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Autore: Carmen Black    18/03/2013    10 recensioni
Bella è una ragazza di quindici anni che si ritrova a dover traslocare in un altro paese a causa del lavoro del padre. L'ultimo saluto e le ultime lacrime le riserva al suo ragazzo Edward e a malincuore va via, lasciandolo alla sua vita.
Ma il destino non sempre è crudele e anche a distanza di tanti anni, quando sono diventati ormai un uomo e una donna adulti, li farà ritrovare...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Jasper Hale | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Rosa
 
Rosa, come il colore che fa passare ogni dolore.
Rosa, come il ricordo del sorriso che affiorava sul tuo viso.
Rosa, il colore di cui si tinse il mio umore quando tu entrasti nel mio cuore.

 
 
 
 
 
Era… era lo stesso di sempre. Era il mio Edward, soltanto un po’ più cresciuto. Adesso era un uomo.
Ero travolta dall’emozione, la mia bocca si apriva e si chiudeva ma non ne fuoriusciva alcun suono. Le ginocchia mi tremavano… oh sì se mi tremavano.
«Bella, come stai?».
Increspò le labbra in un abbozzo di sorriso, quel sorriso che avevo amato sin dalla prima volta che lo avevo visto nei corridoi della scuola.
«Io credo… io credo bene. Tu?», deglutii, avevo la gola secca. Ogni parola che pronunciavo sembrava raschiare l’aria, era di troppo, era inopportuna.
Edward fece un passo avanti e si chinò su di me, avvolgendomi in uno stretto abbraccio. La valigetta che aveva nella mano destra cadde al suolo, proprio come anni prima era accaduto al suo skate. Se mi concentravo riuscivo ancora a sentire il rumore che produceva all’impatto con legno delle scale del suo portico.
Ma se allora era stato un addio, adesso era… un ritrovo. Non faceva male, non scaturiva lacrime, paura. Era pura felicità.
Mi sollevai sulle punte e lo abbracciai affondando col viso nell’incavo del suo collo.
Il suo odore mi riportò di nuovo al passato: muschio, biancheria pulita e pelle scaldata dal sole.
Il ciondolo che mi aveva regalato sembrò bruciarmi sul petto. Non lo avevo mai tolto, mai. Era un modo per non dimenticare Edward, per non dimenticare come mi faceva sentire ogni qual volta ero con lui.
Forse avevo sbagliato a non dare un taglio netto al passato. D’altronde ricordare costantemente qualcosa che non si può avere, non è positivo. È fonte costante di insoddisfazione. Ma per me era stato meglio ricordarmi di ciò che avrei voluto piuttosto che dimenticarlo.
«Mi sei mancata», mi sussurrò all’orecchio accarezzandomi i capelli.
«Anche tu. Tanto».
I miei occhi si riempirono di lacrime a una velocità inaudita. Ero un completo disastro, non potevo piangere davanti a lui come una sciocca ragazzina, neppure se era per la felicità di averlo rivisto.
Guardai dappertutto, ma le pareti specchiate dell’ascensore non mi aiutarono a calmarmi. C’eravamo io e lui abbracciati in ogni prospettiva possibile, anche riflessi dall’alto del soffitto.
Rivedevo noi del passato e purtroppo rivedevo anche ciò che saremmo potuti diventare e che non eravamo.
Lo strinsi più forte a me aggrappandomi alla sua giacca. Mi sarei arrampicata su di lui se non rischiassi di apparire come una pazza invasata.
Anche lui mi strinse più forte, il suo respiro mi solleticava il collo.
Il trillo dell’ascensore ci fece sobbalzare. Le porte si aprirono al piano terra quasi deserto. Ci allontanammo l’uno dall’altro per riprendere un po’ di contegno. Edward si sistemò la giacca e la cravatta evitando il mio sguardo poi recuperò la valigetta dal pavimento. Io invece non feci nulla, sapevo a priori di essere un disastro con la camicetta sgualcita da troppe ore di lavoro, i capelli legati e le occhiaie vistose.
«Vieni», disse piano accarezzandomi l’interno del gomito.
Per un attimo lo fissai spaesata, non capivo dove dovessimo andare, poi capii che intendeva fuori dall’ascensore.
Camminammo in silenzio sul tappeto nero che arrivava fino alle porte di vetro girevoli dell’uscita. La postazione di Kate era già vuota e qualcuno dell’impresa di pulizia dava un colpo di straccio ai pavimenti.
«Io sono… felicissimo», iniziò sorridendo. Era come se non credesse che ci fossimo rivisti e in effetti, io ero stupita quanto lui. «Vorrei trascorrere un po’ di tempo con te, Bella. Però ho un impegno che non posso revocare per nessun motivo», continuò dispiaciuto. «Però ti prometto che lo faremo presto, va bene?».
«Certo», annuii delusa ma sfoggiando il mio miglior sorriso.
Dio, non riuscivo a credere quanta voglia avessi di stare con lui e di ascoltare i racconti degli anni trascorsi in lontananza.
E la voglia che avessi di osservarlo, di scoprire i suoi nuovi tratti da uomo, i suoi sguardi sicuri e consapevoli, quel taglio di capelli che già adoravo, le sue mani grandi con una peluria castana rossiccia che ne adombrava lievemente l’estremità.
Cercò qualcosa nella tasca interna della sua giacca, poi si fermò all’improvviso stringendo lo sguardo sul mio petto.
«Ce l’hai ancora?».
Sollevai la mano e strinsi tra le dita il ciondolo a forma di foglia che mi aveva regalato anni addietro. Si era un po’ scolorito, adesso il verde era appena visibile, ma erano trascorsi ben… dodici anni.
«Sì, è un ricordo», mi affrettai a dire.
Espirò velocemente e tirò fuori il cellulare. «Lavori qui, non è vero?».
«Sì, marketing. Dodicesimo piano».
Mi diedi della stupida all’istante. Dovevo stare calma, non dovevo soffocarlo! Potevo evitare di dire anche il piano dove lavoravo, solo che volevo che lo sapesse, tutto qui. Poteva rintracciarmi, ecco.
«Ti dispiace darmi il tuo numero?».
Mi dispiaceva? «Umh… non me lo ricordo, però se mi dai il tuo, posso farti uno squillo».
E così facemmo: mi diede il suo numero e gli feci uno squillo. Salvai il numero sia sulla sim sia sul telefono, non sia mai uno dei due avesse voluto dare forfait e poi tornai a guardarlo negli occhi.
Il perché mi tremassero le ginocchia proprio non lo capivo.
«Allora, a presto».
«A presto», sussurrai.
Mi accarezzò il mento prima di andare via e il mio cuore sussultò e si strozzò da solo.
Rimasi a fissare il vuoto per qualche minuto, prima di ricordare che cosa dovessi fare.
Certo, dovevo tornare a casa, togliermi quelle scarpe che mi strozzavano i piedi, infilare le ciabatte, mangiare e telefonare Riley. Invece feci tutto l’opposto.
Digitai il numero della mia amica Alice.
“Pronto?”.
“Sono io”, dissi quasi con un tono disperato.
“Bella! È successo qualcosa?”.
Mugolai in preda all’ansia mentre scendevo a tutta velocità le scale che portavano alla metropolitana. “Qualcosa? Credo che sia un disastro”.
“Oh mio Dio! Ti è caduto il caffè sui documenti in ufficio? Sei rimasta chiusa a lavoro?”.
“No, peggio”.
“Bella, parla!”.
“Edward. Edward, l’ho visto è qui in città. Gli ho parlato, l’ho abbracciato. Dio! Mi è mancato…”.
Ci fu qualche istante di silenzio tra di noi. La folata intensa dell’arrivo del treno, m’investì facendomi svolazzare i capelli e il cappotto.
“Alice ci sei?”.
“Scusa, ma chi è Edward?”.
Mi sbattei una mano sulla fronte ed entrai in un vagone, mantenendo l’equilibrio tramite un corrimano sulla mia testa. Ci arrivavo a malapena, perché non ne facevano a misura anche delle persone basse?
“Posso venire a casa tua, Alice?”.
“Certo, tanto sono sola. Capirai…”.
“Jasper non si è fatto vivo?”.
“No…”.
“Ci sono io, amica mia! A tra poco!”.
“Ti aspetto”.
Riattaccai e il percorso fino a casa sua fu brevissimo. Non per la distanza, perché era a quasi un’ora da dove lavoravamo, ma per i miei pensieri, per la mia immaginazione che volava… per Edward.
Mi fermai a prendere delle ciambelline zuccherate all’angolo della strada e poi arrivai da Alice. Abitava al terzo piano di una palazzina piccola ed elegante con le inferriate dei balconi di ferro battuto. Non se ne vedevano di frequente edifici come quelli, erano un vero gioiellino, ma Alice l’aveva scovata senza problemi.
Aprì la porta non appena l’ascensore si fermò al suo piano.
«Ciao Bella».
«Ciao e scusa se ti sto disturbando».
«Non essere scema, entra!».
Lasciai il cartoncino delle ciambelle su un ripiano del piccolo salotto e mi sfilai il cappotto ripiegandolo su una sedia. La casa di Alice era piccola, accogliente e colorata, era come un tramonto: le tende gialle come i tappeti e i cuscini, i tessuti del divano arancioni, come i fiori dentro i vasi e l’orologio sulla parete.
Mi offrì un pezzo di pizza e poi sprofondò sul divano. Indossava una tuta rosa e i capelli – che si era lasciata crescere, ormai le arrivavano alle spalle – erano acconciati in una treccia. «Allora, chi è questo Edward?».
Mi lasciai cadere al suo fianco addentando l’orlo della pizza. Era una specie di mania, l’avevo sin da piccola, mangiavo la pizza al contrario, prima l’orlo e dopo il resto.
«Te ne ho parlato al liceo, ma evidentemente non te ne ricordi. Non so nemmeno come definirlo, eravamo solo due ragazzini. Forse sbaglio, ma è un mio ex fidanzatino. Ecco…».
Alice rise sbattendo i piedi sui cuscini del divano. «Fidanzatino? Andiamo Bella!».
«Cosa vuoi che ti dica? Stavamo insieme».
«Vi siete scambiati i lecca lecca?».
Mugolai sentendo il mio stomaco agitato e colmo d’ansia. «Avevamo quindici anni. È stata la mia prima volta con lui».
«Bella, ma sei stata precoce!».
«Perché tu a quanti anni hai avuto la tua prima volta?».
«Quindici e mezzo», rise per poi tornare subito seria. «Beh, comunque l’hai rivisto, ci hai parlato? Mi sa che ricordo qualche racconto che mi hai fatto su di lui… è quello che andava in skate?».
«Sì», dissi in un lamento. «E mi ha abbracciato, gli ho dato il numero. Avrei voluto stare con lui…».
«Piantala! È solo l’entusiasmo dell’incontro. Dopotutto avete trascorso dei momenti piacevoli insieme ed eravate ragazzini, è normale la tua reazione. Vedrai che domattina, avrei dimenticato tutto».
«Dici?».
«Devi aver dimenticato tutto, Bella. Stai per sposarti, per favore non scherzare».
Mi lasciai sprofondare fra i cuscini nascondendo il viso. Infatti, io stavo per sposarmi e Edward era un mio bel ricordo e basta. Era normale provare quelle sensazioni dopo dodici anni di lontananza, era normalissimo. Eppure una parte di me diceva che non era affatto normale percepire delle emozioni così forti dopo tutto quel tempo.
«Alice, trova un modo per evitare che io usi il suo numero».
«Cancellalo».
«No!», esclamai indignata. «Come puoi chiedermi questo?».
La mia amica sbatté le palpebre. «Me l’hai chiesto tu!».
«Sì, ma tu sei sempre così tragica».
«Non è vero», borbottò.
Mi alzai e m’infilai di nuovo il cappotto. «Ti lascio al tuo riposo. Grazie per aver ascoltato il mio sfogo».
«Breve ma intenso, direi».
«A domani, Alice».
«A domani, Bella».
Imbronciai le labbra e tornai verso casa mia a piedi. Per fortuna non faceva tanto freddo e alcuni negozi erano ancora aperti. Erano le nove e trenta di sera ed io volevo fare tutto tranne che tornare al silenzio del mio appartamento. Non quella sera… con Edward così vicino.
Ma nonostante la voglia pazza di sentirlo, sapevo già che non avrei avuto il coraggio di chiamarlo. Io ero una codarda.
Salutai Aro, il portiere del mio palazzo con un cenno della mano e non appena voltai l’angolo, mi tolsi le scarpe. Risalii a piedi fino al primo piano e quando fui abbastanza vicina alla porta di casa mia, notai diverse cianfrusaglie accatastate lungo la mia parete. Per un istante mi venne il panico, pensai che Riley mi stesse restituendo tutte le mie cose, per qualche arcano motivo… poi mi accorsi che non era roba mia.
Feci lo slalom tra i diversi scatoloni e aprii la porta. Lanciai il cappotto e la borsa sul divano e mi richiusi in bagno. Dovevo prepararmi per il giorno dopo!
Bagno caldo rigenerante con sali rassodanti, scrub, crema antiocchiaie, antipellesecca, antirughe e anticouperose.
«Ma io non ho la couperose…», dissi al mio riflesso allo specchio.
Feci spallucce e fino a tarda notte usufruii della piccola SPA organizzata nel mio minuscolo bagno, di un anonimo edificio, in un’anonima via di New York.
Dimenticai anche di telefonare Riley, a dire il vero dimenticai ogni cosa, anche me stessa.
I miei pensieri erano solo per Edward. Non riuscivo a toglierlo dalla mia mente in nessun modo, i suoi occhi non volevano lasciarmi in pace, la sua voce calda e suadente nemmeno. E immaginavo, immaginavo…
Alice sarebbe stata fiera di me, il cellulare era rimasto in borsa, lontano dalle mie dita pericolose.
Sperai che il giorno dopo arrivasse in fretta, non vedevo l’ora di rivederlo.
Sospirai sognante. Il mio piccolo amore.


Angolino Autrice

Sera a tutti! :) Pian piano ci addentriamo nella storia, che riserverà tante sorprese. Bella è euforica e non pensa ad altro che a Edward, ma col suo imminente matrimonio, non è proprio la cosa giusta da fare. Grazie infinite per le recensioni sn bellissime!
Al prossimo capy e spero che questo vi piaccia!
<3 <3 <3

  
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