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Autore: rawrpayne    18/03/2013    3 recensioni
«carino il tuo amico.», ammiccò Henriette, in direzione del riccio che stava ballando sulla pista colorata.
«non ci provare, è inutile.», sbottai, serrando i pugni.
«un pensierino ce lo faccio.», continuò, liquidandomi con la mano.
«ho detto di no!», scandii ogni parola, prendendo la ragazza per il colletto della camicia bianca e sbattendola contro il muro freddo della discoteca, vidi la paura nei suoi occhi, la mollai di scatto e presi il riccio per un polso.
«andiamocene.», dissi fredda, trascinandolo tra la gente ubriaca e tremendamente sudata, lui si fermò.
«non voglio andare a casa.», disse, io strinsi i pugni e sospirai, cercando di mantenere la calma.
«fai come vuoi, allora.», borbottai, voltandomi e andando a casa.
[..]
«voglio che voi scriviate cos'è l'amore.», disse il professore.
"non ci siamo mai chiesti perchè cupido lanciasse le frecce al cuore, le frecce fanno male, l'amore fa male e ti fotte, anche.", scrissi velocemente, alzando lo sguardo e osservando lui e Henriette che ridevano. Mi maledissi perchè quella sera sarei potuta rimanere in discoteca e impedire il loro incontro, ma avrei finito per far male a lui, nel disperato tentativo di proteggerlo dai pericoli, di proteggerlo da me.
Genere: Comico, Drammatico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Danger.


Scorsi lo sguardo sui ciottoli del vialetto di casa Cox, erano bianchi e grigi, davano alla casa un tocco di eleganza, più di quanto non lo fosse già s'intende.
«senti..», iniziai incerta, infilando le mani nel giaccone nero tre volte più grande di me, lei si voltò a guardarmi e io feci un lungo respiro, «non voglio creare problemi, sul serio.», chiarii, mentre lei sorrideva amabilmente, così ricambiai velocemente, poi le mie labbra carnose diventarono una linea orizzontale, nessun'espressione.
«Lo so, in fondo non sei così ribelle come dicono.», rispose, tranquilla. Mi irrigidii e piantai gli occhi sulla porta di legno chiaro della villetta. Perchè non aveva paura di me? Perchè non mi aveva lasciata in carcere? Sarebbe stato più facile sia per me, che per lei, credo.
«Perchè non mi hai lasciato in carcere?», chiesi sfacciatamente, mentre lei apriva la porta con una delicatezza inimmaginabile, lei fece spallucce, mentre si aggiustava i ciuffi dei capelli neri che erano fuoriusciti dal cappello poliziesco.
«tu non sei un mostro, Jade.», rispose, «hai bisogno d'amore, di qualcuno che ti segua, che sia fiero di te ogni volta che fai qualcosa di giusto e che ti richiami quando fai qualcosa di sbagliato, credevo potesse farti piacere respirare aria pulita.», concluse, saettando lo sguardo da me alla casa che mi si presentava davanti. Increspai le labbra, insicura sulla risposta da darle, poi decisi di mettere in gioco la mia “maschera” ,quella che avevo costruito in questi due anni e che non sarebbe stata distrutta da una quarantenne con un pizzico di dolcezza di troppo. Accesi una sigaretta e feci un tiro.
«Qui non si fuma.», mormorò distrattamente un ragazzo riccio mentre scendeva le scale, non mi guardò nemmeno in faccia, troppo occupato a manovrare il suo cellulare nero laccato, probabilmente non si accorse nemmeno che ero una ragazza della sua stessa età, non una vecchietta decrepite amica della mamma. Spensi la sigaretta e lo guardai muoversi verso la cucina, poi inclinai il capo, niente male il ragazzo.
«Cos'è? Siete tutti allergici al fumo qui dentro?», sbottai, buttando il pacco di sigarette rosso nella borsa di cuoio, il ragazzo si fermò di colpo, poi s'irrigidì.
«sto parlando a vuoto, a quanto pare.», continuai arrogante, lui si voltò e io fui travolta, non da lui, ma da quegli occhi, potevi farci un tuffo e farla sembrare acqua per quanto erano limpidi, ma non erano azzurri, erano verdi, verde smeraldo per dirla tutta.
«Lei è Jade, Harry.», disse Anne, mentre io feci un smorfia, lui sorrise, un sorriso da far invidia al bianco della luna. «rimarrà qui per un bel po', prenderà la stanza di Gemma.», continuò, scrollai le spalle.
«La mia camera?», chiesi.
«in fondo a destra.», rispose il ragazzo, abbassai lo sguardo e salii lentamente le scale, pensando al suo timbro di voce, era roca, profonda. Giocherellai per un po' con il pacchetto di sigarette nella borsa, poi aprii la porta e la richiusi dietro di me, accendendone una. Osservai la mia stanza seduta sul davanzale della finestra, era verde acqua, con delle luci di natale argentate e i mobili bianchi, degna di una principessa, pensai che con un mio tocco di creatività, poster dei Green Day e degli Oasis, non sarebbe stata poi tutto questo disastro. Il paesaggio da lì non era niente male, devo dire, dava su un quartiere di Holmes Chapel mai visto prima, case tutte uguali, bianche, insomma, si vedeva che queste persone non abbracciavano il bizzarro, al contrario della sottoscritta. Cacciai dalla tasca l'iPhone e lo rigirai tra le mani, era vecchio di tre anni, me lo aveva regalato mio padre a quindici anni, per il mio compleanno, sorrisi a quel ricordo. Controllai i messaggi. Tom.
“ho l'avversario che fa per te, chiamami, Jade.”, scattai in avanti e composi frettolosamente il suo numero. Prima di sbattermi in cella, ero andata agli allenamenti di boxe, o meglio, ero io che allenavo i ragazzi, non ho mai combattuto, dicevano che era pericoloso, non per me, ma per le sfidanti. Dopo una serie di squilli la voce calda di Tom arrivò al mio padiglione auricolare.
«Jade!», esclamò, mi sedetti sul letto, felice, dopo tanto, troppo tempo.
«Tom, non sai cos'è successo!», risposi, con una punta di entusiasmo nella voce.
«Sei a casa Cox, perchè tuo zio ha detto che devi andare a vivere là con lei e suo figlio super-figo.», cantilenò lui.
«non fare il gay, Tom, non è super-figo.», sbottai, lui rise, la sua risata era cristallina. «come fai a saperlo,comunque?», chiesi, stendendomi.
«Qui lo sappiamo tutti quanti, comunque non mi hai chiamato per raccontarmi i tuoi sogni poco casti su Harold, lo sappiamo entrambi.», mi richiamò, risi, poi presi fiato.
«Chi sarebbe la sfortunata che ha accettato?», chiesi, fremendo dalla voglia di sapere chi fosse.
«Catlyn Cornwell.», rispose, strinsi l'apparecchio e lo pressai sull'orecchio.
«quella Catlyn Cornwell?», mi accertai, a denti stretti. Catlyn Cornwell, la figlia di buona donna, donna dai costumi facili, eccetera eccetera, aveva mollato il mio migliore amico Jeff Stevens al primo anno di liceo, lui non era mai stato un tipo molto forte, così mi abbandonò, abbandonò tutti per dirla tutta e io diedi la colpa a lei, era sua la colpa se Jeff stava passando un brutto periodo. Gli occhi si inumidirono a quel ricordo, ma era da tanto che non piangevo e non avrei iniziato a farlo ora, sicuramente.
«Dimmi quando, dove e a che ora, verrò a spaccargli il culo.», sbottai, lui ghignò.
«tra due settimane, di venerdì, l'ora dobbiamo ancora stabilirla.», rispose, schioccai la lingua sul palato.
«Perfetto, ci si sente, amico.», salutai, spegnendo la sigaretta nel cestino affianco al letto.
«Ci si sente.», ripetè lui, attaccando.
Avrei avuto la mia rivincita, dopo tanto tempo, avrei finalmente fatto passare a Catlyin quello che ho passato io in tutta la mia adolescenza; al di fuori dei miei genitori, solo Jeff riusciva a capirmi e ora che non c'erano più entrambi, avevo il disperato bisogno di qualcuno che anche quando non parlo, riesca a interpretare alla perfezione i miei gesti, come faceva lui, ma questa persona non si presenterà mai alla porta di casa e io mi sono spaccata la schiena per anni per trovarla, probabilmente non c'è al mondo una persona simile. Presi la borsa di cuoio e ne estrassi un libro, sfiorai delicatamente la copertina e poi iniziai di nuovo a sfogliarlo, sorridendo alla moltitudine di foto che mi si presentavano davanti, raffiguravano un po' tutti, tutte le persone fondamentali della mia vita, c'erano Jeff, mamma, papà, Tom e un bambino, di cui non conosco il nome, non so niente su di lui. Nella foto ci teniamo per mano, lui ha i capelli biondi, occhi azzurrissimi, come il cielo e un sorriso con i denti leggermente storti, ma non mi importava, dicevano mamma e papà ogni volta che vedevo i denti storti del ragazzo e facevo una smorfia. Non mi hanno mai voluto dire chi fosse e dove abitasse, mia madre mi sussurrava sempre “dai tempo al tempo, se è destino vi rincontrerete.”, non c'ho mai capito niente di tutta questa situazione e -a giudicare dalla mia e dalla sua statura minima- di tempo ne era passato, eccome. Scossi la testa e sentii qualcuno battere alla porta, così infilai goffamente il libro nella borsa e sussurrai un flebile 'avanti'.
«è pronta la cena, sempre se hai fame.», mormorò Harry, il ragazzo di prima, balbettando.
Mi strinsi nelle spalle e mi alzai lentamente, poi lo raggiunsi e silenziosamente ci avviamo in cucina, sentivo il peso del suo sguardo addosso, non mi era mai capitato prima d'ora. Arrivammo in cucina e Anne si sedette con noi, servendo nei piatti una coscia di pollo, con delle patatine fritte vicino. Da quant'è che non mangiavo un piatto così? Per tutti questi anni mi accontentavo del cibo in scatola o congelato, quindi davvero tanto di tempo. Cercai di mangiare il tutto senza sembrare in astinenza, fugace o roba del genere, con scarsi risultati, visto che il ragazzo ghignò, guardandomi.
«non hai mai visto una ragazza mangiare, Harry?», chiesi sarcasticamente, lui deglutì guardando il piatto, io guardai Anne che alzò la forchetta e poi -dopo aver deglutito- parlò.
«tutte quelle che di solito porta a casa sono attente alla linea, non mangiano niente.», spiegò svogliatamente, io annuii lentamente. “tutte quelle che porta a casa” , rimbombò nella mia testa e una strana sensazione di prenderle tutte a calci, sconosciute e non, mi invase. Scossi la testa.
«tra due settimane posso uscire?», chiesi all'improvviso, Anne mi guardò, poi guardò Harry.
«con lui.», rispose solamente, sgranai gli occhi e scossi energicamente la testa.
«non se ne parla io..devo fare una cosa.», replicai, «privata.», evidenziai, lei ghignò.
«sei sotto questo tetto, fai quello che dico io e tu -mi indica- senza di lui -indica il ragazzo- non esci, non metti piede fuori da questa casa.», sbottò, perdendo la pazienza, sbuffai. «farò qualcosa di educativo, boxe, articolo la difesa, no?», chiesi sarcastica, sperando di convincerla, lei scosse la testa, come se gli avessi chiesto di portami sulla luna.
«tu non vedrai né la boxe, né la droga, né qualsiasi altra cosa che facevi prima, da oggi in poi.», sentenziò. Scossi la testa, meglio lasciar perdere e pianificare una fuga quella sera, quando sarà.
«ha chiamato tuo padre.», disse Anne a Harry-ho-gli-occhi-limpidi, che si irrigidì visibilmente, mi alzai lentamente inchiodando lo sguardo in quello di Anne.
«forse è meglio che vada, non voglio disturbare.», dissi. Sarò pure ribelle quanto vuoi, ma la privacy la rispetto, almeno quella.
«non c'è n'è bisogno, davvero.», mormorò il riccio, facendomi un mezzo sorriso, scrollai le spalle e mi sedetti sul divano del salotto -comunicante con la cucina.- sotto lo sguardo dei due soggetti seduti a tavola, poi sospirai, picchiettando il pollice sul ginocchio.
«che ti ha detto?», chiese Harry, irritato.
«che vuole passare un po' di tempo con te, tra due week-and andrete da lui.», disse, mi alzai di scatto e corsi su in camera. Perchè dovevo andarci anch'io? Io non avevo niente a che fare con loro e volevo farmi i cavoli miei, non ci andrò, stop.
Bussarono alla porta e mi sedetti sul davanzale della finestra.
«avanti.», dissi ferma, sospirando. Entrò la figura slanciata del riccio, che mi sorrideva incoraggiante, senza mostrare i denti.
«immagino ci sia qualche problema.», mormorò, giocando con gli oggetti sulla scrivania, tutti porta foto.
«un solo problema?», sbottai, «ce ne sono tanti, ma non vado a rompere le palle alla gente.», continuai, lui sospirò.
«Jade, lo so che per te non è facile, non è niente facile in realtà, ma ti prego, accompagnami.», rispose, ignorando le mie proteste, poi si passò una mano tra i capelli.
«Perchè?», chiesi sfacciata, alzando le spalle e la voce.
«Perchè te lo sto chiedendo io, sennò avrei mandato mia madre ad obbligarti.», sospirò, «io e mio padre non andiamo mai d'accordo e ogni volta che passo con lui tipo un'ora finiamo per litigare e io sono stanco, se vieni tu, evitiamo il teatrino.», disse, mimando le virgolette sul teatrino.
«Capisci che anch'io ho una vita? Tra due week-and al posto di stare nella casetta di tuo padre con suo figlio, io potrei..», mormorai, lasciando la frase in sospeso e stringendo i pugni.
«Potresti andare in giro a picchiare la gente? No, non puoi, Jade!», sbottò, «o vorresti finire di nuovo in carcere?», chiese sarcasticamente, alzai la testa e incontrai il suo sguardo, era supplichevole, infastidito.
«fatti i cazzi tuoi, non sai un cazzo!», borbottai, alzandomi dal davanzale della finestra e raggiungendolo, ci separavano pochi centimetri.
«So più di quanto tu possa immaginare, biondina.», mi provocò, esaurii la calma. Strinsi le mani sui suoi fianchi, il ragazzo gemette di dolore, allontanai le mani di scatto e portai una mano sulla bocca, poi scappai e mi rinchiusi nella prima stanza che mi capitava a tiro, con la testa tra le mani.
«Apri, Jade.», mormorò qualcuno fuori la porta, io sapevo chi era quel qualcuno, battè i pugni sulla porta, delicatamente.
«vattene.», dissi ferma, sedendomi con la schiena sulla porta della camera, la sua, sfortunatamente.


*saluta*
no, okay, ringrazio tutte quelle che hanno messo la storia tra le seguite, preferite e quelle che hanno recensito.
mi raccomando continuate a farlo,
cosa ne pensate di questo capitolo? vi piace il genere? scrivetemi, vi preeego.
detto questo, visto che sono le undici di sera, buona notte

  
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