Film > Sherlock Holmes
Segui la storia  |       
Autore: Haibara Stark    18/03/2013    3 recensioni
"Se fosse stato un po’ più attento, come era sempre solito fare, probabilmente Sherlock Holmes avrebbe sentito il cuore del dottore incrinarsi. Segretamente sperava di cogliere questo leggero suono, lo stesso che aveva fatto il suo di cuore quando aveva capito che non sarebbe riuscito a convincere il vecchio amico a restare, a non sposarsi. Ma lui non sapeva niente di sentimenti, era risaputo, e non si accorse di come esso ebbe invece prodotto un suono forte e sordo. " || Holmes lascia il Paese per seguire un caso ed al suo ritorno porta con sé una (s)gradita sorpresa al dottor Watson. Misteri, bugie e segreti. I nostri protagonisti si trovano ad affrontare i loro fantasmi, mentre un nuovo antagonista cospira avvolto nell'ombra.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Movieverse | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quel giorno il buon dottore era stato costretto a fare un giro di visite a domicilio più lungo del solito ed aveva approfittato dei lunghi viaggi in carrozza per riflettere sul da farsi, arrivando alla conclusione che sarebbe rimasto ad aspettare Holmes anche fino a notte fonda, se necessario, pur di parlargli. Oltre ai suoi sospetti, Watson voleva ancora delle spiegazioni dal detective riguardo al suo affrettato matrimonio, di cui aveva avuto modo di discutere solo con la sua consorte, e Holmes certamente gliele doveva. Stava ancora rimuginando su questi fatti mentre svoltava in Baker Street. Il suo ultimo paziente abitava a solo un isolato di distanza e questo lo aveva portato a prediligere un ritorno a piedi. Probabilmente, però, se avesse preso una carrozza non si sarebbe trovato così lontano dal 221B quando vide un ragazzo entrare senza problemi scassinando la porta d’entrata. Il dottore aumentò il passo, pensando a Mrs. Hudson e Mrs. Hope, ed in poco tempo raggiunse l’edificio. Prima di entrare con cautela, notò che la porta non sembrava minimamente forzata e se non lo avesse visto coi propri occhi non si sarebbe accorto di nulla. Chiuse lievemente la porta, senza staccare gli occhi dalle scale e tenendo stretto il suo bastone tra le mani, maledicendosi per non avere con sé il revolver. Cercò di captare qualche rumore, ma ciò non avvenne ed iniziò a salire lentamente su per le scale. Aprì con cautela la porta del loro appartamento e guardò all’interno. Non vi era nessuno e tutto pareva al suo posto. Entrò, sempre facendo attenzione a non emettere alcun suono e guardandosi intorno con attenzione, per poi avviarsi verso il suo studio, la cui porta era socchiusa. Si appiattì contro il muro e con una mano iniziò ad aprire lentamente la porta, mentre con l’altra era già pronto ad estrarre la spada…
“Dottor Watson?”
Sussultò, voltandosi di scatto. Hope lo osservava con aria preoccupata, tenendo una mano appoggiata allo stipite della sua stanza e l’altra ancora sulla maniglia. Lui chiuse gli occhi e prese un respiro, per poi voltarsi nuovamente ed aprire completamente la porta. La stanza era vuota.
“Dottore che cosa succede?” Lo raggiunse.
“Ho visto un ragazzo introdursi in casa.” Tornò a guardarla.
“Un ragazzo?” Sgranò leggermente gli occhi.
Watson annuì. “Lo ha visto?”
“No. Santo Cielo, no.” Si portò una mano al petto, corrucciando le sopracciglia. “E crede che” La domanda le morì sulle labbra quando la porta del soggiorno si aprì facendo entrare Holmes. Capì che qualcosa non andava immediatamente, allarmato soprattutto dallo sguardo che la moglie gli stava rivolgendo.
“Che cosa è successo? Suvvia, parlate!”
“Il dottor Watson ha visto un uomo entrare in casa.”
“Beh, questa non è una cosa inusuale.” Sorrise sornione.
“Non era un uomo, era un ragazzo. E non l’ho visto entrare. L’ho visto scassinare la porta d’ingresso.” Precisò il dottore, provando un certo fastidio per la distorsione delle sue parole, e per una frazione di secondo credette di aver visto Holmes stringere i denti e scoccare un’occhiata gelida alla consorte.
“Mio caro amico, la porta che da sulla strada non ha nulla che non vada.” Disse.
“Ho avuto modo di notarlo anch’io, ma sono certo di quello che ho visto.”
Holmes esitò, sostenendo lo sguardo sicuro e ostinato del compagno.
“Se è veramente così – e non sto mettendo in dubbio le sue parole – dov’è?”
Il cuore di Watson balzò nel petto. Già, dov’era? Lui lo aveva visto entrare, ma non uscire. Non sapeva come rispondere e Holmes lo sapeva perfettamente, lo capiva dal suo sguardo. Questo lo fece innervosire ancor di più.
“Lei non mi crede, vero?” Domandò, prima di potersi trattenere.
“Certo che le credo, Watson! Ma converrà anche lei che la situazione è alquanto bizzarra!”
“Bizzarra?!” Il dottore non fu più in grado di sopportare oltre e, mentre l’amico aprì la bocca per controbattere, lui si voltò ed andò dritto nella sua stanza. Riflettendoci più avanti si rese conto di aver agito in modo molto infantile, ma al momento era troppo offeso per il comportamento di Holmes per ragionarci a mente lucida. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era che il detective non sembrava più lui da quando era tornato dal viaggio in Francia. Da quando era tornato con quella. Prima di allora non avrebbe mai messo in dubbio la sua parola in quel modo e tanto meno non avrebbe esitato a cercare di scavare più affondo in quella ‘bizzarria’. Si sdraiò a pancia in giù sul letto, cercando di distendersi. Doveva stare calmo e cercare di sciogliere quel nodo che provava all’altezza del petto, che non faceva altro che distrarlo dalla verità. Su questo punto Holmes aveva ragione: i sentimenti sono fonte di deconcentrazione nei confronti di un’indagine.
Quando lasciò la stanza per la cena scoprì che Holmes era uscito nuovamente. Iniziò seriamente a pensare che non sarebbe più riuscito a parlare con lui o a passarci insieme anche solo un secondo del suo tempo e che forse avrebbe fatto meglio ad iniziare a cercar casa. Non sarebbe riuscito a sopportare una simile situazione ancora per lungo.
Lui e Hope cenarono silenziosamente insieme e in altrettanto modo lessero un libro ciascuno, mentre il fuoco scoppiettava nel camino riscaldando la stanza. Quando lei si ritirò nelle sue stanze, il dottore posò il libro sulle gambe sospirando. In verità aveva letto poco o niente, tanto rimbombavano forti nelle tempie le sue pene. Si decise a provar di dormire e si era appena alzato dalla sua poltrona quando sentì dei rumori al piano di sotto. Dapprima credette si trattasse di Holmes, ma ad un ascolto più attento si rese conto che quelli non erano i passi del suo amico, il quale avrebbe evitato quel famoso gradino scricchiolante, né tanto meno Mrs. Hudson, che si doveva essere coricata da un pezzo. Watson si mosse velocemente verso il suo studio ed estrasse dal cassetto della scrivania il revolver. Tornò nel soggiorno, appiattendosi contro il muro di fianco alla porta, in attesa. Dopo attimi che parvero interminabili passati col fiato sospeso, la maniglia si abbassò e la serratura scattò. Il dottore strinse con più fermezza il calcio della pistola, pronto ad agire, mentre la porta si apriva piano e la sagoma di un uomo iniziava a prendere forma. Con un gesto deciso e fulmineo Watson lo colpì alla testa, facendolo gemere dal dolore e arrancare verso il pavimento. Non aveva però tenuto conto della presenza di un secondo intruso dalla corporatura discutibile, che si avventò immediatamente su di lui. Il dottore si trovò improvvisamente ad annaspare contro il muro con le mani prive della pistola, mentre l’altro teneva le sue a metà strada tra le sue spalle e il suo collo in un goffo tentativo di soffocarlo. Reagì con la prontezza di un soldato afferrando i suoi avambracci e affondando il suo stomaco con una violenta ginocchiata. L’uomo mollò la presa, piegandosi in avanti, e Watson approfittò della sua debolezza per colpirlo ancora. Nel frattempo il primo estraneo si era ri-alzato e aveva individuato il revolver, che giaceva inerme sul pavimento. Si mosse rapidamente per appropriarsene, ma un forte colpo alla schiena lo fece vacillare, costringendolo ad arrestare i suoi intenti e a voltarsi.
“Sì, è vero. Questa non è la tua serata fortunata.” Lo schernì Hope con un sorriso sornione. Lui le si avventò contro, ma lei fu più veloce: si spostò dalla sua traiettoria con lestezza e lo colpì con forza con un bastone che aveva tenuto nascosto dietro la schiena, ripetendo l’azione svariate volte prima di mollare l’arma improvvisata ed andare a raccogliere la pistola. La puntò contro l’altro estraneo, che stava prendendo il sopravvento su Watson. “Credo che questa non sia nemmeno la tua serata fortunata.”
L’uomo si voltò a guardarla, un pugno ancora alzato a mezz’aria, decisamente preso alla sprovvista.
“Ti do cinque secondi per prendere il tuo compagno ed andartene.” Disse lei con calma. “Uno” Lui si allontanò con uno scatto da Watson, che vacillò all’indietro fino a colpire il tavolino e a cadere sul pavimento. “Due” Afferrò l’altro per le spalle e lo aiutò ad alzarsi sorreggendolo. “Tre” Entrambi si catapultarono fuori dalla porta, seguiti dallo sguardo vigile di Hope e dalla canna della pistola. [1] Lo scalpitio lungo le scale e lo sbattere della porta d’ingresso furono seguiti da un lungo silenzio intrinseco di tensione. Watson ansimava leggermente, mezzo sdraiato sul pavimento, lo sguardo fisso su di Hope. Se non l’avesse vista coi propri occhi far scappare quegli uomini, probabilmente non ci avrebbe creduto. Era una creatura così fragile e minuta. O almeno, così appariva. Lei rimase immobile, le orecchie tese pronte a captare il minimo rumore e i nervi a fior di pelle; quando fu certa che non vi è era più alcun pericolo lasciò ricadere il braccio lungo il fianco, sempre tenendo la pistola saldamente in mano. Chiuse gli occhi e sospirò leggermente, per poi voltarsi verso il dottore ed avvicinandosi velocemente.
“Sta bene?” Chiese allarmata inginocchiandosi accanto a lui e poggiando il revolver a terra.
“Sì, non si preoccupi.” Si puntò meglio su un braccio per mettersi seduto. “Me lo lasci dire, Hope: è stata splendida.”
Le sue labbra tese si sciolsero in un sorriso. “La ringrazio.”
“Dico davvero! Non so quante altre ladies avrebbero saputo intervenire in tal modo.” Un pensiero devastante lo percorse e gli sfuggì dai denti. “Ora capisco perché Holmes si è innamorato di lei.” Si morse la lingua, domandandosi per quale folle motivo aveva detto una cosa del genere proprio a lei e aspettandosi una reazione che non avvenne. Hope si limitò a guardarlo e a sorridere dolcemente con una nota malinconica nello sguardo. Il dottore credette di scorgervi addirittura della compassione. Udirono dei passi e ben presto Mrs. Hudson comparve trafelata sulla porta, indossando la vestaglia da notte.
“Buon Dio! Cosa è successo qui?”



•••

“Uhm.”
Sherlock Holmes aveva fatto ritorno a Baker Street alle due del mattino e aveva trovato i tre seduti nella caotica sala da pranzo con in mano una tazza di tè ciascuno. Gli era bastato notare la luce accesa visibile dalla strada e le impronte sui gradini esterni per capire cosa era successo, ma lo sguardo di Hope gliene diede conferma. Si aspettava che sarebbe accaduto. In quel periodo gli eventi stavano fermentando e si diede dello sciocco per essere stato lontano dall’appartamento così a lungo. Ascoltò con attenzione il resoconto di tutti, stando seduto nella sua poltrona, e poi congedò Mrs. Hudson che continuava a farneticare sul fatto che dovevano chiamare la polizia. Il detective dovette trattenersi dal riderle in faccia svariate volte. Chiamare Scotland Yard? Quale immensa sciocchezza! Quando finalmente la padrona di casa lasciò i loro alloggi per tornare nei suoi, Holmes si voltò a guardare Hope, che, lo sapeva, intercettò immediatamente la linea dei suoi pensieri. Certo non gli sfuggì il peso dello sguardo di Watson su di sé, ma questo non fu altro che un incentivo a spingerlo a domandare alla sua consorte: “Stai bene? Mi pari un po’ scossa.”
Lei lo guardò con una punta di disappunto. “Sto bene. Il dottore invece è stato colpito numerose volte -”
“Oh, ma lui è un uomo di guerra!” Si voltò verso il compagno, sorridendo. “E’ un osso duro. Vero, amico mio?” Provò una sadica soddisfazione nel leggere la gelosia nei suoi occhi ancora una volta. Ed infatti Watson lo era. Si sentiva terribilmente messo in secondo piano, spodestato dal primo posto tra gli affetti di Holmes. Adesso c’era lei, che incarnava alcune delle qualità tra le più gradite dal suo amico e che sarebbe sempre stata al suo fianco. Non c’era più posto per lui. Questa consapevolezza lo stava schiacciando.
“Già. Così sembra.” Rispose semplicemente, ricambiando il suo sguardo. Rimasero a squadrarsi finché il silenzio non venne spezzato dalla voce di Hope.
“Devo porgerle le mie scuse, dottore.”
Watson spostò lo sguardo su di lei. “Per quale motivo?”
“Per averla turbata in quel modo quando è rientrato. Non credevo che ci saremmo incrociati.”
Lui era seriamente sbigottito e perplesso. “Non capisco a cosa si riferisca…”
“Quello che Hope sta cercando di dirle” Intervenne Holmes. “E’ che le spiace di essersi fatta vedere da lei in abiti maschili, nonostante le fosse stato espressamente proibito di usarli durante il giorno, e di averla fatta preoccupare.”
Hope sbuffò, alzandosi dal divano. “Come sei noioso.” Incrociò le braccia, guardandolo. “E poi non era giorno –”
“Sei uscita di giorno!”
“Ma sono rientrata che era già sera!”
Watson li guardava con tanto d’occhi. Il ragazzo che aveva visto introdursi in casa… era Mrs. Hope?
“Non importa quando rientri, ma quando lasci questo appartamento. Non ti credevo così sprovveduta.”
“Non lo sono. Infatti ho lasciato questa casa vestendo i miei panni e mi sono cambiata in seguito.”
“Potrebbero comunque averti visto.”
“Dubito del loro spirito di osservazione.”
“Scusate se vi interrompo” Intervenne d’un tratto Watson portando gli occhi dei presenti su di sé. “Posso sapere di cosa state parlando?” Cercò di mantenere un tono calmo e neutrale, ma in realtà dentro avrebbe voluto urlare.
“Stiamo lavorando a un caso.” Rispose velocemente Hope, evitando che il marito la bloccasse sul nascere.
“Un caso?”
“Esattamente. In realtà si tratta dello stesso che c’ha portato a conoscerci…”
Un caso. Quel caso. Il dottore non riusciva a credere alle proprie orecchie. Nonostante fossero passati tutti quei mesi, Holmes aveva continuato a tenerlo all’oscuro di tutto e lontano dalle indagini. Era bastato veramente così poco, due occhi da cerbiatto e un sorriso grazioso, a fargli dimenticare di lui?
“E di che caso si tratterebbe?” Domandò, cercando di mantenere ancora un tono di voce adeguato.
“Direi che è arrivato il momento di far chiarezza sugli eventi.” Esordì Sherlock Holmes. “Ebbene, come ben sa, mio caro Watson, in questi ultimi mesi mi sono assentato parecchio per dedicarmi all’indagine di un caso molto importante. Naturalmente avrà sentito parlare di Timothy Carlton [2].”
“Naturalmente! Se non erro il suo nome compare anche tra i magnati che sono stati derubati dal celeberrimo the Man.”
“Esattamente. Vede, Carlton è un uomo molto in vista, conosciuto soprattutto per la sua grande generosità nei confronti del prossimo e per le ingenti somme dei suoi finanziamenti. Ma questo non è nient’altro che un metodo per insabbiare i suoi misfatti e di godere di una certa sicurezza. Egli è infatti un criminale di prim’ordine, un boss, che ho scoperto essere implicato in molti affari loschi, che vanno dal contrabbando di beni d’arte contraffatti all’omicidio.” Fece una pausa. “Capirà, vecchio mio, che è una questione molto delicata ed è per questo motivo che non ho voluto coinvolgerla. Hope era implicata, aimè, già prima che ci conoscessimo ed è per questo che le ho concesso di aiutarmi ancora nelle indagini, anche se in misura minore.”
“Sì, capisco benissimo. Sappia, però, che se dovesse aver bisogno può sempre contare sul mio aiuto.”
Holmes sorrise, provando un moto di orgoglio nei confronti di quell’ex soldato sempre pronto ad entrare in prima linea per aiutarlo.
“Lo so.”
Era vero. Watson capiva, capiva eccome. Ma non riusciva comunque a sopportarlo. Mai avrebbe creduto possibile che Holmes lo tenesse fuori da un caso, soprattutto di quella portata. Che volesse proteggerlo? Forse. Anche se la verità fosse stata quella, lui si sarebbe ugualmente sentito a quel modo: messo da parte. Hope si mosse leggermente.
“Vogliate perdonarmi, ma gli ultimi avvenimenti sono stati molto intensi e urge in me il bisogno di andare a coricarmi.”
“Ma certamente! Vada pure senza alcun remore.” Le rispose Watson che, tanto era preso dai suoi pensieri, non notò lo sguardo di silenziosa supplica che Holmes rivolse alla moglie, la quale fece un cenno d’incitazione con la testa prima di voltarsi e scomparire nella camera da notte. Per la prima volta, dopo quella prima breve discussione, Holmes si trovava da solo nella stanza con Watson e mai come allora aveva desiderato tanto di trovarsi altrove.
“Lo sa,” Esordì il dottore. “sono ancora in collera con lei.”
Holmes lo guardò con un cipiglio. “In collera con me?”
“Sì, con lei.” Marcò l’ultima parola con asprezza. “E’ partito tenendomi all’oscuro di tutto ciò che stava accadendo ed è tornato con una sposa come se fosse la cosa più normale del mondo. Sono a dir poco offeso dal suo comportamento.”
“Conosce i miei metodi.”
“Questo va ben oltre il metodo.” Sospirò. “Holmes non mi fraintenda; sono felice che sia riuscito finalmente a trovar una compagna, e quindi che abbia dimenticato Miss Adler. Ma non capisco la sua ostinazione a volermi tener fuori da tutto questo.”
“Le ho spiegato perché l’ho esclusa dal caso.”
“Non mi riferisco al caso.”
Calò il silenzio. La mente del detective lavorava insistentemente nella ricerca di una risposta adeguata che potesse porre fine a quella discussione. Era irrilevante il fatto che potesse essere troppo dura o provocare reazioni spiacevoli. L’importante era che riuscisse nell’intento.
“Come al solito è sempre troppo sentimentalista.” Esordì. “E’ stato solo un matrimonio, come ce ne sono sempre a migliaia ogni anno e in ogni luogo. Niente di più, niente di meno.”
“E’ stato il matrimonio dell’uomo meno avvezzo ad esso che sia mai esistito, che sfortunatamente è anche il mio migliore amico.” Replicò l’altro. “Sono due motivi più che validi per cui avrei voluto prenderne parte.” Dette queste parole, si diresse verso le scale e le salì il più velocemente che poté. Holmes lo guardò scomparire, per poi sospirare e ritirarsi nella sua stanza.


•••

“Non gliel’hai detto.”
Non era una domanda, bensì un’affermazione quella che fece Hope nel mentre Sherlock si chiudeva la porta alle spalle.
“Non è necessario che lo sappia.” Rispose lapidario, levandosi il giacchetto di dosso. “Anzi, meno sa di questa storia e meglio è.”
“La verità è che questa situazione ti compiace. E’ per questo che non gli vuoi dire la verità. Vederlo geloso in quel modo -”
“Si vede che non mi conosci abbastanza.” Le diede le spalle camminando verso la finestra. Lei si alzò dal letto su cui era seduta e fece qualche passo verso di lui.
“Credo di conoscere molte cose di te, invece.” Avanzò ancora. “Sai che ho ragione.”
Sì, Holmes lo sapeva. Ma non aveva mentito dicendole che meno Watson era coinvolto e più sarebbe stato al sicuro. Preferiva mentirgli spudoratamente a quel modo anziché metterlo in pericolo ancora una volta. Sentì le braccia di lei cingergli la vita e si irrigidì leggermente.
“Smettila di pensare.” Poggiò la guancia contro la sua schiena.
“E’ impossibile non pensare.”
“Non trattarmi da stupida cercando di sviar discorso.”
“Non lo faccio.”
“Sì, invece. E’ la tua specialità.”
Calò il silenzio.
“Non dormirò con te.” Disse ad un tratto. “Però resterò qui. Direi che per stanotte non è il caso che lasci l’appartamento e ti sarei molto grato se anche tu evitassi di uscire.”
Lei annuì leggermente e si allontanò da lui facendo scivolare le mani sui suoi fianchi, per poi andare a coricarsi.


[1]
Le scene di battaglia non sono proprio il mio forte ( lol ); spero non sia troppo terribile.

[2] Vi racconterò or dunque come ho scelto questo nome, asd. In quel periodo ero entrata in fissa per Benedict Cumberbatch, il quale all’anagrafe ha anche il nome di suo padre: Benedict Timothy Carlton Cumberbatch. Anche il padre era un attore e il suo nome d’arte era – ed è tuttora – Timothy Carlton. Per cui sappiate che per me questo personaggio ha le sue sembianze, più precisamente di quando era più giovane. Se vi interessa è codesto uomo qua u-u :
http://i436.photobucket.com/albums/qq85/cornershop15/TimothyCarlton1.jpg

•••


  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Sherlock Holmes / Vai alla pagina dell'autore: Haibara Stark