Grace
tentò di alzarsi in piedi.
Le
gambe, però, non riuscirono a sorreggerla, tanto
erano irrigidite dai mesi di inattività. Cadde a terra dopo
un istante urlando
per la frustrazione, e lì rimase.
Non
vedeva niente senza occhiali, era notte e i
suoi muscoli ancora non funzionavano a dovere. La cosa più
saggia e
intelligente da fare sarebbe stata restare ferma dov’era, in
attesa che facesse
giorno e che i suoi occhi riuscissero quantomeno a distinguere sagome
ed ombre.
Ma
lei di certo non era saggia. Andò a tentoni
alla ricerca dei suoi occhiali e, quando li trovò,
cominciò a graffiare sulla
patina solida e nauseante che ne ricopriva le lenti. I movimenti delle
sue
dita, rapidi, brevi e sconnessi, la facevano sembrare una marionetta
manovrata
da due burattinai perennemente in disaccordo.
La
sua mente e il suo corpo.
Non
importava cosa lei comandasse alle sue mani,
quelle avrebbero agito secondo la propria volontà. Ci
sarebbe voluto un po’ di
tempo perché riprendesse pieno possesso del suo corpo.
E
il tempo era l’unica cosa che le mancava.
-Mi
va bene non vedere niente?!- domandò a sé stessa,
come se quell’affermazione la ripugnasse. Come se non fosse
stata lei a dirla,
pochi minuti prima. –Non mi va bene affatto!
Le
sue unghie si muovevano sempre più spedite.
Cominciò
ad ansimare non per la fatica, ma per il nervosismo. Era irrequieta.
Non vedeva
nulla, doveva affidarsi solo alle sensazioni che la sua pelle le dava
al
contatto con la superficie delle lenti.
-Gli
occhiali sono importanti, per noi.- disse
dolcemente, con lo stesso tono che di solito si usa con i bambini.
–Sono molto
importanti, oppure noi shinigami non possiamo vedere niente. No. Non
vediamo proprio
nulla senza gli occhiali.
Ridacchiò
sommessamente per poi trasalire, quasi
estatica, quando rimosse gli ultimi segni della sporcizia.
-Questa
cosa me la ricordo.- sorrise soddisfatta.
Si
infilò gli occhiali: le lenti erano danneggiate
e non vedeva molto, ma almeno vedeva. Un po’ camminando e un
po’ strisciando,
arrivò fino al cancello del cimitero e lo scosse mentre
rideva. Era chiuso.
Il
suo sorriso si spense: la fortuna le aveva
voltato le spalle un’altra volta.
Era
esausta, era furiosa ed era disperata, tanto
che si ritrovò nel giro di un attimo a piangere e a
strillare come una bambina
capricciosa. Non ne poteva più. Aveva aspettato troppo a
lungo per farsi
bloccare da una sciocchezza come un cancello chiuso. Si
aggrappò all’inferriata
con tutte le sue forze e vi poggiò la fronte, mentre si
accasciava al suolo. Si
sentiva quasi debole.
-Non
posso restare chiusa qui. Non stanotte.-
sussurrò riprendendo temporaneamente il controllo.
–Devo uscire, devo trovare
il mio dolce, dolce aguzzino...
Non
poteva contare sulla sua forza fisica in
quel momento. Poteva contare solo sulla disperazione e sulla rabbia. E
fu
proprio ciò che fece.
Si
affidò quindi alla sua furia, l’unica cosa che
poteva spingerla a fare cose inaudite e ben al di sopra delle proprie
possibilità.
Si
tenne saldamente al cancello e, urlando di
rabbia, lo tirò con forza verso di sé.
Lo
scardinò.
Si
ritrovò a vagare per una stradina oscura. La
fioca luce di un lampione era la sua unica compagnia in quel momento.
Le
gambe stavano lentamente riacquistando forza
e, benché non si fosse del tutto ristabilita, cominciava a
strisciare di meno e
a camminare di più.
-Oh
buon Dio! Cosa ti è successo, cara?
Grace
bloccò la sua andatura sbilenca e si voltò
in direzione di quella voce. Apparteneva a una donna dal volto ingenuo
e meravigliosamente
vestita di rosso in compagnia di un giovanotto dall’aria
colpevole. Li aveva
forse beccati in flagrante?
-Ti
conosco, ragazza?- rispose.
La
piccola ingenua avvampò:- B... beh, no, ma stai
zoppicando, e... poi sei tutta sporca di terra... e sei quasi nuda,
così... non
so, pensavo che ti servisse aiuto.
Grace
roteò gli occhi. Quel modo di parlare la
faceva innervosire, così incerto e diretto allo stesso
tempo. Tipico delle
persone che vogliono ostentare innocenza.
-Lasciala
perdere, non lo vedi che è una prostituta?-
commentò freddamente l’uomo.
Prostituta.
Quella
parola saltò nella sua mente come una
molla.
Si
raddrizzò di colpo. –Come mi hai chiamata,
scusa?!
-Basta
guardare come sei vestita.- spiegò lui,
come se fosse la cosa ovvia del mondo. –Il tuo ultimo cliente
deve averti
sferzata per bene, eh?
Si
dette uno sguardo: indossava un corsetto
sgualcito, la biancheria era completamente lacerata e si intravedeva la
profonda ferita al bassoventre; un reggicalze senza più
calze da reggere
penzolava floscio.
-Come
ti sei permesso?- si infervorò. –Hai una
vaga idea di chi sono io? Sai a chi stai parlando in modo
così avventato?!
Lui
sembrò annoiato e fece per andarsene tenendo
la sua dama saldamente per la mano. Ma Grace li precedette e
bloccò loro il
passaggio.
-Sai
chi sono io?!- urlò loro in faccia.
-No,
non lo so!- fece lui di rimando.
L’altra
ringhiò. –Io sono una shinigami,
una dea della morte. Dovresti portare rispet...
La
risata sguaiata di lui la interruppe,
risuonando fastidiosamente nel silenzio tombale della via.
-Una
dea della morte! Sì, certo, come no, questa
è bella.- disse, senza riuscire a frenare le risate.
–Dovresti farti curare,
dico sul serio.
Incurante
della faccia sconcertata della rossa,
l’uomo proseguì per la sua strada.
-Tu
non credi che io sia una shinigami?-
sussurrò lentamente.
-Io
non credo a certe sciocchezze.- ribatté,
piccato.
-Quindi
non credi negli shinigami.
-Smettila
di ripeterlo.- tagliò corto. –No, non
ci credo infatti. Io credo solo a quello che vedo.
Io
credo solo a quello che vedo.
-Io
credo solo a quello che vedo.- lo scimmiottò
lei, sghignazzando tra sé e sé. –A
quello che vedo.
Dopodiché
si voltò verso la coppia, corse verso
di loro e afferrò l’uomo per le spalle,
costringendolo a voltarsi verso di lei.
Lui
era palesemente spazientito e probabilmente
gliele avrebbe cantate di santa ragione, se lei non avesse fatto
l’impensabile.
-Io
credo solo a quello che vedo!- ripeté
allegramente.
Allungò
le mani verso i suoi occhi e in un
duplice, rapido gesto, li afferrò e glieli cavò
dalle orbite.
Il
volto lieto di Grace si sporcò di sangue
umano: sospirò di sollievo.
La
vittima urlante si accasciò a terra in preda
al dolore. Teneva le mani sulle palpebre vuote per bloccare la
fuoriuscita di
sangue, mentre la sofferenza diventava sempre più atroce
mano a mano che i
secondi passavano.
-Chissà
a cosa crederai, ora che non puoi più vedere
niente!
La
sua compagna scoppiò in lacrime, coprendosi
la bocca con la mano. La paura, però, ebbe la meglio sulla
compassione e dopo
qualche secondo fece per scappare.
Grace
agguantò l’orlo della sua gonna per
trattenerla, e inaspettatamente la trovata funzionò. La
donna inciampò mentre
il tessuto cremisi si stracciava. In un attimo, la shinigami le fu
addosso e si
sedette a cavalcioni sopra di lei.
-Allora,
dimmi cara. Cosa stavi facendo di
interessante con questo bel giovanotto?- chiese.
Nessuna
risposta.
-Tiro
a indovinare.- proseguì allora. –Un amore
clandestino!
Forse le vostre famiglie ostacolano la vostra unione? Oh, no... Forse
tu sei
già sposata con un altro uomo!- sorrise canzonatoria.
–Allora sei un’adultera,
piccola svergognata!
L’altra
di nuovo non rispose. Fissava la donna
che troneggiava su di lei, con gli occhi sgranati che luccicavano di
eccitazione.
–Ora
ti farò un’altra domanda, più semplice
stavolta. Rispondimi solo di sì o di no. Ci stai?
Il
volto terrorizzato dell’altra si mosse in un
cenno di assenso.
-Bene.
Tu credi negli shinigami?
-Sì,
sì ci credo!- rispose prontamente, mentre
le lacrime le sgorgavano dagli occhi. Stava palesemente mentendo per
salvarsi
la pelle.
-Mmmh,
mi piacerebbe crederti, davvero. Anzi,
facciamo finta che io ti creda!- esultò Grace.
–Purtroppo non posso lasciarti
libera così. Andresti a dire tutto a tutti. Una
prostituta ha cavato gli
occhi al mio amante! Che paura, era così spaventosa, oh,
è tutto così confuso,
agente...- scoppiò a ridere. –No, non si
può.
Le
prese dolcemente il viso tra le mani:- E
allora cosa facciamo?
La
donna si fece scudo con le braccia, andandosi
a coprire gli occhi. Ma non era ai suoi occhi che puntava.
Le
aprì le labbra di forza e, afferrandole la
lingua, gliela strappò.
L’urlo
della donna si congiunse a quello del suo
amato, mentre si portava le mani alla bocca. Il sangue che le intasava
la gola
la stava soffocando.
Grace
si rialzò e in un unico gesto baldanzoso
sfilò la gonna dalle gambe dell’altra,
provandosela come una bambina che
indossa i vestiti della mamma.
-Il
rosso mi ha sempre donato. Non trovate anche
voi?- domandò al nulla.
I
corpi dei due amanti erano sconquassati dal
dolore: avrebbero volentieri preferito la morte.
E
si sperava che questa sarebbe arrivata presto.
Le
due povere vittime sarebbero presto morte per
dissanguamento, o almeno così sperava. E nel momento in cui
ciò fosse avvenuto,
sarebbe venuto uno shinigami a mietere le loro anime.
E
lei sarebbe stata lì finché questi non fosse
arrivato. Allora si sarebbe fatta condurre nel luogo in cui avrebbe
potuto
avere la sua rivincita, come dea e come vittima.
Facile.
-Ehi,
cosa succede?
-Oddio,
guardate quanto sangue!
-Chiamate
un dottore!
-Presto!
Le
urla dei due feriti avevano svegliato le
persone che abitavano lì.
E così come
un gatto scappa dall’acqua, così
Grace, dimenticandosi di colpo del piano appena architettato,
scappò via dalla
folla repellente.