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Autore: Maharet    19/03/2013    3 recensioni
"Si erano assaggiati, morsi, respirati per un'istante infinito prima di separarsi di pochi millimetri, guardandosi negli occhi. Avevano cercato in quelli dell'altro un motivo per andarsene, ora, prima che tutto diventasse ancora più difficile. E non l'avevano trovato."
Questa storia nasce come OS, ma è diventata in fretta una sorta di raccolta di storie diverse, legate tra loro dai protagonisti, i miei adorati Elestin.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elenoire Sinclair, Justin Sinclair
Note: OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Questa è per Min, che è la mia El ed il mio Magnus, e con entrambi riesce ad essere la persona che chiunque vorrebbe avere accanto. Ti voglio bene piccola <3



Aveva sempre, per qualche inspiegabile motivo, associato naturalmente Elenoire alle pietre preziose.

Forse a causa dei suoi capelli, una cascata color rubino, che parevano sempre sul punto di sfuggire anche alle più rigide acconciature.

O magari per i suoi occhi, schegge di tormalina incastonate in un viso liscio e perfetto dalle tonalità perlacee.

Ma così come le pietre lei gli aveva sempre trasmesso una sensazione di freddezza.

L’aveva incontrata spesso al braccio di Cain, un sorriso sul volto che non raggiungeva mai gli occhi, come uno splendido dipinto in cui il pittore, nonostante la tecnica squisita, non fosse stato in grado di instillare una scintilla di vita.

Con quanta superficialità la guardava allora, la stupida illusione di averla in fondo compresa senza aver scambiato con lei altro che poche, sterili parole di circostanza.

E lei forse l’aveva allora inquadrato per ciò che in fondo era, ovvero un ingenuo ragazzino troppo preso dal rincorrere il fantasma di una cotta adolescenziale per vedere realmente ciò che aveva davanti.

L’aveva vista realmente forse per la prima volta il mese precedente, quando se l’era ritrovata davanti con un fiasco di vino in una mano e due bicchieri vuoti nell’altra, in una muta offerta di sostegno nei confronti di qualcuno che a malapena conosceva.

Era così El, e l’aveva scoperto per caso. Sempre pronta ad aiutare un amico, un animaletto randagio e persino un soldato a malapena adulto che tentava di nascondere ai suoi occhi attenti le tracce di lacrime che ancora gli solcavano il viso.

Quella sera si erano seduti l’uno di fronte all’altra e avevano iniziato a bere, parlando del più e del meno come se fossero amici di vecchia data. Le confidenze erano arrivate più tardi, via via che passavano i giorni e la tristezza che lo avvolgeva veniva lenita poco a poco dalla presenza di lei.

Era stato oltremodo destabilizzante rendersi conto di quanto fosse diventato dipendente da quei momenti. Per quanto la sua mente non avesse ancora neppure concepito l’idea, El era diventata indispensabile per lui. La sua calma serafica, i suoi gesti misurati erano un balsamo sulle sue ferite ancora aperte.

E ancora una volta aveva creduto di conoscerla, e ancora una volta si era sbagliato. Di nuovo aveva visto ciò che lei voleva mostrare, il suo sguardo non era stato in grado di penetrare il muro che lei aveva eretto tra sé ed il resto del mondo, soffocando le emozioni per evitare che fossero loro a soffocarla, privandola del respiro e della voglia di vivere.

Lei gli aveva detto, una volta, che le emozioni non erano importanti, che non avrebbe dovuto lasciare che lo condizionassero a tal punto. E lui le aveva chiesto di insegnargli a metterle da parte, per non soffrire più così tanto. Ma lei non l’aveva ascoltato, e così era stato lui, alla fine, ad insegnarle quanto potesse essere bello provarle di nuovo.

La prima volta che aveva avuto l’ardire di stringerla tra le braccia lei era incerta, spaventata come e più di lui da quell’impulso a cui nessuno dei due sapeva dare un nome. Troppo forte per essere solo affetto, troppo pregno di significati per essere puro desiderio. Era l’una e l’altra cosa, e molto altro ancora. Ma questo l’avrebbero scoperto solo più tardi.

Quando aveva sfiorato le sue labbra aveva capito che nulla avrebbe mai potuto cancellarla dal suo cuore, e che ormai era tardi, irrimediabilmente tardi. Si erano assaggiati, morsi, respirati per un'istante infinito prima di separarsi di pochi millimetri, guardandosi negli occhi. Avevano cercato in quelli dell'altro un motivo per andarsene, ora, prima che tutto diventasse ancora più difficile. E non l'avevano trovato.

E ancora ora, mentre la stringeva tra le braccia, sapendola finalmente e soltanto sua, si ritrovava a volte a chiedersi come avesse potuto essere così stupido, un tempo. Aveva avuto sotto gli occhi la pietra più preziosa, e l’aveva scoperto soltanto per caso e grazie ad una serie infinita di stupefacenti coincidenze. Coincidenze per cui avrebbe dovuto decisamente ringraziare qualsiasi divinità conosciuta per molto, moltissimo tempo.
   
 
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