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Autore: Mannu    06/10/2007    1 recensioni
Un mercenario senza padrone, una giovane adepta di una setta dimenticata, una strega dalle oscure intenzioni. Dove incontreranno il loro destino?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I libri della grande Taliba'
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Libro Sesto - Il Sogno del Drago - 6
6.

Dopo un giorno di viaggio Rafi e Qarago, discesi i dolci pendii erbosi di numerose colline, si lasciarono alle spalle i boschi dove avevano fatto il loro incredibile incontro. A tarda sera raggiunsero un grosso villaggio le cui luci erano state visibili appena le ombre avevano cominciato a scendere dalle colline. Presto scoprirono di essere giunti nel borgo di Orema, un insediamento dei Minuti divenuto ben presto destinazione di molti contadini attratti dalle fertili terre e di mercanti in cerca di ricche piazze da sfruttare. Appresero in fretta queste e molte altre cose su Orema e sui suoi abitanti ascoltando le chiacchiere nella taverna dell'oste Brenton, un corpulento candriano tanto abile in cucina quanto lesto con la lingua. La sua parlantina era ancor più sciolta e abbondante di quella di una moglie ubriaca.
Da egli Qarago apprese che a Orema, come in moltissimi altri borghi, sorgeva un'arena per i combattimenti secondo la prescrizione del potente Vorgo. Essendo Orema un luogo pacifico e dedito al commercio e all'agricoltura, l'arena era stata usata ben poche volte. Perfino i messi di Vorgo giunti in paese si erano ben presto mostrati tolleranti e tutt'altro che intenzionati a far rispettare rigidamente la volontà del Tiranno. Merito delle bellezze del luogo, della dolcezza del clima, dell'ospitalità della gente, del nettare prodotto dalle vigne sulle vicine colline. Ben pochi quindi i valorosi guerrieri provenienti da Orema che avevano contribuito a ingrossare l'esercito del Tiranno.
Qarago pose all'oste diverse altre domande, alternandole a generosi bicchieri di vino. Il candriano trovò confortevole sedersi al tavolo dei suoi clienti e bere e parlare a lungo con loro fino a quando la brocca fu vuota.
- Giada! - disse ad alta voce l'oste, sollevando in alto la brocca di terracotta smaltata e decorata semplicemente.
Vestita di panni consumati ma puliti giunse al loro tavolo una giovane recante una brocca simile per forma e dimensioni a quella che era stata vuotata da Qarago e dall'oste. Altro vino per sciogliere la lingua di costui, si disse Qarago che solo dopo guardò la giovane. Non era particolarmente bella ma il viso di lei lo colpì: incorniciato da una ricca chioma castana annodata sulla nuca, questo era impassibile e fermo, lo sguardo placido e sicuro. Quando posò sul tavolo la brocca piena la manica dell'abito scese a coprire il braccio destro e a celare il bracciale degli schiavi. Qarago rimase stupito: ella aveva un aspetto e un portamento tali che la si sarebbe detta la moglie dell'oste e certo non la schiava. Mentre la guardava allontanarsi si scoprì a desiderare di stringere al petto quel corpo esile e asciutto.
- L'ora è tarda e il dovere mi chiama – disse l'oste Brenton versando il vino nei due bicchieri di coccio. Rafi aveva prudentemente accantonato il suo dopo averlo riempito e vuotato una sola volta consumando il pasto.
- Hai forse due letti per me, oste? - chiese Qarago. La fatica del viaggio esigeva il suo tributo.
- Perché mai due? Forse che non giacete insieme? - chiese inopportunamente l'oste dopo aver tracannato un sorso pari a mezzo bicchiere.
Qarago, ammorbidito dalla stanchezza e dal vino, quasi non fece caso alle parole del candriano. Ma il gelo che giunse dal lato del tavolo occupato dalla giovane Rafi fu tale che l'oste porse le sue scuse, imbarazzato. Ottenute le tre monete per i due letti si congedò dai suoi clienti con la scusa di dover preparare diverse stanze per la notte, tra cui la loro.
- Vieni – disse Qarago alzandosi dal tavolo. Rafi obbediente si alzò e lo seguì fino all'uscita attraverso l'ampio locale ancora affollato di avventori intenti a bere, giocare d'azzardo e a procrastinare il momento di coricarsi.
Qarago inspirò l'aria fresca e umida della notte fino a riempire i polmoni. La cena e il vino gli tendevano il ventre e desiderava unicamente coricarsi. Trascorse qualche tempo osservando la strada dove l'ingresso della locanda si affacciava, una strada ben tenuta e ben illuminata da rudimentali torce. C'era perfino qualche abitante che ancora si attardava fuori di casa; Qarago osservò che Orema doveva essere davvero un'isola felice se i suoi cittadini non dovevano temere ladri e tagliagole nemmeno dopo il tramonto.
Visto che Rafi stava silenziosa al suo fianco, fu lui a prendere la parola.
- Non ti sei comportata molto bene col nostro ospite, stasera.
- Non do confidenza facilmente, ancor meno agli estranei, Maestro.
- Non chiamarmi maestro. Non si tratta di dare confidenza, quanto di sapere. Più cose si sanno, meno rischi si corrono.
- Osservando si apprende – osservò Rafi.
- Vero – rispose Qarago – ma certe cose si fa meno fatica a impararle ascoltando. E quando si incontra qualcuno con la lingua sciolta, è solo vantaggioso starlo ad ascoltare.
- Ammesso che non si abbia di meglio da fare.
Qarago non sopportava l'abilità di Rafi di avere sempre l'ultima parola. L'imbarazzo di non riuscire a trovare una replica gli fu risparmiato dalla porta della locanda che si aprì. Il fragore degli avventori impegnati a discutere, ridere, vociare si riversò in strada all'improvviso e una lama di luce si disegnò in terra. Gli occhi del mercenario, già abituati al buio della strada, non distinsero altro che una sagoma che si stagliava contro il luminoso locale ma fu certo che si trattava della schiava di nome Giada.
- La vostra stanza è pronta, nobili guerrieri – la voce era un po' nasale ma dolce, arrochita dalla stanchezza dovuta alla giornata faticosa. La donna non attese una replica: la grigia porta si richiuse celando nuovamente l'interno della locanda e smorzandone i suoni.
Senza porre ulteriori indugi, Qarago afferrò il battente e tornò nella locanda, intenzionato a dormire sodo per tutta la notte. Era stanco di giacere all'aperto.

Troppo tempo era trascorso senza che ciò che a lei interessava venisse a sua conoscenza. Sentiva il suo potere crescere gradualmente, ma troppo lentamente. La spada aveva toccato il cuore dello stolto che l'aveva recata con sé fin nel cuore della Foresta Scheletro, questo era certo. Ma non era abbastanza. Il potere che giungeva dalla spada non era abbastanza. Sollevò da terra la nera pentola colma di rara acqua piovana e la posò sul massiccio tavolo, facendo spazio tra le mille strane forme di vetri e alambicchi che lo apparecchiavano. Fissò a lungo l'acqua nella pentola, cercando la concentrazione necessaria. Come suo solito il velenoso serpente suo famiglio si inerpicò sul suo corpo abbracciandola tra le sue spire e finendo con l'esplorare il viso impassibile di lei con la sua lingua biforcuta. Il futuro, evasivo e inafferrabile, in continuo movimento e perenne trasformazione era già abbastanza difficile da cogliere senza avere addosso un serpente in vena di effusioni, così con un pallido dito affusolato gli diede un colpetto sulla testa triangolare e quello si acquietò, accontentandosi di cingerle il corpo e il collo con tutto il suo sinuoso corpo di rettile. Di nuovo si concentrò a lungo estendendo la sua percezione, usando il suo potere e l'occhio dentro di sé, tesa verso il nebbioso futuro che a lei si celava. La trance in cui cadde si rivelò tanto profonda da portarla dove non si ricordava d'essere mai stata prima. Lei, in grado di discernere l'oscurità dall'oscurità, si muoveva ora incerta non riuscendo a individuare cosa la circondasse. D'un tratto il potere la raggiunse. Consapevole di non correre alcun rischio per il crescente potere che la sosteneva, si fece spavalda e volse l'occhio dentro al vago futuro. Questo, come un animale notturno spaventato dalla luce, pazzo di paura cercò la fuga ma inchiodato dalla strega ebbra di potere, si dibatté e per un breve interminabile istante fu in sua balia. Nesfia vide.
Di nuovo il drago con la sua temibile fiamma, l'unica creatura che aveva davvero timore di affrontare. Vide una lunga lancia scagliata contro il fianco del drago, vide l'ammazzadraghi frantumata consumarsi nella fiamma. Vide la giovane, non la riconobbe. Intravide una seconda presenza ignota, presto cancellata dalla presenza della spada. Anvinae vicino al drago, perché? Ancora volti senza nome, irraggiungibili. Semplici sensazioni di ciò che sarebbe stato. Quando? Come? Una lucertola prigioniera baratta la coda con la libertà e il futuro le sfuggì di mano lasciandole tra le dita solo ombre di visi, molti suoni di parole, nomi. Rafi. Giada. Qarago. Orema.
Nesfia precipitò fuori dalla sua trance con dolore. Aveva urtato con la faccia il bordo della pentola colma d'acqua e si era ferita alle labbra. Il famiglio le si era aggrappato al corpo. I suoi Arcani erano caduti in terra ed erano tutti capovolti tranne uno. Il Matto, morso dal cane, la guardava ghignando folle e indifferente.

Era intento a scegliere le provviste per il viaggio quando le sue orecchie avevano catturato spezzoni di un discorso che prometteva di essere interessante. Grazie alla sua mole e al suo aspetto poco rassicurante aveva presto guadagnato un posto privilegiato nella cerchia di spettatori che ascoltavano il racconto del mercante.
Stando alle parole dell'uomo, un anziano mercante accompagnato da un giovane apprendista che disponeva in bella mostra la merce, era avvenuto un fatto straordinario. Pareva che per tre giorni a Taliba avesse preso alloggio in una locanda entro le mura un giovanissimo guerriero. Questi, prima della sua partenza per una destinazione sconosciuta, aveva sconfitto ogni combattente che gli si era parato davanti nei regolari scontri nell'arena. Pareva che, incredibile a dirsi, ogni suo duello fosse stato molto rapido e mortale. Il mercante riferì inoltre di alcune voci che volevano il giovane guerriero, di cui non si rammentava il nome, come la vittima di un pericoloso agguato a tradimento nel quale ogni aggressore aveva però trovato una morte orrenda.
Subito un pensiero attraversò la mente del mercenario. Incontrare quel guerriero. Nemmeno lui nel fiore della sua gioventù era riuscito a concludere tutti i suoi combattimenti con la morte dell'avversario. Spesso i suoi nemici si erano dati alla fuga, a volte riuscendo a correre più veloci della sua scure da lancio. Terminò di acquistare le provviste in fretta poiché ora sapeva perfettamente quale sarebbe stata la sua nuova destinazione.
   
 
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