6.
Dopo un giorno di viaggio Rafi e Qarago, discesi i dolci pendii erbosi di numerose colline, si lasciarono alle
spalle i boschi dove avevano fatto il loro incredibile incontro. A tarda sera raggiunsero un grosso villaggio le cui
luci erano state visibili appena le ombre avevano cominciato a scendere dalle colline. Presto scoprirono di essere
giunti nel borgo di Orema, un insediamento dei Minuti divenuto ben presto destinazione di molti contadini attratti
dalle fertili terre e di mercanti in cerca di ricche piazze da sfruttare. Appresero in fretta queste e molte altre
cose su Orema e sui suoi abitanti ascoltando le chiacchiere nella taverna dell'oste Brenton, un corpulento candriano
tanto abile in cucina quanto lesto con la lingua. La sua parlantina era ancor più sciolta e abbondante di quella di
una moglie ubriaca.
Da egli Qarago apprese che a Orema, come in moltissimi altri borghi, sorgeva un'arena per i combattimenti
secondo la prescrizione del potente Vorgo. Essendo Orema un luogo pacifico e dedito al commercio e all'agricoltura,
l'arena era stata usata ben poche volte. Perfino i messi di Vorgo giunti in paese si erano ben presto mostrati
tolleranti e tutt'altro che intenzionati a far rispettare rigidamente la volontà del Tiranno. Merito delle
bellezze del luogo, della dolcezza del clima, dell'ospitalità della gente, del nettare prodotto dalle vigne
sulle vicine colline. Ben pochi quindi i valorosi guerrieri provenienti da Orema che avevano contribuito a
ingrossare l'esercito del Tiranno.
Qarago pose all'oste diverse altre domande, alternandole a generosi bicchieri di vino. Il candriano
trovò confortevole sedersi al tavolo dei suoi clienti e bere e parlare a lungo con loro fino a quando la
brocca fu vuota.
- Giada! - disse ad alta voce l'oste, sollevando in alto la brocca di terracotta smaltata e decorata semplicemente.
Vestita di panni consumati ma puliti giunse al loro tavolo una giovane recante una brocca simile per forma
e dimensioni a quella che era stata vuotata da Qarago e dall'oste. Altro vino per sciogliere la lingua di costui,
si disse Qarago che solo dopo guardò la giovane. Non era particolarmente bella ma il viso di lei lo colpì:
incorniciato da una ricca chioma castana annodata sulla nuca, questo era impassibile e fermo, lo sguardo
placido e sicuro. Quando posò sul tavolo la brocca piena la manica dell'abito scese a coprire il braccio
destro e a celare il bracciale degli schiavi. Qarago rimase stupito: ella aveva un aspetto e un portamento
tali che la si sarebbe detta la moglie dell'oste e certo non la schiava. Mentre la guardava allontanarsi si
scoprì a desiderare di stringere al petto quel corpo esile e asciutto.
- L'ora è tarda e il dovere mi chiama – disse l'oste Brenton versando il vino nei due bicchieri di
coccio. Rafi aveva prudentemente accantonato il suo dopo averlo riempito e vuotato una sola volta
consumando il pasto.
- Hai forse due letti per me, oste? - chiese Qarago. La fatica del viaggio esigeva il suo tributo.
- Perché mai due? Forse che non giacete insieme? - chiese inopportunamente l'oste dopo aver tracannato un
sorso pari a mezzo bicchiere.
Qarago, ammorbidito dalla stanchezza e dal vino, quasi non fece caso alle parole del candriano.
Ma il gelo che giunse dal lato del tavolo occupato dalla giovane Rafi fu tale che l'oste porse le sue
scuse, imbarazzato. Ottenute le tre monete per i due letti si congedò dai suoi clienti con la scusa di
dover preparare diverse stanze per la notte, tra cui la loro.
- Vieni – disse Qarago alzandosi dal tavolo. Rafi obbediente si alzò e lo seguì fino all'uscita
attraverso l'ampio locale ancora affollato di avventori intenti a bere, giocare d'azzardo e a procrastinare
il momento di coricarsi.
Qarago inspirò l'aria fresca e umida della notte fino a riempire i polmoni. La cena e il vino gli
tendevano il ventre e desiderava unicamente coricarsi. Trascorse qualche tempo osservando la strada dove
l'ingresso della locanda si affacciava, una strada ben tenuta e ben illuminata da rudimentali torce. C'era
perfino qualche abitante che ancora si attardava fuori di casa; Qarago osservò che Orema doveva essere davvero
un'isola felice se i suoi cittadini non dovevano temere ladri e tagliagole nemmeno dopo il tramonto.
Visto che Rafi stava silenziosa al suo fianco, fu lui a prendere la parola.
- Non ti sei comportata molto bene col nostro ospite, stasera.
- Non do confidenza facilmente, ancor meno agli estranei, Maestro.
- Non chiamarmi maestro. Non si tratta di dare confidenza, quanto di sapere. Più cose si sanno,
meno rischi si corrono.
- Osservando si apprende – osservò Rafi.
- Vero – rispose Qarago – ma certe cose si fa meno fatica a impararle ascoltando. E quando si incontra qualcuno
con la lingua sciolta, è solo vantaggioso starlo ad ascoltare.
- Ammesso che non si abbia di meglio da fare.
Qarago non sopportava l'abilità di Rafi di avere sempre l'ultima parola. L'imbarazzo di non riuscire a
trovare una replica gli fu risparmiato dalla porta della locanda che si aprì. Il fragore degli avventori
impegnati a discutere, ridere, vociare si riversò in strada all'improvviso e una lama di luce si disegnò
in terra. Gli occhi del mercenario, già abituati al buio della strada, non distinsero altro che una sagoma
che si stagliava contro il luminoso locale ma fu certo che si trattava della schiava di nome Giada.
- La vostra stanza è pronta, nobili guerrieri – la voce era un po' nasale ma dolce, arrochita dalla
stanchezza dovuta alla giornata faticosa. La donna non attese una replica: la grigia porta si richiuse celando
nuovamente l'interno della locanda e smorzandone i suoni.
Senza porre ulteriori indugi, Qarago afferrò il battente e tornò nella locanda, intenzionato a dormire
sodo per tutta la notte. Era stanco di giacere all'aperto.
Troppo tempo era trascorso senza che ciò che a lei interessava venisse a sua conoscenza. Sentiva
il suo potere crescere gradualmente, ma troppo lentamente. La spada aveva toccato il cuore dello stolto
che l'aveva recata con sé fin nel cuore della Foresta Scheletro, questo era certo. Ma non era abbastanza. Il potere
che giungeva dalla spada non era abbastanza. Sollevò da terra la nera pentola colma di rara acqua piovana e la posò
sul massiccio tavolo, facendo spazio tra le mille strane forme di vetri e alambicchi che lo apparecchiavano.
Fissò a lungo l'acqua nella pentola, cercando la concentrazione necessaria. Come suo solito il velenoso serpente
suo famiglio si inerpicò sul suo corpo abbracciandola tra le sue spire e finendo con l'esplorare il viso impassibile
di lei con la sua lingua biforcuta. Il futuro, evasivo e inafferrabile, in continuo movimento e perenne trasformazione
era già abbastanza difficile da cogliere senza avere addosso un serpente in vena di effusioni, così con un pallido dito
affusolato gli diede un colpetto sulla testa triangolare e quello si acquietò, accontentandosi di cingerle il corpo e
il collo con tutto il suo sinuoso corpo di rettile. Di nuovo si concentrò a lungo estendendo la sua percezione, usando
il suo potere e l'occhio dentro di sé, tesa verso il nebbioso futuro che a lei si celava. La trance in cui cadde si
rivelò tanto profonda da portarla dove non si ricordava d'essere mai stata prima. Lei, in grado di discernere
l'oscurità dall'oscurità, si muoveva ora incerta non riuscendo a individuare cosa la circondasse. D'un tratto il potere
la raggiunse. Consapevole di non correre alcun rischio per il crescente potere che la sosteneva, si fece spavalda e volse
l'occhio dentro al vago futuro. Questo, come un animale notturno spaventato dalla luce, pazzo di paura cercò la fuga ma
inchiodato dalla strega ebbra di potere, si dibatté e per un breve interminabile istante fu in sua balia. Nesfia
vide.
Di nuovo il drago con la sua temibile fiamma, l'unica creatura che aveva davvero timore di affrontare. Vide una
lunga lancia scagliata contro il fianco del drago, vide l'ammazzadraghi frantumata consumarsi nella fiamma.
Vide la giovane, non la riconobbe. Intravide una seconda presenza ignota, presto cancellata dalla presenza
della spada. Anvinae vicino al drago, perché? Ancora volti senza nome, irraggiungibili. Semplici sensazioni
di ciò che sarebbe stato. Quando? Come? Una lucertola prigioniera baratta la coda con la libertà e il futuro
le sfuggì di mano lasciandole tra le dita solo ombre di visi, molti suoni di parole, nomi. Rafi. Giada.
Qarago. Orema.
Nesfia precipitò fuori dalla sua trance con dolore. Aveva urtato con la faccia il bordo della pentola
colma d'acqua e si era ferita alle labbra. Il famiglio le si era aggrappato al corpo. I suoi Arcani
erano caduti in terra ed erano tutti capovolti tranne uno. Il Matto, morso dal cane, la guardava
ghignando folle e indifferente.
Era intento a scegliere le provviste per il viaggio quando le sue orecchie avevano catturato spezzoni
di un discorso che prometteva di essere interessante. Grazie alla sua mole e al suo aspetto poco rassicurante
aveva presto guadagnato un posto privilegiato nella cerchia di spettatori che ascoltavano il racconto del
mercante.
Stando alle parole dell'uomo, un anziano mercante accompagnato da un giovane apprendista che disponeva
in bella mostra la merce, era avvenuto un fatto straordinario. Pareva che per tre giorni a Taliba avesse
preso alloggio in una locanda entro le mura un giovanissimo guerriero. Questi, prima della sua partenza
per una destinazione sconosciuta, aveva sconfitto ogni combattente che gli si era parato davanti nei
regolari scontri nell'arena. Pareva che, incredibile a dirsi, ogni suo duello fosse stato molto rapido
e mortale. Il mercante riferì inoltre di alcune voci che volevano il giovane guerriero, di cui non si
rammentava il nome, come la vittima di un pericoloso agguato a tradimento nel quale ogni aggressore
aveva però trovato una morte orrenda.
Subito un pensiero attraversò la mente del mercenario. Incontrare quel guerriero. Nemmeno lui
nel fiore della sua gioventù era riuscito a concludere tutti i suoi combattimenti con la morte
dell'avversario. Spesso i suoi nemici si erano dati alla fuga, a volte riuscendo a correre più
veloci della sua scure da lancio. Terminò di acquistare le provviste in fretta poiché ora
sapeva perfettamente quale sarebbe stata la sua nuova destinazione.
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