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Autore: Vioccia    18/03/2013    1 recensioni
Accese la sigaretta assaporando il fumo, guardandolo uscire dalle sue narici ed insinuarsi nell’aria aperta della mattina, scomparendo. Diede altre due boccate, poi prese in mano la sigaretta e la osservò, mentre il fuoco sottile e luminoso bruciava la carta e il tabacco. Sotto alla terrazza, sulla strada, un ragazzino stava in piedi, fissandola insistentemente dal basso. Non l’aveva mai visto in giro. Era piuttosto esile, e magro. Non molto alto, probabilmente di appena una decina d’anni. Aveva i capelli a spazzola, biondi e brillanti, e mentre la fissava non mostrava una vera e propria espressione sul volto. Non sorrideva, e non era imbronciato. Sembrava quasi ipnotizzato, incantato a guardare la ragazza, allo stesso modo in cui la ragazza poco prima si era fatta catturare dalla sigaretta, che lentamente si consumava fra le sue dita.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1997
Elisa trasse con forza l’aria dentro al petto e la buttò fuori ad occhi chiusi. La stanza profumava ancora di pandoro. Strofinò per qualche secondo le mani sulla graziosa gonna di velluto che le aveva cucito la nonna, e che sua madre era stata tanto felice e commossa di vederle addosso. Si sentiva un po’ emozionata.
«E ricorda, scandisci bene le parole. Pronuncia alla perfezione ogni singola lettera, con lo stesso tono. Tutti devono sentire quello che dici, perché non avrai possibilità di ripeterlo». Adesso guardava attenta gli occhi di nonno Libero luccicare mentre si prodigava in quel discorso. Dalla modestia dei suoi sei anni probabilmente non avrebbe saputo comprendere il fatto, ma quel bagliore aveva qualcosa di magico, che la attraeva a sé e le faceva desiderare intensamente di sfoggiarlo allo stesso modo. «Hai capito, tesoro? Sì? Questo non lo dovrai scordare mai. Nemmeno quando sarai più grande. Soprattutto quando sarai più grande. Ogni volta che vuoi parlare, fatti sentire. Forte e chiaro». La bambina annuì sorridendo e abbracciò quel signorotto alto e canuto. Sentì il calore della sua pelle mentre gli dava un bacio sulla guancia increspata dalle rughe. Che, nell’idea di Elisa, erano ovviamente proporzionali ad una somma saggezza.
Incoraggiata dal nonno, la bambina si posizionò davanti alla ventina di sedie occupate dai suoi parenti. Li guardò un attimo. Mamma e papà stavano sulla destra, in prima fila, e si tenevano per mano. Tutti e quattro i nonni erano subito in seconda fila, a guardarla radiosi. E poi zii, zie, cugini, prozii, prozie, procugini. Gente che neanche aveva mai visto. Ma che importava? Nonno Libero aveva detto che lei era una professionista. «Una talentuosa, bella, intelligente e simpatica professionista», e se l’aveva detto lui, doveva essere vero. Elisa non poteva sapere che questo in futuro l’avrebbe resa insopportabilmente vanitosa. Ma in fondo, l’unica colpa di Libero era volerle troppo bene, e lei … lei era una bambina, e i bambini non hanno bisogno di preoccuparsi di niente.
Così, quando tutti fecero silenzio, quello scricciolo, gonfiato il petto di sicurezza e autostima, cominciò a declamare a gran voce: «In Italia per 300 anni sotto i Borgia ci sono stati guerra, terrore, criminalità, spargimenti di sangue. Ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo, il Rinascimento. In Svizzera vivevano in amore fraterno, hanno avuto 500 anni di pace e di democrazia. E cosa hanno prodotto? L'orologio a cucù...». Tutti gli spettatori si prodigarono in una risata squillante. Elisa continuò fiera: «Cosa disse Ulisse prima di accecare Polifemo? “Occhio a non sbagliare, ragazzi!”». Di nuovo l’ilarità riempì la stanza, e la bambina notò la prozia Alberta spiegare al prozio Ludovico, nonostante fosse fieramente provvisto della licenza media, chi diavolo fosse Polifemo. Dopo la distrazione di un attimo, Elisa riprese: «Cesare al Rubicone: “Centurioni! Il DADO è tratto! Avanti, miei BRODI!”». Il tripudio. In realtà, c’erano stati diversi applausi, qualche colpo di tosse dello zio Ludovico, che non aveva capito nemmeno questa volta, ma si vergognava di chiedere ulteriori spiegazioni, e il russare di nonno Beppe, colto dalla narcolessia. Tuttavia, si sa che quando si è piccoli le proporzioni sono leggermente sfasate: ad Elisa sembrò vedere un’infinita platea stagliarsi ai piedi di uno sfarzoso palcoscenico, milioni di miliardi di milioni di miliardi di spettatori pazzi di lei. Si mise a ridere felice. In quel momento lo sentì: il bagliore di nonno Libero le bruciò le pupille e sentì il cuore scavarle prepotentemente il petto.

2011
Il calendario appeso storto al muro, il pianoforte impolverato, il quadro di un pittore sconosciuto, un mucchio di vestiti. Il calendario appeso storto al muro, il pianoforte impolverato, il quadro di un pittore sconosciuto, un mucchio di vestiti. Il calendario appeso storto al … insomma, stava girando in tondo. Non riusciva a stare ferma, appena si bloccava sentiva le gambe pulsare, e percepiva il bisogno fisico di ricominciare a muoversi. «Elisa, piantala, mi stai mettendo ansia». L’attesa in camerino era sempre la parte peggiore. E se si fosse dimenticata le battute? Se fosse inciampata salendo sul palco? Se si fosse incartata mentre parlava? Lanciò un’occhiata a Beatrice. «Giuro che se non la pianti ti rompo le gambe». Allora Elisa si sedette con pesantezza su una rumorosa sedia di legno. Sbuffò. Non riusciva a stare calma come lei. Non in momenti come quello.
Pochi istanti più tardi, era ora di salire. Ora di andare in scena. Il momento della verità. Beatrice andò per prima, nonostante dovesse entrare dopo Elisa. Quest’ultima chiuse con delicatezza la porta e si avvicinò alla quinta,  lasciandosi alle spalle l’altra ragazza. Chiuse gli occhi nella semioscurità, inspirò forte ed espirò lentamente. Guardò sotto ai suoi piedi il legno del palco vibrare alle battute e ai movimenti degli attori già in scena. Come se anche lui si divertisse e si appassionasse, ogni volta come fosse la prima. Beatrice le mise le mani sulle spalle, scrollandole un poco. Elisa la guardò e le sorrise. La tensione se n’era andata del tutto.
Era il momento: avanzò sotto i riflettori. Sentì il calore della luce artificiale sul viso. Cominciò a parlare e ad autocorreggersi mentalmente. Alza la voce. Tieni ferme le mani. Scandisci. Hai sputato, pazienza, i bravi attori sputano sempre. Ti sta tremando una gamba, calmati. Ho detto calmati e blocca quella gamba porca di quella … Applausi. Appena uscita dalla scena sorrise e sospirò. Rimase appostata nel buio per gli ingressi seguenti. Un ragazzo in attesa dietro la quinta a fianco le diede un colpetto al braccio e sussurrò: «Sei stata bravissima, ti brillano gli occhi quando reciti».
  
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