labbra, ma ormai aveva le guance pallide rigate da lacrime silenziose. Pareva si stesse sciogliendo lui stesso fra i libri rovesciati e il whisky che continuava a scivolargli fra le dita. Ma poi scattò ancora con rinnovata energia, e Moody alzò davvero gli occhi al cielo nel vederlo dirigersi verso la piccola cucina e piegarsi per aprire un cassetto dal quale estrasse un pacchetto stropicciato di sigarette morbide. Remus se ne portò una alle labbra e gli lanciò d'istinto le restanti. L'altro le afferrò al volo e se le rigirò disgustato davanti a ciò che restava del suo naso.
Rothmans senza filtro”.
«Tua madre non è Babbana?» lo apostrofò grave. «Non ti ha detto che questa roba fa male?».
Il ragazzo tirò una prima isterica boccata e sbuffò divertito.
«“Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli”» riprese. «Lily e James sono andati là, Moody. Lo sapevi? Io li ho visti scendere tre metri sotto terra, ma qua sembrano tutti convinti che siano andati un po' più in alto».
Moody si alzò di colpo e batté un pugno sul tavolo.
«Per la grazia di Merlino, ragazzo, ora basta!».
«Sto parlando con la grazia di Dio, non con la tua!» ruggì con folle disperazione. «“Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e vi mentiranno, dicendo ogni sorta di male contro di voi per causa mia”. Un Lupo Mannaro: questo è ciò che sono. Questo è ciò che sarò per sempre. Questo è il modo in cui la gente mi chiamerà fino alla fine dei miei giorni. Cosa ne pensi, Moody? È “a causa di Dio” che tutto questo è successo? È per questo che sono morti!?».
Fece un passo avanti e uno indietro, a destra e a sinistra, come se avesse perduto la concezione di tempo e spazio. Poi scagliò la bottiglia di Kilbeggan contro la parete opposta. Il vetro s'infranse con uno schianto acuto. Il whisky iniziò a scivolare verso il pavimento in decine di rapide gocce giallognole. All'aria già stantia della stanza si riempì l'acre aroma dell'alcol. Quell'ultimo impetuoso gesto parve svuotare Remus di tutta la sua determinazione. Si appoggiò con una mano tremante al muro e abbassò sconfitto la testa. I lunghi capelli biondicci gli coprirono il viso, ma Moody vedeva la sua schiena alzarsi e abbassarsi al ritmo del pianto.
«“Rallegratevi...”» biascicò Remus allo stremo. «“Esultate... perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”».
Moody non si avvicinò. Rimase fermo accanto al tavolo, fissandolo singhiozzare pietosamente con la fronte appoggiata a una carta da parati ammuffita. C'erano state troppe scelte sbagliate in quella guerra, troppi errori, troppa fiducia in capacità che non erano mai state all'altezza delle aspettative... e ora tutto si concludeva lì, in un misero monolocale pregno dell'odore della sconfitta. La loro grande battaglia, le loro speranze, la loro tempra... lo spettro di ciò che di esse rimaneva era lì, accanto a un ragazzo poco più che ventenne già spezzato dalla morte e a un veterano dell'Inferno che non conosceva il modo per raddrizzarlo. Non c'era alcun modo per rimettersi davvero in piedi: traballare senza appigli era il premio di consolazione per i sopravvissuti.
Devi rialzarti, ragazzo” pregò fra sé e sé Moody. “Con Dio o senza Dio... questo non importa”.

*

C'erano molte persone che Remus non si sarebbe mai aspettato di vedere davanti alla porta della casa di sua madre. Kinsale era un villaggio di poca gente, ed era tutta abituata a farsi gli interessi altrui solo in piazza. Tutti gli altri – tutti quelli che erano entrati nella vita di Remus senza mai passare per Kinsale – facevano parte di una folla di facce che non aveva programmato di rivedere.
E invece Alastor Moody era fermo sul primo gradino di pietra, con le mani infilate in un anonimo soprabito Babbano e un ridicolo cappello di feltro piegato in modo da celare l'occhio sinistro.
«Ti trovo in pessima forma, Lupin» esordì svelto, mentre si insinuava con altrettanta velocità nel piccolo ingresso. «Plenilunio alle porte?».
Totalmente spiazzato dalla sua visita, Remus rimase fermo con la mano sul pomello per qualche secondo. Quando si voltò, la sua espressione era impenetrabile.
Moody si diresse incurante nella cucina, levò il cappello e mostrò con orgoglio un orrendo occhio di un intenso azzurro che roteava in un'orbita che Remus ricordava vuota. Il ragazzo emise un verso disgustato.
«Quell'affare fa paura, Moody».
«“Malocchio”. È così che mi chiamano adesso».
«Piuttosto azzeccato» commentò sbrigativo Remus, avanzando verso il fornello a gas e spostando il bollitore dalla fiamma.
L'anziano Auror si sedette su una sedia e appoggiò il mento alla mano. A Remus non sfuggì la difficoltà con cui muoveva la gamba di legno.
Sono passati sette anni e ancora non si è abituato”.
«Non mi chiedi cosa ci faccio nella tua cucina?» sbottò sarcastico Moody.
«Scommetto che non sei qui per prendere una tazza di tè».
L'occhio magico dell'uomo si ribaltò d'un tratto all'interno del suo stesso cranio e Remus fece una smorfia ancora più nauseata.
«Ora capisco perché non ti chiamano “Bellosguardo”» scherzò con un mezzo sorriso.
«Ognuno si porta addosso le cicatrici che ha meritato» ribatté pungente. Remus non raccolse la provocazione, così Moody proseguì. «Sono qui per offrirti un lavoro».
«Ce l'ho già, un lavoro».
«Sì, me l'hanno accennato. Com'è la vita in miniera?».
«Non è una miniera, è solo un vecchio deposito di carbone».
Moody emise un lungo sbuffo stizzito.
«Uno con la tua testa che sposta a mano carriole di carbone...».
«Con la mia testa, con i miei artigli e con le mie zanne» lo corresse pacato Remus, facendo le spallucce. «Dimmi qualcosa che non so, Malocchio».
Moody infilò una mano nella tasca interna del soprabito, estrasse una pergamena giallastra ripiegata su se stessa e gliela porse. Remus la afferrò con lieve esitazione, la dispiegò e scorse rapidamente una lunga lista di nomi che non gli ricordavano nessuno che avesse conosciuto.
«Sono gli invitati alla tua festa di compleanno?».
L'uomo ignorò la sua battuta.
«Magari lo fossero. Farei meno fatica a strozzarli uno per uno».
Remus aggrottò confuso la fronte e rilesse ancora i primi nomi. “Hesper Gamp, Howland Coopey, Hamish MacFarlan”. Cercò di abbinare un viso a ognuno di essi, ma non ottenne alcun risultato.
«Chi sono?».
«Quelli rimasti fuori».
«Rimasti fuori... da dove?».
«Da Azkaban» replicò con ovvietà Moody. «Sono i quarantatré maledetti figlia di cagna che ci sono scappati. La linea ufficiale del Ministero è che abbiamo la situazione sotto controllo. La linea ufficiosa ce l'hai fra le mani».
«E dovrei conservarla per spedire gli auguri di Natale?».
L'occhio normale di Moody si assottigliò minacciosamente. Scrutò il mago più giovane con estrema attenzione, poi scosse la testa divertito e disse:
«Da quando sei diventato così sarcastico?».
«Da quando tu sei diventato così diplomatico» replicò prontamente Remus. «Avanti, Moody. Smetti di girarci attorno: cosa vuoi che faccia?».
«Il Ministero se ne è lavato la mani. Se la notizia trapelasse al di fuori del Quartier Generale degli Auror, la comunità magica andrebbe fuori di testa. Riesci a immaginarlo? Sono passati sette anni dalla sconfitta di Voldemort e c'è ancora gente che non si azzarda a pronunciare il suo nome. Credono possa rispuntargli di colpo da sotto il letto... e più il tempo trascorre, più beccare questi bastardi diventa difficile» si fermò e mostrò i palmi ruvidi con aria rassegnata. «Sei l'unico membro dell'Ordine che può farlo».
Remus inarcò un sopracciglio e gettò la pergamena sul tavolo.
«L'Ordine della Fenice esiste ancora?».
«Esisterà fin quando esisteranno Mangiamorte fuori dalle mura di Azkaban».
«E perché lo stai proponendo a me?».
Moody gli scoccò un'occhiata di fuoco.
«Non fare l'idiota, ragazzo. Sai perché».
«No, non lo so» rispose franco Remus, intrecciando le braccia al petto e guardandolo con sfida. «Eravamo in tanti, ma tu sei venuto da me. I casi sono solo due: o tutti hanno declinato la gentile offerta o tu sei disperato».
«O forse tu sei il migliore, razza di idiota».
La schiettezza feroce di quel complemento lasciò Remus senza parole. Moody non era facile agli elogi – e quando li faceva era abile a camuffarli da rimprovero. Si passò una mano fra i capelli troppo lunghi e soffiò infastidito.
«Perché non te ne occupi tu?».
«Perché tu hai bisogno di fare qualcosa di vivo più di quanto non ne abbia io. Merlino, Lupin... guardati» ringhiò con voce paternalista. «Sei lo straccio del ragazzo che sei stato un tempo».
Remus assottigliò risentito le palpebre.
«Sono ciò che la guerra mi ha reso».
«No, ragazzo» lo corresse duramente Moody, sollevando la pergamena e scuotendola con eloquenza. «Sei ciò che questi bastardi ti hanno reso. Ti hanno distrutto, ti hanno svuotato, ti hanno ammazzato... e tu hai permesso loro di farlo».
Quelle parole parvero scuotere il giovane fin nelle più torbide profondità del suo animo, ma rimase immobile come una statua. Moody lo aveva visto di rado perdere quel fare calmo e ragionevole con cui si era sempre distinto. Perfino quando era un ragazzino appena maggiorenne con la testa piena di sogni di vittorie e grandi battaglie contro le Arti Oscure sapeva essere compito come un piccolo soldatino di piombo. Erano doti che Moody apprezzava molto, ma sapeva fin troppo bene che il cuore di Remus Lupin era molto più agitato e suscettibile di quanto non si potesse credere.
Fra i suoi amici, era il più pericoloso” ricordò con triste nostalgia. Era una constatazione tremendamente vera. Moody era rimasto sconcertato nel rendersi conto che quel ragazzo pallido e ossuto era il più temibile giovane mago che avesse mai incontrato. Anche James Potter era molto talentuoso, ma era troppo nobile per sperare di vincere una guerra in cui occorreva sporcarsi le mani; al contrario, Remus vantava quella razionalità un po' cinica che divideva gli eroi dai soldati.
Moody non aveva dimenticato la prima volta in cui aveva dovuto uccidere un uomo, e di certo non lo aveva fatto nemmeno Remus. Era stata una battaglia cruenta e mortale. C'erano state esplosioni di vetri, intere strade squarciate sotto il cielo di Londra e un sacco di Babbani morti. Remus aveva combattuto al fianco di Moody. Avrebbe compiuto diciotto anni il mese successivo, ma la ferocia e la determinazione con cui aveva scagliato il suo primo Anatema Che Uccide contro un Mangiamorte non era quella di un ragazzino. Era quella di un uomo che aveva scordato l'infanzia, quella di un bambino che non l'aveva mai davvero assaporata...
Ragazzo, stai bene?” gli aveva chiesto più tardi.
Gli Obliviatori e gli Auror del Ministero della Magia affollavano ciò che restava del quartiere più a nord dell'Essex con le mani nei capelli e lo sguardo sconvolto. C'era ancora gente che correva disperata, Babbani fuori controllo e Frank Longbottom aveva appena trovato un pezzo della gamba di Benjy Fenwick. Remus era seduto sul ciglio di un marciapiede e si fissava pensieroso i palmi della mani. Quando aveva sollevato il volto, Moody si era stupito nel vedergli un'espressione tanto vuota.
Mia nonna ripeteva spesso che siamo tutti schiavi del peccato” aveva commentato con aria distratta. “Sono parole di Gesù, lo sapevi? Chiunque commette peccato è schiavo del peccato. Lo disse ai farisei che desideravano lapidare l'adultera. Se quella donna fosse capitata fra le mani di Mosè, Mosè sarebbe stato il primo a colpirla”.
Moody aveva sgranato gli occhi e lo aveva fissato come se fosse improvvisamente uscito di senno.
Non sapevo credessi in Dio”.
Remus aveva annuito piano.
Non era affatto raro imbattersi in Mezzosangue o Nati Babbani di religione protestante. Con il trascorrere dei secoli, era diventato incredibile trovare un mago o una strega ancora fedele agli antichi culti della natura, e l'ingresso di un numero sempre maggiore di figli di Babbani a Hogwarts aveva distrutto la barriera che aveva sempre diviso la magia dalla fede cristiana.
Tuttavia, c'era qualcosa di malsano in Remus, qualcosa di atipico che Moody non era mai riuscito a inquadrare... forse era a causa della sua licantropia. Era una delle tante logiche fin troppo sbagliate che il mondo non aveva voglia di scrollarsi di dosso: era un Lupo Mannaro, dopotutto. Chi avrebbe mai pensato che potesse credere in Dio?
È una storia buffa” aveva continuato a raccontare il ragazzo, e Moody non l'aveva interrotto. “Ho sputato nell'acquasantiera perché il parroco mi ci stava affogando dentro. Non so se vale come battesimo cattolico”.
Cattolico?” aveva ripetuto stupito.
Sono irlandese. Lo è mia madre, almeno”.
So che tua madre è irlandese. Non sapevo fossi cattolico”.
Dio ha ucciso un sacco di gente per liberare il popolo d'Israele”.
Moody aveva inspirato profondamente e si era cacciato entrambe le mani nelle tasche. Si era mosso un po' a disagio sui piedi, senza distogliere gli occhi da quel ragazzetto pallido e confuso. Conosceva la sensazione di smarrimento provocata dalla guerra.
Tienilo a mente: è un pensiero che potrebbe tornarti utile”.
Remus aveva scosso veemente la testa e si era guardato i palmi di nuovo.
Io lo volevo morto” aveva sputato con enfasi. “E non mi sento in colpa. Non mi sento nemmeno male. Ho ucciso un uomo e non sento niente. Sono solo... incredulo. Non credevo di riuscirci. E non sento di aver peccato contro Dio. Dovrei?”.
, aveva pensato Moody. È quello che sentii io.
Se tu non l'avessi ucciso, lui avrebbe ucciso te e poi chissà quanti altri poveri disgraziati”.
Il ragazzo aveva storto appena il naso e si era grattato la nuca. Un'ombra cupa gli aveva attraversato di colpo il viso.
Chissà se a San Pietro basterà come scusa”.
E ora, sette anni più tardi, davanti a lui c'erano i resti di un soldatino di piombo che appariva più vecchio di quanto non fosse mai davvero stato. Remus gli prese la pergamena fra le mani e la rilesse per l'ennesima volta con espressione distante ed enigmatica. Nel scorgere il dubbio e l'incertezza sul suo volto, Moody trovò la forza per sputare fuori il suo più agghiacciante timore.
«Silente crede che non sia ancora finita».
Remus alzò gli occhi. Per un attimo parvero quelli di un bambino sperduto, ma quando parlò la sua voce era forte e sicura.
«E tu gli credi?».
«È Silente» rispose con naturalezza. Apri le mani con aria interrogativa e aggiunse: «Coraggio, Lupin. Fa' la tua scelta. Da una parte hai delle carriole di carbone e dall'altra hai quarantatré cani rognosi che non aspettano altro che il ritorno del proprio padrone».
«Peccato che la parte che mi paghi sia quella con il carbone».
Moody emise un verso un po' scettico.
«Non pensavo saresti finito a dare un prezzo al tuo onore. Non tu».
Le labbra di Remus si arricciarono in un sorriso privo di gioia. Ripiegò la pergamena e la infilò nella tasca posteriore dei pantaloni, ma non disse altro.

*

Remus aveva sempre pensato che Dublino fosse una città meravigliosa sotto tantissimi aspetti, solo che lui capitava sempre in quelle più schifose. Erano quelle in cui gli scarichi fognari avevano dei problemi e si rigettavano in strada quando pioveva. E quella era Dublino, e a Dublino pioveva davvero tanto.
Dio ha fatto l'Irlanda per poterci vendere gli ombrelli” ripeteva spesso Branna Lupin. Con il trascorrere degli anni, Remus aveva fatto sua quella citazione. Pioveva pure quel giorno: l'acqua scendeva dalle grondaie dei palazzi popolari del quartiere industriale e formava fangose pozzanghere accanto ai marciapiedi. I pantaloni scuri di Remus erano inzaccherati fino a metà polpaccio.
Maledisse l'assenza del proprio mantello. Era frusto e rattoppato con decine di pezze differenti, ma perlomeno lo avrebbe tenuto asciutto. Peccato solo che Dublino non fosse abbastanza magica per sopportare la presenza di un mago incappucciato. In compenso, sembrava abbastanza infame per nascondere uno dei quarantatré Mangiamorte ufficiosamente scappati dal proprio processo davanti al Wizengamot.
Argus Pyrites era il quindicesimo nome della lista che Remus conservava gelosamente fra le ultime pagine della Bibbia che un tempo era appartenuta a Gormlaith O'Buckley. A Remus erano servite intere settimane per rintracciarlo, ma la fitta rete di derelitti e disgraziati che affollavano i bassifondi non l'aveva mai tradito. Moody gli aveva insegnato bene quali nervi scuotere. “Sei un Lupo Mannaro, ragazzo. Non piangerci sopra e sfrutta il timore che puoi incutere a quella feccia di ladri e fattucchiere”.
Willy Wimple era quello con la lingua più sciolta e l'alito più nauseante di tutti.
Lo cerchi nel paese sbagliato, Lupin. Dicono sia scappato in Irlanda”.
Dicono anche che l'Irlanda sia un paese grande, Willy”.
Il macilento ricettatore si era stretto nelle spalle ossute e si era passato una mano fra i corti capelli rossicci.
Eh, che ti posso dire? Questo è quello che so”.
Dollymount, ecco dove si era rintanato Pyrites con tutto ciò che era rimasto del suo conto alla Gringott. Remus aveva trovato piuttosto ironico il fatto che uno degli ultimi sostenitori di Lord Voldemort si stesse nascondendo in uno dei quartieri Babbani più miseri di Dublino. Ma, dopotutto, lui era una Creatura Oscura che dava la caccia ai Mangiamorte su ordine di un Auror visionario con un occhio solo – c'era ironia nascosta un po' dappertutto.
Pyrites uscì da una piccola porta dalla vernice scrostata che si affacciava in un viottolo secondario. In una mano reggeva l' ombrello e nell'altra la spazzatura. Sogghignando sotto i baffi, Remus si affrettò ad attraversare la strada. Fece scivolare la bacchetta fuori dalla manica della camicia sinistra e si insinuò alle sue spalle.
«Pessima giornata, eh?» disse con voce roca.
Preso in contropiede, il Mangiamorte sobbalzò e si voltò spaventato. Fissò per qualche istante Remus, ma non lo riconobbe. Pyrites aveva una faccia squadrata e rubizza, con due grosse labbra sporgenti e gli occhi ravvicinati. Era stato uno dei più sanguinari uomini al servizio di Lord Voldemort: ora sembrava solo un uomo sciupato con un brutto viso cavallino. Gettò il sacco della spazzatura e alzò il mento con aria sospettosa.
«Che diavolo vuoi?».
«Ti porto i saluti di Edgar Bones e dei suoi figli morti».
Il colore scivolò via dal viso di Pyrites. Lasciò cadere l'ombrello e tentò di sfrecciare nella direzione opposta, ma a Remus fu sufficiente un pigro movimento della bacchetta per atterrarlo fra le pozzanghere. L'uomo si contorse a terra, si rigirò sulla schiena e lo guardò con crescente terrore. Boccheggiava e squittiva come un piccolo topo in trappola. I suoi occhi si spalancarono nel vedere il volto cereo di Remus.
«R-Remus Lupin...» pigolò. Scosse il capo con veemenza, senza distogliere lo sguardo atterrito dalla punta della sua bacchetta.
Remus inarcò sarcastico un sopracciglio.
«Mi aspettavi?».
Pyrites si conficcò i denti nel labbro inferiore.
«I-io... io non c'entro niente con quella storia. Io so cosa stai facendo...».
«E cosa sto facendo?».
«So di Hesper...» lo accusò con decisione. Per un attimo parve tornare il presuntuoso mago era stato un tempo. «Hesper Gamp. L'hanno trovato morta nel suo appartamento».
L'espressione di Remus era gelida e impietosa. Schioccò la lingua e inclinò appena il capo. Un ciuffo di capelli bagnati gli scivolò sulla fronte.
«Non era il suo appartamento. Era l'appartamento di una Babbana di nome Betty Dorkins. Aveva due figli, tre nipoti e un'adorabile femmina di Yorkshire di nome Coco».
«L'hai ammazzata».
«Chi? L'adorabile Coco?» replicò con pungente umorismo Remus. «No, è sparita. Temo che Hesper Gamp se la sia mangiata».
La gloria perduta guizzò d'improvviso negli occhi di Pyrites. Storse con disprezzo il grosso naso e scandì ancora:
«E tu hai ammazzato lei. Dimmi, Lupin, quale dannata carogna del Ministero ti ha sguinzagliato in giro per la Gran Bretagna? Credevo aveste tutti le mani pulite, laggiù».
Remus scoppiò in un'amara risata.
«Ti sembro un impiegato ministeriale? Il Dipartimento per il Controllo e la Regolarizzazione delle Creature Oscure muore dalla voglia di mettere le mani anche su di me».
«Ma tu lavori per loro».
«Io lavoro per me. Lavoro per la gente come Betty Dorkins. Lavoro per la gente come Edgar Bones» negò con un piglio di furioso orgoglio. «Lavoro per riconsegnare ognuno di voi all'inferno che continua a sputarvi fuori».
«Che bestia piena di onore».
Remus si stupì della velocità con Pyrites si lanciò sull'ombrello abbandonato ai suoi piedi. Ne staccò l'impugnatura ricurva, rivelando una piccola e storta bacchetta magica. Tutto parve muoversi a rallentatore – o forse era solo la percezione di Remus, forse dipendeva tutto dal fatto che se lo era aspettato. Forse era semplicemente la forza dell'abitudine.
La bocca di Pyrites si aprì per scandire la maledizione e nella mente di Remus riapparvero i profili ormai dimenticati dei volti dei piccoli Bones, riversi nel soggiorno con le morbide guance ancora rigate di lacrime. C'era stato anche Argus Pyrites, quella notte. Era il Mangiamorte che aveva evocato il Marchio Nero dopo il tremendo assassinio.
Un lampo di luce verde illuminò il vicolo buio, esplodendo nelle pozzanghere e dipingendo labili ombre smeraldine sul volto impassibile di Remus. Pyrites era un cadavere ancora prima di sprofondare sul ciglio del marciapiede. Remus rimase per qualche minuto immobile sotto la pioggia fredda, fissando con aria vaga il corpo dell'uomo. Moody non ne sarebbe stato particolarmente lieto, ma quello era lo scotto da pagare per poter consegnare al Ministero i quarantatré ex-Mangiamorte. Remus era un uomo paziente, ma trovava piuttosto irritante quando non riusciva a convincerli entro i primi due minuti a seguirlo al Ministero.
C'erano taglie sulle teste di ognuno di loro in attesa di essere riscosse da oltre sette anni. Da morti valevano un po' meno, ma Remus non aveva mai posseduto abbastanza denaro per imparare a interessarsi di guadagni e investimenti.
Devo ucciderli?” aveva domandato a Moody con impietosa franchezza.
Il vecchio Auror lo aveva guardato con tetra serietà e aveva sbottato:
Fa' quello che vuoi”.
Agitò la bacchetta a mezz'aria ed Evocò la vecchia Bibbia di sua nonna. La aprì all'ultima pagina, dispiegò la pergamena di Moody e cancellò il nome di Argus Pyrites dalla lista.
Solo altri ventotto” contò mentalmente. La sua attenzione ricadde per la millesima volta sulla stropicciata fotografia magica che non aveva mai avuto il coraggio di gettare via.
All'epoca aveva quindici anni e credeva che Hogwarts e i Malandrini fossero un'istituzione immortale. Erano tutti e quattro seduti sui gradini della capanna di Hagrid. James portava gli occhiali storti sul lungo naso, il suo sorriso era vivace e beffardo, e aveva il braccio di Sirius attorno al collo. Quello sfoggiava un'espressione spavalda sul bel viso elegante e i capelli lunghi ricadevano scompigliati sulle spalle. Peter si mordicchiava le unghie e ridacchiava sotto i baffi delle loro battute, scrutando dal basso verso l'alto con aria ammirata... e poi c'era lui, con un mezzo sorriso un po' timido, un sopracciglio appena inarcato e un grosso libro di Aritmanzia stretto fra le braccia. Remus sollevò la fotografia e la rigirò. La sgangherata calligrafia di James non era ancora sbiadita del tutto.
Fatto il misfatto.
Remus ripeté mentalmente quella frase per parecchi secondi – era un rito, ormai, era il suo personale modo di chiedere perdono a chiunque fosse stato incaricato di ascoltarlo.
«“Colui che colpisce un uomo causandone la morte, sarà messo lui stesso a morte”» recitò fra i denti. Ricacciò la fotografia e la pergamena all'interno della Bibbia e ispirò profondamente. “Amen”.
Mentre si allontanava sotto la pioggia, tuttavia, realizzò che l'unico a essere sopravvissuto era quello che più di tutti aveva trovato la forza di colpire  altri uomini.

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