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Autore: Hastatus    18/03/2013    2 recensioni
Gabriel, l'Angelo dell'annunciazione, è giunto.
Sarà possibile 'vivere' ancora? Incrinare i gusci eretti intorno a sé?
Rei, sarà possibile?
Pochi capitoli, un finale personale, più...felice.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Misato Katsuragi, Rei Ayanami, Shinji Ikari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Infine ecco la conclusione. Vi ringrazio per la costanza con cui mi avete seguito, e soprattutto per i vostri commenti, che sono sempre stati interessanti e bene accetti. Per questo spero che me ne vogliate regalare ancora un paio per questa fine di storia, e spero anche che questa possa regalarvi un sorriso spensierato.
Ancora grazie, e alla prossima storia!

 
 
 
 
 

 

Forse era perché aveva corso sotto la pioggia.
Forse era perché in giro era pieno di fiori e, quindi, di pollini.
Forse era perché i pianeti si erano allineati nel modo sbagliato.

 
Qualunque cosa fosse, Shinji era chiuso in camera da tre giorni con un raffreddore tanto forte che, oltre che le narici, gli pareva che gli si fosse chiuso anche il cervello. I fazzoletti sparsi un po’ ovunque e una pezza calda sulla fronte, cercava di riposare e di distrarsi leggendo le riviste di Misato, ma di motori e automobili gli interessava veramente poco. Mentre sfogliava le pagine, gli pizzicarono prima gli occhi, poi il naso, e immediatamente esplose in uno starnuto che fece volare la rivista dall’altro capo della stanza. Ormai la sua camera era ridotta a una sorta di campo di battaglia contro il virus.
La porta della camera si schiuse, e spuntò la testa di Misato.
 
“…tutto a posto?”
 
“Sì” – rispose il ragazzo con voce roca e nasale – “Sì…in realtà penso che stia passando”
 
“Ok. Sicuro che non ti vada un tè caldo?”
 
“Oh…sì, grazie, sarebbe magnifico”
 
“Allora lo preparo” – disse la donna, e se ne uscì silenziosamente mentre il ragazzo si soffiava il naso. Il giorno precedente erano passati i suoi due amici a portargli gli esercizi di Chimica che avevano fatto per le vacanze, così che Shinji potesse tenersi al passo coi compiti. Il ragazzo li aveva ringraziati, e subito dopo aveva abilmente accantonato le fotocopie. Avevano detto che sarebbero passati ancora l’indomani e, con puntualità tipicamente giapponese, in quel momento suonò il campanello.
 
“Salve signorina Kasturagi”
 
Dalla camera, Shinji sentì quel tono di voce e s’impetrì. Non era decisamente il loro timbro. si guardò intorno nel panico: la camera era indiscutibilmente troppo caotica, e ormai era troppo tardi per agire in qualunque modo.
 
“Ciao Rei!” – il tono di Misato era di piacevole, allegra sorpresa. “Come mai qui?”
 
“Ho portato a Ik…Shinji le fotocopie degli altri esercizi. È in casa?”
 
“Sì, è in camera sua. Entra, entra pure”
 
Rei varcò timidamente la soglia. Misato le indicò la porta. Pochi secondi dopo, Shinji sentì due tocchi delicati alla porta. Deglutì.
 
“Avanti”
 
Una lama di luce, e il suo volto fece capolino. “Ciao”
 
“Buongiorno, Rei… vieni, se non hai paura di contagiarti”
 
“Non è un problema. Ti ho portato queste, immagino che ne avrai bisogno”
 
Gli porse le fotocopie. Shinji la ringraziò con un sussiego che subito dopo giudicò eccessivo. Rei nel frattempo si osservava intorno.
 
“Assomiglia alla mia vecchia camera, c’è lo stesso disordine”
 
Shinji non poté fare a meno di vergognarsi un po’.
 
“Già, ehm…non ho avuto tanta voglia di rimettere in ordine…”
 
Ma Rei stava già rassettando l’intorno del suo letto. Gli tirò le coperte, eliminò i mucchi di fazzoletti e gli cambiò la pezza sulla fronte (che peraltro stava divenendo superflua). Poi si sedette di fianco a Shinji e gli posò la mano sulla fronte. Una scossa elettrica.
 
“Non è calda” – sentenziò – “ancora poco e sarai guarito del tutto”
 
“Grazie per aver messo in ordine” – le disse Shinji. Dopo quanto era accaduto nel capannone qualche giorni prima, quello era il degno coronamento del suo stupore. Rei aveva subito una metamorfosi vertiginosa, ma paradossalmente niente affatto forzata. Per qualche motivo, sembrava che fosse sempre stata così, e questo lasciava esterrefatti coloro che, come Shinji, sapeva com’era in precedenza.
 
“Ecco il tè”
 
La porta scorrevole si era aperta di colpo, e Misato entrò con un sorriso raggiante e due tazze strette in mano. Ne porse una a Shinji e una a Rei, che parve sorpresa da tanta premura e ringraziò flebilmente. La donna fece un risolino e dichiarò che stava uscendo di casa.
 
“D’accordo” – disse il ragazzo – “Tornerai stasera?”
 
“Oh sì, ma non ti preoccupare, Rei saprà badare a un grave degente come te”
 
La ragazza socchiuse la bocca in un’espressione sorpresa. Misato sorrise di nuovo.
 
“Beh, allora a dopo!”
 
Pochi secondi dopo che era uscita dalla camera, la serratura della porta dell’appartamento scattò, annunciando che se ne era andata. Shinji si rivolse a Rei, un po’ ridendo e un po’ scusandosi.
 
“Stava scherzando, sai…se vuoi torna pure a casa”
 
“Non è un problema, posso rimanere volentieri”
 
Shinji pensò che la ragazza aveva bisogno di compagnia. E pensò anche che lui aveva una gran voglia di fargliela e di riceverla.
Poco dopo, Rei era seduta su di un cuscino di fianco al letto di Shinji, intenta a leggere dal suo libro di Chimica. Shinji non aveva il coraggio di afferrare i testi, così se ne stava disteso a pensare tra sé.
Doveva ammetterlo, e infatti ormai non lo nascondeva più a se stesso. La ragazza che stava seduta di fianco a lui in quel momento, silenziosa, seria e lievemente china su di un libro pieno di formule lo attirava come se fosse una calamita e lui fosse fatto di ferro. Era come se qualcuno gli avesse montato una stufa a livello del cuore, e che questa si accendesse ogni volta che si trovava con Rei, scaldandogli il petto.
Shinji si chiese perché fosse così, e setacciò molte ipotesi, che gli apparvero una per volta nella mente come delle diapositive su un proiettore. Forse perché gli somigliava come persona tranquilla, discreta e profondamente insicura. Forse perché era agli effetti la prima ragazza con la quale aveva avuto a che fare. Forse perché profumava di buono. Con una certa frustrazione, Shinji comprese che tutte quelle risposte erano parzialmente vere, e singolarmente non si autosostenevano; solo nel loro insieme completavano esaurientemente il quadro.
 
“Dimmi”
 
“…come?”
 
“Mi stai guardando da un po’… dimmi”
 
Il volto di Shinji assunse una marcata tonalità paonazza.
 
“Oh, niente … tranquilla”
 
Un momento di silenzio.
 
“Grazie per l’altro giorno”
 
“Quando?”
 
“L’altro giorno … nell’hangar degli EVA”
 
Shinji si sentì lusingato. Per qualche motivo faticava a mantenere il controllo delle sue dita, che sembravano scattare autonomamente. “Figurati”, rispose.
 
“Sei stato molto forte”
 
Il ragazzo non capì. “In che senso … ?”
 
“Non so come poterlo spiegare. Hai superato molte barriere, credo … per venirmi incontro. Ti sei preoccupato per me, mettendo te stesso in secondo piano. Per questo ti ringrazio”
 
Shinji sorrise, emozionato. “Credo che questo significhi voler bene a qualcuno”
 
Rei corrugò appena la fronte. “Capisco … quindi offrirsi al prossimo per aiutarlo vuol dire questo …” – si bloccò un istante, pensierosa, poi continuò – “E cercare qualcuno per farsi aiutare, cosa significa?”
 
Shinji alzò lo sguardo al soffitto, ragionando. “Credo sia un’altra faccia della stessa medaglia. Se una persona si offre di aiutare il prossimo allora vi è affezionato, e se questo si lascia aiutare allora è reciproco”
 
Rei distese la fronte e tacque qualche secondo.
 
“Allora è così anche per me” – disse, e sorrise al ragazzo al di sopra del libro di Chimica. Cercò la sua mano, la prese nella sua intrecciandovi le dita, e ricominciò a leggere.
Shinji percepì chiaramente i sintomi di quella che doveva essere una fibrillazione atriale piuttosto grave.
 

*

 
Neo-Tokyo 4, 9 giugno 2017.
 
Finalmente stava arrivando l’estate. Il corpo lo percepiva dal rialzo della temperatura, mentre lo spirito dall’odore dell’erba fresca e dallo stridio dei gabbiani sulla riva del mare.
Shinji camminava lungo la riva, a qualche metro dal bagnasciuga e lasciando orme nette sulla sabbia. Amava quella stagione, perché non era necessario indossare strati su strati di abiti, i quali – sospettava – non solo coprivano il corpo, ma anche una buona parte della personalità. Così, vestendo una maglietta azzurra, proseguiva beandosi dei raggi di sole che lo colpivano.
Vi era parecchia gente lì intorno, quella mattina. I più passeggiavano in gruppetti o a coppie, tra una risata, un’esclamazione ilare, un vociare sommesso. Ma vi erano anche un gruppo di ragazzi intenti in una partita di pallavolo e che avevano costruito una rete improvvisata con due rami contorti e una corda; un uomo anziano che pescava da uno scoglio, il cappello di paglia a tesa larga sulla testa e il cesto del pesce al suo fianco; due bambini che costruivano improbabili ed effimere torrette di sabbia poco distanti dalle onde quiete del mare.
 
Il gioioso chiasso che proveniva da tutte quelle persone avrebbe irresistibilmente coinvolto molte persone, e forse qualcuno si sarebbe aggiunto alla partita di pallavolo, o avrebbe aiutato i bambini nella loro opera, o semplicemente avrebbe discorso un po’ con il vecchio pescatore. Ma Shinji non se ne curava troppo: per lui, in quella mattinata assolata e ventosa, quel campione umano era un sottofondo necessario, una bella cornice nella quale racchiudere tutti i suoi pensieri.
Shinji aveva occhi solo per la luminosa e increspata distesa del mare. L’azzurro di quello sterminato tavolare lo faceva perdere nell’intimo di se stesso, quasi fosse egli stesso quel mare, e i pensieri scivolassero sulla sua superficie a vele spiegate.
Tuttavia, pensò, due anni non erano che un lasso di tempo brevissimo per quel mare, che aveva vissuto per ere ed ere quasi immutato, vedendo scorrere accanto a se le specie viventi una dietro l’altra e osservando il lento erodersi degli scogli sul quale, pazientemente, si abbatteva. Al contrario, per lui due anni erano un arco di tempo molto importante.
Due anni prima aveva sconfitto l’ultimo angelo. Avevano sconfitto, in effetti, non lo aveva di certo dimenticato. Eppure tutto ciò che era successo dopo, per quanto fosse meno maestoso, meno evidente ed eclatante, l’aveva colpito e segnato più di quanto avesse potuto fare l’esperienza  sugli EVA, della quale comunque conservava cicatrici indelebili.
Ascoltò per un attimo lo sciacquio delle onde, a occhi chiusi, e poi proseguì ancora, i capelli un po’ scompigliati dal vento. Ed ecco, dopo qualche minuto vide chi stava cercando e che lo stava aspettando. Seduta sul bagnasciuga, le mani attorno u un ginocchio, guardava verso l’orizzonte. La sua maglietta a righe bianche e rosse era un po’ agitata per via della brezza, e al ragazzo rinacque nella mente l’immagine di una vela garrente. Quando lo vide fece un gran sorriso, attraversò correndo i pochi metri che li separavano e gli mise le braccia intorno al collo. Un bacio ventoso.
 
Forse, dopotutto, se l’avesse potuto vedere in quel momento, suo padre sarebbe stato fiero di lui.

  
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